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martedì 6 gennaio 2015

Legge di Stabilità 2015 le novità per lavoro e pensioni



La Legge di Stabilità 2015, contiene "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato". La legge, che consta di un unico articolo e 735 commi, entra in vigore il 1° gennaio 2015, fatte salve specifiche decorrenze previste dalle singole norme.

A seguire proponiamo una sintesi con le principali novità concernenti i lavoratori per quanto concerne, in particolare, gli aspetti del mercato del lavoro e previdenziali, con qualche accenno ad alcune norme di carattere fiscale.

Bonus 80 euro: norme di stabilizzazione del bonus. Si prevede un 'intervento con l'obiettivo di stabilizzare le norme, aventi carattere di transitorietà, sul "Bonus 80 sia di importo superiore a quello della detrazione spettante, compete un credito rapportato al periodo di lavoro nell’anno che non concorre alla formazione del reddito di importo pari a:

1) 960 euro, se il reddito complessivo non è superiore a 24.000 euro;

2) 960 euro, se il reddito complessivo è superiore a 24.000 euro ma non a 26.000 euro. Il credito spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 26.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l’importo di 2.000 euro. Ai fini della determinazione della soglia di reddito rilevante per l’attribuzione del Bonus 80 euro non si computano le riduzioni di base imponibile previste per i ricercatori che rientrano in Italia ; in sostanza, ai fini dell’attribuzione del bonus il reddito sarà considerato per intero. Sarà, infine, il sostituto d'imposta che riconoscerà al lavoratore in via automatica il credito spettante sugli emolumenti corrisposti in ciascun periodo di paga, rapportandolo al periodo stesso. Le somme erogate sono recuperate dal sostituto d’imposta mediante l’istituto della compensazione.

Incentivi per il rientro in Italia di ricercatori residenti all'estero. Il Legislatore interviene con l'allungamento dei periodi d’imposta nei quali si applicano le agevolazione fiscali in favore dei ricercatori che rientrano in Italia. Per la precisione la norma risulta modificata come segue: ai fini delle imposte sui redditi è escluso dalla formazione del reddito di lavoro dipendente o autonomo il 90% degli emolumenti percepiti dai docenti e dai ricercatori che, in possesso di titolo di studio universitario o equiparato e non occasionalmente residenti all'estero, abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza all'estero presso centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno due anni continuativi e che dalla data di entrata in vigore del decreto legge n. 78/2010 ed entro i sette (e non più cinque) anni solari successivi vengono a svolgere la loro attività in Italia, acquisendo conseguentemente la residenza fiscale nel territorio dello Stato.

Tassazione buoni pasto. Elevata la quota non sottoposta a tassazione a euro 7 (da euro 5.29), se il buono pasto è reso in formato elettronico.

Deduzione del costo del lavoro dall’IRAP. Viene modificato l'art. 11 del D.lgs. n. 446/97 recante "Disposizioni comuni per la determinazione del valore della produzione netta". In sintesi le modifiche sono le seguenti:

viene ammessa in deduzione ai fini IRAP a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, la differenza tra il costo complessivo per il personale dipendente a tempo indeterminato e le vigenti deduzioni spettanti a titolo analitico o forfetario riferibili sempre al costo del lavoro;

viene estesa l’integrale deducibilità IRAP del costo del lavoro per i produttori agricoli titolari di reddito agrario e a favore delle società agricole per ogni lavoratore dipendente a tempo determinato che abbia lavorato almeno 150 giornate ed il cui contratto abbia almeno una durata triennale;

viene introdotto un credito d’imposta IRAP nei confronti dei soggetti passivi che non si avvalgono di dipendenti nell’esercizio della propria attività, pari al 10% dell’imposta lorda determinata secondo le regole generali; il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione.

TFR in busta paga. In via sperimentale, in relazione ai periodi di paga decorrenti dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018, i lavoratori dipendenti del settore privato, esclusi i lavoratori domestici e i lavoratori del settore agricolo, che abbiano un rapporto di lavoro in essere da almeno sei mesi presso il medesimo datore di lavoro, possono richiedere al datore di lavoro medesimo di percepire la quota maturata del TFR, compresa quella eventualmente destinata ad una forma pensionistica complementare. Si procederà tramite liquidazione diretta mensile della medesima quota maturata come parte integrativa della retribuzione. Si applicherà alla predetta parte integrativa della retribuzione la tassazione ordinaria; quanto erogato non sarà imponibile ai fini previdenziali. Inoltre, soli fini della verifica dei limiti di reddito complessivo non si tiene conto dell’eventuale erogazione diretta della quota maturanda del TFR consentita dalla legge. La manifestazione di volontà, qualora esercitata, è irrevocabile fino al 30 giugno 2018.

Le presenti norme non si applicano nel caso di aziende sottoposte a procedure concorsuali/dichiarate in crisi

- per i datori di lavoro che abbiano alle proprie dipendenze meno di 50 addetti e non optino per lo schema di accesso al credito si applicano misure compensative di carattere fiscale e contributivo attualmente previste dall’articolo 10 del D.lgs. n. 252 del 2005 per le imprese che versano il TFR a forme di previdenza complementare ovvero al Fondo di Tesoreria istituito presso l’INPS, relativamente alle quote maturande liquidate come parte integrativa della retribuzione sopra descritte

- ai datori di lavoro che abbiano alle proprie dipendenze meno di 50 addetti, i quali optino per lo schema di accesso al credito, si applicano solo le disposizioni di cui al comma 2 dell’articolo 10 del D.lgs. n. 252 del 2005. I medesimi datori di lavoro versano un contributo mensile al Fondo di garanzia per l’accesso ai finanziamenti pari a 0,2 punti percentuali della retribuzione imponibile ai fini previdenziali nella stessa percentuale della quota maturanda liquidate come parte integrativa della retribuzione.

I datori di lavoro che non intendono corrispondere immediatamente con risorse proprie la quota maturanda possono accedere a un finanziamento assistito da garanzia rilasciata dal Fondo di garanzia per l'accesso al credito e da garanzia dello Stato, di ultima istanza. Il finanziamento è altresì assistito dal privilegio speciale in materia bancaria e creditizia.

Al fine di accedere ai finanziamenti: i datori di lavoro devono tempestivamente richiedere all’INPS apposita certificazione del TFR maturato in relazione ai montanti retributivi dichiarati per ciascun lavoratore e presentare richiesta di finanziamento presso una delle banche o degli intermediari finanziari che aderiscono all’apposito accordo-quadro da stipulare tra i Ministri del lavoro, dell’economia e l’ABI. Ai suddetti finanziamenti non possono essere applicati tassi, comprensivi di ogni eventuale onere, superiori al tasso di rivalutazione della quota di trattamento di fine rapporto lavoro.

Si prevede l'istituzione del Fondo di garanzia per l’accesso ai finanziamenti per le imprese con alle dipendenze un numero di addetti inferiore a 50, con dotazione iniziale pari a 100 milioni di euro per l’anno 2015. Gli interventi del Fondo sono assistiti dalla garanzia dello Stato quale garanzia di ultima istanza.

Norme sui requisiti contributivi per l'accesso alla pensione. Si tratta delle cd "penalizzazioni" legate al conseguimento della pensione anticipatamente rispetto alle decorrenze di legge: viene prevista l'eliminazione della relativa norma contenuta nella Riforma Fornero. In pratica, si fa riferimento ai soggetti che maturano il requisito di anzianità contributiva per l’accesso al trattamento pensionistico entro il 31 dicembre 2017 nei confronti dei quali non troveranno applicazione le penalizzazioni (riduzioni della pensione) previste per l’accesso alla pensione anticipata (ossia prima dei 62 anni). Nello specifico: sulla quota di trattamento relativa alle anzianità contributive maturate antecedentemente il 1° gennaio 2012 di tali soggetti non si applicano la riduzione percentuale pari ad 1 punto percentuale per ogni anno di anticipo nell’accesso al pensionamento rispetto all’età di 62 anni e di 2 punti percentuali per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a due anni.



sabato 22 settembre 2012

Tasse sul lavoro e sulle imprese si devono ridurre

Ricordiamo che le tasse tedesche, inglesi, e soprattutto quelle spagnole hanno un alleato nel regime fiscale del paese in cui operano: meno tasse quindi più utili, un vantaggio competitivo incolmabile rispetto a italiane e francesi.

Facciamo un esempio. Una azienda che chiude il bilancio con circa 380mila euro di utile netto ne avrebbe guadagnati molti di più, diciamo quasi 600mila, se avesse avuto sede in Spagna. Il difetto è di una tassazione effettiva complessiva che sfiora il 58% dell'imponibile, che si sarebbe fermata al 29% se invece che italiana fosse stata una impresa spagnola. Questi sono i calcoli di Confindustria, che da tempo sollecita una riforma che alleggerisca il peso del fisco su "chi tiene in piedi il Paese", sia aziende che lavoratori.

Da questo studio emerge che le imprese tedesche, le inglesi, e soprattutto le spagnole, hanno un amico nel regime fiscale del paese dove operano: meno tasse quindi più utili, un vantaggio competitivo profondo rispetto a quello che si verifica in Italia e Francia. "L'imposizione fiscale complessiva in rapporto al reddito imponibile (effective tax rate) - spiega il rapporto - è decisamente superiore in Italia (58%) rispetto alla Germania (43%), al Regno Unito (40%) e alla Spagna (29%). Di poco diversa la situazione della Francia, dove il carico fiscale complessivo (60%) risulta lievemente superiore a quello italiano per effetto dell'indeducibilità del compenso corrisposto ad amministratori esterni all'impresa".

Lo studio che Confindustria ha elaborato in collaborazione con Deloitte, calcola l'onere fiscale complessivo di una società per azioni italiana (oltre alle imposte sul reddito, anche le altre principali forme di imposizione: ad esempio, le imposte locali sugli affari, sugli immobili, di solidarietà sociale, ed altre specifiche imposte locali) e l'ipotetico onere che la stessa impresa avrebbe subito se fosse stata localizzata in uno degli altri tre Paesi presi in esame.

La società presa in esame, come esempio dallo studio (ha un fatturato di 27,7 milioni di euro, esercita attività di ricerca e sviluppo nel campo dell'automazione di processi industriali e del testing di componenti e prodotti finiti, ha 180 dipendenti, ed esporta circa il 65% delle esportazioni), una volta pagate le tasse su un utile ante imposte di 986.503 chiude il bilancio (come regime si ipotizza quello del 2009) con un utile netto di circa 383mila euro in Italia, che sarebbe più basso dell'8% se l'azienda fosse in Francia, e più alto del 20% in Germania, del 37% in Gran Bretagna, e ben del 58% in Spagna dove supererebbe quota 600mila euro (605.347).

Lo studio prende anche in esame la tassazione del reddito in capo ai soci dell'azienda per l'utile distribuito dalla società, per verificare il diverso modo di affrontare il problema della doppia imposizione e l'effettivo onere fiscale complessivo nei diversi Paesi. Ed anche in questo caso la graduatoria è confermata. Il rapporto esamina diverse ipotesi di distribuzione di un dividendo. E nel caso sia pari al 50% dell'utile distribuibile in Italia, per esempio, l'imposizione fiscale sul socio sarebbe al 71% il Francia, al 66% in Italia, al 47% in Germania, al 38% in Gran Bretagna, al 27% in Spagna.

Vediamo quali potrebbero gli obiettivi da perseguire per dare un taglio alle tasse sia sul lavoro che sulle imprese.

In linea generale, cui deve essere un tentativo di concedere benefici fiscali sugli stipendi, privilegiando la parte variabile legata alla produttività e di introdurre elementi di maggior flessibilità in termini di orario e organizzazione del lavoro. E si dovrebbe pensare sia a misure che riducano la quota fissa dello stipendio aumentando il cosiddetto salario di produttività, a misure di defiscalizzaizone presenti nelle voci della busta paga, alla riduzione del cuneo fiscale, a incentivi all’assunzione dei giovani.

Ricordiamo che in questa disputa tra tasse ed “intenzioni” di abbassarle vi è un forte disaccordo tra chi muove le leve della politica e chi difende in principi dei lavoratori e delle aziende. Infatti Mario Monti ha bocciato l'ipotesi di abbassare l'irpef, mentre il ministro del lavoro Elsa Fornero ha ribadito la necessità di ridurre le tasse sulle retribuzioni senza però intaccare il gettito, cioè le entrate complessive dello stato. Non va dimenticato, poi, che l'ultima riforma del lavoro si è mossa invece nella direzione opposta: per finanziare i nuovi sussidi alla disoccupazione e scoraggiare l'utilizzo dei contratti precari, i contributi sulle busta paga verranno infatti innalzati nei prossimi anni, piuttosto che ridotti.

L'Italia ostenta da tempo un record negativo in Europa: quello di essere uno dei paesi con il costo del lavoro lordo più alto e con le retribuzioni nette (sottratti i contributi e le tasse) meno elevate. Secondo le rilevazioni dell'Ocse il salario medio netto di un lavoratore senza figli a carico è di poco superiore a 27.700 dollari, contro gli oltre 38mila della Gran Bretagna e i 33mila circa della Germania. E nello stesso tempo le retribuzioni lorde che incidono sui conti delle imprese non sono a buon mercato, ma mettono l'Italia ai vertici della classifica europea. Colpa delle tasse e dei contributi che, secondo le statistiche dell'Ocse, nel nostro paese pesano sui salari per quasi il 47%, 1 o 2 punti in meno della Francia o alla Germania ma quasi il 10-15% in più della Gran Bretagna e alla Spagna a addirittura oltre il 20% in più rispetto agli Stati Uniti e alla Svizzera.

Questo è uno dei motivi che un lavoratore italiano che percepisce uno stipendio medio-basso, pesa sui conti della sua azienda per una cifra più che doppia. Secondo le stime del Consiglio Nazionale dei Consulenti del lavoro, una busta paga netta di 1.300 euro al mese, comporta per l'impresa un esborso di oltre 2.700 euro ogni 30 giorni. A divorare le retribuzioni c'è una lunga sfilza di tasse e soprattutto di contributi. In primis quelli pensionistici che arrivano sino al 33% del salario (23% circa a carico delle imprese e oltre il 9% a carico del lavoratore), a cui va aggiunto un altro 7% circa per il Tfr (trattamento di fine rapporto), cioè la quota di stipendio accantonata tradizionalmente per la liquidazione (che può arrivare anche al 9-10%, con un contributo aggiuntivo, se il dipendente sceglie di destinare i soldi a un fondo della previdenza complementare). Qualche altro punto percentuale dello stipendio se ne va per i contributi sociali alla maternità e alla disoccupazione (variabili a seconda dei settori), mentre le aziende devono pagare pure l'IRAP (imposta regionale sulle attività produttive), che è legata anche al numero dei dipendenti dell'impresa.

Poi c’è l'IRPEF, (imposta sui redditi delle persone fisiche), che colpisce la busta paga (in questo caso al netto dei contributi) ed è una tassa progressiva, con aliquote comprese tra il 23 e il 43%, che crescono con l’aumento della retribuzione.

Comunque se effettivamente si vuole ridurre le tasse o i contributi sugli stipendi, il governo non avrà che l'imbarazzo della scelta, sempre che i vincoli del bilancio pubblico lo permettano e che sia la volontà di dare un aiuto concreto ai lavoratori e alle imprese.

martedì 31 luglio 2012

Riforma del lavoro 2012 incentivi assunzioni

Le nuove agevolazioni per le aziende che assumono donne o lavoratori over 50, come previsto dalla riforma del in vigore dal 18 luglio ha introdotto una serie di regole per la corretta applicazione di incentivi e bonus assunzioni. Che probabilmente resta nella teoria.

Il governo e gli incentivi per i giovani: assunti 11mila under 35, ma i disoccupati sono oltre gli 836 mila.
Tra i numerosi interventi di stimolo, o tentato  all'economia e al mercato del lavoro, il governo dei tecnici ha introdotto, nel dicembre 2011, aiuti fiscali alle imprese che avrebbero assunto giovani under 35. Sembrava un intervento volto al la deducibilità integrale delle imposte dirette dell’Irap, relativa alla quota imponibile per le spese per il personale. In pratica si voleva cercare di dare una spinta all'occupazione giovanile riducendo in modo consistente, sia le tasse che il costo del lavoro per chi assumeva gli under 35. Passati  sette mesi dalla disposizione legislativa, secondo i dati forniti dal ministero del Lavoro, solo 3.085 aziende hanno richiesto (e ottenuto) il beneficio per un numero totale di assunzioni pari a 11 mila 442. Una goccia nell'oceano se si pensa che i disoccupati dai 25 ai 34 anni, secondo l'Istat, nel primo trimestre 2012 si sono attestati a 836 mila unità.

E per di più nel bel mezzo di una recessione non sono gli incentivi sui contributi o sulle imposte il solo elemento che induce le aziende ad assumere. Certamente, però, la creazione di nuovi posti di lavoro resta una priorità, alla quale la riforma del mercato del lavoro appena entrata in vigore non sembra riservate la
giusta attenzione.

Sul fronte del sostegno alle assunzioni, infatti, sembra che sia stata persa un'occasione: escono di scena il contratto di inserimento e una serie di incentivi legati alla reintroduzione nel mercato del lavoro dei percettori di ammortizzatori sociali.

Quali potrebbero essere i benefici
Una deducibilità che riguarda solo i lavoratori di età inferiore a 35 anni assunti a tempo indeterminato. «Questi sgravi non sono sufficienti – ha commentato Maurizio Del Conte, professore di diritto del lavoro all'Università Bocconi - e questi dati lo dimostrano. Per sbloccare l'occupazione giovanile ci vuole una manovra decisiva, uno sgravio del costo del lavoro del 22% per arrivare a un'aliquota secca per tutti del 10%. Dal 2008 al 2011 – HA aggiunto il professore - sono spariti dalla dichiarazione dei redditi 200 mila giovani. È necessario un intervento choc per invertire la rotta e rendere veramente vantaggiosa l'assunzione dei giovani. Qualsiasi altro timido intervento non produrrà risultati. Il rischio, oggi, è che si perda una generazione che non troverà chance occupazionali in tutti questi anni».

giovedì 7 giugno 2012

Agenzia delle Entrate, diventare imprenditore conviene: tasse al 5%, niente irap e iva per 5 anni

Con la circolare 17/E del 30/5/2012, l’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti sulla disciplina di vantaggio fiscale introdotta dal D.L. 98/2011 che assorbe i "vecchi minimi" e favorisce l’iniziativa imprenditoriale dei giovani e di chi ha perso il lavoro.
L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la guida al nuovo regime dei minimi, con i requisiti, gli adempimenti, i criteri di accesso e le agevolazioni riservate ai giovani imprenditori e ai lavoratori in mobilità.

Un fisco più leggero per chi sceglie di mettersi in proprio. Aprire un'impresa, una attività artigianale, un negozio o uno studio professionale può diventare davvero conveniente: tasse al 5% per cinque anni (e anche di più se si ha meno di 35 anni), niente Iva, niente Irap e pochi, pochissimi adempimenti. Una chance in più per chi ha perso il lavoro o è entrato in mobilità a causa della crisi economica e ora vuole creare un'impresa sua.

Le tre regole d'oro, con alcune eccezioni. Le regole base sono tre, ma con qualche eccezione: non aver esercitato nei tre anni precedenti la stessa attività artistica, professionale, o d'impresa (anche in forma associata o familiare); l'attività non deve essere una pura e semplice continuazione di un precedente lavoro svolto in forma autonoma o come dipendente (tranne il caso della pratica professionale obbligatoria); la prosecuzione dell'attività di un altro soggetto è possibile solo se nell'ultimo anno il fatturato non ha superato i 30mila euro. Tecnicamente, si chiama regime dei minimi ed è stato completamente cambiato l'anno scorso dalla manovra di luglio (Dl 98/2011). Prima la tassazione era al 20% e il regime durava tre anni ed era rinnovabile. Ma da quest'anno, invece, si cambia: possono accedere anche quelli che hanno avviato l'attività dal 2008 in poi purché avessero già le condizioni previste dalle vecchie norme (primi fra tutti, ricavi o compensi fino a 30mila euro, investimenti nel triennio non oltre i 15mila euro).

Le nuove regole puntano a dare incentivo a chi vuole entrare nel mondo del lavoro (autonomo) ed in modo particolare per chi l'ha perso. La cirolare ha confermato la linea "flessibile" sulle condizioni di accesso proprio per favorire chi ha perso un'occupazione per colpa della crisi e ora decide di puntare tutto sull'attività in proprio. Il documento dell'Agenzia fa un esempio molto chiaro: «Un ingegnere idraulico lavoratore dipendente che abbia perso il lavoro o sia stato collocato in mobilità per cause indipendenti dalla propria volontà può senz'altro avvalersi del regime agevolato, anche se esercita l'attività di ingegnere idraulico sotto forma di lavoro autonomo». È chiaro che il caso dell'ingegnere idraulico può essere esteso anche ad altre situazioni. Ma non c'è solo questa apertura. Attenzione anche al fatto che anche chi ha svolto lavori occasionali (l'anno prima della costituzione nuova impresa) può rientrare nella tassazione ultraleggera. Il prelievo al 5% sarà accessibile anche a quelli che iniziano a lavorare come dipendenti in «ambiti omogenei - spiega ancora la circolare - a quelli che caratterizzano l'attività» d'impresa o svolta in forma autonoma. Un caso scuola è «il geometra che svolge l'attività libero-professionale in regime agevolato assunto come lavoratore dipendente» per lo stesso profilo.

Non ci sono solo i vantaggi fiscali. Entrare nei minimi significa un carico di adempimenti (vale a dire "burocrazia fiscale") molto ridotto. Non dover pagare Iva e Irap fa venir meno molti degli obblighi connessi, come le rispettive dichiarazioni. Ma non si è neanche soggetti agli studi di settore (quindi niente obbligo di comunicazione dei dati a riguardo), non bisogna trasmettere le informazioni per lo spesometro (cessioni o acquisti da partite Iva e vendite a privati da 3.600 euro in su) così come non c'è l'obbligo di comunicazione black list.

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