sabato 3 febbraio 2018

NASpI in caso di rifiuto al trasferimento





La NASPI è un assegno che spetta ai lavoratori in disoccupazione involontaria, quindi chiunque ha perso il lavoro a partire dal 1° 2015, ha diritto ad un assegno di disoccupazione se ha lavorato almeno 3 mesi.

L’INPS, con messaggio n. 369 del 26 gennaio 2018, si è pronunciato in merito all'accesso alla NASpI nelle ipotesi di:

risoluzione consensuale in seguito al rifiuto da parte del lavoratore al proprio trasferimento ad altra sede della stessa azienda distante oltre 50 chilometri dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile in 80 minuti (o oltre) con i mezzi di trasporto pubblico;

dimissioni per giusta causa a seguito del trasferimento del lavoratore.

L' Inps ricorda le precedenti istruzioni in materia e sottolinea che in questi casi lo stato di disoccupazione del lavoratore si puo considerare involontario e dare quindi diritto al trattamento di disoccupazione NASPI, sia nel caso si realizzi per risoluzione consensuale con procedura di conciliazione e l'erogazione di somme compensative al lavoratore, sia per dimissioni per giusta causa.

Va ricordato che si ha giusta causa di dimissioni qualora il trasferimento non sia sorretto da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive e ciò anche indipendentemente dalla distanza tra la residenza del lavoratore e la nuova sede di lavoro.

Inoltre, nel caso di specie è possibile accedere all’indennità di disoccupazione NASpI, in presenza di tutti i requisiti legislativamente previsti, anche laddove il lavoratore ed il datore di lavoro pattuiscano, in sede di conciliazione, la corresponsione, a favore del lavoratore stesso, di somme a vario titolo e di qualunque importo.

In caso, invece, di dimissioni a seguito del trasferimento del lavoratore ad altra sede della stessa azienda, ricorre la giusta causa delle dimissioni qualora il trasferimento non sia sorretto da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive e ciò indipendentemente dalla distanza tra la residenza del lavoratore e la nuova sede di lavoro.

Stante quanto sopra, in presenza di dimissioni che il lavoratore asserisce avvenute per giusta causa, a seguito di trasferimento ad altra sede dell’azienda è ammesso l’accesso alla prestazione NASpI a condizione che il trasferimento non sia sorretto da “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” previste dall’art. 2103 c.c.

Al lavoratore è richiesta la  documentazione (dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ex D.P.R n. 445/2000) da cui risulti almeno la sua volontà di “difendersi in giudizio” nei confronti del comportamento illecito del datore di lavoro (allegazione di diffide, esposti, denunce, citazioni, ricorsi d’urgenza ex articolo 700 c.p.c., sentenze ecc. contro il datore di lavoro, nonché ogni altro documento idoneo), e se la controversia giudiziale o extragiudiziale. non ha raggiunto una definizione il lavoratore è tenuto  a comunicarne l’esito . Inoltre laddove l’esito della lite dovesse escludere la ricorrenza della giusta causa di dimissioni, l’INPS potrà procedere al recupero di quanto pagato a titolo di indennità di disoccupazione.

Ma occorre fare molta attenzione al contenuto del messaggio dell’Inps, in quanto, come vedremo, al lavoratore che ha deciso di lasciare il posto di lavoro perché non è sostenibile il trasferimento da parte dell’azienda, conviene la risoluzione consensuale del rapporto, e quindi un accordo con il datore di lavoro, anziché perseguire la strada della dimissione per giusta causa. Vediamo perché.

In ordine al requisito della involontarietà dello stato di disoccupazione, ai sensi dell’art.2 comma 5 della citata legge n. 92 e dell’art. 3 comma 2 del citato decreto n.22 le predette indennità di disoccupazione sono riconosciute anche nelle ipotesi di:

dimissioni per giusta causa;

e di risoluzione consensuale intervenuta nell’ambito della procedura di conciliazione di cui all’art.7 della legge n.604 del 1966 come modificato dall’art.1, comma 40, della legge n.92 del 2012.

Quindi il primo aspetto che chiarisce il messaggio dell’Inps è che la risoluzione consensuale tra datore di lavoro e lavoratore che rifiuta il trasferimento ad altra sede aziendale (sempre distante oltre 50 chilometri dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile in 80 minuti o oltre con i mezzi di trasporto pubblico) deve essere effettuata nell’ambito della procedura di conciliazione.


giovedì 1 febbraio 2018

L'età per andare in pensione dal 2018



L'età per la pensione di vecchiaia, anticipata e l'anticipo pensionistico APE dal 2018. L'adeguamento alla speranza di vita dal 2019, un utile riepilogo può essere importante per conoscere le principali soluzioni attive per esercitare tale diritto e per andare in pensione nel 2018.

Dall’età minima di 66 anni e sette mesi delle lavoratrici del settore privato, alla conferma dell’Ape sociale, tante le novità in corso per il 2018.

Innanzitutto per il 2018, si passa definitivamente ad un adeguamento delle pensioni di vecchiaia con medesimo requisito per uomini e donne del settore privato. Queste ultime, in particolare, potranno esercitare un diritto alla pensione non appena raggiunti i 66 anni e sette mesi.

Necessari per entrambe le categorie anche un minimo di contributi pari a 20 anni. Per la pensione anticipata, invece, non è richiesto un minimo sull’età del richiedente, ma solo sui contributi maturati. In questo caso, per gli uomini è previsto un anno in più rispetto alle donne, ossia di 42 anni e 10 mesi di contributi. Le donne, invece, potranno esercitare tale diritto non appena raggiunti i 41 anni e 10 mesi e indipendentemente dall’età.

Sempre in merito al settore privato, una proposta di pensionamento anticipato fino a 7 anni nella nuova manovra finanziaria. In questo caso, si prevedrebbe la possibilità per i lavoratori e le lavoratrici di aziende con più di 15 dipendenti, di poter richiedere il pensionamento anticipato per il prossimo triennio 2018-2021.

Fino a 7 anni e prima dei requisiti di base per il diritto alla pensione di vecchiaia o anticipata, tale anticipo pensionistico prevede l’erogazione di un assegno di esodo per i dipendenti in base ad un accordo stipulato tra la stessa azienda, i sindacati e l’Inps.

Il 2018, è un anno molto importante rispetto alla conferma della sperimentazione su importanti strumenti di flessibilità come l’Ape sociale. Confermata anche per il nuovo anno, la misura è molto utile per una uscita agevolata da parte dei lavoratori e per alcune importanti categorie appartenenti alla fascia dei lavori gravosi.

Si prevede in base alla Legge di Bilancio 2018, un accesso all’Ape sociale con 63 anni di età e 36 anni di contributi per i lavoratori appartenenti alla categoria dei lavori usuranti.

Ammessi all’Ape sociale, anche categorie specifiche come i disoccupati, gli invalidi (in merito bisognerà rispettare una specifica percentuale) e i careviger. Per l’accesso all’Ape sociale di tali categorie, è sempre richiesto il requisito anagrafico di almeno 63 anni, mentre per i requisiti contributivi, basteranno 30 anni.

Altre importanti misure flessibili per andare in pensione nel 2018, sono poi in relazione all’Ape sociale e per categorie addette ai lavori notturni.

Con l’Ape sociale rosa, la legge di Bilancio 2018, ha previsto dei requisiti contributivi più agevoli per le mamme lavoratrici. Si tratta, di uno sconto contributivo di un anno per ogni figlio e fino ad un massimo di due anni.

Lo sconto, potrà essere richiesto dalle mamme appartenenti alle categorie dei lavori usuranti (con uscita a 34 anni di contributi invece degli attuali 36). La misura è valida, anche se appartenenti alla categoria di caregiver, invalidi o disoccupati (con uscita a 28 anni invece degli attuali 30).

Per le categorie addette ai lavori notturni, è confermato per il 2018, il diritto a richiedere una pensione non appena maturati i requisiti di età di 61 anni e sette mesi e 35 anni di contributi.

La legge di stabilità 2017 ha introdotto alcune importanti novità sull'età per andare in pensione, prima fra tutte le possibilità di anticipare, con la nuova  APE fino a un massimo di tre anni e 7 mesi l'uscita dal mondo del lavoro, rispetto all'età prevista normalmente per la pensione di vecchiaia.

Ma qual è l'età prevista per legge per andare in pensione?

Fino al  2017  l'età per andare in pensione e ricevere la pensione di vecchiaia era fissata a :

66 anni e sette mesi  per gli uomini ( sia autonomi che dipendenti , pubblici e privati) e le donne che lavorano nel settore pubblico

65 anni e 7 mesi per le donne dipendenti del settore privato

66 anni e 1 mese per le donne lavoratrici autonome.

Dal 2018, per tutti , l'età per la pensione sarà a 66 anni e 7 mesi . Si parificano le condizioni tra uomini e donne. Da ricordare che alla pensione di vecchiaia hanno diritto tutti i lavoratori assicurati con la previdenza obbligatoria e che all'età stabilita abbiano un'anzianità contributiva di almeno 20 anni.

Dal 2019, l'età per la pensione passerà per tutti a 67 anni, con uno scatto di 5 mesi, come previsto dalla Riforma Fornero che ha modificato il meccanismo che collega l'aspettativa di vita all'età pensionabile, già introdotto con la riforma Dini. Ci sono pero delle eccezioni per alcune categorie.

La pensione di anzianità è stata abolita ed è stata sostituita da diverse discipline specifiche, sulle quali la recente legge di bilancio ha apportato recentemente alcune modifiche:

SOPENSIONE.  fruibile per le aziende interessati da eccedenze di personale dai lavoratori che raggiungano i requisiti minimi per il pensionamento nei 7 anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro) , e non più 4 . La norma si applica nel triennio 2018-2020.

APE VOLONTARIO (ad almeno 3 anni e 7 mesi dall'età pensionabile  con prestito garantito dalla pensione)- APE SOCIALE: anticipo pensionistico a 63 anni con indennità INPS o per lavoratori disoccupati o svantaggiati

PENSIONAMENTO ANTICIPATO PER I LAVORATORI ADDETTI A MANSIONI USURANTI

PENSIONAMENTO ANTICIPATO PER I LAVORATORI CD  "PRECOCI" ( con almeno 1 anno di contributi versati prima dei 19 anni di età)

Alle norme evidenziate sopra fanno eccezione i lavoratori  definiti dal d.lgs n. 67 2011:

addetti a lavori detti usuranti ( lavoro in miniere, cave , ad alte temperature,  nel settore vetro e dell'amianto) e addetti a mansioni pesanti  (addetti alla catena di montaggio,  lavoro per turni, lavoro notturno, conducenti mezzi pubblici) come   che possono andare in pensione dal 1° gennaio 2018 con i requisiti che seguono: i beneficiari di tale trattamento, sono coloro che tra il 1° gennaio al 31 dicembre 2018 avendo svolto questo tipo di attività per almeno 7 anni negli ultimi 10 anni di lavoro o per almeno metà della vita lavorativa complessiva, sono i possesso dei seguenti requisiti agevolati  per la pensione anticipata usuranti:

Lavoratori addetti a mansioni particolarmente usuranti  per almeno 78 giorni in un  anno:

se dipendenti: quota 97,6, età minima 61 anni e 7 mesi e con 35 anni di contributi versati;

se autonomi: quota 98,6, età minima di 62 anni e 7 mesi e 35 anni di contribuzione.

Lavoratori notturni a turni, con un numero di giorni lavorativi da 72 a 77 all’anno:

se dipendenti: quota 98,6, età minima 62 anni e 7 mesi + 35 anni di contributi

se autonomi: quota 99,6, età minima 63 anni e 7 mesi + 35 anni di contributi.

Lavoratori notturni a turni con un numero di giorni lavorativi da 64 a 71 all’anno:

se dipendenti: quota 99,6, età minima 63 anni e 7 mesi + 35 anni di contributi;

se autonomi: quota 100,6 con 64 anni e 7 mesi e 35 anni di contributi.

Grazie alla Legge di stabilità 2017 tali lavoratori non devono più attendere 12 mesi (18 mesi per i lavoratori autonomi) per la cd. "finestra" di accesso introdotta dalla riforma Fornero per le pensioni anticipate, ma potranno andare in pensione il primo giorno del mese successivo al perfezionamento dei requisiti. Questi requisiti restano validi fino al 31.12.2016,  infatti la stessa norma ha sospeso, solo per questi lavoratori, i futuri adeguamenti al meccanismo della  speranza di vita sino al 31 dicembre 2027.



giovedì 25 gennaio 2018

NASpI e redditi da lavoro. Casi di interesse




L'INPS ha fornito nuovi dettagli sulla compatibilità di NASpI, ASpI e mini ASpI con redditi da lavoro dipendente o autonomo: borse di studio, soci di capitale, amministratori, liberi professionisti, partite IVA.

La compatibilità dei sussidi di disoccupazione NASpI, ASpI e mini ASpI con i redditi da lavoro prevista dalla Riforma del Lavoro del 2012 (legge 92/2012) si esaurisce, nella pratica, in una serie di situazioni sempre nuove su cui l’INPS interviene con un nuovo documento di prassi. La circolare 174/2017 fornisce una serie di indicazioni operative che riguardano la compatibilità dei trattamenti di disoccupazione con:

borse di studio, stage e tirocini professionali;

attività sportive dilettantistiche;

prestazioni di lavoro occasionale;

attività dei liberi professionisti iscritti alle casse private;

incarichi in ambito societario;

iscrizione ad albi professionali;

titolarità di partita IVA;

incentivo alla autoimprenditorialità.

Per quanto riguarda borse di studio o di assegno, premi o sussidi per fini di studio o di addestramento professionale, la legge (articolo 50, comma 1 lettera c, Dpr 917/1986), prevede l’assimilazione delle somme corrisposte ai redditi da lavoro dipendente, ma solo ai fini fiscali. Per quanto riguarda invece la cumulabilità con i sussidi, l’INPS sottolinea che le remunerazioni derivanti da queste attività sono interamente cumulabili con le indennità NASpI, ASpI e mini ASpI, senza che il beneficiario della prestazione sia tenuto ad effettuare all’INPS alcuna comunicazione.

Diverso è il caso di borse di studio e assegni di ricerca universitaria (quindi, assegnisti e dottorandi di ricerca con borsa di studio), che sono vere e proprie prestazioni lavorative, con diritto a un sussidio specifico (la Dis-Coll): quindi, al titolare di NASpI che svolge una di queste attività, si applica l’articolo 9 del Dlgs 22/2015, in base al quale i compensi derivanti da queste attività non possono superare il tetto annuo di 8mila euro. Il lavoratore deve informare l’INPS entro un mese dall’inizio dell’attività cui si riferiscono i compensi, o dalla presentazione della domanda di NASpI se l’attività era preesistente, dichiarando il reddito annuo che prevede di trarne anche ove sia pari a zero.

I premi e i compensi che derivano da attività sportiva dilettantistica sono interamente cumulabili con l’indennità NASpI, e il beneficiario della prestazione non è tenuto ad effettuare all’INPS nessuna comunicazione.

Le prestazioni di lavoro occasionale sono compatibili con i sussidi di disoccupazione fino a un reddito di 5mila euro, senza bisogno di comunicare all’INPS i compensi percepiti. Se il lavoratore percepisce anche prestazioni di sostegno al reddito, l’INPS provvede a sottrarre dalla contribuzione figurativa gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro occasionali.

Se il titolare della NASpI è un libero professionista, la cumulabilità è ammessa fino a un limite di reddito di 4mila 800 euro. Il beneficiario deve però informare l’INPS entro un mese dall’inizio dell’attività cui si riferiscono i compensi, o dalla presentazione della domanda di NASpI,  dichiarando il reddito annuo che prevede di trarne.

L’iscrizione ad un albo professionale, o l’apertura della partita IVA, in corso di prestazione di disoccupazione, non è condizione sufficiente per interrompere il sussidio. Se l’attività è effettivamente svolta, l’interessato deve darne comunicazione all’INPS (pena, la decadenza della prestazione). Se invece l’attività non è effettivamente svolta, non è necessario effettuare comunicazioni. Sarà eventualmente l’INPS a fare le opportune verifiche.

Particolari regole sono previste per lo svolgimento di attività in ambito societario. Le funzioni di amministratore, consigliere e sindaco di società, sono consentite e cumulabili fino a un reddito annuo di 8mila euro, sempre facendo le dovute comunicazioni all’INPS. Il socio di società di persone o società di capitali può cumulare interamente il reddito da capitale. Se è anche un lavoratore dipendente, scatta invece il tetto degli 8mila euro.

Se il socio svolge attività in azienda con carattere di abitualità e prevalenza ed è iscritto alla Gestione previdenziale degli Artigiani o Commercianti, a fronte della produzione di un reddito da lavoro in forma autonoma o di impresa, deve rispettare il limite di reddito di 4mila 800 euro.

Infine, l’INPS precisa i casi in cui il beneficiario NASpI può chiedere la liquidazione anticipata dell’intero trattamento come incentivo all’autoimprenditorialità:
attività professionale esercitata da liberi professionisti anche iscritti a specifiche casse, in quanto attività di lavoro autonomo;

attività di impresa individuale commerciale, artigiana, agricola;

sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico ha ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio;

costituzione di società unipersonale (S.r.l., S.r.l.s. e S.p.A.) caratterizzata dalla presenza di un unico socio. Di regola il socio unico ha la responsabilità limitata al capitale sociale conferito, a condizione che si versi l’intero capitale sociale sottoscritto, sia comunicato al Registro Imprese la presenza dell’unico socio e sia indicato negli atti e nella corrispondenza della società l’unipersonalità della stessa, senza però indicare il nome del socio unico. Il mancato adempimento di tali obblighi comporta la perdita del beneficio della responsabilità limitata. In quest’ultimo caso, il socio che risponde illimitatamente,  può ottenere l’incentivo  al pari  di chi esercita attività di impresa individuale;

costituzione o ingresso in società di persone (S.n.C o S.a.S) – in analogia peraltro a quanto era già previsto per l’istituto dell’anticipazione in materia di indennità di mobilità (circolare 70/1996) – in quanto il reddito derivante dall’attività svolta dal socio nell’ambito della società è fiscalmente qualificato reddito di impresa;

costituzione o ingresso in società di capitali (S.r.L) per la medesima considerazione sulla natura del reddito derivante dall’attività in ambito societario, qualificato anch’esso fiscalmente reddito di impresa.


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