sabato 28 luglio 2018

Assegno di ricollocazione in CIGS: come fare richiesta



Dal 24 luglio 2018, i lavoratori coinvolti nella cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS) per riorganizzazione aziendale o crisi , per i quali l'azienda abbia firmato un accordo con le rappresentanze sindacali possono effettuare la prenotazione dell'assegno di ricollocazione online. ANPAL ne ha dato comunicazione sul proprio sito e fornisce anche alcune istruzioni operative.

La nuova procedura informatica, che si aggiunge a quella attivata negli scorsi mesi per i lavoratori in NASpI, prevede l’accesso tramite il portale ANPAL, direttamente dalla home page, oppure tramite il seguente indirizzo: http://adrcigs.anpal.gov.it. Per effettuare correttamente la procedura, sul sito dell’Anpal è disponibile un manuale utente con tutte le indicazioni.

Va ricordato innanzitutto che l'assegno di ricollocazione può essere richiesto solo ai lavoratori in CIGS i cui profili e ambiti siano previsti dall'accordo di ricollocazione, firmato dalla loro azienda e dalle organizzazioni sindacali. L'assegno consiste in un importo da utilizzare per avere servizi di assistenza alla ricerca di lavoro da Centri per l'Impiego o altri enti accreditati.

La normativa prevede che i lavoratori debbano fare richiesta dell'assegno entro trenta giorni dalla data dell'accordo aziendale, ma si può fare richiesta anche prima della firma effettiva dell'accordo per prenotare i fondi; in quel caso la domanda risulterà sospesa per 30 giorni.

Vediamo come fare per la richiesta dell'Assegno di ricollocazione:

Adempimenti del lavoratore

Accesso al portale ANPAL e registrazione del lavoratore per ottenere  un codice identificativo univoco;

Inserimento dati e informazioni ulteriori:

Codice fiscale dell’azienda;

Numero di telefono cellulare del lavoratore;

Conferma o modifica dell’ indirizzo e-mail a cui si vuole ricevere la conferma da ANPAL

Il sistema informativo da conferma che l'operazione è avvenuta e fornisce una comunicazione stampabile contenente il numero di prenotazione dell’assegno, nonché la data e l’ora della stessa. (E' disponibile anche, sul sito ANPAL, alla sezione Cittadini/Servizi/Assegno di ricollocazione, un manuale utente per la registrazione e la presentazione delle  prenotazioni di assegno di ricollocazione).

Una volta effettuato l’accesso, si inseriscono una serie di informazioni preliminari, ovvero codice fiscale azienda, numero di telefono del lavoratore, conferma dell’indirizzo email, adesione all'informativa sul trattamento dei dati personali. Questa operazione va effettuata entro 30 giorni dalla firma dell’accordo di ricollocazione.

Il sistema, dopo l’inserimento dei dati, fornisce un numero di prenotazione dell’assegno, con data e ora. A questo punto l’Anpal effettua le verifiche necessarie (validità dell’accordo, dati relativi alla cigs) e, in caso di esito positivo, attiva la possibilità di completare la richiesta, entro i successivi 30 giorni.

Il lavoratore deve scegliere il soggetto erogatore, ossia l’agenzia per il lavoro o il centro per l’impiego da cui farsi assistere, e prenotare il primo appuntamento oppure ricevere i dati dell’ente erogatore dal quale verrà contattato.

Se invece l’istruttoria ha esito negativo, il sistema invia una comunicazione in cui specifica la motivazione, compresa fra le seguenti: il richiedente non risulta fra i destinatari della domanda di cassa integrazione, è stato superato il termine dei 30 giorni, la prenotazione è avvenuta successivamente al numero massimo di richieste previste dall’accordo di ricollocazione.

Comunicazione dell'esito esclusivamente mediante posta elettronica all’indirizzo fornito in fase di registrazione. Avviene allo scadere dei 30 giorni dopo la sottoscrizione dell’accordo, e dopo la verifica  che siano presenti i seguenti dati:

Accordo di ricollocazione stipulato;

Dati relativi alla domanda di integrazione salariale straordinaria pervenuti al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

In caso di esito positivo della richiesta, il lavoratore, entro i successivi 30 giorni, potrà inserire nella procedura i dati utili alla propria profilazione e scegliere il soggetto erogatore da cui farsi assistere nel percorso di ricollocazione . Potrà essere possibile già prenotare il primo colloquio oppure se l'agenzia non ha predisposto l'agenda online, riceverà, i dati dell’ente erogatore, che provvederà a contattare il lavoratore.

L'esito potrebbe essere negativo nei seguenti casi:

il richiedente non risulti tra i lavoratori interessati dalla domanda di integrazione salariale;

prenotazione effettuata oltre i trenta giorni dalla stipula dell’accordo;

prenotazione avvenuta successivamente al raggiungimento del numero massimo di richieste previste, seppur eseguita nei termini previsti.

Dopo trenta giorni dalla prenotazione dell’assegno, se manca ancora nel sistema la registrazione dell' accordo di ricollocazione il lavoratore riceverà una comunicazione via e-mail di sospensione della prenotazione.

Adempimenti del datore di lavoro

La trasmissione dell'accordo di ricollocazione deve avvenire a cura del datore di lavoro entro sette giorni dalla stipula.

Inoltre i datori di lavoro, oltre all’accordo, dovranno inviare, un prospetto, in formato excel, con i dati dei lavoratori coinvolti.

Si ricorda che l'assegno di ricollocazione viene materialmente erogato al Centro per  l'impiego o all'agenzia accreditata solo al termine del percorso che abbia esito positivo, cioè al momento dell'assunzione del lavoratore nel nuovo posto di lavoro.

La quantificazione della somma dipende dal profilo di occupabilità, il percorso può prevedere attività di formazione, tutoring, advisoring. In estrema sintesi, l’importo del voucher può variare da mille a 5mila euro se il disoccupato firma un contratto a tempo indeterminato anche in apprendistato, da 500 a 2mila 500 euro in caso di contratto a termine superiore o uguale a 6 mesi, da 250 a 1250 euro per contratti a termine da tre a sei mesi (solo in Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia).

Il percorso può durare sei mesi, prorogabili di altre sei nel caso in cui non sia stato esaurito l’importo assegnato.



sabato 21 luglio 2018

Pensioni, cos'è quota 41



Il tema pensioni è caldo in questi giorni e tra le ipotesi possibili c'è quella di un passo indietro in merito alla quota 41, ovvero lo strumento che consente di andare in pensione, indipendentemente dall'età anagrafica, una volta maturati 41 anni di contributi. Secondo Boeri la quota 41 aggiunta alla quota 100 (con cui invece si può andare in pensione, una volta compiuti 64 anni, se la somma dell'età anagrafica e dei contributi maturati dà come risultato 100) costerà 11 miliardi di euro nell'immediato, 18 miliardi a regime; una spesa ingente per lo Stato ed è per questo che si sta anche valutando l'idea di portare la quota 41 a quota 42, innalzando di un anno il requisito contributivo previsto. Al momento però si tratta solamente di indiscrezioni, poiché la quota 41 per tutti non fa ancora parte del nostro ordinamento e, stando alle ultime notizie sulle pensioni, non lo farà prima del 2020.

La quota 41 può essere già richiesta da alcune categorie di lavoratori. Si tratta dei lavoratori precoci, ossia di coloro che prima di compiere il 19esimo anno di età hanno maturato almeno 12 mesi di contributi. Per poter accedere a questo strumento non è necessario che i 12 mesi siano continuativi. La quota 41, però, subirà una modifica dal primo gennaio 2019, complice l'adeguamento con le aspettative di vita che riguarderà da vicino anche la pensione di vecchiaia e quella anticipata; nel dettaglio, i lavoratori precoci dovranno maturare 41 anni e 5 mesi di contributi se vorranno smettere di lavorare in anticipo rispetto agli altri lavoratori.

Come annunciato da oeri - presidente dell’INPS fino a febbraio 2019 - rivedere la Legge Fornero introducendo nel contempo una Quota 100 e una Quota 41 costerebbe nell’immediato 11 miliardi di euro, per poi salire a 18 miliardi di eurouna volta che la riforma sarà a regime. Si tratta di uno strumento che permetterà ai lavoratori che avranno versato 41 anni di contributi di andare in pensione senza alcun vincolo di età.

Passando alla Quota 41, ovvero allo strumento che consentirebbe di andare in pensione indipendentemente dall’età anagrafica una volta maturati 41 anni di contributi, è prevista un’ulteriore novità che probabilmente non farà piacere i lavoratori.

Da Quota 41 a Quota 42?

Come anticipato da alcuni quotidiani, per ridurre l’ingente spesa prevista per la ridefinizione della riforma Fornero ci potrebbe essere un potenziale passo indietro del Governo per quel che riguarda la Quota 41.

Nel dettaglio, l’intenzione è quella di alzare di un anno il requisito contributivo previsto, passando così ad una Quota 42 che consentirà ai lavoratori di andare in pensione dopo 42 anni di servizio. Si tratterebbe quindi di un piccolo sconto rispetto a quanto accade oggi per la pensione anticipata, che ricordiamo dal prossimo anno potrà essere richiesta dagli uomini con 43 anni e 3 mesi di contributi e dalle donne con 42 anni e 3 mesi.

Quindi per i primi ci sarebbe una riduzione di 1 anno e 3 mesi, per le seconde solo di 3 mesi (ma per loro resta la possibilità di una proroga dell’Opzione Donna).

Al momento si tratta solo di un’indiscrezione ma se confermata farebbe sicuramente piacere alle casse dell’INPS, le quali - come dichiarato da Boeri - non sono in grado di sostenere gli oneri previsti dalla riforma originaria descritta nel contratto.

Naturalmente una tale novità rischia di far accrescere le polemiche da parte dei lavoratori, i quali speravano in una riforma che rendesse maggiormente flessibile l’uscita dal mercato del lavoro.
uota 41 addio: anche per i precoci aumentano i requisiti
Ricordiamo a tal proposito che la Quota 41 può essere richiesta già oggi, ma solamente da coloro che hanno maturato almeno 12 mesi di lavoro prima del compimento dei 19 anni.
Si tratta dei cosiddetti lavoratori precoci, ovvero coloro che avendo iniziato a lavorare fin da giovani possono vantare almeno 1 anno di contributi (anche non continuativo) accreditati nei 18 anni d’età.
Oggi questi possono andare in pensione, indipendentemente dall’età, una volta raggiunti 41 anni di contributi, ma dal prossimo anno non sarà più così. Complice l’adeguamento con l’innalzamento delle aspettative di vita rilevate dall’INPS che porterà ad un incremento generale dei requisiti per la pensione, infatti, la Quota 41 si potrà richiedere con 5 mesi di ritardo.

Non saranno più sufficienti 41 anni di contributi, poiché serviranno ulteriori 5 mesi per andare in pensione sfruttando l’agevolazione riconosciuta ai precoci.

Dal prossimo anno quindi la Quota 41 così come la conosciamo oggi rischia di non esistere più, e qualora le indiscrezioni sopra riportate fossero confermate questo strumento sparirà per sempre dal sistema previdenziale italiano.

Boeri ha presentato una serie di stime legati a diversi scenari:
quota 100 pura, ovvero senza limiti di età o contributivo (il requisito è che la somma dei due elementi sia pari a 100), oppure pensione con 41 anni di contributi (costo fino a 20 miliardi l’anno);

quota 100 a 64 anni o pensione con 41 anni di contributi: è l’ipotesi che al momento sembra più gettonata, che potrebbe anche confluire nella prossima manovra di Bilancio, ed essere quindi disponibile a partire dal 2019 (costo 18 miliardi annui);

quota 100 a 65 anni o pensione con 41 anni di contributi (costo 17 miliardi annui);

quota 100 (a 64 anni minimi di età) a legislazione invariata sulla pensione anticipata (costo fino a 8 miliardi).

Ci sono comunque, secondo Boeri, spazi per aumentare la flessibilità in uscita, ad esempio accelerando la transizione verso il sistema contributivo.

Attualmente, lo ricordiamo, il contributivo puro si applica a coloro che hanno iniziato a effettuare versamenti dopo il primo gennaio 1996, mentre ai lavoratori più anziani di applica il calcolo misto, oppure quello retributivo, limitatamente al caso in cui ci siano almeno 18 anni di versamenti precedenti al 1996.




martedì 10 luglio 2018

Se il dipendente che non va al lavoro ha diritto allo stipendio?



L’azienda può sospendere il pagamento dello stipendio nei casi di assenza ingiustificata o di impossibilità del dipendente di svolgere la prestazione lavorativa.

Sia quando il dipendente non può lavorare per sopraggiunte impossibilità, sia quando è lui stesso a non recarsi volontariamente al lavoro (assenza ingiustificata), il datore di lavoro non è tenuto a versargli lo stipendio. Anche nell’ambito lavorativo, infatti, vige il principio, sancito dal codice civile, secondo cui ciascuna delle parti può rifiutarsi di adempiere alla propria prestazione se l’altra non adempie. Procediamo con ordine e cerchiamo di comprendere se e quando il datore deve pagare lo stipendio al dipendente che non va al lavoro.

Quando l’assenza è ingiustificata il datore di lavoro può smettere di pagare al dipendente lo stipendio.

Le ragioni dell’assenza del dipendente
Il dipendente che non può recarsi al lavoro per una valida ragione deve subito comunicarlo al datore. Il caso emblematico è quello della malattia, per la quale è prevista una apposita trafila: visita medica; invio telematico del certificato all’Inps da parte dello stesso medico di base; possibilità per l’azienda di verificare, in via telematica, il certificato medico inviato all’Inps; eventuale richiesta di visita fiscale inoltrata all’Inps dall’azienda. Altra ipotesi tipica sono i permessi e i congedi riconosciuti dalla normativa di settore e dai contratti collettivi. Non in ultimo, ci sono le ferie retribuite che non possono essere negate al dipendente, ma che vanno previamente concordate con il datore.

Entro tali limiti fissati dalla normativa, il dipendente può assentarsi dal lavoro senza subire alcuna conseguenza di tipo sanzionatorio; inoltre quasi sempre il lavoratore assente mantiene il diritto allo stipendio pieno, salvo laddove per l’assenza non venga previsto il diritto alla retribuzione (è il caso,ad esempio, dei permessi non retribuiti).
Laddove invece l’assenza sia ingiustificata, il datore di lavoro può procedere allesanzioni disciplinari le quali possono essere di quattro tipi:

il rimprovero verbale;

la multa di importo pari a non più di quattro ore;

la sospensione dal soldo e dal servizio per non più di 10 giorni: in pratica il dipendente non deve andare a lavorare ma non ottiene neanche la retribuzione;

il licenziamento disciplinare. A seconda che il licenziamento venga intimato con o senza preavviso (a seconda cioè della gravità della condotta), si parlerà di licenziamento «per giustificato motivo soggettivo» e di licenziamento «per giusta causa».

Se il dipendente non è più in grado di lavorare il datore può sospendere il pagamento dello stipendio e, nei casi più gravi, licenziarlo

Veniamo così al capitolo più caldo: quello appunto del licenziamento. In caso di malattia, il licenziamento è vietato se non supera il cosiddetto «periodo di comporto»: si tratta del limite massimo di assenze che il dipendente può fare per malattia e durante il quale mantiene il diritto alla conservazione del posto. Superato il comporto, invece, il lavoratore può essere licenziato.

Una seconda ipotesi in cui il licenziamento è legittimo è quella del cosiddetto «giustificato motivo oggettivo», quello cioè dettato dalla impossibilità della prestazione lavorativa per sopravvenuta incapacità del dipendente (e sempre che lo stesso non possa essere ricollocato in mansioni equivalenti). Si pensi al caso di una persona che, divenuta non vedente, non possa più svolgere funzioni di segreteria; a un addetto alle vendite che non è più in grado di stare in piedi per molte ore; a una donna che, per via di una grave operazione, sia costretta ogni tre ore a prenderne una di riposo, ecc.

Ma il licenziamento non è l’unica soluzione che ha il datore di lavoro: questi può anche disporre la sospensione dello stipendio per i giorni di assenza ingiustificata o determinati da impossibilità della prestazione.

La sospensione dello stipendio
Dopo aver passato in rassegna cosa succede quando il dipendente si assenta dal lavoro, cerchiamo di comprendere se, nei casi di assenza ingiustificata o determinata da una impossibilità fisica a svolgere le mansioni, è possibile sospendere il pagamento della busta paga. In altre parole, se il dipendente non va al lavoro ha diritto allo stipendio?
A riguardo la Cassazione ha affermato che nel contratto di lavoro «ciascuna parte può valersi dell’eccezione di inadempimento prevista dal codice civile» in base alla quale, se una parte non adempie ai propri obblighi l’altra può esimersi dal rispettare i suoi. Alla inadempienza del lavoratore il datore di lavoro non deve necessariamente reagire solo con sanzioni disciplinari o, al limite, con il licenziamento, oppure col rifiuto di ricevere la prestazione parziale e con la richiesta di risarcimento dei danni. Ne consegue che «nel caso di inadempimento della prestazione lavorativa il datore di lavoro non è tenuto al pagamento delle retribuzioni». Detto in parole più semplici, non è dovuta la retribuzione durante il periodo di sospensione del rapporto, salvo che si verta in una delle ipotesi in cui la sospensione è tutelata dalla legge, quale la malattia.

I casi in cui si può non pagare lo stipendio al dipendente che non va al lavoro sono essenzialmente due:

assenza ingiustificata (fuori cioè dai casi di malattia, infortunio, permessi, congedi, gravidanza, puerperio, ecc.);

assenza determinata da impossibilità sopravvenuta allo svolgimento della prestazione lavorativa. Si tratta delle ipotesi che abbiamo esemplificato poc’anzi: un addetto ai trasporti che non può più guidare per una patologia alla schiena, un pilota di aereo che perde la vista, un addetto alla sicurezza che perde l’uso di una gamba, ecc. Si tratta di situazioni collegate alle condizioni fisiche del lavoratore, divenute incompatibili con le mansioni ad esso assegnate. A differenza della prima ipotesi (assenza ingiustificata), qui il dipendente non ha alcuna colpa.

Ciò nonostante, secondo la giurisprudenza, la sospensione dal servizio per impossibilità sopravvenuta allo svolgimento della prestazione non dà diritto alla retribuzione e se prolungata nel tempo autorizza il licenziamento del dipendente qualora non sia possibile ricollocare lo stesso a mansSoni equivalenti.


Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...
BlogItalia - La directory italiana dei blog