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sabato 8 ottobre 2016

Licenziamenti illegittimi nella pubblica amministrazione niente risarcimento, solo reintegra



La Corte di cassazione, con la sentenza n. 20056 del 2016, torna di nuovo sulla questione dei licenziamenti illegittimi nella pubblica amministrazione, stabilendo che si applica anche a questi il regime di tutela reale previsto dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori nella sua formulazione precedente alle modifiche di cui alla legge n. 92/2012.

Ad avviso della Corte ai licenziamenti di cui sia stata dichiarata l’illegittimità nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico si applica il regime di tutela reale previsto dall’articolo 18 della legge 300/1970 nella sua formulazione anteriore alle modifiche introdotte dalla legge 92/2012.

È di pochi giorni fa una sentenza di segno opposto della stessa Corte, nella quale è stato affermato che anche ai dipendenti della pubblica amministrazione si applica il regime di tutela introdotto dall’articolo 1 della legge 92/2012 di riforma dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, in forza del quale la tutela reintegratoria, a seconda che il giudice abbia accertato la sussistenza o la insussistenza del fatto alla base del licenziamento, può risultare alternativa alla tutela risarcitoria in ipotesi di recesso datoriale illegittimo.

Con la sentenza la Cassazione ritorna sulle argomentazioni sviluppate in un proprio recente indirizzo, secondo il quale le modifiche apportate dalla legge 92/2012 non potranno automaticamente essere estese ai dipendenti della pubblica amministrazione sino a un intervento di armonizzazione del ministero per le Semplificazione e la Pubblica amministrazione, così come previsto dall’articolo 1, commi 7 e 8, della medesima legge Fornero.

I fautori dell’indirizzo contrario hanno fondato l’estensione dell’articolo 18 post Fornero, tra gli altri rilievi, sul presupposto che l’articolo 51, comma 2 del Dlgs 165/2001 (testo unico sul pubblico impiego) prevede espressamente l’applicazione della legge 300/1970, e successive modificazioni e integrazioni, ragion per cui esisterebbe un preciso riferimento nella legislazione primaria circa l’immediata precettività dell’articolo 18 nella versione dopo le modifiche della legge 92/2012.

Con la sentenza n. 20056 del 2016, la Cassazione dichiara di non condividere questa lettura, ritenendo che il riferimento dell’articolo 51, comma 2 del Testo unico alla legge 300/1970 sia da interpretare non come rinvio mobile, ovvero alla disciplina statutaria tempo per tempo vigente, bensì come rinvio fisso a una fonte di legge cristallizzata alla data in cui è stata introdotta.

La Corte riconosce che tale interpretazione comporta il permanere di una duplicità di normative, ciascuna applicabile in relazione alla diversa natura, privata o pubblica, dei rapporti di lavoro coinvolti, ma respinge con nettezza ogni sospetto di incostituzionalità. Rileva la Corte, a questo proposito, che il lavoro privato e il lavoro pubblico, sebbene contrattualizzato, sono caratterizzati da una obiettiva diversità, in quanto nel comparto pubblico è presente, diversamente dal privato, la necessità di far prevalere la tutela dell’interesse collettivo al buon funzionamento e all’imparzialità della pubblica amministrazione.

Rispetto a questa esigenza, ad avviso della Cassazione, la sanzione reintegratoria è l’unico strumento di rimedio a fronte di un licenziamento illegittimo, laddove la sola tutela risarcitoria mediante riconoscimento di un indennizzo economico non è idonea a rimuovere il pregiudizio arrecato all’interesse collettivo.

Ai licenziamenti nel pubblico impiego si applica l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. E non la legge Fornero. La Corte di Cassazione ha affermato - con la sentenza n. 11868 della sezione Lavoro - che il licenziamento del personale del pubblico impiego non è disciplinato dalla “legge Fornero”, bensì dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Così recita la sentenza: «Non si estendono ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni», sino ad un «intervento normativo di armonizzazione», le modifiche apportate all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

La Cassazione interviene su una questione da tempo dibattuta su cui ci sono state anche sentenze di diverso orientamento ma il Governo, con il ministro della Pa Marianna Madia, ha sempre tenuto a precisare come l'articolo 18 per gli statali non è stato cambiato né dalla legge Fornero, prima, né dal Jobs act, dopo.

Per il pubblico impiego le garanzie sarebbero quindi intatte, con la reintegra in caso di licenziamento senza giusta causa. Un trattamento diverso rispetto ai lavoratori privati, sostiene il ministero, perché è diversa la natura del datore di lavoro. Per mettere fine a possibili diverse interpretazioni il governo resta dell'idea di intervenire, da quanto si apprende, con una norma che chiarisca l'esclusione dei dipendenti pubblici dalle nuove regole. La precisazione dovrebbe trovare spazio nel testo unico del pubblico impiego, in attuazione della riforma della P.A.

Per il pubblico impiego le garanzie sarebbero quindi intatte, con la reintegra in caso di licenziamento senza giusta causa. Un trattamento diverso rispetto ai lavoratori privati, sostiene il ministero, perché è diversa la natura del datore di lavoro. Per mettere fine a possibili diverse interpretazioni il governo resta dell'idea di intervenire, da quanto si apprende, con una norma che chiarisca l'esclusione dei dipendenti pubblici dalle nuove regole.

Ai rapporti di lavoro disciplinati dal decreto legislativo n.165 del 2001, art.2, non si applicano le modifiche apportate dalla legge 28.6.2012 n.92 all'art.18 della legge n.300 del 1970, per cui la tutela del dipendente pubblico in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva all'entrata in vigore della richiamata legge n.92 del 2012 resta quella prevista dall'art.18 della legge n.300 del 1970 nel testo antecedente alla riforma”: è questo il principio di diritto fissato dalla Suprema corte nella sentenza 11868 depositata oggi, con cui esclude che la riforma Fornero si possa applicare al pubblico impiego.

Quindi anche ai dipendenti della pubblica amministrazione si applica il regime di tutela introdotto dall'articolo 1 della legge 92/2012 di riforma dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, in forza del quale la tutela reintegratoria, a seconda che il giudice abbia accertato la sussistenza o la insussistenza del fatto alla base del licenziamento, può risultare alternativa alla tutela risarcitoria in ipotesi di recesso datoriale illegittimo.

Prosegue, dunque, il contrasto della giurisprudenza di legittimità sulla applicabilità al pubblico impiego contrattualizzato delle modifiche introdotte dalla legge Fornero con riferimento agli effetti sanzionatori del licenziamento invalido.




domenica 28 dicembre 2014

Licenziamenti collettivi cosa cambia dal 2015




Si parla di licenziamento collettivo per indicare l'ipotesi nella quale una impresa, per motivi di crisi, di ristrutturazione aziendale o di chiusura dell'attività, effettua una importante riduzione del personale. I licenziamenti collettivi sono possibili soltanto in casi specifici individuati dalla legge e unicamente dopo la conclusione di un complesso procedimento al quale prendono parte anche le rappresentanze sindacali. Il datore di lavoro non è libero nella scelta dei lavoratori da licenziare dal momento che la legge stabilisce dei criteri ai quali questo deve attenersi nel predisporre la lista dei dipendenti interessati.

Il licenziamento collettivo (o più correttamente la procedura di mobilità) è il fenomeno per il quale una impresa opera una riduzione significativa del personale in un contesto di crisi, a seguito di una ristrutturazione produttiva oppure in vista della chiusura definitiva dell’azienda. Il licenziamento collettivo, disciplinato dalla legge n. 223 del 1991, si realizza attraverso una complessa procedura che può essere attivata soltanto in presenza di condizioni stabilite dalla legge.

La disciplina prevede che l’impresa possa attivarsi in questo senso quando:

sta beneficiando di strumenti di integrazione salariale come la Cassa Integrazione e ritiene di non essere in grado di garantire il reimpiego di tutti i lavoratori sospesi e di non potere utilizzare misure alternative;

l’impresa (che ha più di 15 dipendenti, compresi i dirigenti) decide di licenziare almeno 5 lavoratori nell’arco di 120 giorni in vista della cessazione dell’attività o di una ristrutturazione della produzione.

I licenziamenti collettivi sono disciplinati dalla legge 223 del 1991 e scattano quando l’impresa intende effettuare almeno cinque licenziamenti nell’arco di centoventi giorni, in ciascuna unità produttiva, o più unità produttive nell’ambito della stessa provincia. Attualmente, in base alla 223,esistono due differenze regimi sanzionatori in caso di licenziamento illegittimo. Se si violano i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare l’impresa è punita con la reintegrazione (risarcimento fino a dodici mesi). Per tutti gli altri casi di errori nella procedura è previsto il pagamento di un indennizzo.

Con le nuove regole in via di approvazione in caso di violazione delle procedure o dei criteri di scelta si applica sempre il regime dell’indennizzo monetario. In questo modo ci saranno sanzioni monetarie (e non la reintegra) in caso di violazione delle procedure o dei criteri di scelta,quando a essere irregolarmente licenziati, nel quadro di una riduzione del personale, sono dipendenti assunti con il contratto a tutele crescenti.

La novità predominante è che i lavoratori licenziati collettivamente si applicherà il contratto di ricollocazione, e pertanto anche loro avranno diritto ad avere assistenza presso i centri per l’impiego e ottenere il voucher da spendere per trovare un nuovo impiego.

Le modifiche non riguardano invece i dirigenti e quanti risultano già contrattualizzati. Ma c’è un’eccezione, quella di lavoratori che si ritrovino in aziende dove viene superato il limite dei 15 dipendenti: il neoassunto sarà a tutele crescenti e trascinerà con se nel nuovo regime anche gli altri, pur se “veterani”. Ciò ricordando che l’articolo 18 sinora non è mai stato applicato alle piccole imprese.

La riassunzione vale anche per i licenziamenti disciplinari dove il fatto “materiale” (deve dunque avere concretezza) è dimostrato insussistente. In tutte le altre situazioni, quindi in quel che resta dei casi disciplinari e in quelli economici, tutto si risolve con un indennizzo, che va da un minimo di 4 mensilità a un massimo di 24, ridotte a 6 per le aziende sotto i 15 dipendenti. Che infatti danno la loro approvazione in modo deciso e con un sondaggio della Cna sottolineano che «rende i contratti più stabili». Rimane la possibilità di percorre la strada della conciliazione, accettando un assegno di massimo 18 mensilità esentasse.

Un articolo del decreto è poi riservato appunto ai licenziamenti collettivi: anche per questi scatta l’indennizzo se vengono vìolate le procedure che regolano lo strumento.



domenica 8 aprile 2012

Riforma del mercato lavoro torna il reintegro


Art. 18 dello Statuto dei lavoratori, torna il reintegro: «Possibile in caso di insussistenza del motivo economico».
Le modifiche prevedono la possibilità del reintegro anche nel caso dei licenziamenti per motivi economici quando questi motivi risultino del tutto inesistenti. Nella proposta iniziale annunciata il mese scorso era previsto che nel caso di illegittimità del licenziamento per motivi oggettivi il giudice potesse solo decidere un indennizzo. «Per il licenziamento per cause economiche il nostro ddl prevede che nel caso di manifesta infondatezza, anzi insussistenza, il giudice possa decidere il reintegro», ha spiegato il ministro Fornero.

La norma è una novità rispetto alla bozza uscita dal consiglio dei ministri ed è il frutto dell'accordo con i leader della maggioranza. «È una soluzione lineare - ha affermato la Fornero - che non dà luogo a troppe controversie interpretative ed è anche più equilibrata dal punto di vista formale. Per queste cause sui licenziamenti illegittimi è previsto un processo speciale, che accelera il percorso del giudice». La modifica del governo va incontro alle richieste di seguire il modello tedesco. Fornero ha anche detto che nel caso in cui il lavoratore vinca una causa per licenziamenti, sia di tipo economico che disciplinari, potrebbe avere diritto a un indennizzo compreso tra le 12 e le 24 mensilità a seconda dell'anzianità e altri parametri. Resta salvo il diritto al reintegro per licenziamenti discriminatori.

Il ministero del Lavoro inoltre metterà in campo una «commissione», un «osservatorio» di concerto con il ministero del Tesoro «per monitorare gli effetti della riforma» del mercato del lavoro allo scopo «eventualmente di proporre qualche aggiustamento in corso». Lo ha annunciato il ministro Fornero sottolineando che «la realizzazione della riforma non avviene tutta d'un botto e, dunque, va monitorata».
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