domenica 21 settembre 2025

Dimissioni nel periodo di prova sono revocabili





Come è noto, nei contratti di lavoro sia a tempo determinato che a tempo indeterminato può essere previsto il periodo di prova, ossia quel lasso di tempo individuato dalle parti in cui ciascuna valuta la convenienza del rapporto instaurato con il patto di prova.


Nel periodo di prova vale il principio di libero recesso, perché sia il datore che il lavoratore possono immediatamente interrompere il rapporto, senza dare alcun preavviso e senza alcuna sanzione o indennità (art. 2096 del Codice Civile).


Coerentemente, le dimissioni possono essere rassegnate sia quando la prova è in corso, sia alla sua fine.


Per legge, la comunicazione telematica per le dimissioni nel periodo di prova non è obbligatoria, ma il lavoratore dovrà consegnare la lettera di dimissioni al datore.


Quest’ultimo dovrà firmarla e consegnarla al lavoratore, e di seguito comunicare entro 5 giorni la cessazione del rapporto al locale Centro per l’impiego, attraverso il Modello Unificato UniLav.


Legittimo revocare le dimissioni rassegnate durante il periodo di prova: la Cassazione contraddice il Ministero del Lavoro.


Un lavoratore in prova che rassegna le dimissioni ha il diritto di tornare sui suoi passi e di annullare la sua decisione, ottenendo la riammissione in servizio senza se e senza ma.


Lo ha ribadito la Corte di cassazione, che con l’ordinanza n. 24991/2025 pubblicata l’11 settembre si è espressa in merito al caso di un lavoratore che aveva dato le dimissioni dopo un solo giorno di lavoro, richiedendo poi la revoca telematica rispettando la tempistica prevista, vale a dire entro 7 giorni.


L’azienda, in casi come questo, è tenuta a reintegrare il lavoratore. A nulla vale quanto riportato nella circolare n. 12/2016 del Ministero del Lavoro, che negherebbe la possibilità di revoca delle dimissioni durante il periodo di prova.


Secondo i giudici, infatti, si tratta di un documento di prassi interno all’Amministrazione che in nessun caso può avere più valore di una legge: in questo caso, infatti, a dettare regole è il Jobs Act, con l’articolo 26.


La disciplina relativa alle dimissioni telematiche prevista dall’art. 26 d.lgs. 151/2015 si applica anche alle dimissioni rassegnate durante il periodo di prova.


La Cassazione ha confermato tale soluzione in una recente ordinanza (n. 24991 dell’11 settembre 2025).


La pronuncia ha dunque affrontato la questione relativa all’interpretazione dell'art. 26 del D. Lgs. n. 151/2015[1] che disciplina, appunto, le dimissioni telematiche e la facoltà di revoca entro sette giorni delle medesime.


La ratio della norma, come chiarito dai lavori preparatori, è quella di garantire l'autenticità della manifestazione di volontà del lavoratore e di contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco.


Con particolare riguardo all’esclusione del periodo di prova dall'ambito di applicazione dell'art. 26 D. Lgs. n. 151/2015, la Cassazione ha osservato che il giudice d’appello aveva ritenuto non applicabile al caso di specie la Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 12 del 4 marzo 2016 che aveva introdotto un'ipotesi derogatoria non prevista dalla norma primaria, rivestita di carattere eccezionale e, pertanto, secondo il giudice di secondo grado, insuscettibile di applicazione oltre i limiti in essa considerati.


Inoltre, la Corte territoriale aveva rilevato che la ratio del patto di prova e quella dell'art. 26 D. Lgs. n. 151/2015 sono differenti e non interferiscono reciprocamente: la prima mira a tutelare l'interesse comune di verifica del contratto, la seconda ad evitare abusi datoriali.


Su tali premesse, la revoca delle dimissioni dichiarate dal lavoratore durante il periodo di prova era stata ritenuta pienamente valida ed efficace in quanto avvenuta nel legittimo esercizio del potere unilaterale di revoca previsto dalla norma sopra citata.





sabato 30 agosto 2025

Ferie non godute: pagamento contributi INPS ai dipendenti entro il 20 agosto





Il datore di lavoro è obbligato a versare i contributi INPS sulle ferie maturate e non godute dai lavoratori, entro termini specifici (ad esempio, il 20 agosto 2025 per le ferie 2023). Tale obbligo nasce dal mancato godimento delle ferie entro il periodo di legge.


Il 20 agosto 2025 scade il termine per pagare i contributi sulle ferie non godute relative al secondo anno precedente (ossia nel 2023), che andavano fruite entro il 30 giugno 2025 ma che non sono state godute (compresi ex festività e ROL) per motivi imputabili all’azienda. Entro il 31 agosto dovrà poi essere trasmessa la denuncia Uniemens, con l’indicazione del relativo imponibile contributivo.


In merito all’obbligo di contribuzione INPS ai dipendenti, con riferimento ai periodi ferie non goduti in costanza di lavoro, la base di calcolo è data dall’importo corrispondente all’indennità sostitutiva delle ferie non godute una volta decorsi 18 mesi dalla maturazione, termine previsto dall’art. 10 d.lgs. n. 66 del 2003, a prescindere dalla cessazione del rapporto di lavoro.


La Corte di Cassazione (sentenza n. 26160/2020) prevede l’applicazione del principio generale in tema di finanziamento del sistema previdenziale. Se il lavoratore non ha fruito delle ferie maturate entro il termine indicato dall’art. 10 d.lgs. n. 66 del 2003 – decorsi diciotto mesi dalla maturazione – e cioè è stato impiegato anche mentre avrebbe dovuto riposare, è certamente integrato il presupposto dell’obbligo contributivo richiesto dall’art. 121. n. 153 del 1969, poiché la prestazione è stata resa in un periodo in cui la stessa non avrebbe dovuto esserlo.


In questa ipotesi si genera una maggiore capacità contributiva, quantificabile in termini economici quale indennità per le ferie non godute, che non può non incidere sugli oneri di finanziamento del sistema previdenziale posti a carico dell’impresa che di tale maggior produzione si è avvantaggiata.


Deroghe alle scadenze di agosto


Mancato godimento imputabile a prolungata assenza dovuta a causa legale di sospensione del rapporto di lavoro (malattia, infortunio, maternità etc.): il termine di 18 mesi è sospeso per un periodo di durata pari a quello del legittimo impedimento.


Sospensione attività lavorativa per cassa integrazione guadagni: il termine è sospeso per il periodo di impedimento e torna a decorrere dal giorno in cui il lavoratore riprende l’attività lavorativa.


Diversamente, in caso di ferie non godute per cause imputabili al datore di lavoro, scatta dunque entro il 20 agosto 2025 il termine entro il quale i datori di lavoro dovranno versare tramite modello F24, i contributi previdenziali sulle ferie maturate nel 2023 e non fruite entro il 30 giugno 2025.


Nella gestione ed organizzazione dei tempi di lavoro dei propri collaboratori con contratto di lavoro subordinato, l’imprenditore deve fare attenzione al diritto irrinunciabile degli stessi a fruire di periodi di riposo per reintegrare le energie psicofisiche spese durante l’attività lavorativa: le ferie. In ogni caso i contributi sulle ferie non godute vanno obbligatoriamente versati all’INPS.


La scadenza dell’obbligazione contributiva sul compenso per ferie maturate e non godute è quella individuata nei limiti fissati dalla Convenzione OIL n. 132/1970 (18 mesi dalla fine dell’anno che dà il diritto alle ferie, che possono essere prolungati, per un periodo limitato, con il consenso del lavoratore interessato).


Pertanto, in assenza di norme contrattuali, regolamenti aziendali o pattuizioni individuali, entro i 18 mesi alla fine dell’anno solare di maturazione delle ferie i contributi all’INPS si versano comunque e il termine rimane sospeso per un periodo di durata pari a quello del legittimo impedimento e riprende a decorrere dal giorno in cui il lavoratore riprende l’attività lavorativa.


Tecnicamente, quindi i datori di lavoro devono sommare alla retribuzione imponibile del mese successivo a quello di scadenza delle ferie anche l’importo corrispondente al compenso per ferie non godute; successivamente, quando le ferie verranno effettivamente fruite o alla cessazione del rapporto di lavoro, la retribuzione imponibile sarà sgravata dello stesso importo per non pagarci la contribuzione una seconda volta.




domenica 27 luglio 2025

Rinnovo Assegno di Inclusione: pagamento 500 euro




Arriva la conferma tanto attesa dalle famiglie che hanno esaurito le 18 mensilità dell’Assegno di Inclusione, beneficiarie di un bonus da 500 euro per coprire il vuoto di un mese prima dell’avvio delle nuove erogazioni, che partiranno ad agosto.


L’ADI consiste in un sostegno economico e di inclusione sociale e professionale, condizionato alla prova dei mezzi e all’adesione a un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa. Si compone di due parti: un'integrazione del reddito familiare fino a una soglia (quota A) e un sostegno per i nuclei residenti in abitazione concessa in locazione con contratto ritualmente registrato (quota B).


Alla scadenza dei 18 mesi, di norma, è possibile richiedere il rinnovo di un anno ma i nuovi pagamenti vengono erogati solo dopo un mese di pausa.


La mensilità extra sarà erogata già con la prima mensilità dell’ADI in arrivo dopo il rinnovo, anche se in linea teorica nel periodo di sospensione dell’assegno non sarebbe previsto alcun aiuto economico.


L’emendamento prevede inoltre che il bonus da 500 euro sia comunque erogato non oltre il mese di dicembre.


Il contributo sarà messo in pagamento con priorità per coloro che ricevono l’ADI dalla sua introduzione, ossia a partire da gennaio 2024, avendo terminato il periodo di fruizione a giugno 2025.


L’INPS ricorda che, dal 1° luglio 2025, possono presentare una nuova domanda di rinnovo i beneficiari che hanno ricevuto tutte le 18 mensilità dell’ADI, a partire da gennaio 2024.


L’INPS invia un SMS di avviso agli interessati. La nuova prestazione decorrerà dal mese successivo alla domanda; i primi pagamenti, in caso di esito positivo, sono previsti per il 14 agosto 2025.


Se il nucleo familiare non ha subito cambiamenti (a parte nascite o decessi), non è necessario iscriversi nuovamente al SIISL né firmare un nuovo Patto di Attivazione Digitale (PAD). Verranno considerati validi quelli già sottoscritti con la precedente domanda. Se il richiedente compila comunque un nuovo PAD, questo sarà trattato come aggiornamento.


Per la compilazione si utilizza lo stesso modello già previsto per la prima domanda.


tramite il portale dell’INPS con credenziali SPID, CIE, CNS o eIDAS, oppure con il supporto di CAF e Patronati.


Può presentarla lo stesso richiedente o un altro maggiorenne del nucleo originario.


Eventuali certificazioni di svantaggio già utilizzate devono essere ancora valide. In caso di scadenza, bisogna avere nuova documentazione prima della presentazione.


Se si vuole mantenere la suddivisione individuale del beneficio (carta ADI) tra più membri, la richiesta va ripetuta nella nuova domanda.


Obbligo di presentazione ai Servizi Sociali


Resta valido l’obbligo di presentarsi ai Servizi Sociali entro 120 giorni dalla presentazione della domanda (decorrenza coincidente con la data del nuovo invio). Per nuclei fragili, saranno previste modalità alternative di contatto.


L’ADI consiste in un contributo economico   destinato solo alle famiglie in cui ci sono componenti fragili o svantaggiati come:


 minori, anziani sopra i sessant'anni, disabili.


L'importo è proporzionato all’ISEE familiare (che non deve superare i 9360 e al numero di componenti, con un minimo di 480 euro mensili cui si aggiungono 3360 euro annui di contributo affitto. Vedi tutti i requisiti aggiornati in dettaglio nell'articolo Assegno inclusione e SFL 2025 soglie e istruzioni.


Dura 18 mesi con stop di 1 mese e possibili rinnovi di ulteriori 12 mesi.






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