È dirigente chi può influenzare la gestione d’impresa. La Corte di cassazione ha affermato con la sentenza 18165/2015 che il riconoscimento della qualifica dirigenziale a un funzionario che abbia svolto, in concreto, mansioni di contenuto apicale non può essere condizionato a una formale investitura da parte dei vertici aziendali. Una conclusione differente, infatti, comporterebbe violazione del principio per cui deve esservi corrispondenza tra le mansioni effettivamente svolte dal dipendente e la categoria di inquadramento.
Ha precisato la Corte che, ai fini del riconoscimento della qualifica dirigenziale, deve essere dimostrato, da parte del lavoratore, lo svolgimento di mansioni caratterizzate dalla preposizione, con ampia autonomia decisionale, a uno o più servizi che pongono il dirigente in condizione di influenzare l’attività dell’intera impresa o di una sua area rilevante. Aggiungendo che la qualifica di dirigente compete al lavoratore che, come «alter ego» dell’imprenditore, viene preposto alla direzione dell’intera organizzazione aziendale o, quantomeno, a una branca o settore autonomo di essa ed è investito di responsabilità che, in ragione dei poteri di iniziativa e discrezionalità che ne discendono, gli consente di imprimere un orientamento alla gestione complessiva dell’impresa, sia pure nell'ambito delle direttive programmatiche definite dal datore di lavoro.
In questo contesto, aggiunge la Cassazione, la figura del dirigente si differenzia dalla posizione dell’impiegato con funzioni direttive, in quanto quest’ultimo è preposto a un singolo ramo di servizio, ufficio o reparto, con poteri di iniziativa circoscritti e più limitati, dai quali derivano un corrispondente minor grado di responsabilità e la soggezione al potere di controllo del datore stesso o di un dirigente aziendale.
In tema di riconoscimento di mansioni superiori e in particolare ai fini del riconoscimento della qualifica dirigenziale, è necessario e sufficiente che sia dimostrato lo svolgimento di fatto delle relative mansioni, caratterizzate dalla preposizione ad uno o più servizi con ampia autonomia decisionale, senza che occorra una formale investitura trasfusa in una procura speciale: la richiesta di tale requisito significherebbe subordinare il riconoscimento della qualifica ad un atto discrezionale del datore di lavoro, di per sé insindacabile, con conseguente violazione del principio della corrispondenza della qualifica alle mansioni svolte.
In via teorica è valida la "clausola di riconoscimento formale" o di "investitura" aziendale, finalizzata da parte datoriale a far sì che il conferimento della qualifica di dirigente, a prescindere dalla qualità e responsabilità immanenti alle mansioni disimpegnate dal lavoratore, sia sottoposto al gradimento aziendale, infatti la qualifica non scatta se l'azienda non la riconosce all'aspirante alla categoria dirigenziale con un provvedimento formale (comunicazione, lettera o equipollente), come già sottolineato è necessario e sufficiente che sia dimostrato l'espletamento di fatto delle relative mansioni, caratterizzate dalla preposizione ad uno o più servizi con ampia autonomia decisionale e non occorre anche una formale investitura trasfusa in una procura speciale.
Il dirigente è il lavoratore che si configuri come alter ego dell'imprenditore e che sia preposto alla direzione dell'intera organizzazione aziendale, o di una branca o di un settore autonomo di essa. Inoltre, è necessario che, ai fini del riconoscimento della qualifica in questione, il lavoratore abbia in concreto una serie di attribuzioni che, per la loro ampiezza e per i conseguenti poteri di iniziativa e discrezionalità, gli consentano di imprimere un indirizzo e un orientamento al governo complessivo dell'azienda e alla scelta dei mezzi produttivi. In altre parole il dirigente ha una responsabilità ad alto livello, che gli deriva appunto da quel potere di indirizzo di cui si è appena detto, ed è unicamente sottoposto all'osservanza delle direttive programmatiche del datore di lavoro. Quindi un dirigente non può essere sottoposto a vincoli di subordinazione gerarchica nei confronti di altri dirigenti. Più precisamente, è stato affermato che vi è incompatibilità tra la qualifica di dirigente e l'esercizio di mansioni con vincolo di dipendenza gerarchica, e ciò anche nei casi di aziende caratterizzate da una complessa organizzazione e da una pluralità di dirigenti con graduazione di compiti: per la sussistenza di funzioni dirigenziali, occorre che le mansioni, per il loro corretto svolgimento, siano coordinate con quelle degli altri dirigenti e non già subordinate ad altre.
Tale affermazione preclude la strada a molti lavoratori che intendono ottenere la qualifica di dirigente, può tornare utile a quei lavoratori che, di fatto, hanno ottenuto la qualifica di dirigente, pur senza ricoprire un ruolo apicale nell'ambito della gerarchia aziendale. Infatti, costoro, in caso di licenziamento, potrebbero invocare il principio della incompatibilità tra la qualifica dirigenziale e la subordinazione ad altri dirigenti, e ciò al fine di rivendicare, nei propri confronti, l'applicabilità delle norme di legge che tutelano i licenziamenti privi di giusta causa o giustificato motivo che, come è noto, non si applicano ai dirigenti. Oppure potrebbero lamentare una dequalificazione, con conseguente richiesta di risarcimento del danno professionale.
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