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mercoledì 7 novembre 2018

Lavoratori a tempo determinato, come funziona dal 1° novembre 2018



Dal 1° novembre, per prorogare o rinnovare un contratto a termine già avviato tra le parti, bisognerà seguire in tutto e per tutto le nuove regole stabilite dal Dl 87/2018, cioè:

1) durata massima del primo contratto a termine senza causale di 12 mesi;

2) oltre i primi 12 mesi, proroga con causale: il datore deve cioè precisare che la prosecuzione del rapporto avviene a tempo determinato per esigenze temporanee e oggettive, estranee all’attività ordinaria (come ad esempio una produzione nuova, mai sperimentata prima), oppure per sostituire altri lavoratori, oppure ancora per esigenze legate a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria (ad esempio la necessità di vendere tutto lo stock di merce in magazzino per poi ristrutturare il capannone); la causale, come precisa la circolare 17 del ministero del lavoro pubblicata il 31 ottobre è sempre necessaria quando si supera il periodo di 12 mesi, anche se il superamento avviene a seguito di proroga di un contratto originariamente inferiore ai 12 mesi.

3) le proroghe possono essere al massimo quattro nell’arco di 24 mesi (e non più cinque nell’arco di 36 mesi);

4) la durata massima dei rapporti a termine fra lo stesso datore e lo stesso lavoratore è di 24 mesi, salvo previsioni diverse del contratto collettivo applicato dall’azienda.

Restano fuori dalle restrizioni sui limiti di durata massima e sulla disciplina delle proroghe e dei rinnovi i contratti stagionali.

A chi si applica il periodo transitorio
Il 14 luglio 2018 è dunque la data chiave per capire se al contratto a termine si applica il regime transitorio, oppure no. Facciamo l’esempio del rinnovo di un contratto scaduto il 1° ottobre dopo 15 mesi: con un tetto complessivo di 36 mesi, potrà avere una durata massima di altri 21 mesi, senza necessità della causale, solo se siglato entro oggi 31 ottobre.

Se, invece, datore di lavoro e dipendente decidono di rinnovare da domani 1° novembre in poi, si applicano le nuove regole, per cui, con il nuovo tetto di 24 mesi, sarà indispensabile indicare la causale e la durata massima sarà di altri 9 mesi.

I nuovi contratti
Non esiste, invece, regime transitorio se il primo contratto tra le parti è stato stipulato dal 14 luglio in poi: in questo caso le nuove regole sono scattate subito. Quindi, un accordo siglato per la prima volta il 15 luglio può essere prorogato alla scadenza solo fino a un massimo di 4 volte, e richiederà la causale se saranno superati i 12 mesi; allo stesso modo, in caso di rinnovo, dovrà sempre essere accompagnato dalla causale.

Rinnovi sempre più costosi
Va precisato che le regole transitorie riguardano soltanto la durata massima e la disciplina delle proroghe e i rinnovi, mentre non si applicano alla maggiorazione dello 0,5%, che dal 14 luglio vale per tutti i rinnovi (in via cumulativa, quindi al secondo rinnovo la maggiorazione è dell'1%).

È già entrato in vigore (in questo caso dal 12 agosto, in quanto è stato introdotto dalla legge di conversione) anche il nuovo limite del 30% di lavoratori flessibili, intesa come “somma” di lavoratori a tempo determinato e somministrati rispetto al totale di quelli in forza con contratto a tempo indeterminato.

Sul fronte dei nuovi contratti a tempo determinato l’osservatorio sul precariato dell’Inps ha registrato - tra luglio e agosto 2018 - un calo delle attivazioni che risultano essere dimezzate. A luglio sono stati sottoscritti 310.838 contratti a tempo determinato, ad agosto si è invece scesi a 165.998. Un trend influenzato anche dalla stagionalità, visto che anche nel 2017 si era registrata uno andamento analogo, anche se di dimensioni più contenute, con 312mila assunzioni a termine a luglio e 190mila ad agosto.

L’Istat ha registrato che la diminuzione degli occupati nel mese di settembre si è concentrata tra i dipendenti permanenti (-0,5%, pari a -77 mila), mentre quelli a termine hanno proseguito la loro tendenza positiva (+0,8%, +27 mila), anche per beneficiare della possibilità di proroghe e rinnovi durante il periodo transitorio che si chiude oggi 31 ottobre. Nei dodici mesi la crescita occupazionale si è concentra fortemente tra i lavoratori a termine (+13,1%, +368 mila), in lieve ripresa anche gli indipendenti (+0,4%, +22 mila), mentre risultano in calo i dipendenti a tempo indeterminato (-1,2%, -184 mila).



domenica 17 luglio 2016

Illegittimi i contratti a termine nella scuola


Illegittimità costituzionale delle supplenze ripetute per il personale della scuola. In mancanza di assunzione previsto il risarcimento. La Corte Costituzionale quindi si allinea a quanto statuito nella sentenza Mascolo,  dal nome della prima ricorrente. Quella pronuncia bacchettava l'Italia per l'assenza di limiti nella successione dei contratti a tempo utilizzati per coprire una "mancanza strutturale di personale di ruolo", chiedeva di garantire i concorsi, affermava che l'accordo quadro per evitare i contratti a ripetizione vale anche per la scuola.

La Corte Costituzionale, con comunicato 12 luglio 2016, ha reso noto di aver stabilito l'illegittimità costituzionale della normativa che disciplina le supplenze del personale docente e del personale amministrativo, tecnico e ausiliario (art. 4, commi 1 e 11 della legge 3 maggio 1999, n. 124) nella parte in cui autorizza, in violazione della normativa comunitaria, il rinnovo potenzialmente illimitato di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico ed ausiliario, senza che ragioni obiettive lo giustifichino.

Tuttavia la pronuncia di illegittimità costituzionale é stata limitata poiché l'illecito comunitario è stato cancellato, come da decisione della Corte di giustizia dell'Unione europea che ha interpretato la normativa comunitaria in materia di contratti a tempo determinato.

Difatti, per quanto riguarda il personale docente la normativa sulla "buona scuola" prevede la misura riparatoria del piano straordinario di assunzioni, mentre per quanto riguarda il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario prevede, in mancanza di analoga procedura di assunzione, il risarcimento del danno.

I contratti di supplenza nella scuola non possono essere riprodotti all'infinito e quello che è ha sancito la Corte che mette un punto a una vicenda che si trascina dal 2012. I giudici hanno riconosciuto, tuttavia, che la Legge 107, la cosiddetta "Buona scuola", ha già consentito di superare i problemi in materia. Sul fronte docenti, infatti, "La buona scuola" ha offerto contratti stabili a diversi supplenti. Il principio -già sancito dalla Corte europea- resiste: limitare le assunzioni a tempo determinato nell'istruzione, soprattutto non andare oltre i 36 mesi. Ma, afferma la Consulta, il piano straordinario di assunzioni della "107" è intervenuto in tempo per sanare in parte le anomalie italiane. Ha aggiunto: per quanto riguarda il personale docente la normativa sulla "Buona scuola" prevede "la misura riparatoria del piano straordinario di assunzioni, mentre per quanto riguarda il personale amministrativo, tecnico e ausiliario prevede, in mancanza di analoga procedura di assunzione, il risarcimento del danno". Sì. Il comma 131 della legge 107 stabilisce, infatti, che dal primo settembre 2016 i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati con il personale docente e Ata per la copertura di posti vacanti e disponibili non possono superare la durata complessiva di 36 mesi.

All'origine della questione ci sono sei ordinanze giunte alla Corte dai Tribunali di Trento, Vibo Valenzia e Roma. In discussione norme nazionali, provinciali, ma anche l'accordo sul lavoro a tempo determinato legato alla direttiva europea del 1999. Chiedevano i tribunali alla Consulta: sono legittimi i reiterati contratti a termine per le supplenze in attesa di bandire concorsi? E ancora, la disciplina per reclutare i docenti a tempo determinato è in contrasto con le regole europee? Era stata la stessa Consulta nel luglio 2013 a sottoporre in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea alcune questioni interpretative. Una richiesta simile fu rivolta dal Tribunale di Napoli.


domenica 17 aprile 2016

Costo del Lavoro e Jobs Act un fallimento annunciato?


Gli incentivi monetari forniti alle imprese non si sono concretizzati in nuova occupazione a tempo indeterminato, ma hanno piuttosto favorito la trasformazione di contratti temporanei in contratti ‘permanenti’.

Se le misure del Jobs Act saranno realmente efficaci a lungo termine dal punto di vista della creazione di nuovo posti di lavoro è la domanda che in molti si stanno ponendo, soprattutto osservando i dati forniti dall’INPS relativi ai contratti di lavoro, hanno evidenziato che in particolare il contratto a tutele crescenti e decontribuzione, hanno alimentato una crescita dei posti di lavoro, soprattutto delle assunzioni a tempo indeterminato e dei voucher per il lavoro accessorio.

Questi risentono della riduzione degli sgravi contributivi previsti per chi assume nuovi lavoratori con contratto a tempo indeterminato, anche trasformando contratti a tempo determinato già in essere.
Tale riduzione è entrata in vigore nel 2016 e, di conseguenza, si è assistito ad un boom di assunzioni a tempo determinato a dicembre 2015, quando era ben noto il fatto che da gennaio i benefici sarebbero stati rimodulati, permettendo ai datori di lavoro di usufruire della “vecchia” decontribuzione. Sul totale delle nuove assunzioni a tempo indeterminato del 2015, quelle di dicembre rappresentano ben il 25%.

E’ legittimo chiedersi se questo boom di assunzioni e trasformazioni sia destinato a rimanere limitato e porsi domande sulla qualità della nuova occupazione e sulle prospettive di lunga durata dei contratti, una volta che si saranno esauriti gli sgravi. Vanno poi considerati i costi a carico dello Stato per questa misura, che sembra aver dato un impulso solo estemporaneo all’occupazione.
Ipotizzando che i datori di lavoro mantengano in essere tutti i contratti stipulati usufruendo degli sgravi per l’intero periodo di fruizione (36 mesi), il costo complessivo della misura risulterebbe pari a 22,6 miliardi di euro. O meglio 17 miliardi circa (5,7 miliardi di euro l’anno) considerando le maggiori entrate IRES dovute al fatto che i contributi fiscalizzati non sono più deducibili dal costo del lavoro.

Comunque in passato si è visto che non tutti i contratti a tempo indeterminato derivanti da trasformazioni di contratti a termine rimangono in essere per l’intero periodo di fruizione degli sgravi contributivi: tra il 2012 ed il 2014 il 40% dei contratti trasformati da tempo determinato a tempo indeterminato sono cessati entro i tre anni (Rapporto annuale sulle Comunicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro). Ipotizzando quindi che 4 trasformazioni su 10 cessino prima dei 36 mesi e tutte le nuove attivazioni di contratti a tempo indeterminato durino invece l’intero periodo di fruizione, il costo complessivo per l’intero periodo di vigore della decontribuzione ammonterebbe a poco più di 18 miliardi, al lordo delle maggiori entrate IRES (quasi 14 miliardi al netto IRES).

Diversamente, ipotizzando uno scenario più realistico in cui oltre al 40% delle trasformazioni a cessare entro i 18 mesi sia anche il 20% delle nuove attivazioni a tempo indeterminato, il costo della misura per le Casse dello Stato sarebbe pari a circa 14,6 miliardi al lordo dell’IRES, quasi 11 miliardi al netto.

Un’indagine sulla forza lavoro ha confermato come l’incremento dell’occupazione, dopo l’introduzione del binomio Jobs Act-decontribuzione, è sostanzialmente debole e, in gran parte, dovuto a nuovi contratti a tempo determinato. Inoltre, l’aumento più sensibile dei contratti a tempo indeterminato sembrerebbe aver interessato le fasce più anziane (oltre 55 anni) di lavoratori e non le più giovani. L’occupazione giovanile e la variazione del tasso di inattività di questi ultimi sembrerebbe essere principalmente spiegato dalla recente introduzione del programma ‘Garanzia Giovani’ e dall’esplosione dei cosiddetti vouchers (come emerge con chiarezza dall’analisi delle fonti di natura amministrativa).

Quest’indagine mette ulteriormente in luce l’incapacità del Jobs Act di rispondere ai compiti che era stato chiamato ad assolvere, infatti mostra come tra il primo ed il secondo trimestre del 2015, in Italia, il 35% dei disoccupati ha smesso di cercare lavoro, transitando dalla disoccupazione all’inattività.

E’ vero che sono aumentati i contratti a tempo indeterminato ma è anche vero che l’incremento dei posti di lavoro è limitato e «solo alcuni dei disoccupati della crisi sono tornati a lavorare, mentre gli altri si sono ritirati dalla forza lavoro»: è un’analisi originale e argomentata dell’impatto del Jobs Act quella proposta da Tortuga.

In conclusione, il combinato disposto ‘Jobs Act’-decontribuzione si è rivelato, sin ora, inefficace in termini di quantità, qualità e durata dell’occupazione generata. Il potenziale effetto deflattivo di tali politiche, inoltre, rischia di contribuire ulteriormente all’indebolimento della struttura occupazionale ed industriale italiana, già gracile all’inizio della crisi del 2008 e pesantemente colpita da
quest’ultima.




martedì 29 dicembre 2015

Legge di Stabilità 2016: cosa cambia per lavoro e pensioni


Misure per l’occupazione e norme sull'adeguamento delle pensioni e sugli ammortizzatori sociali in arrivo, dal 1° gennaio 2016, ad opera della legge di Stabilità 2016. Prorogato lo sgravio contributivo per le nuove assunzioni con contratti di lavoro a tempo indeterminato effettuate nel 2016. Elevata, dal 2016, la misura delle detrazioni dall'imposta lorda IRPEF spettanti con riferimento ai redditi da pensione, cd. no tax area per i pensionati. Ripristinate, infine, le agevolazioni fiscali sulle somme corrisposte ai dipendenti dai datori di lavoro privati per premi di produttività. Queste, in sintesi, alcune delle novità della manovra finanziaria per il 2016.

Vediamo le novità.
Per il settore del lavoro, viene innanzitutto prevista la proroga dello sgravio contributivo per le nuove assunzioni con contratti di lavoro a tempo indeterminato effettuate nel 2016.

Per le pensioni si prevede un ulteriore intervento in favore dei soggetti salvaguardati, garantendo l'accesso al trattamento previdenziale con i vecchi requisiti ad un massimo di ulteriori 26.300 soggetti. Prorogata la sperimentazione della cosiddetta opzione donna. Dal 2016 viene elevata la misura delle detrazioni dall'imposta lorda IRPEF spettanti con riferimento ai redditi da pensione (cd. no tax area per i pensionati).

Assunzioni per le imprese del Mezzogiorno
Si estende alle assunzioni a tempo indeterminato dell'anno 2017 l'esonero contributivo – introdotto per il 2016 – in favore ai datori di lavoro privati operanti nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna.

L’estensione non sarà automatica, così come previsto per misura base, ma occorrerà attendere un apposito Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. La spettanza del beneficio è condizionata all'autorizzazione della Commissione europea.

Proroga dell’esonero contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato
Si prevede, per il settore privato, uno sgravio contributivo per i contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato relativi ad assunzioni decorrenti dal 1° gennaio 2016 e stipulati entro il 31 dicembre 2016.

Lo sgravio contributivo consiste nell'esonero dal versamento del 40% dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro (con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nel limite di 3.250 euro su base annua e per un periodo massimo di 24 mesi.

Detassazione premi di produttività
Si ripristina la disciplina tributaria specifica per gli emolumenti retributivi dei lavoratori dipendenti privati di ammontare variabile e la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, misurabili e verificabili, nonché per le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa.

La norma riguarda i titolari di reddito da lavoro dipendente privato di importo non superiore, nell'anno precedente quello di percezione, a 50.000 euro.

Aliquota contributiva lavoratori autonomi
Viene confermata al 27%, anche per il 2016, l’aliquota contributiva dovuta dai lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata INPS, non iscritti ad altre gestioni di previdenza obbligatoria, né pensionati.

Congedo di paternità
Vengono prorogate, sperimentalmente per il 2016, alcune disposizioni, già previste in via sperimentale per gli anni 2013-2015, in materia di congedo obbligatorio e facoltativo del padre lavoratore dipendente, elevando altresì da uno a due giorni quello obbligatorio.

Opzione donna
Si ridefinisce l’ambito temporale di applicazione dell’istituto (transitorio e sperimentale) che permette alle lavoratrici l’accesso al trattamento anticipato di pensione in presenza di determinati requisiti anagrafici e contributivi e a condizione che tali soggetti optino per il sistema di calcolo contributivo integrale (c.d. opzione donna).

Inoltre, in merito dalla sperimentazione dell’opzione donna, si prevede la trasmissione, entro il 30 settembre di ogni anno, di una relazione alle Camere, da parte del Governo, sulla base dei dati rilevati dall’INPS nell’ambito della propria attività di monitoraggio sull’attuazione della sperimentazione, con particolare riferimento alle lavoratrici interessate e ai relativi oneri previdenziali.

Contributo per servizio di baby-sitting
Si prorogano per il 2016 le norme già stabilite, in via sperimentale, per gli anni 2013-2015, relative alla possibilità, per la madre lavoratrice dipendente o titolare di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, di richiedere, in sostituzione, anche parziale, del congedo parentale, un contributo economico da impiegare per il servizio di baby-sitting o per i servizi per l'infanzia.

Cure parentali per lavoratrici autonome
Si estende, in via sperimentale per il 2016 e nel limite di 2 milioni di euro, alle madri lavoratrici autonome o imprenditrici il beneficio la possibilità già prevista per la madre lavoratrice dipendente di richiedere, in sostituzione (anche parziale) del congedo parentale, un contributo economico da impiegare per il servizio di baby-sitting o per i servizi per l'infanzia (erogati da soggetti pubblici o da soggetti privati accreditati).

Trasformazione da tempo pieno a tempo parziale del rapporto di lavoro subordinato
Si introduce, per il settore privato, una specifica disciplina transitoria, relativa ad una fattispecie di trasformazione da tempo pieno a tempo parziale del rapporto di lavoro subordinato, con copertura pensionistica figurativa per la quota di retribuzione perduta e con la corresponsione al dipendente, da parte del datore di lavoro, di una somma pari alla contribuzione pensionistica che sarebbe stata a carico di quest'ultimo (relativa alla prestazione lavorativa non effettuata).

Norme sull’adeguamento delle pensioni e sugli ammortizzatori sociali
Si apportano numerose alle disposizioni in materia di adeguamento e rivalutazione degli importi pensionistici, nonché di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro e in caso di disoccupazione involontaria.

Tra le altre cose:
- si esclude l’applicazione di un’indicizzazione negativa delle prestazioni previdenziali ed assistenziali: si dispone, infatti, che la percentuale di adeguamento dei relativi importi, corrispondente alla variazione nei prezzi al consumo accertata dall’ISTAT, non può essere inferiore a zero;

- con riferimento alla percentuale di variazione per il calcolo della rivalutazione delle pensioni per il 2014 (determinata definitivamente con decorrenza dal 1° gennaio 2015), si prevede che le operazioni di conguaglio derivanti dagli scostamenti dei valori posti a base della perequazione automatica, limitatamente ai ratei corrisposti nel 2015, non vengano operate in sede di rivalutazione delle pensioni per il medesimo 2015, ma di quelle del 2016;

- si precisa l’ambito di applicazione della disposizione (art. 46, co. 3, D.Lgs. 148/2015) che prevede l’abrogazione, dal 1° luglio 2016, delle disposizioni concernenti i contratti di solidarietà stipulati dalle imprese che non rientrano nel campo di applicazione dell’art. 1 del D.L. n. 726/1984 (imprese industriali, aziende appaltatrici di servizi di mensa o ristorazione, aziende esercenti attività commerciale, giornalisti professionisti, pubblicisti e praticanti dipendenti da imprese editrici di giornali quotidiani, di periodici e di agenzie di stampa e, a determinate condizioni, imprese artigiane non rientranti nel campo di applicazione del trattamento straordinario di integrazione salariale);

- si prevede che il rispetto del requisito dell’anzianità lavorativa effettiva di almeno 90 giorni (richiesto per la concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale) è escluso per eventi oggettivamente non evitabili in tutti i settori, non più solo nel settore industriale, come attualmente previsto dall’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 148/2015;

- si precisa per via normativa l’ambito soggettivo di applicazione della nuova disciplina in materia di trattamenti di integrazione salariale, come delineata dal D.Lgs. 148/2015, specificando che rimangono escluse dall’applicazione di tale normativa determinate imprese elencate dall’art. 3 del D.Lgs. C.P.S. 869/1947, che torna dunque in vigore;

- si proroga l’istituto dell’indennità di disoccupazione per i titolari di contratto di collaborazione coordinata e continuativa (DIS-COLL), riconoscendolo anche agli eventi di disoccupazione che si verifichino dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2016.

Esclusione della penalizzazione dei trattamenti pensionistici anticipati

Si rende cumulabile (anche con riferimento a periodi antecedenti al 2016) il riscatto del periodo del corso legale di laurea con la facoltà, riconosciuta ai lavoratori dipendenti che possono far valere complessivamente almeno cinque anni di contribuzione, di riscattare i periodi corrispondenti al congedo parentale (astensione facoltativa per maternità) o per motivi familiari concernenti l'assistenza e cura di disabili purché non coperti da assicurazione.

Inoltre, si interviene sulla disposizione che ha escluso dalla penalizzazione dei trattamenti pensionistici i soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva (pari, nel 2015, a 42 anni e 6 mesi per gli uomini e 41 anni e 6 mese per le donne) entro il 31 dicembre 2017. In pratica, si estende tale disposizione ai trattamenti pensionistici anticipati già liquidati negli anni 2012, 2013 e 2014, al fine di escludere (solo per i ratei di pensione corrisposti a decorrere dal 1° gennaio 2016) le sopra indicate penalizzazioni, applicate in attuazione della normativa vigente al momento del pensionamento.

Bonus al comparto sicurezza
Al personale non destinatario di un trattamento retributivo dirigenziale, appartenente ai Corpi di polizia, al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, alle Forze armate, compreso quello appartenente al Corpo delle Capitanerie di porto, quale riconoscimento dell'impegno profuso ai fini di fronteggiare le eccezionali esigenze di sicurezza nazionale per l'anno 2016, viene concesso un contributo straordinario pari a 960 euro su base annua, da corrispondere in quote di pari importo a partire dalla prima retribuzione utile e in relazione al periodo di servizio prestato nel corso del predetto anno.

Il contributo non ha natura retributiva, non concorre alla formazione del reddito complessivo ai fini IRPEF e IRAP e non è assoggettato a contribuzione previdenziale e assistenziale.


lunedì 15 giugno 2015

Contratti di lavoro con il Jobs Act: le novità



Una delle misure portanti della riforma dei contratti di lavoro riguarda il nuovo tempo indeterminato a tutele crescenti, che viene applicato a tutte le nuove assunzioni. In pratica, chi è già assunto a tempo indeterminato resta con il vecchio contratto, ma a chi trova lavoro o lo cambia viene invece applicato il nuovo contratto.

Per i contratti a tempo determinato il superamento del limite del 20% di utilizzo comporterà una sanzione amministrativa e non più una multa (come previsto nel testo originario); in sostanza invece di finire nelle tasche del dipendente, la somma andrà all'Erario per potenziare i servizi per l'occupazione. Il limite del 20% sarà derogabile con i «contratti collettivi». Escluse dal tetto e start up innovative e le assunzioni dei lavoratori over 50.

Il Decreto legislativo sul riordino dei contratti approvato dal Cdm conferma la fine delle collaborazioni a progetto (si salvano quelle in corso, fino a esaurimento). Dal 1° gennaio 2016 si applicherà la disciplina del lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione che si concretizzano in prestazioni «esclusivamente personali», «continuative» e «organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro». Si conferma il limite del 20% di utilizzo del contratto a termine, ma se l'azienda “sfora” questo tetto non scatterà mai la conversione del rapporto a tempo indeterminato (l'impresa dovrà però pagare una maxi-multa pari al 50% della retribuzione mensile, e l'importo della sanzione finirà in tasca al lavoratore).

Nasce il contratto di apprendistato scolastico, sul modello duale tedesco. Ampliando la sperimentazione Carrozza, l'apprendistato duale interessa gli studenti delle superiori (licei inclusi) a partire da 15 anni (finora 17 anni), dura fino a 4 anni (oggi 3 anni). Stretta sulle false collaborazioni trasformate a gennaio in lavoro subordinato.

Il contratto a tempo determinato è consentito per tre anni senza causale (36 mesi), non può riguardare più del 20% dell’organico aziendale a tempo indeterminato, tranne che nelle micro-imprese fino a cinque dipendenti, che non hanno nessun paletto all’applicazione. Sono esenti dal limite del 20% anche le start-up innovative, le assunzioni di lavoratori con almeno 55 anni, le sostituzioni di dipendenti assenti, le attività stagionali, i contratti per specifici spettacoli o programmi radiofonici e televisivi.

Restano quindi tutti i contratti di apprendistato già previsti (per la qualifica, il diploma e la specializzazione professionale; professionalizzante; di alta formazione e ricerca). La durata minima è di sei mesi, alla scadenza le parti possono recedere (previo preavviso), oppure il contratto diventa a tempo indeterminato. Ci sono regole precise per la formazione durante l’apprendistato.

Vengono introdotte modifiche all'apprendistato per qualifica e diploma e all'apprendistato di alta formazione e ricerca (invariato invece l'apprendistato professionalizzante e di mestiere). Si pongono così le basi di un «sistema duale» in cui il conseguimento dei titoli, rispettivamente al livello secondario di istruzione e formazione e al livello terziario, potrà avvenire anche attraverso l'apprendistato effettuato nell'impresa.

La principale novità consiste nella eliminazione delle «causali» che consentono la stipula del contratto di somministrazione lavoro a tempo indeterminato (staff leasing). Al loro posto viene introdotto un limite di utilizzo del 20 per cento «salvo diversa previsione dei contratti collettivi». I lavoratori somministrati dovranno essere a loro volta assunti a tempo indeterminato dall'agenzia.

Si prevede che anche in assenza di una disciplina collettiva che lo autorizzi, il datore di lavoro può chiedere ai dipendenti in part time orizzontale una prestazione supplementare sia pure in misura non superiore al 15% delle ore concordate settimanali e retribuendo queste ore con una maggiorazione omnicomprensiva del 15%. Azienda e lavoratori possono concordare ulteriori clausole di flessibilità.

Si consente al datore di lavoro di variare unilateralmente le mansioni in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali, fino al livello di inquadramento inferiore rientrante nella stessa categoria. Lo stipendio base non cambia. La contrattazione collettiva, anche di secondo livello, potrà prevedere ulteriori ipotesi di demansionamento. Inoltre, in sede protetta, si potranno siglare accordi individuali finalizzati al rimansionamento per conservare il posto.

Si amplia l'utilizzo dei voucher per le prestazioni occasionali, portando il tetto massimo annuo da 5mila a 7mila euro. Uno strumento nato per regolamentare il lavoro accessorio, non riconducibile a contratti di lavoro in quanto svolte in modo saltuario, e tutelare situazioni non regolamentate. Il valore netto di un voucher da 10 euro nominali, in favore del lavoratore, è di 7,50 euro e corrisponde al compenso minimo di un'ora di prestazione, salvo che per il settore agricolo.



giovedì 21 maggio 2015

Nuovo contratto di lavoro per gli studi professionali



Ecco le principali novità del CCNL per i dipendenti degli Studi. Il contratto riguarda 1,5 milioni di lavoratori fra titolari, dipendenti e collaboratori, ha effetto dal primo aprile 2015 e dura fino al 31 marzo 2018. L’aumento è di 85 euro per il terzo livello, con conseguente parametrazione per gli altri livelli. Sul fronte del welfare, come detto ne prevede l’estensione ai professionisti e ai collaboratori degli studi, che sino ad ora ne erano esclusi. Novità anche in materia di telelavoro, congedo parentale a ore, possibilità di introdurre ulteriori elementi di flessibilità attraverso la contrattazione di secondo livello.

Riguardo all'apprendistato è stata fissata la percentuale di conferma per gli apprendisti, che dovrà essere pari almeno al 20% per le strutture fino a 50 dipendenti e del 50% per quelle più grandi. Per la prima volta  poi viene  fissato  il rapporto tra numero di lavoratori a tempo indeterminato e determinato. Questi ultimi potranno contare su un diritto di precedenza  in caso di  assunzioni stabili.

Si definiscono le aree di applicazione del contratto come segue:

1) Area professionale Economico-Amministrativa: Consulenti del Lavoro, Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, Revisori Contabili, altre professioni di valore equivalente ed omogenee all'area professionale non espressamente comprese;

2) Area Professionale Giuridica: Avvocati, Notai, altre professioni di valore equivalente.

3) Area professionale Tecnica: Ingegneri, Architetti, Geometri, Periti Industriali, Geologi, Agronomi e Forestali, Periti agrari, Agrotecnici, altre professioni di valore equivalente ed omogenee all'area professionale.

4) Area professionale Medico Sanitaria e Odontoiatrica: Medici, Medici Specialisti, Medici Dentisti, Odontoiatri, Medici Veterinari e Psicologici, Operatori Sanitari, abilitati all'esercizio autonomo delta professione di cui alla specifica Decretazione Ministeriale, ad esclusione dei Laboratori Odontotecnici, altre professioni di valore equivalente ed omogenee all'area.

5) Altre attività professionali intellettuali: Si tratta di quelle attività non rientranti nelle prime quattro aree, con o senza Albo professionale.

Le agevolazioni per le assunzioni prevedono un contratto di reimpiego per chi ha oltre 50 anni e per i disoccupati da oltre 12 mesi, con la possibilità di sotto-inquadramento ma un’assunzione a tempo indeterminato. Vengono fissati rapporti da rispettare fra i contratti a tempo indeterminato e determinato, con diritto per precedenza di questi ultimi per assunzioni stabili. Gli apprendisti devono essere almeno il 20% per gli studi fino a 50 dipendenti e il 50% per le strutture più grandi.

Una delle novità più rilevanti introdotte nel nuovo Ccnl riguarda l'estensione delle tutele di welfare ai professionisti-datori di lavoro, che potranno beneficiare di una copertura di assistenza (sanitaria e antinfortunistica) che verrà gestita dalla bilateralità di settore, sotto la direzione e la vigilanza di Confprofessioni. Inoltre, sulla scia delle tendenze del mercato del lavoro e delle diverse forme di collaborazione che si instaurano all'interno di uno studio professionale, le tutele di welfare contrattuale verranno estese anche ai collaboratori e praticanti.

Ecco le novità più rilevanti:

Rappresentanza contrattuale: il nuovo Ccnl degli studi professionali è stipulato da Confprofessioni come unica rappresentanza datoriale.

Decorrenza e durata: il periodo di vigenza contrattuale decorre dal 1° aprile 2015, sino al 31 marzo 2018.

Trattamento economico: aumento retributivo complessivo a regime, 31 marzo 2018, di 85 euro per il III livello diviso in cinque fasi, con l’esclusione di qualsiasi erogazione una tantum.

Welfare per i professionisti datori di lavoro: introdotta la copertura di assistenza (sanitaria/antinfortunistica) del datore di lavoro. La gestione di tali prestazioni, sotto la direzione di Confprofessioni, è affidata alla bilateralità.

Potenziamento e valorizzazione della bilateralità: Attivazione di un fondo per il sostegno al reddito dei lavoratori di studi professionali che attraversano un periodo di crisi. Rimborso al datore di lavoro del 50% della retribuzione derivante dalla concessione del permesso studio ai lavoratori. Incentivata la costituzione di articolazioni territoriali dell’ente bilaterale nazionale, denominati sportelli, per la gestione del mercato del lavoro.

Rilancio del II livello di contrattazione: possibilità di realizzare a livello territoriale intese per una regolazione dell’attività lavorativa più rispondente alle esigenze dei datori di lavoro; maggiore coinvolgimento delle delegazioni territoriali nella disciplina del rapporto di lavoro.

Contratti e modalità di lavoro: lavoro a tempo determinato: elevato il numero di contratti a termine che potranno essere attivati da ciascun datore di lavoro ed è stato abolito l’obbligo di rispettare gli intervalli di tempo tra differenti contratti a termine.

Apprendistato: semplificazione degli obblighi formativi, riducendo complessivamente le ore di formazione. Possibilità di effettuare la formazione in tutte le modalità possibili. - Lavoro intermittente: regolamentazione del lavoro a chiamata. Il Ccnl degli studi professionali è tra i pochi a disciplinare tale tipologia contrattuale, di fondamentale importanza per garantire flessibilità.

Contratto di reimpiego: Per un periodo di 30 mesi sarà possibile retribuire soggetti over 50 e disoccupati di lunga durata con un salario di ingresso più basso rispetto a quello di base previsto dal Ccnl.

Rilancio del telelavoro per garantire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Rivisto il regime dei permessi per lo studio e per le nuove assunzioni, con un intervento dell’ente bilaterale a coprire parte dei costi retributivi.

Profili professionali: sono state concordate con le aree di Confprofessioni le modifiche relative alla classificazione del personale ed ai relativi profili.



lunedì 13 aprile 2015

Jobs Act: le novità del mercato del lavoro per il 2015



Conciliazione delle esigenze di cura di vita e di lavoro, le novità più importanti riguardano l'allargamento dei diritti ad indennità economiche  e a permessi dal lavoro nei periodi di maternità /paternità.

Ad esempio:
in caso di parto anticipato i giorni di congedo non goduti possono essere fruiti successivamente anche oltre il limite complessivo di cinque mesi previsti dopo il parto dalla normativa attualmente in vigore;

Inoltre in caso di ricovero del neonato  in ospedale nel periodo di congedo della madre può chiedere la sospesone del congedo stesso per usufruirne al momento del a dimissione del bambino;

l'indennità di maternità è corrisposta anche in caso di risoluzione del rapporto di lavoro per colpa grave o cessazione di attività dell'azienda o scadenza del termine del contratto di lavoro (art. 54 Comma 3 Dlgs.151/2001;

il congedo di paternità può essere usufruito anche nel caso di madri lavoratrici autonome , imprenditrici agricole, coltivatrici con le stesse modalità ora previste  per le lavoratrici dipendenti e  da padri lavoratori autonomi, liberi professionisti;

il diritto di assentarsi  per congedo parentale previsto all'art 32 del dl 151 si amplia dagli attuali 8 ai primi 12 anni di vita del figlio. l'indennità del 30% della retribuzione è assicurata per i congedi entro i sei , non più tre anni di vita del figlio , che arrivano a 8 in caso delle retribuzioni più basse .

In materia di sostegno al telelavoro il decreto prevede che il numero di lavoratori ammessi al telelavoro in ragione di esigenze di cure parentali resti escluso dai limiti numerici cui è sottoposta l'azienda datrice di lavoro  per alcune normative particolari.

Viene anche introdotto un congedo  retribuito  fino a tre mesi,  e valido per il conteggio dell'anzianità e delle ferie, in caso di misure di protezione della donna  dalla violenza di genere.

I punti importantissimi per il riordino delle tipologie contrattuali.

A partire dall'entrata in vigore del decreto non potranno essere attivati nuovi contratti di collaborazione a progetto (quelli già in essere potranno proseguire fino alla loro scadenza). Comunque, a partire dal 1° gennaio 2016 ai rapporti di collaborazione personali con contenuto ripetitivo ed etero-organizzati dal datore di lavoro saranno applicate le norme del lavoro subordinato. Restano salve le collaborazioni regolamentate da accordi collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedono discipline specifiche relative al trattamento economico e normativo in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore e poche altri tipi di collaborazioni.

Vengono superati: i contratti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro ed il job sharing.

Vengono confermate le seguenti tipologie:

Contratto a tempo determinato cui non sono apportate modifiche sostanziali.

Contratto di somministrazione. Per il contratto di somministrazione a tempo indeterminato (staff leasing) si prevede un’estensione del campo di applicazione, eliminando le causali e fissando al contempo un limite percentuale all’utilizzo calcolato sul totale dei dipendenti a tempo indeterminato dell’impresa che vi fa ricorso (10%).

Contratto a chiamata. Viene confermata anche l’attuale modalità tecnologica, sms, di tracciabilità dell’attivazione del contratto.

Lavoro accessorio (voucher). Verrà elevato il tetto dell’importo per il lavoratore fino a 7.000 euro, restando comunque nei limiti della no-tax area, e verrà introdotta la tracciabilità con tecnologia sms come per il lavoro a chiamata.

Apprendistato. Si punta a semplificare l’apprendistato di primo livello (per il diploma e la qualifica professionale) e di terzo livello (alta formazione e ricerca) riducendone anche i costi per le imprese che vi fanno ricorso, nell'ottica di favorirne l’utilizzo in coerenza con le norme sull'alternanza scuola-lavoro.

Tempo parziale. Vengono definiti i limiti e le modalità con cui, in assenza di previsioni al proposito del contratto collettivo, il datore di lavoro può chiedere al lavoratore lo svolgimento di lavoro supplementare e le parti possono pattuire clausole elastiche (le clausole che consentono lo spostamento della collocazione dell’orario di lavoro) o flessibili (le clausole che consentono la variazione in aumento dell’orario di lavoro nel part- time verticale o misto).

Viene inoltre prevista la possibilità, per il lavoratore, di richiedere il passaggio al part-time in caso di necessità di cura connesse a malattie gravi o in alternativa alla fruizione del congedo parentale.

In presenza di processi di ristrutturazione o riorganizzazione aziendale e negli altri casi individuati dai contratti collettivi l’impresa potrà modificare le mansioni di un lavoratore fino ad un livello, senza modificare il suo trattamento economico (salvo trattamenti accessori legati alla specifica modalità di svolgimento del lavoro).

Viene altresì prevista la possibilità di accordi individuali, “in sede protetta”, tra datore di lavoro e lavoratore che possano prevedere la modifica anche del livello di inquadramento e della retribuzione al fine della conservazione dell’occupazione, dell’acquisizione di una diversa professionalità o del miglioramento delle condizioni di vita.

SI fermano le stipule dei nuovi contratti di collaborazione dalla data di entrata in vigore del d.lgs. e trasformazione in lavoro dipendente dal 1 gennaio 2016.

A far data dal 1° gennaio 2016 i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa dovranno quindi trasformarsi in rapporti di lavoro subordinato ad eccezione per:

a) le collaborazioni per le quali gli accordi collettivi stipulati dalle confederazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;

b) le collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali;

c) le attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;

d) le prestazioni di lavoro rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I. come individuati e disciplinati dall’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
In attesa del riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, tale normativa non trova applicazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni fino al 1° gennaio 2017.

Al fine di promuovere la stabilizzazione dell'occupazione mediante il ricorso a contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato nonché di garantire il corretto utilizzo dei contratti di lavoro autonomo, nel periodo compreso fra l’entrata in vigore del presente decreto e il 31 dicembre 2015, i datori di lavoro privati che procedano alla assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di soggetti già parti di contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto e di persone titolari di partita IVA, godono dell'estinzione delle violazioni previste dalle disposizioni in materia di obblighi contributivi, assicurativi e fiscali connessi alla eventuale erronea qualificazione del rapporto di lavoro pregresso, salve le violazioni già accertate prima dell’assunzione, a condizione che:

a) i lavoratori interessati alle assunzioni sottoscrivano, con riferimento a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro, atti di conciliazione in una delle sedi di cui all'articolo 2113, comma 4, del codice civile, e all'articolo 76 del decreto legislativo n. 276 del 2003;

b) nei dodici mesi successivi alle assunzioni, i datori di lavoro non recedano dal rapporto di lavoro, salvo che per giusta causa ovvero per giustificato motivo soggettivo.



mercoledì 4 febbraio 2015

Assunzioni 2015 i casi di esonero contributivo



Per fruire dello sgravio triennale contributivo per le assunzioni 2015, il lavoratore assunto non deve aver svolto attività con contratto d’apprendistato (se a tempo indeterminato) e con contratto di somministrazione nei sei mesi precedenti la data di decorrenza dell’assunzione agevolata.

La piena ammissibilità è prevista sia per i contratti di lavoro intermittente che per quello a tempo determinato. L’incentivo spetta anche in caso di attività svolte dal lavoratore con contratti di lavoro a progetto, tirocini formativi, lavoro autonomo. L’INPS fa chiarezza in merito alle condizioni generali per fruire dello sgravio contributivo previsto dalla legge di Stabilità 2015.

Arrivano le istruzioni INPS sullo sgravio triennale relativo alle assunzioni di lavoratori a tempo indeterminato effettuate con decorrenza dal 1° gennaio 2015 e fino al 31 dicembre 2015. La circolare n.17 del 29 gennaio 2014 offre chiarimenti operativi utili per l’utilizzo del nuovo regime di esonero entrato in vigore dall’inizio dell’anno, introdotto dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190 – legge di Stabilità 2015, con i commi da 118 a 124 dell’articolo 1.

Dunque sia i datori di lavoro che abbiano già effettuato le assunzioni (ricordiamo che anche se collocato idealmente nell’ambito del contratto di lavoro a tutele crescenti che ancora non è operativo, risulta normativamente anche da un punto di vista della sua entrata in vigore, non collegato ) che quelli più prudenti in quanto attendevano i chiarimenti sulle condizioni, hanno ora contezza del pensiero dell’Istituto sull’incentivo.

L’esonero contributivo introdotto dalla legge di stabilità (fino a 8.060 euro all’anno per un triennio) verosimilmente finirà col farla da padrone rispetto agli altri incentivi, che però in alcuni casi possono coesistere con l’ultimo arrivato.

In primo luogo tra le soluzioni alternative - ancorché non sia qualificabile come un’agevolazione in senso stretto ma come un particolare regime contributivo previsto dalla legge (in funzione della causa mista contrattuale) - va considerato l’apprendistato che, pur con gli oneri della formazione, determina comunque una riduzione dei costi complessivi per il datore di lavoro, sia nella parte economica che in quella contribuiva.

L’apprendista può essere sotto inquadrato di due livelli rispetto a quello finale, oppure gli può essere attribuita una retribuzione progressiva in percentuale secondo le previsioni del Ccnl. Sul versante contributivo, va osservato che il carico contributivo datoriale è pari all’11,61% per le aziende con oltre 9 addetti ma può ridursi all’1,61% per quelle fino a 9 dipendenti. Tuttavia quest’ultima misura agevolata riguarda i contratti stipulati nel periodo 2012-2016e necessita del rispetto delle regole.

Dalle premesse è facile desumere la convenienza della nuova misura rispetto alle agevolazioni previste per chi assume lavoratori dalle liste di mobilità ex lege 223/1991. In quest’ultimo caso, infatti, i datori di lavoro sono chiamati a versare, per 18 mesi, la contribuzione nella misura del 10%, pur senza tetto complessivo annuale. Vale peraltro la pena di ricordare che, in relazione ai recenti orientamenti dell’Inps (circolare 17/2015), il nuovo esonero introdotto dalla legge di stabilità è cumulabile con il 50% dell’indennità di mobilità non fruita dal lavoratore. Per godere di entrambi gli incentivi, tuttavia, l’assunzione deve essere a tempo pieno.

Il diritto al bonus è legato a condizioni soggettive relative al soggetto da assumere ed altre in capo al datore di lavoro. riassumiamo le opzioni.

Lavoratore non occupato con un contratto a tempo indeterminato

Il primo requisito del lavoratore assunto è quello che il soggetto non deve essere stato occupato con un contratto a tempo indeterminato nei sei mesi precedenti la data di decorrenza dell’assunzione agevolata.

È un periodo mobile e la verifica va effettuata in relazione al soggetto da assumere il quale non deve aver avuto una occupazione a tempo indeterminato presso qualsiasi datore di lavoro.

L’Istituto conferma che non è possibile usufruire dell’esonero nel caso in cui in tale periodo pregresso il lavoratore abbia già svolto attività con contratto d’apprendistato.

Ciò perché tale contratto, ai sensi dell’articolo 1 del D.lgs. n. 167/2011 è un contratto a tempo indeterminato; naturalmente se tale contratto fosse stato stipulato a tempo determinato nei casi consentiti, la causa ostativa non ricorre.

Anche l’occupazione con contratto di somministrazione risulta ostativa. Piena compatibilità invece sia per i contratti di lavoro intermittente che per quello a tempo determinato.

Nel primo caso, tale possibilità è ammessa per l’INPS anche se la stipulazione fosse stata a tempo indeterminato in quanto l’istituto rappresenta un contratto privo di stabilità che non consente la fruizione dell’incentivo nel caso di assunzione e dunque, coerentemente, non può di converso rappresentare un impedimento nel caso di nuova assunzione questa volta con contratto comune a tempo indeterminato.

Evidentemente, a maggior ragione vista la natura non subordinata del rapporto, l’incentivo spetta in caso di attività svolte dal lavoratore neo assunto con contratti di lavoro a progetto, tirocini formativi, lavoro autonomo.

L’esonero non spetta inoltre ai datori di lavoro in presenza di assunzioni relative a lavoratori in riferimento ai quali i medesimi, tenendo conto anche di società controllate o collegate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile o facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto, hanno comunque già avuto in essere un contratto a tempo indeterminato nel corso del periodo da ottobre a dicembre 2014.

Assunzione di un lavoratore che già abbia fruito del beneficio

Altro aspetto che impedisce di godere dell’esonero riguarda l’eventuale assunzione di un lavoratore che già abbia fruito del beneficio.
In tal caso, la circolare sottolinea che tale ipotesi vada verificata in capo al datore di lavoro che l’assume.




martedì 16 dicembre 2014

Riforma del lavoro per il 2015 le deleghe al governo



In Gazzetta Ufficiale le deleghe al Governo per la riforma del lavoro, i decreti attuativi dovranno essere emanati entro sei mesi dalla pubblicazione in Gazzetta e quindi entro il 16 giugno 2015.

Il Parlamento ha pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 290 del 15 dicembre 2014, la L. 10 dicembre 2014, n. 18, contenente le deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro. La legge è vigente dal 16 dicembre 2014.

La presente Legge Delega contiene cinque deleghe legislative, che intervengono su importanti e vasti ambiti del diritto del lavoro:

delega in materia di ammortizzatori sociali, finalizzata a razionalizzare le forme di tutela esistenti, differenziando l’impiego degli strumenti di intervento in costanza di rapporto di lavoro (Cassa Integrazione) da quelli previsti in caso di disoccupazione involontaria (ASpI). Lo scopo è quello di assicurare un sistema di garanzia universale per tutti i lavoratori, con tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, nonché di razionalizzare la normativa in materia d’integrazione salariale;

delega in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, avente lo scopo di riordinare la normativa in materia di servizi per il lavoro, per garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politiche attive del lavoro su tutto il territorio nazionale, razionalizzando gli incentivi all'assunzione e all’autoimpiego e istituendo una cornice giuridica nazionale che faccia da riferimento anche per le normative regionali e provinciali. La delega prevede, in particolare, con l’obiettivo di unificare la gestione delle politiche attive e passive, l’istituzione dell’Agenzia nazionale per l’occupazione (con competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASpI, con il contestuale riordino degli enti operanti nel settore) e il rafforzamento dei servizi per l’impiego, valorizzando le sinergie tra servizi pubblici e privati; si prevedono, inoltre, la valorizzazione delle funzioni di monitoraggio e valutazione delle politiche attive per il lavoro e interventi di semplificazione amministrativa in materia di lavoro e politiche attive;

delega in materia di semplificazione delle procedure e degli adempimenti, per conseguire obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro, al fine di ridurre gli adempimenti a carico di cittadini e imprese. In particolare, si vuole diminuire il numero di atti amministrativi inerenti il rapporto di lavoro, attraverso specifiche modalità (ad es. l’unificazione delle comunicazioni alle P.A. per gli stessi eventi, l’obbligo di trasmissione di dati tra le diverse amministrazioni, l’abolizione della tenuta di documenti cartacei e la revisione degli adempimenti in materia di libretto formativo del cittadino);

delega in materia di riordino delle forme contrattuali e dell’attività ispettiva, finalizzata a rafforzare le opportunità d’ingresso nel mondo del lavoro e ai riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo, nonché a rendere più efficiente l’attività ispettiva. In particolare, si prevede la redazione di un testo organico di disciplina delle varie tipologie contrattuali (con possibilità di superamento di alcune di esse); la previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio; l’introduzione, anche in via sperimentale, del compenso orario minimo; la ridefinizione della disciplina vigente in materia di mansioni (con la possibilità di “demansionamenti”) e controllo a distanza dei lavoratori;

delega in materia di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, avente lo scopo di garantire adeguato sostegno alla genitorialità e favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori. A tal fine si prevede, in particolare, l’estensione del diritto alla prestazione di maternità alle lavoratrici madri cd. “parasubordinate”; l’introduzione di un credito d’imposta per le donne lavoratrici, anche autonome, che abbiano figli minori o disabili non autosufficienti (al di sotto di una determinata soglia di reddito individuale complessivo) e l’armonizzazione del regime delle detrazioni (dall’imposta sui redditi) per il coniuge a carico; la promozione del telelavoro; l’incentivazione di accordi collettivi volti a facilitare la flessibilità dell’orario di lavoro e l’impiego di premi di produttività; la possibilità di cessione dei giorni di ferie tra lavoratori per attività di cura di figli minori; la promozione dell’integrazione dell’offerta di servizi per le cure parentali forniti dalle aziende e dagli enti bilaterali nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona.

In arrivo quindi il decreto attuativo con la nuova normativa sul contratto a tutele crescenti. L'obiettivo è di agevolare le nuove assunzioni dall'inizio del 2015 con le agevolazioni della legge di stabilità, che destina fino a 8.060 euro l'anno per gli sgravi contributivi dei neoassunti con la nuova tipologia contrattuale (per un triennio), e con l'abbattimento della componente lavoro dalla base imponibile Irap per i contratti a tempo indeterminato.

La Legge Delega contiene cinque deleghe legislative, che intervengono su importanti e vasti ambiti del diritto del lavoro:

Una scheda di sintesi delle cinque deleghe con i tempi di attuazione

Delega in materia di ammortizzatori sociali           6 mesi

Delega in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive   6 mesi


Delega per la semplificazione e la razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti relativi alla costituzione ed alla gestione dei rapporti di lavoro          6 mesi

Delega per il riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e delle tipologie dei relativi contratti nonché per la razionalizzazione e semplificazione dell'attività ispettiva              6 mesi

Delega per la revisione e l’aggiornamento delle misure intese a sostenere le cure parentali ed a tutelare la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro                6 mesi.




lunedì 8 dicembre 2014

Certificazione nei contratti di lavoro



La certificazione è una speciale procedura finalizzata ad attestare che il contratto che si vuole sottoscrivere abbia i requisiti di forma e contenuto richiesti dalla legge. È una procedura a carattere volontario, può essere eseguita solo su richiesta di entrambe le parti (futuro lavoratore e datore di lavoro) e ha lo scopo di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione di alcuni contratti di lavoro.

Possono essere oggetto di certificazione solo i contratti di:
lavoro intermittente
lavoro ripartito
lavoro a tempo parziale
lavoro a progetto
associazione in partecipazione
appalto

La procedura di certificazione è attivata a seguito di una richiesta scritta e congiunta del datore di lavoro e del lavoratore. L'inizio del procedimento deve essere comunicato alla DTL competente per territorio e deve concludersi entro 30 giorni dalla ricezione dell'istanza. Nella valutazione la commissione deve tener presente i codici di buone pratiche.

La procedura si conclude con un atto di certificazione motivato che indica l'autorità presso cui è possibile presentare ricorso, il termine per presentarlo e gli effetti della certificazione. L'atto di certificazione può essere impugnato dal datore di lavoro e dal lavoratore, oltre che dai terzi interessati, davanti al giudice del lavoro e in alcuni casi al TAR (Tribunale amministrativo regionale). La pratica di certificazione e i contratti certificati devono essere conservati presso le sedi di certificazione per almeno 5 anni dal momento della loro scadenza.

Le sedi di certificazione svolgono attività di consulenza e assistenza al datore e al lavoratore sia in relazione alla stipulazione, sia in relazione alle modifiche del programma negoziale.

Il recente D. Lgs. 276/03 ha introdotto la certificazione che è finalizzata a ridurre il contenzioso in materia di rapporti di lavoro attraverso un'esatta qualificazione del rapporto stesso. Infatti, chi abbia stipulato un contratto di lavoro atipico, può certificare la genuinità di quel contratto e del proprio rapporto di lavoro, rivolgendosi ad apposite Commissioni, giurando che il proprio rapporto di lavoro si svolge davvero coerentemente con la tipologia contrattuale prescelta e non nasconde, invece, un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Più precisamente, alla certificazione possono ricorrere i titolari di un contratto di lavoro intermittente, di lavoro ripartito, di lavoro a tempo parziale, di lavoro a progetto e di associazione in partecipazione. Inoltre, è ammessa la procedura di certificazione per i contratti di appalto anche ai fini della concreta distinzione dalla somministrazione di lavoro. L'autorità dotata del potere certificatorio può essere un ente bilaterale, la Direzione provinciale del lavoro, una Provincia e le Università. La procedura deve concludersi entro il termine di trenta giorni dalla presentazione dell'istanza.

L'atto di certificazione deve essere motivato e contenere, tra l'altro, il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere nei confronti della certificazione stessa. Infatti, nei confronti della certificazione può essere impugnata avanti il Giudice del Lavoro, ad opera delle stesse parti o di un terzo, nella cui sfera giuridica l'atto impugnato produca effetti. Tuttavia, l'impugnazione giudiziale è ammessa solo per alcuni motivi, indicati dal legislatore delegato: ciò infatti può accadere per il caso in cui il rapporto si svolga, di fatto, in maniera diversa da come è stato certificato, o per erronea qualificazione del contratto, o per un vizio del consenso (quindi quando qualcuno sia stato indotto alla certificazione per violenza, errore, dolo). In questo caso, il preventivo tentativo obbligatorio di conciliazione deve essere effettuato davanti alla commissione di certificazione che ha adottato l'atto di certificazione. L'atto di certificazione può essere impugnato anche davanti al Tribunale Amministrativo Regionale per violazione del procedimento o per eccesso di potere.

Nonostante le finalità dichiarate dal legislatore delegato si deve ritenere che, in realtà, la certificazione avrà la sola conseguenza di aumentare i ricatti ai danni del lavoratore. Infatti, si può scommettere che, d'ora in poi, il datore di lavoro subordinerà l'assunzione di un lavoratore atipico, o la stipulazione di un contratto a progetto, alla contestuale certificazione e, ovviamente, se il lavoratore rifiuterà, non si darà corso al rapporto di lavoro.

La certificazione presenta notevoli vantaggi per i lavoratori e per le aziende in quanto la Commissione, costituita da soggetti altamente qualificati, assiste attivamente le parti nella redazione del contratto e ne verifica e convalida la regolarità formale e sostanziale, qualunque sia il modello contrattuale prescelto dalle parti (lavoro autonomo, subordinato, coordinato, ecc.). Con la certificazione, quindi, le parti sono sicure della “qualità” dei contratti stipulati.

Gli effetti della certificazione sono importanti, oltre che sul piano della certezza del diritto, anche su quello della resistenza del contratto in caso di controversia, in quanto la certificazione dispiega i propri effetti verso i terzi (enti previdenziali compresi) e previene il contenzioso giudiziale in materia di qualificazione del rapporto.

Come tutte le forme di certificazione, anche la certificazione dei contratti di lavoro e di appalto ha un’importante valenza in termini di responsabilità sociale d’impresa e presenta indubbi riflessi positivi nei rapporti dell’azienda sia con i propri lavoratori sia con i propri interlocutori (clienti, fornitori, istituzioni, istituti di credito, ecc.).

Le Commissioni di certificazione hanno il potere di svolgere:
a. attività di consulenza e assistenza alle parti contrattuali sia al momento della stipulazione del contratto di lavoro sia, successivamente, per eventuali modifiche concordate in sede di attuazione del rapporto;
b. attività di certificazione di tutti i contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro.
c. attività di conciliazione delle controversie ai sensi dell'articolo 410 c.p.c.

Gli effetti del provvedimento di certificazione permangono, anche nei confronti dei terzi, fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, un eventuale ricorso giurisdizionale. Nei confronti dell’atto di certificazione, sia le parti che i terzi che ne abbiano interesse possono proporre ricorso giurisdizionale soltanto per vizi del consenso, per erronea qualificazione del rapporto o per difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione. Il ricorso al giudice ordinario deve obbligatoriamente essere preceduto da un tentativo di conciliazione da svolgersi avanti alla commissione che ha certificato l’atto.



domenica 16 novembre 2014

Contratto di lavoro con tutele crescenti



L’introduzione del contratto unico a tutele crescenti è stabilita dall’articolo 4 della Delega. L’iter parlamentare e il dibattito politico hanno già modificato l’ipotesi originaria di applicarlo solo agli ingressi nel mondo del lavoro (giovani al primo impiego), prevedendo il contratto indeterminato a tutele crescenti per tutti i lavoratori che stipulano un nuovo contratto con un’azienda. Sarebbe quindi esteso a tutte le assunzioni di personale (passaggi da un’azienda all’altra, riassorbimento disoccupati e via dicendo) a tempo indeterminato.

"Il contratto a tutele crescenti è il primo obiettivo che vogliamo portare in porto per fine anno". Lo ha detto il ministro del Lavoro Giuliano Poletti.

Un obiettivo che il ministro Poletti indica per far sì che "a gennaio le imprese e i lavoratori possano utilizzare le scelte che abbiamo fatto nella legge di stabilità di ridurre il costo del lavoro in modo che la percentuale di contratti a tempo indeterminato cresca in maniera importante". Il ministro del Lavoro a proposito del tempi indeterminati ha ricordato che oggi sono il 15% dei nuovi avviamenti: "un numero troppo basso. Noi vogliamo che aumentino percentualmente i contratti a tempo indeterminato a tutela crescente e quindi lo faremo sicuramente per l'inizio dell'anno".

Taddei, conflitto con sindacati non ci fa desistere -  Oggi è in corso "un conflitto un pò troppo intenso, forse, con le organizzazioni sindacali, ma ciò non ci fa desistere. Non siamo spaventati dal pagare quello che può apparire un piccolo prezzo di consenso nel breve periodo, per realizzare il cambiamento". E' quanto sottolinea il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, intervenendo all'assemblea dell'associazione 'Libertà eguale'. Le riforme del governo, non sono "solo veloci, ma hanno il capitale politico del consenso", aggiunge.

Nel nuovo mondo del lavoro che ha in mente Renzi ci sono solo due forme di lavoro: autonomo e dipendente. Quella dipendente, a sua volta, si suddivide in tempo determinato e tempo indeterminato a tutele crescenti. Quest’ultima dovrebbe essere la forma più diffusa, perché l’azienda sarebbe incentivata a ricorrervi. Come? Con uno sconto sul costo del lavoro rispetto a un contratto a termine. Non solo. Se nella prima fase del contratto a tutele crescenti, poniamo tre anni, l’azienda risolvesse il rapporto di lavoro, dovrebbe restituire allo Stato lo sconto di cui ha beneficiato, perché essendo stato il contratto, alla prova dei fatti, a termine, esso appunto dovrebbe costare di più. Verrebbero così scoraggiati gli imprenditori che volessero fare i furbi mentre i contratti temporanei dovrebbero limitarsi ai soli casi nei quali effettivamente il lavoro si suppone a tempo determinato, per esempio le attività stagionali.

Essendo i contratti a progetto e le altre forme di precariato cancellate, i lavoratori avrebbero tutti gli stessi diritti (minimi di retribuzione, maternità, ferie, ammortizzatori sociali) secondo il tipo di contratto (a termine o a tutele crescenti). Certo, è vero, a meno di sorprese, dovrebbe restare un nucleo forte di lavoratori protetti dal vecchio articolo 18 (circa 6 milioni e mezzo nel privato), poiché il nuovo contratto a tutele crescenti si applicherebbe solo alle assunzioni successive all’entrata in vigore della legge. Ma il bacino dei tutelati dall’articolo 18, anno dopo anno, dovrebbe restringersi. E comunque - sostengono i tecnici del governo, replicando a chi dice che così si approfondirebbe la spaccatura tra giovani e anziani - i giovani che verranno assunti col contratto a tutele crescenti avranno una serie di diritti e ammortizzatori che attualmente non hanno, perché non previsti dalle forme di lavoro precarie o perché lavorano in piccole aziende. Mentre oggi infatti solo il 15% delle assunzioni avviene a tempo indeterminato, nel nuovo sistema abbiamo visto che la stragrande maggioranza dei contratti dovrebbe essere di questo tipo.

Certo, ma a tutele crescenti, che non equivale all’attuale «posto fisso» (nelle aziende con più di 15 dipendenti), dove l’articolo 18, anche se attenuato dalla riforma Fornero, prevede ancora la possibilità di reintegrare i lavoratori. Nel nuovo sistema, invece, il diritto al reintegro resterebbe solo sui licenziamenti discriminatori (fede religiosa, politica, appartenenza sindacale, razza, eccetera) mentre in tutti gli altri casi l’azienda potrebbe licenziare liberamente il lavoratore dietro pagamento di un’indennità economica crescente in rapporto agli anni di servizio prestati (le ipotesi variano da uno a tre mesi di stipendio per anno di lavoro).

La necessità di far passare una ulteriore riforma dell’articolo 18 attraverso le maglie di un nuovo “tipo contrattuale”, quale sarebbe il “contratto di lavoro a tutele crescenti”, complicherebbe invece le cose: non solo, sul piano sistematico, per la difficoltà di concepire un contratto la cui “tipicità” o “specialità” consista nella ridotta applicazione di un importante segmento di disciplina, anziché in una diversa struttura causale o anche solo tipologica; ma anche, sul piano normativo, per la difficoltà di immaginare un regime di maggior protezione, che dovrebbe operare al momento della maturazione del “picco massimo” delle tutele, e che non consista nel ripristino sic et simpliciter del vecchio articolo 18 (quello, beninteso, anteriore alla riforma Fornero).

La veicolazione della riforma dell’articolo 18 attraverso la figura del “contratto di lavoro a tutele crescenti”, insomma, per un verso esaspera la carenza di tutele nella fase della “crescita delle tutele”, e per l’altro irrigidisce eccessivamente le tutele da riconoscersi al termine della fase di “crescita”.

Si tratta, a ben vedere, di un’idea che presuppone il superamento della logica gradualistica insita nella riforma Fornero: una logica ragionevole e praticabile, che è stata, forse, affossata dalle resistenze opposte da una parte importante della dottrina e della giurisprudenza.



lunedì 15 settembre 2014

Indennità di paternità e contratti di lavoro



L’art. 28 del T.U. riconosce al padre lavoratore il diritto autonomo alla fruizione del congedo di paternità per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice madre, in caso di morte o di grave infermità della stessa ovvero di abbandono del figlio da parte della madre, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.

Solo la durata del congedo di paternità è correlata alla eventuale fruizione del congedo di maternità da parte della madre lavoratrice. In tale ipotesi, la durata del congedo di paternità è pari al periodo di astensione obbligatoria non fruito in tutto o in parte dalla madre, compresi quindi i periodi di astensione obbligatoria post-partum di maggiore durata conseguenti alla flessibilità e/o al parto prematuro.

Il padre, nel caso voglia avvalersi del congedo di paternità, dovrà produrre unitamente alla domanda di maternità la certificazione, rilasciata dalla Amministrazione competente, attestante una delle predette situazioni. La certificazione potrà essere sostituita da autocertificazione: dichiarazione sostitutiva di certificazione sottoscritta dal richiedente se trattasi di dati personali e fatti secondo l'art. 46 del DPR 45/2000 (data e luogo di nascita, stato di famiglia, nascita del figlio ecc) oppure dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, sottoscritta dal richiedente in presenza del funzionario addetto oppure sottoscritta e presentata unitamente a copia  non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore, se trattasi di dati non inclusi nell'art. 46 del DPR di cui sopra ma che siano a diretta conoscenza dell'interessato (art. 47 DPR 445/2000). In caso di morte dell'altro genitore certificato di morte oppure dichiarazione sostitutiva di certificazione; In caso di abbandono del figlio con mancato riconoscimento da parte dell'altro genitore = il richiedente  renderà dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà nel quale dovrà attestare il mancato riconoscimento da parte dell'altro genitore e che il figlio non è affidato a terzi e è soggetto alla potestà del richiedente.

In caso di abbandono del figlio successivo al riconoscimento da parte dell'altro genitore = il richiedente dovrà rendere dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà e presentare copia del provvedimento del giudice attestante la decadenza della potestà dell'altro genitore (in attesa del provvedimento sarà sufficiente presentare copia dell'istanza presentata). In caso di affidamento esclusivo del figlio, il richiedente dovrà presentare copia della sentenza di separazione nella quale il giudice ha disposto l'affidamento esclusivo (ad un solo genitore) al richiedente. In caso di grave infermità , la certificazione medica da sottoporre all'esame del medico di Sede per la valutazione della compatibilità dell'infermità con la cura e l'assistenza del neonato. La certificazione medica non è suscettibile ad autocertificazione.

DIRITTO AUTONOMO DEL PADRE ALLA MATERNITÀ OBBLIGATORIA
Il diritto alla indennità di maternità obbligatoria all'80% della retribuzione, si riconosce anche se la madre non è o non è stata lavoratrice (-ordinanza n. 144 del 16/4/1987 con cui la Corte Costituzionale ha stabilito a proposito della sentenza n. 1/1987: ”in luogo di lavoratrice madre leggasi madre, lavoratrice o meno”.

DIRITTO ALL'INDENNITÀ DI DISOCCUPAZIONE CON REQUISITI RIDOTTI
Tale diritto si acquisisce allorquando nell’anno di riferimento sia riscontrabile un minimo di 78 giorni lavorati ( da intendere per tali le giornate retribuite e cioè oltre a quelle lavorate anche le festività, le ferie, i riposi ordinari e compensativi, periodi di maternità e malattia.

INDENNITÀ DI MATERNITÀ E INDENNITÀ DI DISOCCUPAZIONE CON REQUISITI RIDOTTI

Il diritto alla indennità di maternità viene conservato anche quando il congedo di maternità si collochi oltre 60 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro purché la lavoratrice, all’inizio del congedo, risulti disoccupata e in * godimento della indennità di disoccupazione con requisiti ridotti. Ai fini del diritto alla indennità di maternità la data di inizio del congedo dovrà collocarsi nello stesso anno in cui è stata svolta l’attività lavorativa ed entro il periodo presunto di * godimento della disoccupazione con Requisiti Ridotti. Il congedo di maternità, quindi, non potrà iniziare nell’anno successivo a quello di riferimento della predetta prestazione di disoccupazione con R.R.

nel caso in cui la lavoratrice abbia intrattenuto un solo rapporto di lavoro, le giornate indennizzabili per disoccupazione con requisiti ridotti devono essere conteggiate  a partire  dal giorno immediatamente successivo alla cessazione del rapporto di lavoro ( includendo anche le domeniche e i giorni festivi) .

nel caso di pluralità di rapporti di lavoro , le giornate indennizzabili per disoccupazione con requisiti ridotti devono essere collocate nei  periodi di inattività riscontrati tra un rapporto di lavoro e un altro a partire dal primo giorno di inoccupazione successivo alla cessazione del rapporto di lavoro che, unitamente  agli altri , ha consentito il  raggiungimento delle 78 giornate necessarie per il diritto alla indennità di disoccupazione con Requisiti Ridotti.

CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE LAVORO

Il contratto di somministrazione è quel contratto attraverso il quale viene regolata la fornitura di lavoratori dall’impresa somministratrice a quella utilizzatrice (art. 20, d.lgs n. 276/2003 commi 3 e 4) per la somministrazione sia a tempo determinato che indeterminato. Tali lavoratori hanno diritto alla indennità di malattia , a quella di maternità e alla TBC per gli eventi che si verificano sia durante il periodo di disponibilità che in quello di utilizzo.

La retribuzione da prendere a base per il calcolo sarà l’indennità di disponibilità per i periodi coincidenti con quelli di disponibilità e per i periodi coincidenti con l’utilizzo la retribuzione percepita nel periodo di utilizzo lavorativo immediatamente precedente.

Sarà il somministratore che provvederà al pagamento dei contributi previdenziali e al pagamento al lavoratore del trattamento economico dovuto. In caso di inadempimento da parte del somministratore , sarà l’utilizzatore a rispondere in solido. Durante i periodi di disponibilità, per il lavoratore a tempo indeterminato, i contributi saranno versati per il loro effettivo ammontare in deroga alla norma sul minimale contributivo.

N.B.
La ditta somministratrice è inquadrata nel terziario. Nel caso di somministrazione nel settore agricolo o di lavoratori domestici trovano applicazione i criteri erogativi, gli oneri previdenziali e assistenziali previsti dai relativi settori.

CONTRATTO DI APPALTO

Tale tipologia di contratto si riferisce ai lavoratori dipendenti dell’appaltatore ai quali non rileva la situazione della impresa committente dell’appalto. I lavoratori hanno diritto alla indennità di malattia, a quella di maternità e alla TBC secondo la normale disciplina prevista per i lavoratori dipendenti tenendo conto della categoria e della qualifica professionale di appartenenza.


Il distacco si configura quando un datore di lavoro mette temporaneamente a disposizione di un altro soggetto l’attività di uno o più lavoratori per eseguire un determinato lavoro.

Tali lavoratori distaccati restano a tutti gli effetti dipendenti dell’azienda d’origine, avranno diritto, quindi, alla indennità di malattia, a quella di maternità e alla TBC secondo la normale disciplina prevista per i lavoratori dipendenti tenendo conto della categoria e della qualifica professionale di appartenenza.


Con il contratto di lavoro intermittente il lavoratore si pone, a tempo determinato(senza obbligo di disponibilità) o indeterminato (con obbligo di disponibilità), a disposizione del datore di lavoro (art.6 comma 6 d.lgs 276/2003) . Tale contratto si concretizza in due tipologie:

1. obbligo del lavoratore a rispondere alla chiamata del datore di lavoro, con diritto ad una indennità per i periodi di disponibilità obbligatoria;

2. assenza di obbligo di disponibilità del lavoratore , con la conseguenza che il rapporto contrattuale si instaura solo quando il lavoratore risponde alla chiamata del datore di lavoro.

1 - Per gli eventi di malattia, maternità e TBC insorti durante i periodi di disponibilità, nel caso di contratto con obbligo di disponibilità, ai fini del calcolo della indennità sarà presa a riferimento come retribuzione l’indennità di disponibilità, per gli eventi insorti invece durante la fase di utilizzo, la retribuzione da prendere a base per il calcolo della indennità sarà la retribuzione effettivamente percepita durante il periodo di effettivo utilizzo immediatamente precedente. Gli eventi che iniziano durante il periodo di utilizzo e si protraggono nel periodo di disponibilità e viceversa, saranno riproporzionati tenendo conto di un diverso parametro retributivo a seconda che cadano nel periodo di prevista attività lavorativa o di disponibilità ( es. nota 1). Per quanto riguarda il congedo parentale (come per il part time verticale) il diritto all’indennità non sussiste durante le pause contrattuali e quindi durante i periodi di disponibilità.

2 – Per gli eventi di malattia insorti nel caso di contratto senza obbligo di disponibilità, le prestazioni spettano durante il periodo di effettiva attività lavorativa e secondo la disciplina del lavoro a tempo determinato ( il diritto all’indennità si estingue al momento della cessazione dell’attività lavorativa);. Per gli eventi di maternità l’indennità sarà corrisposta per tutta la durata dell’evento purchè lo stesso sia iniziato durante l’attività lavorativa o entro 60 giorni dall’ultimo lavorato. ). Il congedo parentale va indennizzato solo nei periodi di svolgimento dell’attività lavorativa.

La retribuzione da prendere a base per il calcolo sarà quella complessivamente percepita negli ultimi 12 mesi precedenti l’insorgenza dell’evento (malattia – maternità – TBC - come part time verticale va divisa per il numero delle giornate indennizzabili - 360 impiegati, 312 operai – nella retribuzione vanno incluse le indennità di trasferta e i ratei di mensilità aggiuntive). Il congedo parentale andrà indennizzato al 30% della retribuzione che la lavoratrice o il lavoratore percepirebbe qualora non si astenesse dal lavoro, per le sole giornate di previsto svolgimento della attività lavorativa (comprese le festività cadenti nel periodo).

martedì 15 aprile 2014

Contratto di lavoro flessibile cosa cambia con il Decreto lavoro n. 34/2014




È inammissibile perché trova la sua ratio politica nella stessa retorica che ha accompagnato ogni riforma del mercato del lavoro che è stata introdotta nel nostro ordinamento negli ultimi quindici anni e secondo cui con l’aumento della cosiddetta “flessibilità” si avrebbe come effetto un aumento dell’occupazione.

Ma non vi è alcun nesso causale tra l’aumento della flessibilità e l’aumento dell’occupazione. Se si osservano i dati sull’occupazione dal 2004 ad oggi vediamo che, al netto della crisi, la progressiva riduzione dei diritti dei lavoratori  ha avuto come unica conseguenza la perdita di potere contrattuale con un’incidenza sul  reddito dei lavoratori a dir poco drammatica.

Dopo la Riforma del Lavoro del Governo Monti (elaborata dal Ministro Fornero) e le successive modifiche e integrazioni operate dal Governo Letta (Ministro Giovannini), il nuovo Esecutivo Renzi ha delineato un nuovo programma di riforme che interessano Mercato del Lavoro e Welfare, incentrato sul Jobs Act: testi, proposte di Sindacati e Confindustria, implicazioni per i dipendenti sulle modifiche all'Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Decreto Lavoro del governo Renzi (Decreto Legge Poletti 34/2014) ha modificato i contratti a termine, ridimensionando alcune novità della Riforma Lavoro 2012: l’obiettivo è rendere più flessibili le assunzioni a tempo determinato e quindi più vantaggiose per i datori di lavoro, incentivando una formula di occupazione più stabile rispetto ai contratti atipici, troppo spesso sinonimo di precarietà e più rispondente alle mansioni svolte rispetto a tante collaborazioni e consulenze a Partita IVA che mascherano un rapporto di lavoro subordinato. Le modifiche del Decreto, mirano a ridurre per l’azienda il rischio di contenziosi pur salvaguardando per il lavoratore le diverse tutele.

Per il giuslavorista Pietro Ichino, su questa nuova disciplina – che nei fatti produce una liberalizzazione dei contratti a termine – potrebbe sollevarsi un dubbio di compatibilità con le regole poste dalla Direttiva UE 99/70/CE visto che riduce drasticamente i limiti alla reiterazione di contratti. Inoltre, accentua la differenza reale tra assunti a termine e a tempo indeterminato.

Un limite superabile con l’inserimento nel DL della norma sull’indeterminato a protezioni crescenti, disponendo anche una «modesta indennità di cessazione proporzionata all’anzianità, sostitutiva del filtro giudiziale, identica per tempo indeterminato e determinato acausale. Solo in questo modo si otterrà di sdrammatizzare l’alternativa fra le due forme di contratto».

Un altro giuslavorista, Michele Tiraboschi, teme per il DL l’inefficacia nel lungo termine: «la liberalizzazione può produrre nel breve periodo maggiore occupazione, ma nel tempo questa  deregolamentazione del contratto a termine indica mancanza di visione d’insieme su politiche e impianto sistematico del diritto del lavoro che, anche per il contratto di apprendistato, «sembra ora scardinato». In più, secondo Tiraboschi, invece di diminuirli la nuova norma potrebbe causare un aumento dei contenziosi: «liberalizzazione del termine non intacca il principio legislativo della centralità del lavoro subordinato a tempo indeterminato, con ciò aprendo la strada a interpretazioni restrittive dei giudici, specie sulle proroghe che non sono adeguatamente regolate».

Per Giuliano Cazzola (Università Ecampus), «la riforma del contratto a termine ridurrà il contenzioso. Prima il “causalone” sottoponeva le imprese alla roulette russa dei tribunali».Positivo anche il potenziamento della «centralità al momento dell’assunzione, sia rispetto al contratto a tempo indeterminato, sia nei confronti delle forme atipiche, il cui utilizzo è adesso a rischio di sanzione dopo le modifiche a “giro di vite” introdotte dalla legge n. 92 del 2012». Cazzola ritiene infine «meno interessante il ricorso ad un eventuale contratto unico a tempo indeterminato e a tutela crescente, perché ben pochi datori di lavoro ne faranno uso potendo avvalersi per un triennio di un contratto a termine liberalizzato e molto meno complicato, all’atto della risoluzione».

Garantire il salario minimo con una legge che preveda il carcere per i datori di lavoro che non la rispettano, un contratto nazionale che agisca solo qualora sul territorio non si siano raggiunti accordi di secondo livello così da aiutare la produttività e una “rivoluzione delle relazioni sindacali” che punti proprio sugli accordi di secondo livello.

Il D.L. n. 34/2014 è contrario alla normativa comunitaria (Direttiva 1999/70) in materia di contratti a tempo determinato.

Tale disciplina prevede che ciascuno degli Stati membri debba rispettare rigorosi principi di limitazione della temporaneità dei contratti e ribadisce la regola per cui il rapporto di lavoro è a tempo indeterminato, vietando inoltre agli ordinamenti nazionali di porre riforme peggiorative in materia (“clausola di non regresso”).

La nuova disciplina prevede la possibilità di stipulare contratti a tempo determinato a-causali (ovvero senza giustificazione) della durata complessiva di 36 mesi, all’interno dei quali è altresì possibile effettuare fino a 8 proroghe per ciascun contratto (con l’aberrante effetto di poter stipulare fino a 288 proroghe in 36 mesi senza motivazione alcuna – qui trovate un breve video che ne illustra le rovinose conseguenze).

Allo stesso modo è illegittima la riforma nella parte in cui viene modificato il contratto di apprendistato: eliminando ogni obbligo da parte dell’azienda di effettuare l’attività di formazione ai lavoratori apprendisti viene meno la causa stessa del contratto.

È evidente che nessuno assumerà più lavoratori con contratti a tempo indeterminato, così come evidente che i lavoratori assunti con questi nuovi tipi di contratti si guarderanno bene dall’avanzare richieste e rivendicare diritti sapendo che in qualsiasi momento potrebbero essere lasciati a casa.

Non è tollerabile perché in questo modo il diritto al lavoro perde definitivamente ogni valore e con esso buona parte dei principi costituzionali che reggono il nostro ordinamento, dal momento in cui ogni accesso al lavoro avviene attraverso forme contrattuali che si fondano sul ricatto e lo sfruttamento della forza lavoro rispetto ai quali i lavoratori non avranno più alcuno strumento di difesa.


mercoledì 19 marzo 2014

Nuovo contratto unico: indeterminato ma in prova per tre anni



La riforma del lavoro che il nuovo governo si appresterebbe a varare ha al centro un nuovo contratto unico di inserimento. Ancora da precisare in molti dettagli decisivi, ma con alcuni caratteri già definiti. Il primo: essere limitato a una certa fascia di età, probabilmente al di sotto dei 34 anni, per favorire l’impiego dei giovani. Il secondo: la tipologia a tempo indeterminato, con la possibilità però per le aziende di interrompere il rapporto nei primi tre anni a fronte di un indennizzo economico proporzionato al lavoro svolto. In pratica, verrebbe temporaneamente sospesa l’applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che prevede la reintegra nel posto di lavoro per i licenziamenti privi di giustificazione.

L’ipotesi è quella prevista dal Jobs Act: contratto a tempo indeterminato a tutele progressive, ossia senza la protezione dell’articolo 18 (reintegro) per il primo periodo di assunzione. In pratica, è come se l’attuale periodo di prova, in genere di pochi mesi, fosse esteso a qualche anno, per dare al datore di lavoro il tempo di valutare il rapporto costi/benefici dell’assunzione garantendo però alla fine un contratto stabile al dipendente. Al momento si parla di tre anni.

E le altre forme contrattuali oggi utilizzate? Si parla di contratto unico a tempo indeterminato ma a conti fatti sembra più una riforma di quello attuale, visto che non soltanto rimarrà anche il contratto a tempo determinato – si ipotizza per i contratti a termine una estensione a 36 mesi del periodo di assunzione senza causale (attualmente un anno) – ma rimarrà anche quello da co.co.pro. A confermarlo è la riforma degli ammortizzatori sociali allo studio, che per l’appunto medita di estendere il sussidio di disoccupazione anche a queste figure.

Si pensa di garantire un trattamento massimo di due anni anche ai collaboratori a progetto. Per questo scopo servono 9,5 miliardi che teoricamente ci sarebbero: l’ipotesi è di sommare ai 7,1 mld già erogati per ASPI e Mini ASPI i 2,4 mld per gli ammortizzatori in deroga visto che, nonostante la Legge Fornero li preveda fino al 2018, sarebbero sostituiti dal nuovo sussidio. In pratica resterebbe la cassa integrazione ordinaria (destinata a sostenere le aziende in difficoltà con un piano per uscire dalla crisi), mentre verrebbe ridotta la cig in deroga (magari attraverso un meccanismo graduale). Su questo punto si servirà un confronto con le parti sociali, sindacati in primis. Ricordiamo che all‘attuale ASPI hanno diritto i dipendenti anche a tempo determinato per 12-18 mensilità a seconda dell’anzianità lavorativa. I co.co.pro non vi accedono ma percepiscono indennità in base a contributi versati e ai minimali annui (massimo 6mila euro per sei mesi di lavoro).

La scelta di orientarsi verso un contratto unico – nelle diverse declinazioni messe a punto da Pietro Ichino e da Tito Boeri e Pietro Garibaldi  intende rispondere da un lato al dramma di una disoccupazione giovanile oltre il 40% e dall’altro al fenomeno del precariato, cercando di indirizzare le assunzioni verso un unico canale a tempo indeterminato. Secondo l’ultimo monitoraggio dei flussi occupazionali, infatti, i contratti “standard” sono calati ad appena il 15,4% delle assunzioni, il 5,9% sono le collaborazioni a progetto, mentre la gran parte delle assunzioni, il 69,3%, avviene con contratti a termine (in realtà, in un anno si ripetono molte più assunzioni a tempo anche sulla stessa persona e dunque il loro peso nei flussi è percentualmente assai più rilevante di quanto non siano in realtà i lavoratori temporanei sul totale degli occupati, circa il 15%).



Contratti di lavoro e ammortizzatori sociali per il 2014



Le misure nel Ddl di Delega al Governo per riordinare contratti di lavoro, sussidi di maternità e disoccupazione, incentivi per assunzione e autoimpiego, ammortizzatori sociali e Aspi, in linea con il Jobs Act. Il lavoratore licenziato verrebbe per contro affidato a una rete di moderni servizi di ricollocamento verso un nuovo impiego secondo una logica attiva delle politiche del lavoro con contestuale ripensamento del sistema di ammortizzatori sociali. Molti in realtà frenano, ma c’è anche chi si spinge a ipotizzare una sospensione definitiva degli effetti dell’articolo 18 per tutte le nuove assunzioni.


Nuovi sussidi di disoccupazione, incentivi per auto-impiego e imprenditorialità, riordino dei contratti con introduzione sperimentale di quello a garanzie crescenti, compensi orari minimi, semplificazioni e azioni per la conciliazione dei tempi di lavoro-famiglia: prevede tutto questo il disegno di legge delega sul lavoro approvato nel CdM del 12 marzo dal Governo Renzi, la parte più corposa sul piano normativo e strutturale del Jobs Act.

Il Ddl Lavoro si accompagna dunque al decreto con le semplificazioni su apprendistato e tempo determinato e alle linee guida (ancora da presentare dal punto di vista tecnico) sul taglio del cuneo fiscale con consenguente aumento in busta paga. Anche la nuova Riforma del Lavoro Renzi adotta lo strumento del Ddl (come quella Fornero), quindi la palla passa al Parlamento, a cui il governo chiede le seguenti deleghe.

E’ prevista una garanzia universale per tutti in caso di disoccupazione involontaria, con tutele uniformi e legate alla storia contributiva, rivedendo i requisiti per le integrazioni salariali (escludendo i casi di cessazione aziendale) e la durata dei sussidi (da legare ai singoli lavoratori), con meccanismi automatici di concessione.  La cassa integrazione sarebbe concessa solo a seguito di esaurimento di altre possibilità di riduzione dell’orario di lavoro.

Per ammortizzatori sociali si intende il complesso di misure adottate dagli organi governativi che hanno lo scopo di sostenere economicamente tutti coloro che vivono una situazione di disoccupazione. In questa sezione del sito trovi tutte le notizie relativi agli interventi di sostegno al reddito adottati sia a livello nazionale che a livello regionale, come accedere e le novità 2014. Gli ammortizzatori sociali in deroga (CIG e mobilità) sono strumenti di sostegno al reddito per lavoratori subordinati o sospesi dal posto di lavoro, privi di qualsiasi tipologia di trattamento di sostegno al reddito e sono concessi sulla base di accordi regionali, successivamente recepiti in sede governativa, tra Regione, organizzazioni datoriali e organizzazioni sindacali dei lavoratori. Gli accordi determinano i beneficiari e prevedono limiti e vincoli relativi alla concessione dei trattamenti. 

La disciplina ordinaria e breve dell’ASpI verrà rivista: incrementata per i lavoratori con carriere contributive più significative, estesa ai collaboratori a progetto (in fase iniziale un periodo biennale di sperimentazione a risorse definite), valutando anche la possibilità di una ulteriore prestazione in favore di soggetti con indicatore ISEE particolarmente ridotto. Si programma di eliminare lo stato di disoccupazione come requisito per l’accesso a prestazioni di carattere assistenziale. Saranno individuati meccanismi per il coinvolgimento attivo del beneficiario di prestazioni di integrazione salariale o di disoccupazione in favore della comunità locale. Le imprese che vi faranno ricorso, dovranno contribuire al costo dei nuovi ammortizzatori, con una riduzione degli oneri contributivi ordinari e la loro rimodulazione tra i diversi settori in funzione dell’effettivo utilizzo.

Si prevede una revisione degli attuali contratti di lavoro per renderli più coerenti con le esigenze del contesto occupazionale e produttivo. Il primo passo sarà valutarne l’effettiva coerenza, anche in funzione di eventuali interventi di riordino. L’obiettivo è un testo organico di disciplina delle tipologie contrattuali, con abrogazione di tutte le disposizioni incompatibili e le duplicazioni che creano difficoltà interpretative e applicative e l’introduzione sperimentale di ulteriori forme di contratto a tutele crescenti. In via sperimentale si introdurrà anche un compenso orario minimo applicabile a tutti i rapporti di lavoro subordinato, previa consultazione delle parti sociali.

Altre deleghe
Politiche attive. Azioni previste: razionalizzare gli incentivi per assunzione, autoimpiego e autoimprenditorialità; istituire un’Agenzia nazionale per l’impiego per la gestione integrata di politiche attive e passive del lavoro e servizi; migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.

Semplificazioni. Per ridurre gli adempimenti relativi alla gestione del rapporto di lavoro: sburocratizzare, unificare le comunicazioni alle PA, rivedere le sanzioni.

Conciliazione lavoro-famiglia. Per evitare che le donne debbano scegliere fra figli e impiego: indennità di maternità universale; prestazione alle parasubordinate senza contributi dal datore di lavoro; abolizione della detrazione per coniuge a carico e introduzione di un tax credit (incentivo al lavoro femminile) per lavoratrici con figli minori e basso reddito; accordi collettivi per favorire orari flessibili di lavoro; premi di produttività; conciliazione con responsabilità genitoriali e assistenza a non autosufficienti; servizi per la prima infanzia forniti dalle aziende nel sistema dei servizi alla persona.


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