venerdì 20 ottobre 2017

Riscatto della laurea ai fini pensionistici



Il riscatto della Laurea, ossia dei periodi di studi universitari, influisce sull'anzianità (nel senso che detti periodi vengono computati) e conseguentemente sul trattamento di fine rapporto,  cioè il versamento dei contributi per gli anni passati all'Università in modo da avvicinare il momento della pensione. L’idea è rendere flessibile anche il riscatto: potendo scegliere non solo il numero degli anni da recuperare, cosa possibile già oggi.

Chi oggi è vicino dalla pensione e chiede il riscatto della laurea di solito si vede presentare un conto parecchio salato. E questo perché il calcolo viene fatto sulla base del suo stipendio attuale che, a fine carriera, tende a essere più alto. Chi chiede il conteggio, quindi, spesso rinuncia all'operazione e resta al lavoro fino alla scadenza naturale. Rendere flessibile il riscatto significa slegare la somma da pagare dallo stipendio attuale, considerarla un versamento volontario di contributi.

Il riscatto della laurea ai fini pensionistici può essere chiesto da tutti i lavoratori iscritti alle gestioni INPS che abbiano già conseguito il titolo di studio e non siano già coperti da contribuzione nel periodo di frequentazione dell’università. Si possono riscattare solo gli anni previsti dalla durata ordinaria del corso di laurea, se lo studente è andato fuori corso non potrà riscattare gli anni in più che ci ha impiegato per laurearsi. La frequentazione dell’università deve essere successiva al 31 marzo 1996. Il riscatto della laurea può essere chiesto anche da chi è già titolare di pensione. Naturalmente, se lo si chiede per anticipare la pensione di vecchiaia, l’operazione andrà fatta prima dell’età pensionabile perché gli anni siano poi conteggiabili ai fini della maturazione della pensione. Possono chiedere il riscatto dalla laurea anche i soggetti inoccupati.

Una regola fondamentale consiste nel fatto che i periodi di cui si chiede il riscatto non devono già essere coperti da contribuzione. Nel caso in cui, durante il corso di studi, ci sia stato un periodo limitato di lavoro durante il corso, ad esempio un impiego part-time, potrà essere chiesto il riscatto della laurea al netto dei periodi già coperti da contribuzione. Sono ammessi al riscatto tutti i titoli di laurea (vecchio ordinamento, laurea triennale, laurea magistrale, diplomi di specializzazione post-laurea, Accademia delle Arti e Conservatorio, dottorati di ricerca. Non sono inclusi, invece, i master universitari.

Il riscatto della laurea è un’operazione onerosa, il cui costo dipende da diversi fattori: collocazione cronologica del periodo di studio (prima o dopo il 1995, e prima e dopo il 2011), e sistema di calcolo della pensione (contributivo o retributivo).

Se il periodo di riscatto è valutato con metodo retributivo, il calcolo si effettua in base al principio della riserva matematica. In sintesi, si calcolano due diverse pensioni: quella senza riscatto, e quella che conteggia anche gli anni del corso di studi. La nuova pensione tiene conto di un beneficio corrispondente all’aumento delle settimane in quota A (media rivalutata degli ultimi 5 anni di contribuzione prima del pensionamento).

Il beneficio pensionistico va a questo punto moltiplicato per un coefficiente attuariale legato a età, sesso e stato lavorativo del richiedente. Esempio: beneficio (calcolato in base allo schema sopra indicato) pari a 15mila 600 lordi annui. Coefficiente di un lavoratore di 63 anni pensionato pari a 16,68. Onere spettante: 260mila 200 euro.

Se invece il periodo di riscatto è valutato con il contributivo, il calcolo si effettua con il sistema a percentuale, che consiste nell’applicazione dell’aliquota contributiva in vigore al momento della domanda sull’imponibile previdenziale dello ultime 52 settimane. In pratica, si calcolano gli ultimi 12 mesi di contribuzione obbligatoria precedenti alla domanda di riscatto, si applica l’aliquota vigente (ad esempio, il 33% per l’Assicurazione generale obbligatoria), si calcola l’adeguamento per il periodo oggetto di riscatto.

Esempio: retribuzione imponibile ultimi 12 mesi 40mila euro. Costo onere annuale 13mila 200 euro, per quattro anni di studi 52mila 800 euro.

Esiste infine uno specifico metodo di calcolo per gli inoccupati, che è analogo a quello che si effettua per chi ha la pensione contributiva (quindi, su base percentuale) prendendo come riferimento il minimale reddituale della Gestione Commercianti per l’anno della domanda di riscatto. Per esempio, il minimale 2017 è pari a 15.548, quindi l’onere di riscatto è di 5mila 130,84 euro per ogni anno.

Altro esempio, un laureato di 32 anni, impiegato, che guadagna circa 25.000 euro l’anno (non è un miraggio, si può fare). Quanto dovrebbe pagare ogni anno per riscattare la laurea per la pensione? Circa 8.300 euro l’anno. Moltiplicato per 5 anni (triennale più magistrale) arriviamo ai 41.200 euro in totale. Ci vorrebbe un mutuo. Ma sarebbe peggio se aspettasse ad avere quasi l’età pensionabile: il costo raddoppierebbe. Gli converrebbe lavorare 5 anni in più e dimenticarsi del riscatto. Come si vede, il riscatto della laurea è un’operazione piuttosto costosa. per cui è sempre opportuno fare bene tutti i calcoli sulla convenienza (in relazione al fatto che poi aumenta la pensione, piuttosto che si aggancia prima l’età pensionabile).

Possono essere riscattati solo i periodi corrispondenti alla durata legale del corso di laurea (o una sua parte), compresi i dottorati di ricerca, i diplomi di specializzazione post laurea ed i titoli di studio equiparati a seguito dei quali sia stata conseguita la laurea o i diplomi previsti dall’articolo 1, della legge 341/1990. Possono essere riscattati anche i titoli conseguiti all’estero, se hanno valore legale in Italia.

Non possono invece essere riscattati:

i periodi di iscrizione fuori corso;

i periodi già coperti da contribuzione obbligatoria o figurativa o da riscatto;

le borse di studio concesse dalle Università per la frequenza ai corsi di dottorato di ricerca;

gli assegni concessi da alcune scuole di specializzazione



lunedì 2 ottobre 2017

Sgravio contributivo cooperative: solo ai nuovi soci



Per potere la società cooperativa di lavoro fruire dello sgravio contributivo previsto dalla legge 448 1998, il lavoratore neoassunto deve essere anche un nuovo socio. Questo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 20739 del 4 settembre 2017.

La cooperativa in questione aveva  fruito degli sgravi contributivi totali , ex art. 3, comma 5, I. n. 448/1998, per l'assunzione di 3 lavoratrici    con contratto di lavoro subordinato a far data dal 2001, Tali lavoratrici però  figuravano quali socie della cooperativa fin dal giugno 1998. La corte di appello ha giudicato insussistente il diritto della cooperativa a fruire  dell'agevolazione  in quanto la norma  prevede , testualmente che si applichi  "alle società cooperative di lavoro, relativamente ai nuovi soci lavoratori con i quali venga instaurato un rapporto di lavoro assimilabile a quello di lavoratori dipendenti».

L’azienda ha presentato ricorso per Cassazione ma anche i giudici di legittimità  hanno rigettato il ricorso, affermando che l'art. 3, comma 5, della L. n. 448 del 1998, deve interpretarsi nel senso che, per potere la società cooperativa di lavoro fruire dello sgravio in questione, il lavoratore neoassunto deve essere anche un nuovo socio, essendo l'aggettivo «nuovi» riferito tanto ai soci quanto ai lavoratori e non potendo attribuirsi alla disposizione altro senso che quello «fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse».

Le Cooperative sociali per l'inserimento di persone svantaggiate svolgono attività finalizzate all'inserimento lavorativo di:

invalidi fisici, psichici e sensoriali

ex degenti di istituti psichiatrici (anche giudiziari)

soggetti in trattamento psichiatrico

tossicodipendenti

alcoolisti

minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare

persone detenute o internate negli istituti penitenziari

condannati e internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro esterno

Le persone svantaggiate devono costituire almeno il 30% dei lavoratori della cooperativa e, compatibilmente con il loro stato soggettivo, essere socie della cooperativa stessa.

Per le cooperative rispondenti ai requisiti sopra esposti è prevista una serie di agevolazioni contributive: le retribuzioni corrisposte alle persone svantaggiate godono della totale esenzione dal pagamento dei contributi previdenziali.

Le citate agevolazioni contributive non valgono per:

le persone detenute o internate negli istituti penitenziari

gli ex degenti di ospedali psichiatrici giudiziari

per le persone condannate e internate ammesse al lavoro esterno

Le aliquote contributive da applicare nei confronti di tali soggetti, infatti, sono ridotte nella misura percentuale individuata ogni due anni con DM. Gli sgravi contributivi spettano anche per i 6 mesi successivi alla cessazione dello stato di detenzione;

La condizione di persona svantaggiata deve risultare da documentazione proveniente dalla PA, fatto salvo il diritto alla riservatezza.

La percentuale del 30% deve essere calcolata in relazione al numero complessivo dei lavoratori, sia soci che dipendenti della cooperativa, con esclusione dei soci volontari. Le persone svantaggiate non concorrono alla determinazione del numero complessivo dei lavoratori cui si deve fare riferimento per la determinazione dell'aliquota.

Per la valutazione del rispetto della percentuale del 30% può essere preso a riferimento un "arco temporale»" non superiore a 12 mesi nel caso in cui, a fronte di determinati eventi di carattere produttivo, la percentuale stessa non sia stata mantenuta costantemente.

I lavoratori svantaggiati possono essere assunti con contratto di lavoro part-time al fine di consentire la fruizione di cure e terapie riabilitative.


Visite mediche fiscali: chiarimenti INPS, come accreditarsi



L'INPS ha pubblicato il messaggio n. 3685 2017 con cui chiarisce le modalità di richiesta, da parte di Pubbliche amministrazioni, delle credenziali per l’accesso al servizio on line di richiesta visita medica di controllo, modificate a seguito dell'accorpamento sull'istituto di previdenza del servizio di visite di controllo della malattia di tutti i lavoratori pubblici e privati.

Nuove modalità di richiesta di accreditamento dei datori di lavoro pubblici al Polo Unico delle visite mediche fiscali, che si aggiungono a quelle precedentemente comunicate dall’Ente di previdenza, e chiarimenti sulla corretta compilazione della modulistica. Nel nuovo messaggio l’INPS introduce novità procedurali con l’obiettivo di semplificare le operazioni per disporre le visite fiscali ai dipendenti in malattia – su richiesta dei datori di lavoro pubblici e privati o d’ufficio. - dopo che dallo scorso primo settembre è ufficialmente entrata in vigore la Riforma che introduce il Polo Unico delle Visite Fiscali, interamente gestito dall'istituto di previdenza tanto per le aziende private quanto per quelle pubbliche.

Per legge si dispone che, in caso di datore di lavoro pubblico, il modulo di richiesta delle credenziali debba essere compilato e sottoscritto dal legale rappresentante dell'ente. Alla luce delle novità normative l'Inps chiarisce che tali indicazioni, vanno lette nel senso per cui titolato ad autorizzare la richiesta di abilitazione in favore dei funzionari individuati è il legale rappresentante, un suo delegato, e anche i soggetti da questi ultimi espressamente incaricati.

Per semplificare le modalità di abilitazione, la modulistica di richiesta, da parte delle aziende private e pubbliche, è stata unificata in due nuovi moduli, SC65 e SC62, il modello SC65 deve essere utilizzato per la richiesta di abilitazione del datore di lavoro, mentre il modello SC62 deve essere utilizzato per la richiesta di abilitazione presentata direttamente dal dipendente individuato per l’accesso al servizio. In tale ultimo caso, il modulo prevede sia la firma del dipendente, che del datore di lavoro (legale rappresentante dell'ente o soggetto da questi delegato o soggetto incaricato) per autorizzazione.

Il secondo passaggio è l’invio del modulo alla sede competente dell’INPS via PEC (posta elettronica certificata), allegando copia del documento di riconoscimento del sottoscrittore, ed eventuale delega o incarico da parte del legale rappresentante. A questo punto l’INPS attiva il PIN e invia la relativa comunicazione, sempre via PEC, all’ente richiedente invitandolo a ritirare il codice. Il ritiro potrà essere effettuato da un soggetto incaricato dal legale rappresentante. L’operatore INPS, al momento del ritiro, verifica che l’incaricato sia munito di apposita delega al ritiro del PIN e fa sottoscrivere allo stesso una ricevuta di consegna dei PIN ritirati.

Nel caso in cui la pubblica amministrazione che richiede l’abilitazione al sistema Polo unico visite fiscali abbia già il PIN, l’invio dei moduli via PEC è sufficiente per l’abilitazione, ed eventualmente anche per la conversione del PIN  ordinario in dispositivo, senza necessità di ritiro presso la sede INPS. Importante: le comunicazione devono necessariamente essere inviate attraverso gli indirizzi PEC dell’amministrazione richiedente.

La stessa procedura può essere utilizzata anche per la richiesta di accedere al servizio online di visualizzazione degli attestati di malattia.

Si fa presente che con riferimento sia ai chiarimenti sui soggetti titolati a sottoscrivere le richieste di PIN e abilitazioni, sia alle modalità di trasmissione delle richieste e ritiro dei PIN, è valido anche per la richiesta di abilitazione delle PPAA ai servizi on line di visualizzazione degli attestati di malattia, di cui alla circolare n. 60 del 16 aprile 2010.

Ricordiamo che il Polo Unico per le visite fiscali è stato previsto dal dlgs 75/2017, attuativo della Riforma della PA, e di fatto attribuisce all’INPS anche la competenza per gli accertamenti e le pratiche relative alla malattia dei dipendenti della pubblica amministrazione (prima se ne occupavano le Asl), del tutto parificate ai datori di lavoro privati.

Resta ancora da attuare la disposizione sull’unificazione fra pubblico e privato delle fasce orarie di reperibilità. Al momento, per il settore pubblico le fasce orarie vanno dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18, mentre per il privato dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19.




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