sabato 15 ottobre 2016

Anticipo pensionistico (APE) in vigore da maggio 2017




L’anticipo pensionistico APE è la nuova prestazione assistenziale che consentirà di accedere a un prestito ponte in attesa della pensione effettiva (fino a 3 anni e sette mesi prima) a lavoratori con ammortizzatori sociali esauriti o disabili o con disabili in famiglia. Il costo della prestazione è nullo per chi avrà maturato. Il costo della prestazione è nullo per chi avrà maturato una pensione finale non superiore a una certa soglia (si era partiti da 1.350 euro al mese in linea con la Naspi ma il Governo non ha ancora dato la sua parola definitiva). All'Ape social potranno accedere anche una serie di categorie di

Potranno accedere all'Ape agevolata i disoccupati, disabili e alcune categorie di lavoratori impegnati in attività pesanti purché abbiano un reddito inferiore ai 1.350 euro lordi. Per queste categorie il costo dell'anticipo pensionistico, attraverso un reddito ponte, sarà a carico dello stato. L'Ape partirà dal 1 maggio 2017.

Per accedere all'Ape agevolata sarà necessario avere almeno 36 anni di contributi complessivi se si rientra nelle categorie dei lavori gravosi (gli ultimi sei dei quali effettuati nell'attività gravosa) e 30 anni se si è disoccupati, disabili o parenti di primo grado conviventi di disabili per lavoro di cura.

L’APE volontario (da 63 anni di età, con 3 anni e 7 mesi di anticipo sull’età pensionabile), con rata del prestito pari a un taglio del 4,5-4,6% per ogni anno di anticipo sulla pensione, quindi con un costo massimo tra il 15 e il 20% sulla pensione percepita per 20 anni.

Se il reddito è maggiore dei 1.350 euro lordi si paga una rata corrispondente alla parte eccedente. Il trattamento è riservato a disoccupati, disabili e categorie di lavoratori impegnati in attività usuranti, tra i quali il Governo ha aggiunto: maestre, operai edili, alcune categorie di infermieri, macchinisti, autisti di mezzi pesanti. Bisogna aver svolto lavori usuranti per almeno metà dell’attività lavorativa o 7 anni negli ultimi 10 di lavoro.

L’APE imprese è a carico del datore di lavoro e si applica come incentivo alla pensione anticipata nell’ambito di ristrutturazioni aziendali, prevedendo un’agevolazione fiscale che compensi in parte il costo del trattamento.

I lavoratori precoci (con almeno 12 mesi di contributi versati prima dei 19 anni di età) potranno andare in pensione anticipata con 41 anni di contributi indipendentemente dal requisito anagrafico se disoccupati o comunque rientranti nella platea dell’APE sociale (quota 41).

Pensione anticipata prima dei 62 anni senza la penalizzazione dal 2019

RITA: rendita integrativa anticipata, consente di riscattare la pensione complementare per avere una rendita temporanea nel periodo che manca alla pensione. Previste agevolazioni fiscali e incentivi per sfruttare il TFR accantonato in azienda.

Pensioni minime: quattordicesima ai pensionati fino a 2 volte il minimo (circa 1.000 euro al mese), oggi destinata a trattamenti fino a 1,5 volte il minimo (750 euro al mese), con aumento dell’assegno per chi già lo percepisce; innalzamento no tax area a 8.125 euro per i pensionati sopra i 75 anni.

Cumulo contributi: applicazione del cumulo per raggiungere la pensione anticipata, contando anche il riscatto della laurea, sempre con calcolo della pensione pro-rata in base alle regole delle diverse gestioni.

Il costo tenderà a zero per chi è disoccupato, disabile, svolge attività rischiose. Confermate infatti le detrazioni concentrate sui redditi più bassi, coprendo di fatto interessi e assicurazione, e in alcuni casi anche il capitale anticipato. L'anticipo pensionistico non prevede penalizzazioni, utilizzando il meccanismo delle detrazioni fiscali, per i disoccupati di “lungo corso”, le persone che hanno svolto lavori usuranti e che hanno iniziato a lavorare molto presto. La rata di ammortamento è azzerata per le pensioni che arrivano a 1.350 euro lordi. L’APE potrà essere poi modellabile in termini di durata e di importo sulle concrete esigenze del richiedente anche in sinergia con la previdenza complementare con il concorso della RITA (rendita integrativa temporanea anticipata).


lunedì 10 ottobre 2016

Lavoro: dimissioni telematiche il servizio sospeso



Il Ministero del Lavoro ha annunciato ieri  la sospensione di alcuni servizi online tra cui la comunicazione telematica delle dimissioni e risoluzioni consensuali  dei rapporti di lavoro. La causa risiede nella rottura fisica di due dischi dell’infrastruttura informatica, e da ieri sono in corso una serie di attività per il ripristino del corretto funzionamento delle procedure. Grazie ad avanzati sistemi di copia e archiviazione tutti i dati sono salvi, ma è stato necessario un fermo dei servizi per riallineare i backup che sono stati interessati dall'evento e per effettuare i necessari controlli successivi al ripristino.

A partire dal 12 marzo 2016 le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro dovranno essere effettuate in modalità esclusivamente telematiche, tramite una semplice procedura online accessibile dal sito Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

La nota della Direzione Generale dei Sistemi informativi, Innovazione Tecnologica e della Comunicazione del Ministero del lavoro fornisce indicazioni operative per adempiere alla procedura telematica delle dimissioni volontarie e risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. In particolare il documento spiega che fino a nuova comunicazione le dimissioni volontarie e le risoluzioni consensuali dovranno essere comunicate scegliendo una delle seguenti modalità:

Recandosi presso la Direzione Territoriale del Lavoro competente, che si farà carico del supporto operativo all’utenza, dell’identificazione del lavoratore e del deposito della documentazione prodotta

Recandosi presso i soggetti abilitati di cui all’art. 26, comma 4 del D. Lgs. 151/2015, che si farà carico del supporto operativo all’utenza, dell’identificazione del lavoratore e del deposito della documentazione prodotta.

Compilando in autonomia il modello allegato alla nota direttoriale del 5 ottobre 2016 e trasmettendolo, dalla propria casella di posta elettronica, al seguente indirizzo: sdv@lavoro.gov.it. In tal caso sarà necessario allegare al modello in formato .pdf anche la copia del proprio documento di riconoscimento.

Saranno valide le comunicazioni, effettuate con queste modalità, solo se riferite ad eventi avvenuti a partire dal 3 ottobre 2016.

Gli altri servizi momentaneamente sospesi sono:

– Autocertificazione Esonero 60X1000
– Deposito contratti
– Offerta di conciliazione
Cigs online

La nota conclude che assicurando che sarà cura del Ministero comunicare la riattivazione di tutti i servizi elencati, confermando il massimo impegno per ridurre al minimo gli impatti sull’utenza.


Sospesi i servizi online di Cliclavoro, portale del Ministero Del Lavoro, a causa di problemi tecnici. Per trasmettere le dimissioni volontarie, obbligatoriamente online con il Jobs Act (Dlgs 151/2015), bisogna dunque optare per canali alternativi, almeno in via temporanea. Le comunicazioni così pervenute saranno inoltrate via email dagli uffici competenti al datore di lavoro, inserendo in copia il lavoratore dimissionario, in modo che possa avere conferma dell’invio.

Le dimissioni trasmesse durante il periodo di malfunzionamento non sono andate perdute, grazie al backup. Dunque, a partire dal 3 ottobre e fino a quando il Ministero non comunicherà la riattivazione dei servizi, sono considerate valide e dimissioni presentate con la procedura temporanea, compilando e trasmettendo il modello disponibile sul portale Cliclavoro, scegliendo una delle seguenti modalità operative:

presso la Direzione Territoriale del Lavoro competente;
presso i soggetti abilitati di cui all’art. 26, comma 4 del D. Lgs. 15 1/2015;
compilando il modello in autonomia e trasmettendolo per email a sdv@lavoro.gov.it allegando in .pdf anche la copia del documento di riconoscimento.

Il lavoratore può scegliere fra due opzioni:

inviare il modulo attraverso il sito del Ministero con PIN INPS dispositivo,

rivolgersi a un soggetto abilitato (CAF, patronati, professionisti).

Sul sito web ministeriali sono presenti a questo scopo videotutorial con tutte le indicazioni per il contribuente e per gli intermediari.

Si ricorda che l’obbligo di dimissioni telematiche riguarda solo il settore privato e non il pubblico impiego. Sono inoltre esclusi il lavoro domestico e le dimissioni o accordi conclusi in sede conciliativa. Utilizzano le nuove modalità di invio delle dimissioni anche gli assunti a tempo determinato, nel caso di dimissioni precedenti alla scadenza del contratto.



domenica 9 ottobre 2016

Permessi Legge 104: spettano anche al convivente


I permessi Legge 104 sono dei permessi mensili retribuiti che vengono riconosciuti dal datore di lavoro e permettono al coniuge, parenti o affini della persona affetta da handicap grave di poter prestare assistenza al famigliare disabile grazie a 3 giorni di permesso retribuito.

I tre giorni di permesso al mese che consentono di assentarsi dal lavoro per assistere familiari con gravi handicap devono essere riconosciuti anche al convivente more uxorio e non solo al coniuge e ai parenti e affini. Con la sentenza 213/2016, depositata ieri, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 33, comma 3, della legge 104/1992 che individua i fruitori dei permessi, in quanto non include i conviventi oltre ai familiari più stretti.

Il diritto alla salute, tutelato dall’articolo 32 della Costituzione, rientra a sua volta tra i diritti inviolabili garantiti dall’articolo 2 della Carta costituzionale, sia in quanto il soggetto come singolo che nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità. Per quanto riguarda queste ultime, per formazione sociale si deve intendere ogni forma di comunità.

Di conseguenza, per la Consulta «è irragionevole che nell’elencazione dei soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito…non sia incluso il convivente della persona con handicap in situazione di gravità». L’articolo 33, comma 3, della legge 104/1992 risulta illegittimo rispetto all’articolo 3 della Carta costituzionale non tanto perché non equipara coniuge e convivente, che hanno una condizione comunque diversa, ma perché costituisce una contraddizione logica dato che la norma vuole tutelare il diritto alla salute psico-fisica del disabile, finalità che in questo caso costituisce l’elemento che unifica la situazione di assistenza da parte del coniuge o del familiare di secondo grado e quella fornita dal convivente.

Escludere quest’ultimo dai beneficiari dei permessi comporta, secondo i giudici, un’irragionevole compressione del diritto, costituzionalmente presidiato, del disabile a ricevere assistenza nell’ambito della sua comunità di vita «non in ragione di una carenza di soggetti portatori di un rapporto qualificato sul piano affettivo, ma in funzione di un dato normativo rappresentato dal mero rapporto di parentela o di coniugio».

Secondo quanto stabilito dalla sentenza 213/2016 della Corte Costituzionale, i tre giorni di permesso al mese che permettono di assentarsi dal lavoro per poter assistere dei familiari affetti con gravi handicap possono essere fruiti anche dal convivente more uxorio e non solo al coniuge e ai parenti e affini. Vediamo dunque in che modo si sia arrivati a questa pronuncia, e cosa potrebbe ora cambiare per tutti i potenziali interessati.

Per potersi esprimere circa la congruità di tale valutazione, o meno, i giudici costituzionali hanno tuttavia ricordato che l’interesse primario della legge 104/1992 è quello di “assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell’assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare”. Tutto ciò, unito all’evidenza che il diritto alla salute rientra a pieno titolo tra i diritti inviolabili garantiti dall’articolo 2 della Carta costituzionale, ha portato la Consulta a ritenere “irragionevole che nell’elencazione dei soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito…non sia incluso il convivente della persona con handicap in situazione di gravità”.

La Corte Costituzionale ha poi ricordato come la ragione dei permessi mensili retribuiti risiede nella tutela della salute psico-fisica del disabile, che rappresenta la finalità che lo Stato vuole perseguire attraverso la Legge 104/92.


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