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mercoledì 20 novembre 2013

Pensioni si pensioni no Inps ex INPDAP. Che confusione



Il disavanzo patrimoniale ed economico dell'Inps «può dare segnali di non totale tranquillità». Così il presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua sui dati di bilancio dell'Ente nel corso di una audizione alla commissione bicamerale di controllo degli enti previdenziali.

Un'uscita che aveva sollevato parecchi allarmi e che ha indotto Mastrapasqua a specificare che i conti dell'Istituto «sono in piena sicurezza» e a smentire «ogni allarmismo». «C'è piena e totale sostenibilità dei conti della previdenza e dell'Inps - ha chiarito Mastrapasqua - Nessun allarme e nessun allarmismo.

L'accorpamento con Inpdap ed Enpals ha spiegato Mastrapasqua in audizione «ha creato uno squilibrio di bilancio». La perdita dell'Inps è imputabile essenzialmente, riassume ancora il presidente Inps, «al deficit ex Inpdap, alla forte contrazione dei contributi per blocco del turnover del pubblico impiego e al continuo aumento delle uscite per prestazioni istituzionali».

Di qui la necessità di rivedere le norme che hanno regolato l'accorpamento dell'Inps con Inpdap ed Enpals. Per Mastrapasqua occorre dunque abbandonare la pratica delle anticipazioni, «di trasferimenti statali non completamente rispondenti ai fabbisogni», e ripristinare una copertura strutturale da parte dello Stato per il pagamento delle pensioni pubbliche. Senza questo intervento normativo si potrebbero «innescare rischi di sotto finanziamento dei disavanzi previdenziali e di progressivo aggravamento delle passività».

Ecco perché «sarebbe auspicabile che fosse approfondita e valutata nelle sedi competenti l'opportunità di eventuali interventi normativi, tesi a garantire l'efficiente ed efficace implementazione della più grande operazione di razionalizzazione del sistema previdenziale pubblico», dice Mastrapasqua, ricordando come all'origine del deficit ex Inpdap vi sia stata la soppressione, con la Finanziaria 2008, della norma in vigore dal 1996 che prevedeva l'apporto dello Stato a favore della gestione ex Inpdap, per garantire il pagamento dei trattamenti pensionistici statali. A fronte di questo, infatti, l'Inpdap ha fatto ricorso all'avanzo di amministrazione per la coperture del relativo deficit finanziario e soprattutto, alle anticipazioni di bilancio. Il rischio, senza un intervento dello Stato, è un «aumento delle passività».

Il fardello ereditato dall'Inpdap è probabilmente il nodo principale e forse quello più urgente da affrontare, ma nell'agenda del sistema pensionistico italiano non è l'unico. A livello generale ci si sta iniziando a interrogare sulla tenuta del sistema e sull'adeguatezza delle pensioni future, tenuto conto che la rivalutazione dei contributi è legata all'andamento del Pil nazionale e se questo continuerà a non crescere o addirittura a diminuire gli effetti si faranno sentire anche sull'importo delle pensioni. Il passaggio al sistema contributivo, inoltre, se consente di avere conti più sostenibili rispetto al retributivo, in un mercato del lavoro e in una congiuntura sempre più difficili, caratterizzati dall'alternarsi di periodi di impiego ad altri senza, rischia di determinare assegni mensili inadeguati per chi andrà in pensione tra 20-30 anni, come ha recentemente sottolineato il ministro del Lavoro Enrico Giovannini.

Altro tema caldo è quello delle pensioni d'oro, su cui si è già tentato di introdurre un contributo di solidarietà in modo da reperire risorse da distribuire a favore delle pensioni più magre.

Entro fine anno il Governo dovrebbe prendere una decisione anche in merito all'incremento dell'aliquota contributiva prevista per gli iscritti alla gestione separata. In base alla legge 92/2012 (riforma del mercato del Lavoro dell'allora ministro Elsa Fornero), l'aliquota dovrebbe passare dall'attuale 27% al 33% entro il 2018. Un incremento ritenuto insopportabile dai professionisti a partita Iva iscritti alla gestione separata su cui ricade pressoché interamente questo onere dato che nelle attuali condizioni di mercato non possono permettersi di aumentare gli onorari fatturati ai committenti.

Infine ci sono gli esodati, conseguenza della riforma previdenziale Monti-Fornero di fine 2011, non ancora risolto. Le persone salvaguardate dagli effetti negativi del nuovo sistema finora sono meno di 150mila, a fronte di un bacino potenziale stimato di oltre 300mila. In questo caso il problema è il reperimento delle coperture necessarie, da parte del governo, per ampliare ulteriormente l'intervento e consentire così all'Inps di riconoscere il diritto alla pensione ed erogare il relativo assegno mensile sulla base delle regole in vigore fino al 2011.

Basti pensare al fatto che la confluenza dell'Inpdap nell'Inps ha portato come dote il primo bilancio in rosso per oltre 9 miliardi dell'Inps. Il cronico buco deficitario dell'ex fondo dei dipendenti pubblici si è così scaricato sulla previdenza di tutti. Per il 2013 il Collegio di indirizzo e vigilanza dell'Inps si attende dalla sola gestione dell'ex ente dei dipendenti pubblici un disavanzo di 7,6 miliardi, che vale quasi l'80% dell'intero disavanzo stimato per tutto l'Inps per il 2013 che è sopra i 9 miliardi.

E così l'incorporazione nei fatti è diventato un salvataggio mascherato dell'Inpdap che rischiava di finire in dissesto. Ora il contagio dei disastrati conti dell'ente pensionistico dei lavoratori pubblici si allarga però all'intero Inps. Del resto con perdite annue che sono state di 10 miliardi nel 2011 e di 9 miliardi nel 2010, l'Inpdap nei fatti aveva finito per vedersi erodere l'intero capitale. Salvezza necessaria, dunque, ma che avrà l'effetto, se il trend di perdite proseguirà con questo passo, di portare a zero anche il patrimonio dell'Inps già nel 2015, come ha avvertito lo stesso presidente Mastrapasqua.

Se poi si va indietro nel tempo si scopre che le perdite dell'Inpdap sono strutturali da anni. Nel 2009 il saldo tra contributi e prestazioni è stato infatti negativo per la bellezza di 14,4 miliardi, mitigato dai 9,1 miliardi di contributi dello Stato come datore di lavoro. Il buco resta comunque alto oltre i 5 miliardi. E dal 2005 al 2008 il saldo cumulativo è stato negativo per 42 miliardi, che si dimezzano tenendo conto dei versamenti contributivi dello Stato ma che lasciano comunque un passivo imponente.

Già ma perché l'Inpdap è perennemente in perdita? Come mostrano i dati della Corte dei Conti nell'ultimo decennio il saldo tra entrate e uscite è sempre stato negativo, accelerando negli anni tra l'altro. Solo nel 2011 il buco è stato di 10 miliardi, dato che le entrate si sono fermate a 51 miliardi mentre le spese per pensioni sono salite a ben 61 miliardi. E nel decennio 2002-2011 le spese sono aumentate del 4,6% annuo, mentre le entrate sono salite solo del 2,8 per cento.

Uno squilibrio strutturale come si vede determinato dal fatto che i contributi sono sempre stati più bassi delle pensioni erogate. Il metodo retributivo che premia gli ultimi anni di attività lavorativa, le pensioni d'anzianità, i ritiri anticipati sommati al blocco del turn over e alla contrazione del numero dei dipendenti hanno sortito questo effetto. Troppe pensioni e di importo più elevato rispetto ai contributi effettivamente versati.

Ma per ironia della sorte non sono solo le pensioni pubbliche (oltre 2,8 milioni di assegni per un importo nel 2013 stimato in 63,7 miliardi) e il loro disavanzo strutturale a minacciare i conti dell'Inps.

Anche le ricche pensioni degli ex dirigenti d'azienda (e i minori contributi versati in proporzione) mandano in deficit strutturale l'ex Inpdap. Il buco di bilancio dell'ente riassorbito nell'Inps pena il fallimento non è episodico. Nell'ultimo decennio il deficit cumulato è stato di almeno 20 miliardi. Come per l'Inpdap, le uscite previdenziali superano strutturalmente le entrate da contributi. Anche qui il danno del sistema retributivo è stato enorme. Pensioni calcolate sugli ultimi 5 anni di carriera lavorativa sono assai generose rispetto ai reali contributi versati dagli ex manager e i loro datori di lavoro.

Il fondo lavoratori dipendenti (cioè i privati) mantiene un debole segno positivo per 590 milioni. Ma in realtà sarebbe in forte avanzo per ben 8,5 miliardi se non gravassero su di esso i deficit strutturali degli ex fondi speciali: tra lavoratori elettrici, telefonici, dei trasporti e appunto dirigenti d'azienda il disavanzo complessivo per il 2013 sarà di 8 miliardi. Tanto da portare quasi a zero l'avanzo dei dipendenti privati.

Lo pagano i cittadini con la fiscalità generale, dato che lo Stato deve ogni anno elevare la quota di trasferimenti pubblici all'Inps. Sono circa 90 miliardi l'anno che saliranno di altri 20 miliardi fino al 2015, quando (forse) la riforma Fornero dispiegherà in pieno i suoi effetti.







sabato 6 aprile 2013

Conguaglio fiscale 2013 sulle pensioni

L’Inps ha provveduto ad effettuare il conguaglio fiscale relativo all’anno 2012, per i pensionati della Gestione Dipendenti Pubblici, con effetto sulla rata di pensione di marzo.

Quindi per effetto dell’incorporazione in Inps di Inpdap ed Enpals, tutte le prestazioni erogate dall’Ente di Previdenza, relative al singolo contribuente, sono state abbinate e sono confluite in un’unica certificazione fiscale (CUD 2013), determinando il conguaglio fiscale.

Nel messaggio n. 5447 del 2 aprile 2013 sono riepilogate le modalità con cui l’Inps ha provveduto ad effettuare il conguaglio fiscale relativo all’anno 2012 per i pensionati della gestione dipendenti pubblici. All’interno del quale sono riepilogate le modalità con cui l’Istituto ha provveduto ad effettuare il conguaglio fiscale relativo all’anno 2012 per i pensionati della gestione dipendenti pubblici. Si acquisisce dalla circolare che il debito d’imposta risultante dal conguaglio fiscale dell’anno reddituale 2012, ultimato dall’Istituto entro il 28 febbraio 2013, è stato recuperato in un’unica soluzione mediante ritenuta sulla rata di pensione del mese di marzo 2013 ad eccezione di coloro che percepiscono redditi da pensione non superiori a 18.000 euro.

Nei confronti  dei pensionati, il conguaglio fiscale a debito di importo superiore a € 100, è stato rateizzato a decorrere dal mese di marzo 2013 in un numero massimo di 10 rate e privato dell’applicazione degli interessi. Per gli altri pensionati che hanno un reddito da pensione pari o superiore a 18 mila euro  il debito d’imposta risultante dal conguaglio fiscale è stato recuperato integralmente nei limiti della capienza della rata di pensione di marzo 2013, in base a quanto sancito dalla disciplina tributaria. In seguito a specifica richiesta in tale senso da parte dell’Istituto, l’Agenzia dell’Entrate ha deciso comunque di autorizzare, a decorrere dalla rata di aprile 2013, una più ragguardevole rateizzazione che verrà effettuata mediante specifici termini.

Nei riguardi dei pensionati che sono titolari di un reddito da pensione pari o superiore a 18 mila euro e per i pensionati  nei confronti dei quali non è stato possibile recuperare integralmente il debito fiscale sulla rata di marzo 2013, ha precisato il messaggio, il recupero del residuo debito avverrà a decorrere dalla rata di aprile 2013 con l’applicazione di una particolare salvaguardia. Nello specifico, per i pensionati che possiedono un trattamento pensionistico mensile netto di importo superiore ad € 1.238,58, il recupero del residuo debito fiscale sarà operato dalla rata di aprile 2013 assicurando il pagamento di un importo mensile netto di € 990,86, corrispondente al doppio del trattamento minimo per l’anno 2013. Questa modalità sarà applicata anche nei mesi successivi fino alla totale cancellazione del debito fiscale, usufruendo anche dell’importo della tredicesima eccedente (€ 990,86) qualora il debito non venisse estinto prima.

Per i pensionati il cui trattamento pensionistico mensile (al netto di tutte le ritenute comprese le addizionali regionali e comunali) è uguale o inferiore ad € 1.238,58 mensili, il debito fiscale sarà recuperato entro il limite della trattenuta di un quinto della pensione; tale modalità sarà applicata anche nei mesi successivi fino alla totale eliminazione di quanto dovuto all’erario, avvalendosi anche dell’importo della tredicesima qualora il debito non venga estinto prima. Nel caso in cui il debito non venisse integralmente recuperato entro il mese di dicembre 2013, sarà l’Istituto a comunicare al diretto interessato l’obbligo di provvedere personalmente al saldo entro la data del 15 gennaio 2014, attraverso versamento con Modello F24 prestampato con gli importi ed inviato, a tempo opportuno, congiuntamente alla comunicazione.

Nel caso in cui la rateizzazione sia in corso e venga interrotta la corresponsione della pensione (ad esempio in caso di decesso del titolare), il residuo debito ed i relativi termini di scadenza saranno comunicati agli eredi che dovranno a loro volta provvedere al saldo di quanto dovuto.

Se il debito con l’Inps non sarà saldato attraverso le dieci rate previste, quindi entro il mese di dicembre 2013, il pensionato ancora in debito dovrà procedere al saldo entro il 15 gennaio 2014 tramite modello F24. Tutti i dati relativi al conguaglio verranno riportati nella dichiarazione del sostituto d’imposta Modello 770/2013 – CUD 2013.

sabato 6 ottobre 2012

Contributi 2012- 2013 Inpdap e Enpals: all'Inps mancano 580 milioni

L’articolo 21 del decreto legge n. 201/2011 (convertito in legge n. 214/2011) ha previsto l’integrazione di Inpdap ed Enpals in Inps. Obiettivo della riforma è, non solo realizzare una riduzione dei costi amministrativi di gestione della previdenza pubblica ma, soprattutto, rendere più efficiente ed efficace il servizio pubblico, anche assicurando ai cittadini un unico soggetto interlocutore per i servizi di assistenza e previdenza.

Ma realmente la fusione ha avuto effetti negativi sul bilancio del SuperInps. Innanzitutto sono a rischio i patrimoni. Infatti, sembra, che nei prossimi anni non è esclusa l'ipotesi di arrivare all'«azzeramento del patrimonio netto, aprendo un problema di sostenibilità dell'intero sistema pensionistico».

A gravare maggiormente, secondo quanto riportato nella nota di assestamento al bilancio 2012 dell'Inps, è l'Inpdap che ha scaricato sul bilancio ben 10,2 miliardi di euro di disavanzo patrimoniale e quasi 5,8 miliardi di euro di passivo per l'esercizio 2012.

A causa della riduzione dei dipendenti pubblici, di cui sono state tagliate le entrate, ma sono rimaste le spese per le pensioni. E, in secondo luogo, perché, sino al 1995, «le amministrazioni centrali dello Stato non versavano i contributi alla Cassa dei trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato, che era una delle 10 casse fuse nell'Inpdap nel 1996 proprio perché le normative europee richiedevano la creazione di un istituto con un bilancio trasparente».

Vediamo inoltre che nei primi 8 mesi dell'anno le entrate contributive dell'Inps, (comprensive delle risultanze dell'ex-Inpdap e dell'ex-Enpals), sono risultate inferiori di 581 milioni rispetto a quelle registrate nel corrispondente periodo del 2011, attestandosi sui 132.767 milioni. Lo rileva la Ragioneria Generale dello Stato. In generale gli incassi contributivi dei primi otto mesi del 2012 sono risultati sostanzialmente in linea con quelli realizzati nello stesso periodo del 2011, (-0,1%). E’ quanto ha comunicato la Ragioneria. Il dato risulta da una combinazione di fattori: la disposizione che ha concesso una sospensione dei termini di pagamento dei contributi sociali per i comuni colpiti dal sisma e l'incasso da parte dell'Inps di oltre 900 milioni relativi al recupero di crediti già cartolarizzati, avente carattere di una tantum.

Le entrate tributarie degli enti territoriali nei primi otto mesi si sono attestate a 26,043 miliardi di euro con una variazione positiva di 1,181 miliardi (+4,8%). In sensibile crescita l'addizionale regionale interessata dall'aumento dell'aliquota base all'1,23% (dallo 0,90% precedente).

mercoledì 22 agosto 2012

Riforma delle pensioni Monti-Fornero alcuni spunti


La riforma Monti-Fornero è solo l’ultima di una serie di manovre in campo previdenziale con l’obiettivo di risanare un sistema sull’orlo del collasso e probabilmente resterà negli annali come una delle più rigide riforma pensionistiche.

Ma vediamo i punti salienti.

Sistema contributivo per tutti Per coloro che avevano già 18 anni di contributi al 31 dicembre '95, per i quali era previsto il sistema totalmente retributivo, sarà utilizzato il metodo contributivo pro-rata a partire dal 1° gennaio 2012.

Requisiti per la pensione di vecchiaia
Uomini dipendenti e autonomi: 66 anni
Donne dipendenti del settore privato: 62 anni (63 anni e 6 mesi nel 2014, 65 anni nel 2016 e 66 anni nel 2018)
Donne lavoratrici autonome: 63 anni e 6 mesi (64 anni e 6 mesi nel 2014, 65 anni e 6 mesi nel 2016 e 66 anni nel 2018)

Tutti dovranno avere almeno 20 anni di contribuzione.

Abolito il meccanismo delle finestre mobili: la pensione decorrerà dal mese successivo alla maturazione dei requisiti.

Requisiti per la pensione anticipata
Lavoratori attivi prima del 1° gennaio 1996:
 donne 41 anni e un mese
 uomini 42 anni e un mese
 I requisiti saranno incrementati di un mese per gli anni 2013 e 2014.

Lavoratori attivi dal 1.1.1996:
- 63 anni e almeno 20 anni di contributi
 L’importo deve essere almeno 2,8 volte l’ammontare annuo dell’assegno sociale Inps
Eccezioni per i dipendenti del settore privato: entro il 31 dicembre 2012:
  raggiungano quota 96 se uomini / abbiano 60 anni e 20 anni di contributi se donne: possibilità di pensionamento a 64 anni.
 donne con almeno 35 anni di contributi e 57 anni di età: possibilità di pensionamento con i vecchi requisiti con metodo contributivo.

Revisioni dei requisiti legate alla speranza di vita: adeguamento triennale dei requisiti e dei coefficienti di conversione, biennale da 2019.

Totalizzazioni: eliminato il vincolo minimo dei tre anni di contribuzione per i periodi da totalizzare: si possono unire tutti i periodi contributivi.

Taglio alle rivalutazioni delle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo e contributo di solidarietà sulle pensioni superiori a 90 mila euro.

Aumento della contribuzione per: artigiani, commercianti, lavoratori agricoli, lavoratori autonomi e collaboratori iscritti alla gestione separata Inps.

Incorporazione degli enti Inpdap ed Enpals presso l'Inps.

Analizziamo alcuni punti della riforma pensionistica Monti-Fornero, ossia la legge n . 214 del 2011, la quale  contiene al comma 28, articolo 24, l'impegno di valutare entro il 2012 due elementi fondamentali per l'assetto di lungo termine del sistema pensionistico.

Possibilità di introdurre ulteriori forme di gradualità nell'accesso al trattamento pensionistico (fermo restando la stabilità finanziaria e l'applicazione del metodo contributivo) e della previsione di eventuali forme di decontribuzione parziali dell'aliquota contributiva obbligatoria verso schemi previdenziali integrativi.

Per la revisione dell'accesso al pensionamento è importante se si considera che in futuro difficilmente esso avverrà con le stesse modalità degli anni passati, ossia sulla base di una specifica data in coincidenza della quale si verificherà la definitiva cessazione dall'attività di servizio e la corrispondente decorrenza dell'intera prestazione pensionistica maturata. E' molto più probabile  che si andrà incontro verso un periodo transitorio nel corso del quale il lavoratore inizierà a ridurre progressivamente l'attività lavorativa e a percepire, assieme alla retribuzione, una serie di forme di sostegno al reddito (previdenza complementare) che lo accompagneranno al pensionamento definitivo.

Vediamo in secondo luogo il tema delle le risorse utilizzate per finanziare il sistema pensionistico e i possibili pilastri (sono solitamente tre: quello pubblico Inpdap, l'Inps ed Enpals,  quello privato, i fondi pensione, e quello individuale costituito dal risparmio personale). Attualmente, per i lavoratori dipendenti il solo contributo destinato alla previdenza pubblica è pari a circa il 33% della retribuzione, tra i più elevati rispetto ai Paesi europei. Difficilmente un sistema del genere può essere considerato sostenibile nel lungo termine, visto l'onere per le aziende.

Un maggiore bilanciamento nelle prestazioni erogate dai vari pilastri migliorebbe sensibilmente la situazione, anche perché il risultato delle riforme pensionistiche succedutesi in questi anni è stato ridurre fortemente la copertura offerta dal sistema pubblico. Solo rinviando il pensionamento a tarda età e in presenza di una carriera continua, non caratterizzata da buchi contributivi è possibile ricevere ancora, alla cessazione del servizio, una prestazione adeguata.

mercoledì 11 luglio 2012

Super INPS 2012 le indicazioni del ministro del lavoro


Nessun rischio pensioni: è la rassicurazione del ministro Fornero, dopo l'allarme sul Super Inps. Il disavanzo dell'Inpdap è conosciuto dallo Stato, sarebbe stato coperto e sarà comunque coperto adesso. Il governo ha cambiato le regole e le istituzioni internazionali certificano la sostenibilità dei conti».

È quanto ha affermato il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, nel suo intervento alla Commissione parlamentare per gli enti previdenziali in relazione ai dati sul deficit dell'Inps dell'anno in corso. «Non mi sembra che ci siano fatti nuovi: sapevamo - ha affermato Fornero - che l'Inpdap era in forte squilibrio. Dobbiamo domandarci la ragione di questo squilibrio che è frutto di decisioni di regole passate. Per l'Inpdap i disavanzi sono frutto di decisioni del passato con scarsa attenzione alle regole nel bilanciamento tra prestazioni e contributi. Noi non possiamo cancellare le regole del passato».

L'Inps dovrebbe registrare quest'anno un disavanzo di quasi 6 miliardi di euro nel 2012, che sfioreranno i 7 miliardi nei prossimi due anni, quasi del tutto dovuto al «buco» dell’ex Inpdap, l’Istituto di previdenza per i dipendenti della Pa. E questo - aveva messo ieri nero su bianco il Civ (il Consiglio di indirizzo e vigilanza) dell’ente - «comporterà nel breve periodo un problema di sostenibilità dell’intero sistema pensionistico pubblico». La prima nota di variazione del bilancio preventivo 2012 dell’Istituto di previdenza (in cui con il Salva Italia sono confluiti Inpdap ed Enpals), approvato martedì a larga maggioranza, si concludeva chiedendo all’esecutivo «interventi correttivi».

La questione messa sotto i riflettori dal Civ, è tutta legata ai conti dell’ente, destinati a peggiorare nell’arco del triennio anche per effetto del blocco del turnover e della spending review che, con i 24 mila esuberi dichiarati nella Pa, determinerà una riduzione dei contributi versati e un aumento dei pensionati pubblici. Poi si faranno sentire gli effetti della riforma Fornero delle pensioni. Il disavanzo previsto per la gestione finanziaria di competenza dell’Inps con l’incorporazione dell’ex Inpdap e dell’ex Enpals, è stimato in 5,977 miliardi nel 2012, a causa del rosso che l'Inpdap porta con sé; e dovrebbe salire a 6,936 miliardi nel 2013 e a 6,963 miliardi nel 2014.

Commentando l'allarme del Consiglio di indirizzo e vigilanza sul disavanzo Inpdap e la sostenibilità delle pensioni, il presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua ha assicurato che «la sostenibilità del sistema pensionistico è stata certificata da tutte le riforme che sono state fatte, da ultima quella Monti-Fornero che ha avuto il gradimento della commissione europea, dell'Ocse e della Banca d'Italia». «La sostenibilità - ha aggiunto - è qualcosa che va oltre un bilancio che rappresenta dei numeri, ma non rappresenta la tendenza. Quindi mi sento di poter dire che, a fronte di quello che sicuramente sono dei commenti tra il tecnico, ma anche soprattutto politico, ci sono dei numeri incontrovertibili che sono dati dalla certificazione avvenuta dagli organismi europei della sostenibilità e delle buone riforme che sono state fatte nel nostro Paese».

Al primo bilancio del SuperInps i consiglieri del Civ dell'Inps in rappresentanza della Uil, Rocco Carannante e Luigi Scardaone, hanno espresso un "giudizio politico negativo": con l'incorporazione dell'ex Inpdap e dell'ex Enpals, "decisa con una certa leggerezza", sostengono, "si sono prodotti effetti disastrosi per la situazione patrimoniale dell'Inps con una riduzione di quasi 5 miliardi di euro interamente ascrivibili al disavanzo economico dell'Inpdap". I rappresentanti della Uil sottolineano, quindi, "la necessità ormai inderogabile di una riforma del sistema di governance dell'ente previdenziale".
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