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martedì 31 ottobre 2017

Lavoratori dipendenti: bonus di 80 euro in busta paga


Sale di 600 euro il tetto di reddito annuo per i beneficiari del bonus Irpef di 80 euro al mese. Dal 2018 il beneficio pieno andrà ai redditi fino a 24.600 euro, quello parziale a quelli compresi fra questa somma e 26.600 euro. Con l’aumento disposto dalla legge di Bilancio verrà tra l’altro garantito agli statali il previsto aumento di 85 euro lordi con il rinnovo dei contratti senza che una parte dei lavoratori perda il bonus da 80 euro per il superamento dei tetti di reddito.

Nuove le soglie di reddito, che passano rispettivamente da 24 mila a 24.600 e da 26 mila a 26.600. In questo modo sarebbero salvi gli 80 euro anche per i dipendenti pubblici alla luce degli aumenti degli stipendi statali. Nessuna novità, invece, per chi ha uno stipendio basso, sotto gli 8mila euro annui: per questi lavoratori il diritto al bonus Renzi non c’è e non ci sarà, considerando che la detrazione per reddito da lavoro dipendente, sotto questa soglia di reddito, supera l’Irpef.


BENEFICIARI – A partire dal prossimo 1° gennaio 2018 potranno beneficiare del bonus:

in misura piena, i lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato con redditi fino a 24.600 euro;
in misura parziale e proporzionata al proprio reddito i lavoratori dipendenti statali e privati fino a 26.600.

REGOLE E COSA CAMBIA – I requisiti di reddito specificati nel D.L. 66/2014 e in vigore attualmente sono i seguenti:

reddito inferiore a 8 mila euro: 0 euro;

reddito compreso tra 8 euro e 24 mila euro: 960 euro all’anno di bonus;

reddito tra i 24 mila e i 26 mila euro: 26.000 – reddito complessivo/2000 x 960.

A partire dal prossimo anno, la Legge di Bilancio 2018 cambia gli ultimi due punti e i requisiti di reddito potrebbero essere i seguenti:

reddito compreso tra 8 mila euro e 24.600 euro: 960 euro all’anno di bonus;
reddito tra i 24.600 e i 26.600 euro: 26.600 – reddito complessivo/2000 x 960.

A CHI NON SPETTA – Nel caso in cui in sede di dichiarazione dei redditi i lavoratori dipendenti statali e del settore privato dovessero superare le soglie di reddito previsto la legge prevede la restituzione completa del bonus Renzi di 80 euro. Stesse regole anche per chi non supera il reddito di 8 mila euro e quindi non è titolare del diritto a beneficiare del credito Irpef in busta paga.

Aumento soglia di reddito bonus 80 euro 2018: per effetto della nuova legge di bilancio 2018, a partire dal 1° gennaio 2018, aumenta la soglia di reddito per accedere al bonus 80 euro di Renzi. Tale aumento, infatti, si è reso necessario per non sterilizzare l'aumento di stipendio dei dipendenti coinvolti dal rinnovo dei contratti statali, bloccati da più di 7 anni.

Con il rinnovo del contratto statale, infatti, la ministra Madia e i sindacati, hanno concordato per i dipendenti pubblici, un aumento di stipendio proporzionale in base al reddito del lavoratore e fino ad un massimo di 85 euro.
Un aumento questo, che sin da subito ha mostrato qualche lacuna, una tra tutte, il fatto che avrebbe potuto azzerare il bonus 80 euro a causa dell'aumento del reddito del dipendente ed il conseguente superamento della soglia reddituale.

Tale aumento di soglia di reddito, non sarà a beneficio solo del bonus 80 euro 2018 dipendenti pubblici ma tutti lavoratori e porterà dunque ad un allargamento della platea dei beneficiari.




domenica 2 novembre 2014

Addizionali Irpef in busta paga 2015 costano più delle altre tasse



Addizionali comunali e regionali aumentano a dismisura: sono più care di Tari  Tasi messe assieme. Tra il 2010 e il 2015 le addizionali comunali e regionali sono aumentate e aumenteranno a dismisura, è quanto. denuncia l’Ufficio studi della CGIA: per un impiegato del 35 per cento, per un operaio e un lavoratore autonomo del 36 per cento, per un quadro del 38 per cento e per un dirigente del 41 per cento. Se in una abitazione principale media tra Tasi (150/170 euro circa ) e Tari (300/350 euro circa) una famiglia di 3 persone nel 2014 paga al Comune di residenza attorno ai 500 euro, tra l'addizionale comunale e quella regionale, invece, Quindi impiegato dovrà  pagare 732 euro, un lavoratore autonomo 924 euro, un quadro 1.405 euro e un dirigente 3.583 euro. Solo nel caso dell’operaio la situazione si capovolge: le addizionali si attestano, infatti, intorno ai 430 euro.

“Salvo rare eccezioni – afferma il segretario della CGIA Giuseppe Bortolussi – negli ultimi anni le addizionali Irpef hanno subito dei forti incrementi, sia per compensare i tagli dei trasferimenti statali, sia per fronteggiare gli effetti della crisi che hanno messo a dura prova i bilanci delle Regioni e dei Comuni. Risultato? Gli italiani si sono ritrovati con i portafogli più leggeri”.

Ma l’aspetto singolare di questa vicenda è che il loro peso economico è superiore a quello di Tari e Tasi messe assieme. Se in una abitazione principale media tra Tasi (150/170 euro circa) e Tari (300/350 euro circa) una famiglia di 3 persone nel 2014 paga al Comune di residenza attorno ai 500 euro, tra l’addizionale comunale e quella regionale, invece, un impiegato quest’anno versa 732 euro, un lavoratore autonomo 924 euro, un quadro 1.405 euro e un dirigente 3.583 euro. Solo nel caso dell’operaio la situazione si capovolge: le addizionali si attestano sui 430 euro, contro i 500 euro circa che verserà quest’anno di Tasi più Tari.

“Pur costando mediamente meno delle addizionali Irpef – conclude Bortolussi – la Tari e la Tasi sono le tasse locali più avversate dai cittadini. La ragione di questo paradosso va ricercata nelle modalità di pagamento di queste imposte. Le addizionali Irpef vengono prelevate mensilmente alla fonte, di conseguenza il contribuente non ha la percezione di quanto gli viene decurtato lo stipendio o la pensione. Per il pagamento della Tasi e della Tari, invece, i cittadini devono mettere mano al portafogli per onorare le scadenze e recarsi fisicamente in banca o alle Poste. Operazioni che psicologicamente rimangono ben impresse nella mente di ciascuno”.

Vediamo quanto peseranno nelle tasche degli italiani le addizionali comunali e regionali Irpef. Le aliquote applicate sono quelle medie nazionali per livello di reddito riportate più sotto (vedi Tab.1 e Tab.2 nel link sottostante). Gli importi sono riferiti all’anno di imposta 2014 che, come prassi, verranno pagati nel 2015.

Un operaio con uno stipendio mensile netto pari di quasi 1.290 euro, ha visto aumentare in questi ultimi 6 anni il carico fiscale di 114 euro (+36%). Nel 2015 pagherà 429 euro (- 1 euro rispetto al 2014).

Un impiegato con uno stipendio netto di poco superiore ai 1.800 euro al mese, tra il 2010 e il 2015 versa 195 euro in più, pari ad un aumento del 35%. L’anno prossimo pagherà 747 euro (+ 15 euro rispetto al 2014).

Un lavoratore autonomo con un reddito annuo di 40.000 euro ha subito un incremento di imposta di 253 euro (+36%). Nel 2015 il peso delle addizionali sarà pari a 747 euro (+ 15 rispetto al 2014).

Un quadro con uno stipendio mensile netto di circa 3.000 euro al mese, ha subito, invece, un aggravio di 403 euro (+38%). L’anno prossimo verserà 1.455 euro (+ 50 euro rispetto al 2014).

Un dirigente, infine, con uno stipendio di quasi 7.000 euro netti al mese ha visto aumentare il peso delle addizionali di 1.094 euro (+41%). Nel 2015 le addizionali peseranno per un importo complessivo di 3.753 euro (+ 170 euro rispetto l’anno prima).

Ovviamente, fanno notare dalla CGIA, il prelievo delle addizionali è proporzionale al reddito. La crescita del peso fiscale legato alle addizionali è da addebitare anche alle modifiche legislative avvenute in questi ultimi anni.

- Addizionale comunale IRPEF: nel 2009 e nel 2010 vigeva il “blocco” delle aliquote. Solo nel 2011 e poi definitivamente nel 2012 è stata ridata la possibilità ai Sindaci di aumentare le aliquote sino ad un valore massimo dello 0,8%. Analizzando quelle applicate nei 108 Comuni capoluogo di provincia, si nota che:
 sono 60 i Sindaci che hanno elevato l’aliquota al livello massimo dello 0,8%, pur riconoscendo delle soglie di esenzione;

solo Trento e Gorizia non applicano l’addizionale comunale Irpef;

una dozzina di Comuni hanno aumentato le aliquote nell’ultimo anno, mentre sono solo un paio quelli che hanno ridotto il prelievo.

- Addizionale regionale IRPEF: anche i Governatori hanno subito il blocco delle aliquote, tuttavia le Regioni in disavanzo sanitario hanno attuato (e attuano tuttora) l’incremento dell’aliquota per ridurre il deficit. L’aliquota base dell’addizionale regionale era pari allo 0,9% sino al 2010; è stata elevata all’1,23% dal cosiddetto “Salva Italia” del 2011. Sino al 2013 l’aliquota base poteva essere elevata di altri 0,5 punti percentuali, raggiungendo l’1,73%. Dal 2014 può essere elevata di 1,1 punti percentuali: pertanto dall’1,23% si può toccare la soglia massima del 2,33%. Nel caso in cui la Regione sia in disavanzo sanitario e non abbia rispettato gli obiettivi intermedi del piano di rientro, l’aliquota dell’addizionale regionale Irpef viene elevata di ulteriori 0,3 punti percentuali oltre il livello massimo. Nel 2014 si trova in questa situazione il Molise che aveva articolato la maggiorazione dell’aliquota per scaglioni di reddito. Per effetto di questa regola l’aliquota dell’ultimo scaglione è salita sino al 2,63%. Infatti, a rendere ancora più variegata la situazione vi è la possibilità che le Regioni modulino le variazioni dell’addizionale regionale per scaglioni di reddito.

Più della Tasi le addizionali Irpef. Uno studio della Cgia di Mestre, ha rivelato che tra il 2010 e il 2015 le addizionali comunali e regionali aumenteranno a dismisura: per un impiegato del 35%, per un operaio e un lavoratore autonomo del 36%, per un quadro del 38% e per un dirigente. Il loro peso economico è superiore a quello di Tari e Tasi messe assieme.



sabato 15 marzo 2014

Irpef e detrazioni: ecco come dovrebbe aumentare la busta paga




Taglio lineare dell'Irap con sforbiciata alle aliquote; detrazione Irpef che passa da 1.880 a 2.400 euro e si allarga a tutti i redditi fino a 20mila euro, contro gli 8mila attuali, per modularsi poi in discesa man mano che i redditi salgono e azzerarsi a quota 55mila euro, come accade adesso. All'aumentare del reddito, invece, lo sconto fiscale per i dipendenti si abbassa progressivamente, per annullarsi poi una volta raggiunta la soglia dei 55mila euro di retribuzione lorda annua.

Quindi si potrebbe verificare un aumento delle detrazioni per lavoro dipendente, allo scopo di far scendere l'irpef e far salire gli stipendi. È la soluzione che il governo e i tecnici stanno studiando, per tener fede alla promessa di Matteo Renzi di aumentare i salari netti di circa 80-85 euro al mese, per chi ne guadagna meno di 1.500.

Il percorso più facile per arrivare a questo esito consiste appunto in un aumento delle detrazioni, cioè della somme che ogni anno i contribuenti possono sottrarre dall'importo dell'Irpef (imposta sui redditi delle persone fisiche ) dovuta all'erario. Di detrazioni Irpef nel nostro sistema fiscale ne esistono diverse: ci sono per esempio quelle per i carichi di famiglia, cioè per i coniugi o i figli a carico, quelle per le spese sanitarie e ci sono anche quelle che derivano dalla situazione professionale del contribuente.

In pratica, una volta calcolata l'imposta lorda, i pensionati possono detrarre dall'importo dovuto una cifra fino a 1.783 euro, mentre i lavoratori autonomi beneficiano di uno sconto massimo di 1.100 euro circa. Un po' più fortunati sono invece i lavoratori dipendenti che, con le regole attuali stabilite dal governo Letta, hanno diritto a una detrazione massima di 1.880 euro, riconosciuta a chi guadagna poco più di 8mila euro lordi l'anno.

Per abbassare la tassa Irpef soltanto ai lavoratori dipendenti, basta agire proprio sulle detrazioni a loro identificate, escludendo i pensionati e gli autonomi. Per chi guadagna tra 20mila e 25mila euro lordi all'anno (tra 1.250 e 1.500 netti al mese) la detrazione per lavoro dipendente aumenterebbe (rispetto a quella fissata oggi) di una cifra tra 1.020 e 1.060 euro annui, facendo scendere l'irpef dovuta (e crescere lo stipendio) di circa 80 euro al mese, considerando anche la tredicesima. E' in questa fascia di reddito, compresa appunto tra 20mila e 25mila euro annui, che si concentreranno i benefici maggiori.

Discorso diverso, invece, per i dipendenti che guadagnano meno di 20mila euro all'anno. Se le ipotesi in circolazione saranno confermate, questi lavoratori devono aspettarsi un taglio dell'irpef e un aumento di stipendio minori rispetto a quelli calcolati sopra (o addirittura, in certi casi, non ci sarà nessun aumento). Esempio: chi guadagna meno di 8mila euro lordi annui (poco più di 600 euro netti al mese), già oggi non paga nulla di irpef e dunque non vedrà la busta paga salire neppure di un centesimo per effetto dell'aumento delle detrazioni. Un po' più fortunato è in teoria un lavoratore con una retribuzione lorda di 16mila euro ogni 12 mesi, che corrispondono a poco più di mille euro netti. In questo caso, la manovra del governo farà crescere il reddito di quasi 880 euro all'anno che, sempre tenendo conto anche della tredicesima, corrispondono a un aumento medio superiore a 70 euro al mese.

Se però lo stesso contribuente ha un coniuge e due figli a carico, rischia paradossalmente di rimanere beffato. Oggi, infatti, con le detrazioni per i carichi di famiglia che già esistono, anche questo lavoratore non paga nulla di irpef e riceve uno stipendio netto ben più alto di un suo collega single (1.200 euro circa al mese, contro i mille dell'altro). Dunque, la retribuzione netta del contribuente con i familiari a carico, a differenza di quella del collega single, rimarrà ferma anche dopo la manovra di Renzi.

Per conoscere i dettagli reali della riduzione delle tasse per lavoratori e imprese si dovrà comunque aspettare la stesura del decreto legge che, vista la data fissata da Renzi con gli aumenti delle buste paga di fine maggio, andrà definito e approvato dal Governo entro la fine di marzo 2014.

domenica 18 agosto 2013

Fisco le scadenze per i contribuenti a partire da agosto 2013



Ricordiamo che tutti gli adempimenti fiscali, la cui scadenza è compresa tra l'1 ed il 20 agosto del 2013, possono essere effettuati entro il 20 agosto del 2013 senza l'applicazione di sanzioni o corrispettivi aggiuntivi a titolo di interessi.

E' questa infatti la cosiddetta tregua fiscale estiva che ha permesso ai contribuenti di andare in vacanza e procedere agli adempimenti fiscali dopo il Ferragosto. Ne consegue che quello del 20 agosto del 2013 è il termine ultimo per tanti adempimenti fiscali.

Il Fisco chiama in cassa dopo una breve pausa estiva. L'ultima scadenza è stata infatti il 9 agosto scorso con il versamento dell'imposta di bollo. Ma martedì 20 agosto arriva la 'valanga'. Sono infatti ben 262 le scadenze per i contribuenti: 258 versamenti diversi, 1 comunicazione e 3 adempimenti contabili.

Insomma una quantità notevole nel quale bisogna muoversi.

Ecco alcune delle scadenze principali in particolare per le persone fisiche:

Versamento della terza rata dell'Irpef relativa ai maggiori ricavi o compensi indicati nella dichiarazione dei redditi,con applicazione degli interessi nella misura dello 0,42%

Persone fisiche titolari di partita Iva che rateizzano e che hanno effettuato il primo versamento entro il 17 giugno: versamento terza rata primo acconto 2013 e saldo 2012 dell'Irpef

Persone fisiche titolari di partita Iva che rateizzano e che hanno effettuato il primo versamento entro il 17 giugno: terza rata acconto Irpef sui redditi soggetti a tassazione separata da indicare in dichiarazione e non soggetti a ritenuta alla fonte.

Persone fisiche titolari di partita Iva soggette agli studi di settore che rateizzano e che hanno effettuato il primo versamento entro l'8 luglio: versamento terza rata primo acconto 2013 e saldo 2012 dell'Irpef.

Soggetti che si adeguano alle risultanze degli studi di settore nella dichiarazione dei redditi e nella dichiarazione Irap che hanno scelto il pagamento rateale ed hanno effettuato il primo versamento entro l'8 luglio.

Versamento della terza rata dell'Irap relativa ai maggiori ricavi o compensi indicati nella dichiarazione dei redditi, con applicazione degli interessi nella misura dello 0,42%.

Cedolare secca per le persone fisiche soggette agli studi di settore: versamento saldo 2012 e primo acconto 2013.

Versamento dell'Iva dovuta per il secondo trimestre (maggiorata dell'1% ad esclusione dei regimi speciali).

Versamento, in unica soluzione o come prima rata, dell'Ires, a titolo di saldo per l'anno 2012 e di primo acconto per l'anno 2013, con la maggiorazione dello 0,40% a titolo di interesse corrispettivo.

Per chi è soggetto agli studi di settore versamento della terza rata dell'Irap relativa ai maggiori ricavi o compensi indicati nella dichiarazione dei redditi, con applicazione degli interessi nella misura dello 0,42%.

Versamento dell'imposta sostitutiva applicata su ciascuna plusvalenza realizzata nel secondo mese precedente (regime del risparmio amministrato).

sabato 23 marzo 2013

Lavoro e fisco la prima fotografia del Ministero dell’economia del 2013

Quasi 10 milioni di italiani hanno l'Irpef pari a zero. La busta paga media sale a 19.655 euro mentre la metà dei contribuenti dichiara meno di 15.723 euro e 9 su 10 non superano i 35.600. Questa è la fotografia scattata dal ministero dell'Economia che ha pubblicato le dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche relative all'anno d'imposta 2011. I lavoratori autonomi sono a i primi in classifica per i redditi Irpef e i paperoni d'Italia sono circa 28.000.

Il reddito complessivo totale a livello nazionale dichiarato è pari a 805 miliardi di euro mentre il reddito medio è pari a 19.655 euro. Sia il reddito totale che quello medio sono in aumento rispetto all'anno precedente (rispettivamente +1,5% e +2,1%), in linea con l'andamento del Pil nominale.

La regione con reddito medio complessivo più elevato è la Lombardia (23.210 euro), seguita dal Lazio (22.160 euro), mentre la Calabria ha il reddito medio più basso con 14.230 euro. Nel 2011 si registra un ulteriore allargamento del divario nord-sud rispetto al 2010: si riscontra infatti una crescita superiore del reddito complessivo medio nelle regioni settentrionali rispetto al resto del Paese; gli incrementi variano da un massimo del 2,2% al nord-ovest ad un minimo dell'1,0% nelle isole.

Circa 9,7 milioni di contribuenti hanno imposta netta Irpef pari a zero. Si tratta, in modo prevalente di contribuenti con livelli reddituali compresi nelle soglie di esenzione, ovvero di contribuenti la cui imposta lorda si azzera con le numerose detrazioni riconosciute dal nostro ordinamento.

Il 5% dei contribuenti con i redditi più alti, detiene il 22,9% del reddito complessivo, ossia una quota maggiore a quella detenuta dal 55% dei contribuenti con i redditi più bassi. Il 90% dei soggetti dichiara invece un reddito complessivo fino a 35.601 euro. Il numero totale di contribuenti che hanno assolto direttamente l'obbligo dichiarativo attraverso la presentazione dei modelli di dichiarazione Unico e 730, ovvero indirettamente attraverso la dichiarazione dei sostituti d'imposta (Modello 770), è circa 41,3 milioni (-0,5% rispetto all'anno precedente).

I ricchi d'Italia sono circa 28mila: tanti infatti sono i soggetti tenuti al pagamento del contributo di solidarietà del 3% sulla parte di reddito eccedente i 300 mila euro, per un ammontare complessivo di 260 milioni di euro (poco più di 9.000 euro in media, deducibili dal reddito complessivo Irpef).

I lavoratori autonomi hanno il reddito medio più elevato, pari a 42.280 euro mentre il reddito medio dichiarato dagli imprenditori è pari a 18.844 euro. Il reddito medio dichiarato dai lavoratori dipendenti è pari a 20.020 euro, quello dei pensionati a 15.520 euro e, infine, il reddito medio da partecipazione è pari a 16.670 euro. Rispetto all'anno d'imposta 2010 i redditi medi d'impresa (+3,7%), da pensione (+3,6%) e da lavoro autonomo (+2,3%) crescono piu' del reddito medio complessivo (+2,1%), mentre il reddito medio da lavoro dipendente (+1,1%) e da partecipazione (+1,0%) crescono meno.

C'è anche un balzo dell'addizionale regionale all'Irpef che ammonta complessivamente a 11 miliardi di euro (+27% sul 2010)), influenzato dall'innalzamento delle aliquote di 0,33 punti percentuali che ha portato l'aliquota base all'1,23% (0,9% nel 2010), raggiungendo un importo medio per contribuente pari a 360 euro. L'addizionale regionale media più alta si registra nel Lazio (450 euro), seguito dalla Campania (430 euro) mentre la più bassa in Basilicata (240 euro). L'addizionale comunale ammonta invece complessivamente a 3,4 miliardi di euro (+11% rispetto al 2010) con un importo medio pari a 130 euro.

Le detrazioni fiscali ammontano a più di 62 miliardi di euro, il 94% delle quali è composto da carichi di famiglia (18,2%), redditi da lavoro dipendente e pensione (67,1%) e oneri detraibili al 19% (8,5%). Nel 2011 le deduzioni ammontano a 30,9 miliardi di euro di cui 22,4 miliardi relative a oneri deducibili e 8,5 miliardi a deduzioni per abitazione principale. Risultano in flessione le deduzioni dei contributi ai servizi domestici e familiari (-4,4%), delle detrazioni per erogazioni a favore di istituzioni religiose (-3,5%) e delle detrazioni per erogazioni a favore delle Onlus (-6,9%), che sembrano essere frutto di scelte di riallocazione della spesa delle famiglie mentre continuano ad aumentare le spese sostenute per addetti all'assistenza personale (badanti) (+5,6%).

venerdì 25 gennaio 2013

Allarme di Confindustria sulla riforma del lavoro Monti-Fornero

«La crisi sta lasciando profonde ferite». «È emergenza economica e sociale», avverte Confindustria in un documento di proposte presentato alla politica in vista del voto. «Servono scelte immediate, forti e coraggiose. Senza queste scelte nei prossimi anni non cresceremo più dello 0,5% l'anno», «l'alternativa è il declino». Lo ha detto il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, presentando "Il Progetto Confindustria per l'Italia: crescere si può, si deve".

Confindustria, ha spiegato Squinzi, in vista delle elezioni ha individuato «tre obiettivi fondamentali per ritrovare la crescita. Il primo è di una crescita superiore al 2% annuo, il secondo è di rimettere il manifatturiero al centro dell'attenzione del Paese, riportandone l'incidenza sul Pil oltre il 20% (oggi siamo al 16,7%), e il terzo è un rapporto tra debito pubblico e il Pil nell'ordine del 100%».

Le proposte di Confindustria «innalzeranno il tasso di crescita al 3%, portando a un aumento del Pil di 156 miliardi di euro in cinque anni», ha sottolineato Squinzi. Il numero uno di Confindustria ha poi spiegato che l'occupazione si espanderebbe di 1,8 milioni di unità e il tasso di disoccupazione scenderebbe, sempre in cinque anni, all'8,4% dal 12,3% atteso per il 2014.

Occorre dare ossigeno alle imprese pagando immediatamente i 48 miliardi di debiti commerciali accumulati dallo Stato e dagli enti locali, che rappresentano un debito pubblico occulto. Poi è necessario cancellare l'Irap in tutti i settori e tagliare dell'8 il costo del lavoro nel manifatturiero. Indispensabile poi raddoppiare gli investimenti in infrastrutture, ridurre l'Irpef sui redditi di lavoro bassi, sostenere gli investimenti in ricerca e nuove tecnologie, abbassare il costo dell'energia.

Le proposte del documento programmatico di Confindustria, «una vera e propria tabella di marcia fino al 2018», si articolano in una «terapia d'urto» ed un «processo di riforme da avviare contestualmente e senza ritardo». «In vista dell'imminente tornata elettorale - spiega il documento - proponiamo un progetto di ampio respiro, insieme ambizioso e realizzabile, fatto di azioni di rilancio economico e sociale del Paese. Un progetto complesso con proposte serie e obiettivi chiari e quantificati, perché non bastano poche singole misure per risollevare l'Italia e sottrarla alla stagnazione». Un progetto «che non guarda al consenso ma alla crescita, che dice la verità su quello che serve per il bene del Paese».

«Riteniamo che la riforma del lavoro non sia stata sufficiente ad una vera liberalizzazione del mercato del lavoro e ad una sua vera flessibilizzazione» ha aggiunto Squinzi. «Riteniamo che il prossimo governo dovrà portarci più in linea con quanto fatto negli altri Paesi europei» chiede il leader degli industriali."Dobbiamo riconquistare la crescita, creare lavoro, rimettere al centro le imprese" e ridare fiducia agli italiani, per restituire i nostri giovani un futuro di progresso e di crescita". L'articolo 18, ha spiegato «tocca in modo particolare la sensibilità di alcuni settori produttivi, complessivamente credo che dobbiamo avvicinarci agli standard europei». Parametri Ue anche per l'armonizzazione delle aliquote più basse dell'Iva, «recependo le indicazioni europee» per recuperare fondi da destinare alla riduzione dell'Irpef.

giovedì 1 novembre 2012

Legge di stabilità 2013 per i lavoratori dipendenti


Niente più taglio delle aliquote Irpef, e destinazione dei risparmi alla sterilizzazione della aliquota intermedia dell'Iva, quella del 10%, e a detrazioni a favore del lavoro. Con la legge di Stabilità 2013: saltano il taglio delle aliquote IRPEF per i primi scaglioni di reddito e la retroattività al 2012 per detrazioni e deduzioni fiscali, a beneficio di una riduzione del cuneo fiscale e della abolizione dell’aumento IVA per la sola aliquota del 10% che non salirà all’11%.

Quindi non è una sorpresa neppure l’abolizione del taglio alle aliquote IRPEF per i redditi fino a 28mila euro. Le imprese avevano espressamente chiesto al Governo di abolire gli sconti per i contribuenti con redditi inferiori preferendovi un taglio del cuneo fiscale.

In sintesi, si dirottano le risorse per ridurre le tasse ai meno abbienti per finanziarie interventi che possano ridurre il costo del lavoro per le imprese (obiettivo: favorire produzione e investimenti) e compensare il mancato aumento dell’aliquota IVA all’11% (obiettivo: non massacrare i consumi).

Le misure che il Governo adotterà per ridurre il cuneo fiscale andranno in primis a vantaggio dei dipendenti e solo in un secondo momento a beneficio anche delle imprese: «prima si redistribuiranno le risorse residue dal mancato taglio delle aliquote al costo del lavoro, privilegiando per il 2013 i lavoratori dipendenti, e dal 2014, una volta valutate le risorse disponibili, anche le imprese», ha dichiarato il relatore Pier Paolo Baretta.

«Nell'ordine - ha precisato Baretta - prima si provvederà a evitare l'aumento dell'Iva e quindi si redistribuiranno le risorse residue dal mancato taglio delle aliquote al costo del lavoro, privilegiando per il 2013 i lavoratori dipendenti, e dal 2014, una volta valutate le risorse disponibili, anche le imprese». Renato Brunetta ha invece «dato atto al Governo che ci sarà una buona riscrittura del testo» e «sarà riscritta interamente e sarà più intelligente».

Dunque salta la riduzione di un punto dei primi due scaglioni delle aliquote Irpef che restano al 23 e al 27%. Con quelle risorse, hanno spiegato i relatori del ddl Stabilità, l'aliquota al 10% dell'Iva non aumenterà, viene «sterilizzata», e ci sarà un taglio del cuneo fiscale a favore del lavoratore per il 2013.

Ci sarà una identificazione del Fondo sociale da 900 milioni di Palazzo Chigi e l'istituzione di un nuovo fondo nel quale potrebbero essere riversate le risorse del cosiddetto piano Giavazzi. Sarà identificato nella parte strettamente sociale, il secondo dovrà invece servire alla riduzione del carico fiscale per famiglie e imprese.

Per cuneo fiscale si deve intendere il 68,3% dei profitti delle imprese, che  è oggi rappresentato da oneri fiscali e contributivi, come ha sottolineato il direttore generale di Confindustria, Marcella Panucci, in audizione al Parlamento sulla manovra finanziaria 2013, mettendo a più riprese l’accento sull’elevato «livello del cuneo fiscale e contributivo sul lavoro e del carico fiscale sulle imprese».
Due sono le possibili alternative, la seconda delle quali è la più accreditata:
1.destinare le risorse che il rigore nella gestione dei conti pubblici (spending review) e l’azione di contrasto all’evasione fiscale libereranno alla riduzione del cuneo fiscale.

2.rinunciare al taglio IRPEF in favore delle detrazioni su lavoro dipendente e riduzione IRAP.

Tema canto caro per i lavoratori dipendenti, ossia l’intervento su detrazioni e deduzioni resta in sospeso: però è data per scontata la cancellazione dell’effetto retroattivo, ma potrebbe entrare successivamente in vigore eventualmente in forma un po’ più raffinata.

domenica 14 ottobre 2012

Pensioni e assegni d'invalidità con sopratassa


Vi sono state delle novità “nascoste” presenti nella legge di stabilità. Si è parlato di tagli all'Irpef e aumento dell'Iva.

L'Irpef verrà applicato sulle pensioni di guerra e su quelle di invalidità per i contribuenti che hanno redditi superiori ai 15.000 euro.

E' previsto anche un taglio sui permessi per i disabili o per la cura di parenti con handicap, ossia chi usufruisce della legge 104. In questo caso è dimezzata la retribuzione per i 3 giorni, a meno che i permessi non siano fruiti per le patologie del dipendente stesso della P.a o per l'assistenza a figli o a coniuge. Quindi, non sono calcolati i permessi per i genitori: quei giorni saranno pagati al 50%.

A questo si aggiungono i calcoli sugli effetti dello sconto Irpef e dell'aumento Iva. Il primo, sostiene il Caf Cisl, vale al massimo 280 euro l'anno. L'Iva invece tassa i consumi e potrebbe erodere tra i 273 euro (calcoli Codacons) e i 500 euro (Coldiretti): l'aumento di un punto delle aliquote intermedia (dal 10 all'11%) e alta (dal 21 al 22%) colpisce l'acquisto di quasi tutti i beni, con l'esclusione di quelli considerati essenziali come il pane o la pasta. La futura aliquota dell'11%, ad esempio, si applicherà sui libri di scuola e sul latte, sui medicinali e sulle carni, sull'energia elettrica e sul cinema. Di fatto a perderci, nello scambio Irpef-Iva sono le famiglie che consumano più di quanto risparmiano, quelle cioè a reddito medio basso. Ma ci rimettono anche i commercianti. È vero che c'è un aumento dei prezzi (forse 8 decimi di punto) ma questo non dà più guadagni, bensì frena i consumi, sostiene Confcommercio.
Per le pensioni e le indennità di accompagnamento per gli invalidi, le pensioni di guerra di ogni genere, gli assegni previdenziali reversibili, le tredicesime e le indennità dei ciechi civili, le pensioni privilegiate dei militari, quelle connesse alle decorazioni all'Ordine militare, e perfino i "soprassoldi" (così ancora si chiamano gli assegni mensili) legati alle medaglie al Valor militare. Tutte queste prestazioni non saranno più esentasse, come oggi, ma sottoposte all'imposizione progressiva dell'Irpef per tutti i contribuenti che dichiarano oltre 15 mila euro annui lordi.
Le prestazioni dell'Inps legate all'invalidità sono 2 milioni e 733 mila. L'importo medio è piuttosto modesto, 404 euro mensili, ma le cifre in ballo sono impressionanti: pensioni e assegni di invalidità costano 3,8 miliardi di euro l'anno, le indennità di accompagnamento raggiungono addirittura i 12,9 miliardi di euro l'anno. Ed è proprio lì che i tagli (e i conseguenti risparmi) saranno più consistenti. Mentre le pensioni e gli assegni sono già commisurati al reddito, l'indennità di accompagnamento, anche questa esentasse, viene concessa agli invalidi che non possono camminare o hanno bisogno di assistenza per le attività quotidiane a prescindere dal reddito percepito. D'ora in poi chi beneficia di queste prestazioni e ha già redditi superiori ai 15 mila euro dovrà inserire gli assegni nella dichiarazione Irpef e sottoporli all'imposta.
L'effetto combinato meno Irpef più Iva penalizzerà le persone in gravi difficoltà economiche: i pensionati al minimo, i titolari di assegno sociale e i cassaintegrati subiranno l'aumento dell'Iva ma
nessun beneficio dalla riduzione delle aliquote Irpef". Lo afferma la Cgia di Mestre che ha svolto un'indagine. A regime, spiega lo studio, "questi aumenti potranno raggiungere i 75 euro all'anno.
Ha commentato Giuseppe Bortolussi della Cgia di Mestre - che in questa  fase di crisi profonda non si possono certo penalizzare i pensionati al minimo, i disoccupati o i cassaintegrati che, nella stragrande maggioranza dei casi, rientrano nell'area di esenzione fiscale e quindi non potranno godere della diminuzione delle aliquote dell'Irpef prevista dalla legge di stabilità".
Secondo l'elaborazione della Cgia di Mestre un pensionato al minimo di 66 anni con un reddito annuo di 7.321 euro "se manterrà gli stessi consumi del 2012, nel 2013 si ritroverà a pagare 22,75 euro in più di Iva, mentre nel 2014 l'aumento salirà a 45,50 euro". Prendendo invece ad esempio un pensionato titolare di assegno sociale con un reddito annuo di 5.577 euro questo, "se manterrà gli stessi consumi del 2012, nel 2013 pagherà 16,2 euro in più e nel 2013 subirà un aggravio di 32,4 euro". Ancora peggiori le conseguenze che subirà un cassaintergrato con moglie e un figlio a carico con un'indennità di circa 900 euro al mese: "Se questo nucleo familiare terrà gli stessi consumi del 2012, nel 2013 l'aggravio dovuto all'aumento dell'Iva sarà di 35 euro, mentre nel 2014 il maggior carico fiscale sarà di 71 euro.

sabato 13 ottobre 2012

Auto aziendali regime fiscale 2012-2013


Sulle auto aziendali arriva un giro di vite sulla deducibilità, da parte delle imprese, dei costi sostenuti: la percentuale scenderebbe dal 27 al 20%. Già la riforma del Lavoro del minostro Elsa Fornero aveva previsto dal 2013 un abbassamento della deducibilità dei costi delle auto aziendali.

Con il nuovo regime fiscale in vigore l’uso delle auto aziendali non si rivelerà più conveniente per le aziende che ne faranno utilizzo. La stretta fiscale che dal prossimo anno colpirà la deduzione dei costi relativi alle auto aziendali, che è stata ridotta dal 40% al 27,5%, e le problematiche sull'utilizzo delle stesse da parte dei soci anche per motivi personali stanno portando molte imprese a scegliere di intestare le autovetture direttamente agli amministratori per le società di capitali, agli accomandatari per le sas o ai soci.

Gli provvedimenti governativi prevedono l'abbassamento, a partire dal 2013, dell'aliquota di detraibilità dall'attuale 40% (per i veicoli adibiti a uso "non esclusivamente strumentale") al 27,5%, mentre per quelli in uso promiscuo ai dipendenti l'aliquota dovrebbe passare dal 90 al 70%. Mentre le ultime informazioni circolate in merito alla legge di stabilità ipotizzano una deducibilità ridotta addirittura al 20%. Insomma, un'ulteriore pesante mazzata sui conti che andrebbe in senso esattamente contrario rispetto a quanto auspicato dalle aziende che operano nel settore dell'autonoleggio e dalle società loro clienti, le quali reclamano da tempo un adeguamento del trattamento fiscale delle auto al regime in vigore negli altri maggiori Paesi dell'Unione Europea, dove la detraibilità è stabilita al 100%.

La richiesta di rimborso spese per i chilometri percorsi, infatti, consente la piena deducibilità Ires o Irpef di questi costi, in capo all'impresa, e l'intassabilità del rimborso, in capo al precettore.

L'Agenzia delle Entrate ha chiarito, per quanto riguarda questi rimborsi, che sia possibile dedurre il totale delle tariffa Aci e non solo la parte proporzionale alla percorrenza. Le indennità chilometriche, invece, hanno un limite massimo di deduzione per l'impresa, pari al costo di percorrenza relativo ad autoveicoli di potenza non superiore a 17 cavalli fiscali, cioè 20 se con motore diesel.

Le autovetture con 17 cavalli fiscali hanno una cilindrata tra 1505,9 e 1643,3 cc., mentre quelle di 20 cavalli fiscali tra 1930,6 e 2080,1 cc. Una risoluzione delle Entrate ha chiarito che per costo di percorrenza deducibile quale indennità chilometrica rimborsata ai dipendenti o ai titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa debba intendersi il costo complessivo di esercizio in euro al Km calcolato dall'Aci, comprensivo della quota relativa al costo non proporzionale al chilometraggio (assicurazione Rca, tassa automobilistica, quota interessi).

Quindi per le auto aziendali, cala la deducibilità. E nella legge di stabilità entra anche la possibilità di effettuare erogazioni liberali al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato e usufruire di uno sconto fiscale pari al 19% dell'erogazione. Il Fondo è stato istituito nel 1993 con lo scopo di rimborsare o ritirare titoli di Stato dal mercato per favorire la riduzione dello stock del debito. Il meccanismo previsto dalla legge di stabilità è simile a quello delle donazioni ai partiti e movimenti politici, con l'obiettivo di incentivare l'abbattimento del debito pubblico.

sabato 22 settembre 2012

Tasse sul lavoro e sulle imprese si devono ridurre

Ricordiamo che le tasse tedesche, inglesi, e soprattutto quelle spagnole hanno un alleato nel regime fiscale del paese in cui operano: meno tasse quindi più utili, un vantaggio competitivo incolmabile rispetto a italiane e francesi.

Facciamo un esempio. Una azienda che chiude il bilancio con circa 380mila euro di utile netto ne avrebbe guadagnati molti di più, diciamo quasi 600mila, se avesse avuto sede in Spagna. Il difetto è di una tassazione effettiva complessiva che sfiora il 58% dell'imponibile, che si sarebbe fermata al 29% se invece che italiana fosse stata una impresa spagnola. Questi sono i calcoli di Confindustria, che da tempo sollecita una riforma che alleggerisca il peso del fisco su "chi tiene in piedi il Paese", sia aziende che lavoratori.

Da questo studio emerge che le imprese tedesche, le inglesi, e soprattutto le spagnole, hanno un amico nel regime fiscale del paese dove operano: meno tasse quindi più utili, un vantaggio competitivo profondo rispetto a quello che si verifica in Italia e Francia. "L'imposizione fiscale complessiva in rapporto al reddito imponibile (effective tax rate) - spiega il rapporto - è decisamente superiore in Italia (58%) rispetto alla Germania (43%), al Regno Unito (40%) e alla Spagna (29%). Di poco diversa la situazione della Francia, dove il carico fiscale complessivo (60%) risulta lievemente superiore a quello italiano per effetto dell'indeducibilità del compenso corrisposto ad amministratori esterni all'impresa".

Lo studio che Confindustria ha elaborato in collaborazione con Deloitte, calcola l'onere fiscale complessivo di una società per azioni italiana (oltre alle imposte sul reddito, anche le altre principali forme di imposizione: ad esempio, le imposte locali sugli affari, sugli immobili, di solidarietà sociale, ed altre specifiche imposte locali) e l'ipotetico onere che la stessa impresa avrebbe subito se fosse stata localizzata in uno degli altri tre Paesi presi in esame.

La società presa in esame, come esempio dallo studio (ha un fatturato di 27,7 milioni di euro, esercita attività di ricerca e sviluppo nel campo dell'automazione di processi industriali e del testing di componenti e prodotti finiti, ha 180 dipendenti, ed esporta circa il 65% delle esportazioni), una volta pagate le tasse su un utile ante imposte di 986.503 chiude il bilancio (come regime si ipotizza quello del 2009) con un utile netto di circa 383mila euro in Italia, che sarebbe più basso dell'8% se l'azienda fosse in Francia, e più alto del 20% in Germania, del 37% in Gran Bretagna, e ben del 58% in Spagna dove supererebbe quota 600mila euro (605.347).

Lo studio prende anche in esame la tassazione del reddito in capo ai soci dell'azienda per l'utile distribuito dalla società, per verificare il diverso modo di affrontare il problema della doppia imposizione e l'effettivo onere fiscale complessivo nei diversi Paesi. Ed anche in questo caso la graduatoria è confermata. Il rapporto esamina diverse ipotesi di distribuzione di un dividendo. E nel caso sia pari al 50% dell'utile distribuibile in Italia, per esempio, l'imposizione fiscale sul socio sarebbe al 71% il Francia, al 66% in Italia, al 47% in Germania, al 38% in Gran Bretagna, al 27% in Spagna.

Vediamo quali potrebbero gli obiettivi da perseguire per dare un taglio alle tasse sia sul lavoro che sulle imprese.

In linea generale, cui deve essere un tentativo di concedere benefici fiscali sugli stipendi, privilegiando la parte variabile legata alla produttività e di introdurre elementi di maggior flessibilità in termini di orario e organizzazione del lavoro. E si dovrebbe pensare sia a misure che riducano la quota fissa dello stipendio aumentando il cosiddetto salario di produttività, a misure di defiscalizzaizone presenti nelle voci della busta paga, alla riduzione del cuneo fiscale, a incentivi all’assunzione dei giovani.

Ricordiamo che in questa disputa tra tasse ed “intenzioni” di abbassarle vi è un forte disaccordo tra chi muove le leve della politica e chi difende in principi dei lavoratori e delle aziende. Infatti Mario Monti ha bocciato l'ipotesi di abbassare l'irpef, mentre il ministro del lavoro Elsa Fornero ha ribadito la necessità di ridurre le tasse sulle retribuzioni senza però intaccare il gettito, cioè le entrate complessive dello stato. Non va dimenticato, poi, che l'ultima riforma del lavoro si è mossa invece nella direzione opposta: per finanziare i nuovi sussidi alla disoccupazione e scoraggiare l'utilizzo dei contratti precari, i contributi sulle busta paga verranno infatti innalzati nei prossimi anni, piuttosto che ridotti.

L'Italia ostenta da tempo un record negativo in Europa: quello di essere uno dei paesi con il costo del lavoro lordo più alto e con le retribuzioni nette (sottratti i contributi e le tasse) meno elevate. Secondo le rilevazioni dell'Ocse il salario medio netto di un lavoratore senza figli a carico è di poco superiore a 27.700 dollari, contro gli oltre 38mila della Gran Bretagna e i 33mila circa della Germania. E nello stesso tempo le retribuzioni lorde che incidono sui conti delle imprese non sono a buon mercato, ma mettono l'Italia ai vertici della classifica europea. Colpa delle tasse e dei contributi che, secondo le statistiche dell'Ocse, nel nostro paese pesano sui salari per quasi il 47%, 1 o 2 punti in meno della Francia o alla Germania ma quasi il 10-15% in più della Gran Bretagna e alla Spagna a addirittura oltre il 20% in più rispetto agli Stati Uniti e alla Svizzera.

Questo è uno dei motivi che un lavoratore italiano che percepisce uno stipendio medio-basso, pesa sui conti della sua azienda per una cifra più che doppia. Secondo le stime del Consiglio Nazionale dei Consulenti del lavoro, una busta paga netta di 1.300 euro al mese, comporta per l'impresa un esborso di oltre 2.700 euro ogni 30 giorni. A divorare le retribuzioni c'è una lunga sfilza di tasse e soprattutto di contributi. In primis quelli pensionistici che arrivano sino al 33% del salario (23% circa a carico delle imprese e oltre il 9% a carico del lavoratore), a cui va aggiunto un altro 7% circa per il Tfr (trattamento di fine rapporto), cioè la quota di stipendio accantonata tradizionalmente per la liquidazione (che può arrivare anche al 9-10%, con un contributo aggiuntivo, se il dipendente sceglie di destinare i soldi a un fondo della previdenza complementare). Qualche altro punto percentuale dello stipendio se ne va per i contributi sociali alla maternità e alla disoccupazione (variabili a seconda dei settori), mentre le aziende devono pagare pure l'IRAP (imposta regionale sulle attività produttive), che è legata anche al numero dei dipendenti dell'impresa.

Poi c’è l'IRPEF, (imposta sui redditi delle persone fisiche), che colpisce la busta paga (in questo caso al netto dei contributi) ed è una tassa progressiva, con aliquote comprese tra il 23 e il 43%, che crescono con l’aumento della retribuzione.

Comunque se effettivamente si vuole ridurre le tasse o i contributi sugli stipendi, il governo non avrà che l'imbarazzo della scelta, sempre che i vincoli del bilancio pubblico lo permettano e che sia la volontà di dare un aiuto concreto ai lavoratori e alle imprese.

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