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mercoledì 13 luglio 2016

Come lavorare e guadagnare con i video di Facebook e Youtube



Una cosa da sapere che, dal 2010, è possibile guadagnare con YouTube. Questo perché il sito YouTube   ha deciso di inserire la pubblicità a pagamento all'interno dei tantissimi video che ospita e, in questo modo, può poi dividere l’incasso pubblicitario con l’inserzionista.

In pratica funziona così: si pubblica  un numero di video all'interno di YouTub e poi si permette a questa piattaforma di inserire varie inserzioni pubblicitarie all'interno dei video. Dopo di che: più i tuoi video vengono visti, più le inserzioni verranno cliccate e più si guadagnerà.

Per poter guadagnare con YouTube devi, prima di tutto, avere un account AdSense. Dopo di che, potrai presentare la tua domanda di iscrizione al programma di partnership di YouTube.

Una volta iscritto, dovrai dare il permesso a YouTube di inserire le pubblicità nei tuoi video e di prelevare la sua parte dei ricavi. Fatto ciò, sarai pronto per iniziare guadagnare guadagnare con YouTube.

Cosa dovrai fare in concreato a questo punto? Prima di tutto, dovrai preparare un tuo video e poi caricarlo all’interno della piattaforma di YouTube. Dopo di che, dovrai avvisare lo staff che vuoi inserire le sponsorizzazioni all’interno del tuo video ed essi valuteranno il tuo filmato.
Se il video non è copiato, se non infrange il copyright di terzi e rispetta tutti i parametri del regolamento YouTube, allora quasi sicuramente ti verrà approvato e potrai iniziare a guadagnare.

Guadagnare con i Video è un’attività che sta diventando sempre più redditizia, le piattaforme maggiormente predilette e più remunerative sono Facebook e Youtube. A confermare questo arrivano le statistiche come risultato di uno studio condotto della società Strategy Analytics che ha analizzato a fondo il fenomeno giungendo alla conclusione che per il periodo 2016-2021 dai mobile video si avranno a livello globale 25 miliardi di dollari di ricavi, una crescita esponenziale che verrà assicurata dagli inserzionisti che investiranno sempre di più nei video.

Secondo gli addetti del settore si tratta di un exploit del tutto prevedibile poiché secondo le statistiche i dispositivi smartphone hanno da poco battuto il televisore come schermo da cui guardare video per i teenager di tutto il mondo.

Ulteriori conferme arrivano anche dei dati relativi gli investimenti pubblicitari per i contenuti video sui dispositivi mobili, nell’anno 2010 gli investimenti si attestavano intorno al 2% dei ricavi mondiali generati dai video sui telefonini, mentre per i prossimi 5 anni questa percentuale viaggerà ad un tasso di crescita annuale del 28%, ad oggi la percentuale è già del 40% e dovrebbe arrivare al 66% nel 2021 secondo le previsioni della società d’analisi.

Anche l’evoluzione dei social network viaggia in questa direzione ad esempio Twitter ha aumentato la durata dei filmati che è possibile caricare sul microblog, Facebook ha potenziato il fronte video con le dirette in live streaming e aggiungendo i video a 360 gradi.

I ricavi si aggirino intorno a un dollaro per ogni 100 visitatori, comunque il guadagno varia molto in rapporto a quanta pubblicità riescono a inserirci dentro e dalla concreta possibilità di poter sfruttare al meglio il tuo video per le varie sponsorizzazioni. La pubblicità viene messa all’inizio del filmato tramite un video di 20 secondi, e durante il filmato con dei banner che stazionano in basso per una trentina di secondi. .

Se pubblichi un video che viene visto da un milione di persone, puoi guadagnare circa 10.000 dollari (cioè 7.000 euro circa). Il problema, tuttavia, è che difficilmente arriverai a queste cifre in Italia! Infatti, nel nostro paese, a parte qualche raro caso i video difficilmente sfondano le 4/5.000 visite (cioè 40/50 dollari di ricavi).

Dove conviene pubblicare?
Facebook o Youtube nella sfida dei video? Facebook vince sull’"organic reach"
Nella sfida dei video social tra Facebook e Youtube, il social fondato da Mark Zuckerberg vince sul campo dell’organic reach o portata organica.

Che cos'è la portata organica?
Si tratta del numero di utenti di Facebook che vengono raggiunti dalla nostra pagina in modo naturale e senza l’uso di inserzioni a pagamento.

Secondo gli esperti l’organic reach dei video postati direttamente su Facebook supera del 300% quelli provenienti da Youtube e postati successivamente sul social.
Ciò a causa anche dell’algoritmo di Facebook che sfavorisce nettamente i secondi rispetto ai primi. Quindi se si considera questo primo fattore conviene pubblicare direttamente su Facebook.

Facebook batte Youtube anche sul tema delle visualizzazioni. Qui in realtà Facebook vince anche grazie al meccanismo dell’autoplay, pratica utilizzata ormai ovunque (anche su Twitter per esempio).
Su Youtube l’autoplay non è una funzione automatica ma deve essere ordinata dall’utente, per esempio nel caso delle playlist musicali.

Inoltre, per conteggiare una visualizzazione piena su Youtube occorre rimanere sul video per almeno il 5% della durata totale del video medesimo.

Su Facebook, invece, viene conteggiata una visualizzazione quando si guarda il video per 3 secondi o più, anche in modalità autoplay.
Youtube batte Facebook sul copyright

La sfida social video tra Facebook e Youtube fa pendere la bilancia a favore di quest’ultimo sulla questione del copyright.

Questo perché Youtube, in seguito all’acquisizione da parte di Google, ha attivato un sistema di analisi dei video caricati detto Content ID.
In altre parole Youtube riesce a verificare ogni video caricato al fine di individuare eventuali violazioni del copyright.

Su Facebook, invece, questa funzione non esiste e non è possibile risalire ad eventuali violazioni di copyright.
Youtube batte Facebook anche sul fronte della remunerazione

Il sistema del Content ID consente a Youtube di battere Facebook anche dal punto di vista della remunerazione dei contenuti originali.

Ciò è conseguenza di quanto detto in precedenza. Youtube ha un sistema che consente di analizzare i video e valutarne l’originalità e/o eventuali violazioni del copyright. Contemporaneamente esiste un sistema di remunerazione dei contenuti originali.

Su Facebook, invece, ciò non esiste. Anzi, Facebook non è in grado di rimuovere un contenuto che viola il copyright a meno che questo non venga segnalato da un utente.

In questo senso, gli esperti del settore prevedono un drastico cambio di politica da parte di Facebook già dal prossimo anno.

La principale fonte di guadagno per chi fa Video sono ovviamente le pubblicità che sono di diverse tipologie, la prima che è anche la più remunerativa è quella che compare prima dell’inizio di ogni video e si tratta di un vero e proprio Spot Pubblicitario che può durare da pochi secondi fino a 3/4 minuti, come abbiamo specificato questa è la tipologia che permette di Guadagnare di più.

Esistono poi anche dei Banner che compaiono nella parte bassa del video che sono molto simili ai Banner che possiamo trovare in qualsiasi sito web, questi ultimi sono sovrapposti al Video e possono essere chiusi dall’utente attraverso una “X” posta nell'angolo in alto a destra del Banner.

La terza tipologia di Pubblicità è molto simile alla prima ma compare durante la riproduzione di Video che in genere hanno una durata superiore ai 20 Minuti, a differenza dei primi questi tipi di Spot Pubblicitari non possono essere saltati dall'utente che deve attendere con pazienza il termine dello Spot.

Per come i dichiarare i guadagni si consiglia di leggere la pagina qui riportata Come dichiarare i guadagni Google Adsense.


lunedì 20 aprile 2015

Lavorare in una srl e/o fondazione diritti e doveri



Chiunque abbia il compito di gestire un’organizzazione si scontra con la difficoltà di rispondere ad una molteplicità di adempimenti amministrativi e fiscali previsti da una normativa che, negli ultimi anni, si è notevolmente arricchita, oltre a presentarsi particolarmente complessa da un punto di vista strettamente tecnico.

I requisiti per l’acquisizione della qualifica di fondazione sono sostanzialmente tre:

Requisito soggettivo: E’ un’organizzazione privata senza fine di lucro, dotata di personalità giuridica, che nasce con lo scopo di patrocinare attività sociali, religiose, educative e, più in generale, attività volte al benessere di una comunità.

Requisito oggettivo: A differenza delle associazioni, per le quali è necessario che partecipino alla costituzione due o più soggetti, una Fondazione può essere istituita anche da una sola persona. In essa, infatti, l’elemento principale è quello patrimoniale con la subordinazione di quello personale. La fase costitutiva, nella quale il fondatore devolve e vincola i propri beni per il perseguimento di uno scopo di pubblica utilità, mantiene una netta separazione dalla fase gestionale, nella quale gli amministratori destinano il patrimonio vincolato alla realizzazione dello scopo definito. La carenza dell’aspetto personale si concretizza, anche, nella probabile assenza di una base assembleare e nell’assegnazione dei compiti di governo ad un solo organo (consiglio di amministrazione), formato da una o più persone designate dal fondatore o da terzi delegati. In relazione a ciò le fondazioni possono definirsi autogovernate, ma mancanti della caratteristica della democraticità.

Requisito statutario: I documenti devono dichiarare scopo sociale, entità del patrimonio e relativo vincolo di destinazione. Le fondazioni devono essere riconosciute, a livello centrale, dal Ministero cui compete la materia di riferimento, dalla Regione di appartenenza o dal Ministero dell’Interno nel caso di fondazioni socio-assistenziali. Le Fondazioni possono essere operative o di erogazione: le prime organizzano e gestiscono direttamente i propri programmi. Le seconde erogano finanziamenti, sostenendo persone, enti o progetti.

Le norme inerenti la costituzione di una società a responsabilità limitata sono dettate dall'articolo 2463 del codice civile: chiariamo i dubbi punto per punto.

Con l'assunzione della qualità di socio sorgono una serie di situazioni giuridiche attive e passive che attengono tanto alla natura organizzativa-corporativa, quanto all'aspetto patrimoniale della società.

In relazione al primo aspetto viene in rilievo innanzitutto l'obbligo di effettuare ed eseguire i conferimenti promessi in sede di stipulazione al fine di dotare la società dei mezzi necessari per la realizzazione dei fini previsti.

Un'obbligazione negativa è prevista dall'art. 2256 cod. civ. , ai sensi del quale ciascun socio, senza il consenso degli altri soci, non può servirsi delle cose appartenenti al patrimonio sociale per fini estranei a quelli della società.

A fronte di queste situazioni soggettive di natura passiva al socio fanno capo naturalmente anche diritti, tradizionalmente distinti in diritti aventi natura amministrativa e diritti patrimoniali.

In particolare spicca tra i primi il diritto di esprimere la propria volontà nello svolgimento della vita sociale tutte le volte che ciò sia richiesto dalla legge o dal contratto sociale. Quando il socio rivesta anche la qualifica di amministratore gli spetterà il potere di porre in essere gli atti di gestione secondo le modalità previste nel contratto sociale. Quando invece il socio non prenda parte all'amministrazione della società è comunque titolare di un diritto di controllo dell'attività gestionale (art. 2261 cod. civ. ).

I diritti di natura patrimoniale consistono nel diritto agli utili (art. 2262 cod. civ. ), nel diritto di ottenere la liquidazione della quota in caso di scioglimento del rapporto sociale, tanto che esso sia limitato al socio, quanto nell'ipotesi in cui riguardi l'intera società.

La S.r.l. tradizionale ha regole diverse dalle nuove Srl semplificate e può essere costituita con contratto o atto unilaterale. L’atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico e quindi, necessariamente, con l’intervento di un notaio.

Alla base della costituzione vi è quindi un contratto stipulato tra più persone o enti, chiamati soci. Esistono, inoltre, società con un solo socio (definite unipersonali) per le quali è sufficiente redigere un atto unilaterale. I costi minimi per la costituzione di una Srl partono da circa 2mila euro, tra consulenze e notaio. Il capitale sociale necessario per la costituzione della società non può essere inferiore a 10mila euro senza tetto massimo (ma per le Srl con capitale sociale da 120.000 euro serve la nomina del collegio sindacale). Solitamente le quote di partecipazione dei soci sono proporzionali ai conferimenti.

Il capitale sociale deve essere interamente sottoscritto e devono essere effettuati i conferimenti previsti. Con il termine sottoscrizione si intende acquisire il diritto di averne la quota parte sottoscritta e il dovere di versare i conferimenti nei tempi e nei modi previsti. Alla sottoscrizione dell’atto costitutivo, dovrà essere versato presso una banca almeno il 25% dei conferimenti in denaro e l’intero sovrapprezzo o, nel caso di costituzione con atto unilaterale, il loro intero ammontare come disposto dall’articolo 2464 del codice civile. Per i conferimenti diversi dal denaro è necessaria espressa previsione nell’atto costitutivo. Il versamento iniziale può essere sostituito dalla stipula di una polizza assicurativa o fideiussione bancaria. Qualora un socio non esegua il conferimento nei termini prescritti, gli amministratori lo diffidano ad eseguirlo entro trenta giorni, decorso tale termine la quota del socio moroso può essere venduta agli altri soci. In mancanza di acquirenti, questi viene escluso e il capitale sociale ridotto.

Diritto di recesso
Il diritto di recesso di un socio può essere esercitato in ogni momento con un preavviso di almeno 180 giorni. Il socio che recede ha il diritto di ottenere il rimborso della propria partecipazione in relazione al patrimonio sociale determinato, tenendo conto del valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso. In caso di disaccordo dei soci, la determinazione è compiuta tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale.

I lavoratori dipendenti hanno dei doveri che discendono direttamente dal Codice Civile e, per i dipendenti pubblici da ulteriori fonti legislative.

Diligenza. Dovere di prestare la propria opera ispirandosi al generale dovere della diligenza. L'obbligo della diligenza non coincide con il dovere di osservare le disposizioni date dal datore di lavoro, di modo che esso non possa ritenersi violato laddove tali disposizioni non siano state impartite o comunque non risultino violate. L'obbligo, invece, impone al lavoratore di eseguire la prestazione indipendentemente dalle direttive impartite dal datore di lavoro, secondo le mansioni proprie e dai profili professionali che le definiscono.

La fedeltà.  L'obbligo di fedeltà prevede tre obblighi particolari:
la non concorrenza
la segretezza
il divieto di utilizzare notizie in modo pregiudizievole all'impresa o all'Ente.

L'obbligo di fedeltà persiste anche durante i congedi di sospensione del rapporto di lavoro: malattia, ferie, permessi ecc.

Inoltre per i Dipendenti Pubblici l'art. 98 Costituzione sancisce che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.

Dovere di imparzialità. Il pubblico impiegato ha il dovere di imparzialità (art. 97 Costituzione.); a tale dovere è da ricondurre la norma che impone di trattare gli affari secondo l'ordine cronologico.

Dovere di esclusività. Dovere di esclusività è sancito dall'art. 98 Costituzione,  secondo cui i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.

Le Leggi regolamentano i casi in cui il lavoratore può svolgere un'altra attività, sia in una amministrazione pubblica diversa da quella a cui appartiene, che presso terzi privati, purché non vi sia incompatibilità o conflitto d'interessi.



lunedì 24 novembre 2014

Età minima per iniziare a lavorare



L'art. 37 della Costituzione prevede che sia la legge a stabilire il limite minimo di età per il lavoro salariato e tale limite è stato disciplinato dall'art. 3 della L. n. 977/1967, modificato dall'art. 5 del D.Lgs n. 345/1999: "l'età minima di ammissione al lavoro è fissata al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e comunque non inferiore ai 15 anni compiuti". Vige quindi il principio in virtù del quale l'età minima di ammissione al lavoro non può essere inferiore all'età in cui cessa l'obbligo scolastico. E' proprio questo il principio che è stato espresso dalla Legge Finanziaria 2007 (296/2006), in particolare ove si afferma che l'innalzamento dell'obbligo di istruzione ad almeno 10 anni determina quale "conseguenza" l'aumento da 15 a 16 anni dell'età per l'accesso al lavoro.

Premesso quanto sopra, poiché la stessa legge fa espressamente decorrere l'innalzamento dell'obbligo di istruzione a far data "dall'anno scolastico 2007/2008", dal 1° settembre 2007 decorre anche l'innalzamento a 16 anni dell'età di ingresso al lavoro per i minori.

Il lavoro dei  minori che non hanno compiuto i 15 anni e degli adolescenti di età compresa tra i 15 e i 18 anni compiuti) è disciplinato e tutelato dalla L. 17/10/67 n. 977. La regola generale posta dalla legge è che la età minima per la ammissione al lavoro, anche per gli apprendisti, è di 15 anni compiuti. Tuttavia questa regola incontra alcune eccezioni: in agricoltura e nei servizi familiari, l'età minima per l'ammissione al lavoro è di 14 anni compiuti, purché ciò sia compatibile con la tutela della salute del minore e non comporti la trasgressione dell'obbligo scolastico; nelle attività non industriali, i fanciulli di età non inferiore a 14 anni compiuti possono essere ammessi a lavori leggeri, che siano compatibili con la tutela della salute, non comportino trasgressione all'obbligo scolastico e sempre che il minore non sia adibito a lavoro notturno e festivo.

E' prevista una deroga anche per la preparazione o rappresentazione di spettacoli o riprese cinematografiche. In questo caso, l'ispettorato provinciale del lavoro, su conforme parere del prefetto e previo assenso scritto del genitore o tutore, può autorizzare l'ammissione al lavoro dei minori di età inferiore ai 15 anni e fino al compimento dei 18, sempre che il lavoro non sia pericoloso e non si protragga oltre le ore 24. Il rilascio di tale autorizzazione è subordinato all'esistenza di tutte le condizioni necessarie ad assicurare la salute fisica e la moralità del minore, nonché l'osservanza dell'eventuale obbligo scolastico. In ogni caso, il fanciullo o adolescente, dopo l'impegno in tali rappresentazioni, dovrà godere di un riposo di almeno 14 ore consecutive.

La legge appronta particolari tutele a favore dei fanciulli e adolescenti che siano impiegati al lavoro. In particolare, i minori di 16 anni non possono essere adibiti ai lavori pericolosi, insalubri e faticosi, è vietato adibire i minori a lavori sotterranei in miniere o cave o gallerie, nonché alla somministrazione di bevande alcooliche. L'ammissione al lavoro deve essere preceduta da una visita medica che certifichi l'idoneità del minore al lavoro cui sarà adibito. La legge prevede infine un particolare trattamento di salvaguardia in tema di ferie, orario di lavoro, lavoro notturno, riposo settimanale. La violazione delle norme della legge 977 comporta l'inflizione di sanzioni penali, peraltro modeste.

Dal punto di vista sostanziale si segnala che l’età minima di ammissione al lavoro non può, comunque, essere inferiore all’età in cui cessa l’obbligo scolastico essendo riconosciuto un collegamento funzionale tra l’accesso al lavoro e l’assolvimento dell’obbligo scolastico poiché quest’ultimo, volto a tutelare la crescita psico intellettiva del minore, fa presumere raggiunta da  parte dello stesso la maturità necessaria affinché possa svolgere legittimamente l’attività lavorativa.

Pertanto, l’età minima per accedere a un rapporto di lavoro è sottoposta ad un duplice requisito: il compimento dell’età minima prevista dalla legge (16 anni) e l’assolvimento dell’obbligo di istruzione (per almeno 10 anni). Se manca uno di essi non può, legittimamente, essere instaurato un contratto di lavoro.


domenica 7 aprile 2013

Lavorare nei call center nel 2013 più tutele per gli operatori


Il decreto legislativo n. 83 del 2012 che ha introdotto due novità alla disciplina del lavoro a progetto nei call center. La prima riguarda i requisiti per la stipulazione delle collaborazioni da parte di call center che svolgono attività cosiddetta outbound; la seconda riguarda i call center intenzionati a esternizzare le proprie attività.

Entrambe queste novità stabilite dalla nuova legge stabiliscono che le nuove misure «si applicano alle attività svolte da call center con almeno 20 dipendenti». Nonostante la norma, per il ministerodel Lavoro  il limite dimensionale è relativo al solo adempimento a carico dei call center che devono delocalizzare l'attività.

Nei call center outbound, dove sono gli operatori a effettuare le chiamate a potenziali clienti, il contratto di collaborazione a progetto, in base alla riforma del lavoro del 2012 (Fornero), ha come presupposto il «corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento». Il ministero ha specificato che si applichi a tutti i call center «a prescindere dal requisito dimensionale».

Per quanto concerne la tipologia di attività (quella outbound), non essendoci una definizione di legge, il ministero ha fatto ricorso alla circolare n. 17/2006 ai sensi della quale tali attività sono definite come quelle «nell'ambito delle quali il compito assegnato al collaboratore è quello di rendersi attivo nel contattare, per un arco di tempo predeterminato, l'utenza di un prodotto o servizio riconducibile a un singolo committente». La novità permette di stipulare collaborazioni senza individuare un preciso progetto «sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento».

In attesa della contrattazione collettiva, il ministero con la circolare 14/2013 ha chiarito che il compenso non potrà essere inferiore, a parità di tempo della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi applicati a figure analoghe, per competenza ed esperienza, al collaboratore a progetto.

E' bene ricordare che l'eventuale pattuizione di corrispettivi inferiori a quanto fissato dalla contrattazione nazionale, infatti, comporta la sanzione della conversione della co.co.co. in rapporto dipendente a tempo pieno e indeterminato. Lo ha stabilito il ministero del lavoro nella circolare n. 14/2013 così, di fatto, smontando l'incentivo a favore dei call center, perché l'eventuale presenza di corrispettivi inadeguati in un normale rapporto di co.co.co. a progetto comporta soltanto il diritto del collaboratore a ottenere la quota differenziale.

Altra novità che riguarda tutte le tipologie di call center e, per il ministero si applica «alle attività svolte dai call center con almeno 20 dipendenti», nonostante la disposizione stabilisca espressamente il riferimento a 20 «dipendenti», per il ministero questo «limite dimensionale va calcolato sia tenendo conto del personale dipendente che del personale in servizio con contratti di collaborazione coordinata e continuativa».

L'adempimento comporta che, qualora un call center intenda delocalizzare l'attività fuori dal territorio nazionale, almeno 120 giorni prima deve darne comunicazione al ministero del lavoro e al garante per la protezione dei dati personali indicando, tra l'altro, il numero dei lavoratori coinvolti.
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