domenica 12 dicembre 2010

Protezione dati sensibili

Parto dal codice di protezione dei dati personali.
Le pubbliche amministrazioni devono adottare evidenti cautele se le informazioni personali sono idonee a rivelare profili particolarmente delicati della vita privata dei propri dipendenti (la salute, abitudini sessuali e convinzioni politiche) ed altre informazioni che rientrano nella tipologia dei dati sensibili.
Il datore di lavoro può utilizzare informazioni sensibili relative al proprio personale in attuazione della normativa in materia di instaurazione e gestione di rapporti di lavoro, per finalità di formazione, nonché per concedere benefici economici e altre agevolazioni.
Il datore di lavoro deve limitare il trattamento dei dati sensibili e giudiziari alle sole informazioni ed operazioni individuate e rese pubbliche con l'atto regolamentare del Garante.
La disciplina di protezione dei dati personali consente al datore di lavoro di rendere conoscibili a terzi dati personali del dipendente in attuazione delle disposizioni che definiscono presupposti, modalità e limiti per l'esercizio del diritto d'accesso a documenti amministrativi (contenenti dati personali) o che prevedono un determinato regime di conoscibilità per talune informazioni, ovvero in virtù di una delega conferita dall'interessato.
Ricordo che l’amministrazione del personale può comunicare a terzi in forma realmente anonima, sottolineo anonima, i  dati ricavati dalle informazioni relative ai dipendenti (ore di lavoro straordinario prestate e ore non lavorate) e inoltre gli importi stipendiali.

sabato 4 dicembre 2010

BUONI PASTO. A CHI SPETTANO?

Ricordo che i buoni pasto, pausa aziendale, spettano al personale dipendente con orario di lavoro articolato su cinque giorni o su turni di almeno otto ore continuative con relativa pausa di mezz'ora. Il buono pasto è attribuito, ed usufruibile per la giornata lavorativa nella quale il dipendente effettua, immediatamente dopo l'orario ordinario di lavoro, ore di lavoro straordinario, considerato tale dai rispettivi

I buoni pasto devono essere esenti da oneri fiscali e previdenziali, mentre le indennità di mensa, comprendono sempre l’imposizioni di contributi.  Tutto ciò vale anche per i nuovi collaboratori a progetto, assimilati ai dipendenti secondo gli accordi aziendali e ai rispettivi CCNL.

Una regola da rispettare dovrebbe essere che il valore del buono pasto non deve essere rilevabile in via diretta ed immediata in quanto non espresso in termini monetar sul supporto cartaceo in cui il buono pasto s
i evidenzia. Inoltre i buoni pasto non dovrebbero essere cumulabili, nè commerciabili o convertibili in denaro. Difficilmente si verifica.

I buoni pasto possono essere considerati dei veri e propri rapporti contrattuali che legano diversi soggetti: tra cui la società che li emette; l’esercizio che effettua il servizio sostitutivo di mensa; il cliente (datore di lavoro) che acquista dall’emittente i buoni pasto e li rilascia al lavoratore dipendente per l’acquisto di alimenti presso l’esercizio convenzionato.

Il buono pasto per essere nella legge deve riportare: il codice fiscale o la ragione sociale del datore di lavoro; la ragione sociale e il codice fiscale della società di emissione; il valore facciale espresso in valuta corrente; il termine temporale di utilizzo; uno spazio riservato all’apposizione della data di utilizzo, della firma dell’utilizzatore e del timbro dell’esercizio convenzionato presso il quale il buono pasto viene utilizzato.

Una pillola sui buoni pasto.
L'Antitrust, secondo l’agenzia Ansa, ha avviato un'istruttoria per verificare se l'acquisto della società Ristochef da parte di Edenred Italia, titolare dei marchi Ticket Restaurant e City Time, possa causare effetti restrittivi della concorrenza nel settore dei buoni pasto. L'operazione potrebbe determinare il rafforzamento di una posizione dominante, visto che la società risulta il principale operatore di mercato. L'istruttoria dovrebbe comprendere anche la posizione della Edenred sul mercato dei voucher sociali.

giovedì 2 dicembre 2010

Lavoro a chiamata quando?

Il contratto di lavoro a chiamata è un rapporto con il quale il lavoratore si mette a disposizione del datore di lavoro che ricorre alla sua prestazione soltanto quando ne abbia effettivamente bisogno. Ed è una tipologia di contratto che garantisce un'elevata flessibilità.


Ricordo che il contratto di lavoro a chiamata può essere stipulato a tempo determinato o indeterminato ed è previsto in due forme: il futuro lavoratore a chiamata, infatti, ha la possibilità di scegliere di vincolarsi o meno alla chiamata. Nel primo caso il datore di lavoro ha l’obbligo di corrispondere un’indennità di disponibilità, relativa ai periodi di inattività.


E' vietato il suo ricorso al fine di sostituire lavoratori in sciopero; nel caso si sia fatto ricorso nei 6 mesi precedenti a una procedura di licenziamento collettivo, oppure se è in corso una sospensione o riduzione di orario con cassa integrazione (salvo diverso accordo sindacale) per le stesse unità produttive e/o mansioni a cui si riferirebbe il contratto intermittente.


Il lavoro a chiamata può essere firmato da qualunque lavoratore per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, oppure per il lavoro nei week end o in periodi predeterminati (ferie estive e altri periodi vacanze); indipendentemente dal tipo di attività, da lavoratori con meno di 25 anni di età o di più di 45.


I contratti di lavoro a chiamata o intermittente, ai fini della sua prova, deve essere redatto in forma scritta e riportare le seguenti indicazioni: durata ed ipotesi che ne consentono la stipulazione; luogo e modalità della disponibilità, preavviso di chiamata del lavoratore che non può essere inferiore ad almeno un giorno lavorativo; forme e modalità con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere la prestazione nonché i mezzi per rilevare la stessa; trattamento economico e normativo e la relativa indennità di disponibilità spettante al lavoratore se prevista; tempi e modi di pagamento del corrispettivo e dell’indennità di disponibilità; eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione al tipo di attività dedotta nel contratto.


Per quanto riguarda la retribuzione il lavoratore a con contratto di lavoro a chiamata non deve essere sottoposto a discriminazioni. Gli spetta, pertanto, se pur proporzionato all’attività realmente svolta, la stessa retribuzione di chi risulta assunto a tempo pieno a parità di livello e mansione.


Se il lavoratore con contratto di lavoro a chiamata è obbligato a rispondere alla chiamata del datore di lavoro il suo rifiuto, senza giustificato motivo, può comportare la risoluzione del rapporto, la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo al rifiuto e il risarcimento del danno la cui misura è affidata alla contrattazione collettiva o in mancanza al contratto di lavoro.


Il lavoratore con contratto di lavoro a chiamata non è computato nell'organico dell'impresa ai fini della applicazione di normative di legge o di contratto collettivo, fatta eccezione per quelle relative alla materia dell'igiene e della sicurezza sul lavoro.


Il datore di lavoro può assumere lavoratori a chiamata solo se il C.C.N.L. applicato ha individuato le attività per le quali è possibile ricorrere a questa forma contrattuale. Se manca questa previsione il Ministero del Lavoro ha stabilito che si può ricorrere al contratto a chiamata anche per le attività discontinue quali, camerieri, personale di servizio e di cucina negli alberghi, trattorie, esercizi pubblici in genere, magazzinieri e commessi. Per ulteriori in formazioni invito a visitare la pagina del sito Mondo -lavoro.com.
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