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lunedì 6 giugno 2016

Contratto a progetto: domande e curiosità



Il contratto di lavoro a progetto deve essere stipulato in forma scritta e deve contenere i seguenti elementi:

durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro;

descrizione del progetto, specificando il contenuto caratterizzante e il risultato finale che si intende conseguire;

corrispettivo economico e criteri per la sua determinazione, tempi e modalità di pagamento, disciplina dei rimborsi spese;

forme di coordinamento del lavoratore a progetto con il committente, che in ogni caso non possono pregiudicarne l'autonomia lavorativa;

eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza.

A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che consistano in:

prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo

e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal datore di lavoro con riguardo ai tempi e al luogo di lavoro stesso.

La disciplina sul contratto a progetto si applica a tutti i rapporti di collaborazione autonoma?

No, il contratto a progetto non si applica in caso di: rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale; prestazioni occasionali, costituite dai rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare ovvero, nell'ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona, non superiore a 240 ore con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia inferiore a euro 5 mila.

Un progetto o programma di lavoro simile può essere oggetto di successivi contratti di lavoro?

La proroga o il rinnovo del contratto sono in linea di principio legittimi nel caso in cui il risultato concordato non sia stato raggiunto nel termine fissato ovvero nel caso di progetto totalmente nuovo e diverso. Al contrario, la proroga ingiustificata e il rinnovo per un progetto identico al precedente costituiscono elementi indiziari particolarmente incisivi per dimostrare la natura di un rapporto di lavoro dipendente.

Cosa succede se ci si ammala nel corso del rapporto a progetto? E in caso di maternità?

In caso di gravidanza e di malattia o infortunio del collaboratore, il rapporto di lavoro risulta sospeso, senza erogazione del corrispettivo. Solo nel primo caso la durata del rapporto è prorogata (per un periodo di 180 giorni), mentre, nel secondo caso, non solo il contratto non è prorogabile, ma il committente può comunque recedervi se la sospensione si protrae per più di un sesto della durata stabilita dal contratto, quando essa sia determinata, oppure superiore a trenta giorni per i contratti a durata determinabile.

Qual è la sanzione nel caso in cui il progetto non ci sia o non sia sufficientemente specifico?

Ciò che caratterizza il lavoro a progetto è la sua riconducibilità ad uno specifico progetto o programma di lavoro o fase di esso e  sia in caso di assenza del progetto (o del programma di lavoro) sia in caso di loro formulazione generica, la conseguenza, che dovrà essere dichiarata dal Giudice del Lavoro, è la conversione del rapporto in un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di stipulazione del contratto.

Cosa si può fare se il contratto a progetto, nei fatti, maschera un rapporto di lavoro subordinato?

Ogni volta che le concrete modalità di svolgimento di un rapporto formalmente a progetto sono riconducibili al lavoro subordinato, il lavoratore ha diritto, nel corso o all'esito del rapporto di lavoro, di richiedere l’accertamento giudiziale dell’effettiva natura del rapporto stesso; a fronte di una simile richiesta il Giudice del Lavoro, non essendo vincolato dal contenuto letterale dell’accordo, può esaminare quali siano state, in concreto, le modalità di svolgimento del rapporto lavorativo e se, nel caso di specie, sussistano gli indici della subordinazione.

Nel caso in cui il Giudice accerti che il rapporto, sebbene qualificato come autonomo, ha in realtà natura subordinata, lo notificherà come tale. Il lavoratore potrà quindi rivendicare tutti i diritti conseguenti sia di natura retributiva sia di natura contributiva.

Cosa succede se il contratto a progetto viene interrotto prima della scadenza?

Nel caso in cui il contratto a progetto venga interrotto da una delle parti prima della scadenza, senza giusta causa ed al di fuori delle ipotesi previste nel contratto individuale, la parte che ha subito il recesso avrà diritto ad un risarcimento del danno da quantificarsi o nella misura del preavviso o, in mancanza di questo, in un importo pari al residuo del compenso globale pattuito.

Come devono essere le istruzioni e le direttive del committente?

Il rapporto di lavoro a progetto implica una prestazione che, in quanto coordinata e continuativa, è integrata nell'attività e nell'organizzazione del committente. Il committente può pertanto esercitare un potere di intervento e di coordinazione dell’attività prestata dal collaboratore. Tuttavia, tale potere del datore di lavoro non può in ogni caso essere tale da pregiudicare l’autonomia nell'esecuzione della prestazione lavorativa del collaboratore: saranno quindi legittime verifiche periodiche sull'andamento del lavoro, ma non controlli e direttive più stringenti, che farebbero invece propendere per la natura subordinata del rapporto.

Cosa può fare il collaboratore a progetto qualora ritenga incongruo il suo corrispettivo?

La misura del compenso costituisce un elemento essenziale del contratto a progetto, prevede che lo stesso debba essere specificamente indicato per iscritto. Il compenso deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito e deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto. Per questo motivo, il collaboratore che ritenesse inadeguato il compenso pattuito, può sempre ricorrere all'autorità giudiziaria per ottenere la condanna del suo committente a corrispondergli un corrispettivo adeguato.

In questa prospettiva, il collaboratore può far riferimento alla natura e alla durata del progetto, prendendo come parametro le remunerazioni dei compensi corrisposti per analoghe prestazioni autonome. Inoltre, si può ritenere che il collaboratore possa prendere come parametro anche le retribuzioni previste dal CCNL applicabile al suo committente e che facciano riferimento a personale che svolga mansioni analoghe. Infatti, si deve ritenere che la remunerazione di un collaboratore a progetto non possa essere, almeno di regola, inferiore a quanto percepito da un lavoratore subordinato che svolga mansioni analoghe.

E' sufficientemente dettagliato un progetto che faccia esclusivamente riferimento al tipo di attività da compiere?

Un contratto a progetto che faccia semplicemente riferimento al tipo di attività da compiere, e dunque una formulazione generica del progetto (ad es. inserimento dati), non è pertanto conforme al modello legale; il lavoratore avrà quindi la possibilità di chiedere al Giudice del Lavoro la conversione del rapporto in un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Infatti, una simile definizione, lungi dal rappresentare il progetto, si limita a descrivere la mansione attribuita al lavoratore, del tutto svincolata dall'obiettivo che si intende raggiungere e dalle attività preparatorie e funzionali a quell'obiettivo. In buona sostanza, indicare le mansioni senza riferirle a un obiettivo significa consentire al datore di lavoro di utilizzare la prestazione lavorativa per soddisfare proprie esigenze variabili, mutevoli e indeterminate, il che contrasta con la riconducibilità dell'attività lavorativa a un progetto specifico e individuato.



mercoledì 11 marzo 2015

Jobs act e il possibile rientro in azienda



Il Jobs Act da pochi giorni è ufficialmente in vigore. La nuova legge, nelle intenzioni, dovrebbe incentivare le assunzioni a tempo indeterminato, perché prevede per l’imprenditore l’esonero contributivo e il taglio dell’Irap per i primi tre anni. A ben vedere però pare che sia stata istituita la figura del lavoratore «precario per sempre» vista la facilità con cui potrà essere licenziato per ragioni disciplinari o economiche e la cancellazione della possibilità di «reintegra», il cui campo di applicazione si riduce moltissimo anche nel primo caso quando resta possibile solo se in giudizio viene dimostrata l’insussistenza del contestato (per esempio l’azienda accusa di arrivare sempre in ritardo ma il cartellino dimostra che non è così).

A fronte di un licenziamento, un lavoratore a cui si applica il contratto a tutele crescenti potrà rientrare in azienda, per decisione del giudice, solo in tre casi: il recesso è nullo, è discriminatorio, oppure è stato intimato per una contestazione disciplinare basata su un fatto materiale inesistente.

Il reintegro nel posto di lavoro da parte del giudice resta possibile, come già avviene adesso, per i licenziamenti discriminatori, cioè quelli decisi dal datore di lavoro sulla base di convinzioni politiche o religiose oppure per l’orientamento sessuale. Mentre il suo campo di applicazione si riduce di parecchio per i cosiddetti licenziamenti disciplinari, cioè quelli adottati sulla base del comportamento del dipendente. Qui la strada del reintegro resta possibile solo in un caso: quando in giudizio viene direttamente dimostrata l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore. L’azienda accusa di arrivare sempre in ritardo, ad esempio, ma le strisciate del cartellino del lavoratore dimostrano che non è così. L’onere della prova è a carico del dipendente. In tutti gli altri casi, invece, c’è solo l’indennizzo economico. L’accertamento del giudice non può riguardare l’eventuale sproporzione della sanzione del licenziamento rispetto al fatto contestato. Anche se dovesse considerare la punizione «esagerata», il magistrato non potrebbe disporre il rientro in azienda del lavoratore. In caso di reintegro, il dipendente deve riprendere servizio entro 30 giorni. Se rinuncia ,può chiedere di «convertire» il reintegro in un’indennità pari a 15 mensilità.

Un licenziamento viene considerato discriminatorio se determinato da motivi di natura politica, razziale o di lingua oppure se basato sul sesso od orientamenti sessuali, convinzioni personali, handicap. È nullo, per esempio, se fatto a voce (anche per le procedure collettive) o in violazione delle norme a tutela della maternità.

Nell'ipotesi in cui si accerti il carattere nullo o discriminatorio del recesso, il giudice stabilisce la reintegrazione del dipendente, che ha anche diritto a un risarcimento commisurato alle retribuzioni perse tra il licenziamento e il rientro in azienda, con un minimo di cinque mensilità, nonché al versamento da parte del datore di lavoro dei relativi contributi previdenziali e assistenziali.

In alternativa, il dipendente può scegliere di non ritornare al suo posto di lavoro e di incassare un'indennità aggiuntiva pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione. Tale decisione deve essere presa entro 30 giorni dall'invito a ritornare al lavoro o dalla comunicazione del deposito della pronuncia del giudice. Queste regole valgono indipendentemente dalle dimensioni dell'azienda.

Non così accade, invece, a fronte di un licenziamento disciplinare di cui si accerti l'insussistenza materiale del fatto contestato, onere che ricade sul dipendente. Infatti, il comma 1 dell'articolo 9 del Dlgs 23/15 stabilisce che per le imprese più piccole (quelle fino a 15 addetti nello stesso comune o fino a 60 in più località) non c'è comunque la reintegrazione e il dipendente deve accontentarsi della compensazione economica. Invece se il giudice stabilisce l'insussistenza del fatto in riferimento a un licenziamento intimato da una realtà di maggiori dimensioni, scatta la reintegrazione e il pagamento, a carico del datore di lavoro, di un'indennità commisurata alla retribuzione di riferimento per il periodo in cui è rimasto senza impiego (ma comunque non superiore a 12 mensilità), tolto quanto eventualmente percepito a fronte di altre attività svolte nel frattempo o quanto avrebbe potuto guadagnare accettando un'offerta di lavoro congrua in base a quanto stabilito dal decreto legislativo 181/00 (le stesse condizioni che possono far perdere lo status di disoccupato). Anche in questo caso il lavoratore, in alternativa alla reintegra, può chiedere un'indennità ulteriore pari a 15 mensilità.

Anche per i vecchi contratti, la possibilità di demansionare i dipendenti e ridurre gli stipendi unilateralmente da parte del datore di lavoro per «modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore», formula che vuol dire tutto e niente e che è un presupposto tutto nelle mani dell’azienda. E grazie a un decreto del 2011 il lavoratore, in deroga alla legge, potrà perdere anche più di un livello di inquadramento. Il demansionamento potrebbe avvenire anche in senso orizzontale, magari inserendo il lavoratore in un settore in via di dismissione. E se il decreto facilita il declassamento del lavoratore, al tempo stesso ne rallenta il passaggio a un livello più alto, cosa che prima diventava definitiva dopo tre mesi di lavoro in quell'attività, adesso dopo sei.

Con il Jobs Act il lavoratore può essere convinto o indotto ad accettare livelli inferiori di tutela, sul piano delle mansioni ma anche della retribuzione, perché l’azienda può metterlo di fronte a un bivio, soprattutto nel caso dei neo assunti:o accetta le sue condizioni o sarà licenziato con un indennizzo di poche mensilità. Si aprono così le porte a possibili casi di mobbing legalizzato.






domenica 13 gennaio 2013

Costa Crociere può ricorrere al rito abbreviato della legge Fornero per licenziare Schettino


Ad un anno dallo schianto tragico della Concordia il giudice del lavoro annuncia che la Costa può ricorrere al rito abbreviato per licenziare Schettino.

La Costa può ricorrere al rito Fornero per legittimare il licenziamento per giusta causa del comandante Francesco Schettino. La decisione – contestata dal legale del capitano, Rosario D'Orazio – è stata presa dal presidente della sezione Lavoro del tribunale di Genova Ravera. Si sdoppia, quindi, il procedimento sulla posizione lavorativa di capitan Schettino, allontanato dalla compagnia di navigazione per "violazione delle norme" e del cosiddetto "minimum etico", in relazione ai comportamenti contestati al comandante dopo il naufragio della Concordia abbandono della nave, ritardo nei soccorsi ed altro.

A Genova, dunque, resta il procedimento avviato dalla società; a Torre Annunziata, invece, resiste quello intrapreso dallo stesso Schettino per impugnare il provvedimento di licenziamento e chiedere il reintegro. La posizione difensiva del comandante si basa, in parte, anche sulle risultanze investigative della procura di Grosseto che avrebbero riscontrato un errore, da parte del timoniere, nell'esecuzione degli ordini di disimpegno della nave poco prima dell'impatto contro gli scogli dell'isola del Giglio. La prossima udienza nel capoluogo ligure si terrà a marzo, quando le parti approfondiranno le rispettive posizioni. A Torre Annunziata, invece, l'appuntamento è per fine mese. Resta, a questo punto, solo da capire chi dei due fori sarà competente per la decisione finale.

La Costa lo aveva allontanato per "violazione delle norme" e del cosiddetto "minimum etico", in relazione ai comportamenti contestati al comandante dopo il naufragio della Concordia.

Il giudice ha fissato in 20 giorni il tempo per rispondere alle eccezioni sollevate dalla difesa di Schettino. La prossima udienza nel capoluogo ligure si terrà il 14  marzo. A Torre Annunziata, invece, l'appuntamento è per fine mese.
In sostanza, il "rito Fornero" prevede tempi rapidi per il giudizio ed è stato concepito per aiutare i dipendenti licenziati. In questo caso però la Costa, datore di lavoro, se ne avvale per corroborare la pratica di licenziamento già decisa in azienda.

"Ora c'è un imbarazzo per Costa Crociere – sostiene il legale- perché la compagnia si trova con un duplice procedimento attivo e quindi sicuramente uno dei due non potrà gestirlo. In parole semplici c'è un conflitto interno tra il suo rito speciale e il suo rito ordinario. L'unica certezza che c'è in questo momento è che non si possa procedere con entrambi i riti. Vediamo ora cosa deciderà il giudice di Torre Annunziata il 30 gennaio e cosa decideranno anche gli avvocati delle parti perchè il giudice di Genova ha ritenuto ammissibile anche la mia difesa e quindi il mio attacco nei confronti di Costa Crociere".

Per una parte, la posizione difensiva del comandante si basa sulle risultanze investigative della procura di Grosseto che avrebbero riscontrato un errore, da parte del timoniere, nell'esecuzione degli ordini di disimpegno della nave poco prima dell'impatto contro gli scogli dell'isola del Giglio.
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