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martedì 20 marzo 2018

Regole sul lavoro: le differenze tra pubblico e privato



Per i lavoratori pubblici, la tutela contro i licenziamenti illegittimi non discende più dall’articolo 18, ma da una norma speciale, allargando la distanza con il lavoro privato.

Le differenze ovviamente fra dipendente pubblico o privato ci sono e sono molte, a partire non soltanto dallo stipendio ma anche dalle regole su assunzione e licenziamento.

Se secondo la maggior parte delle persone lavorare come dipendente pubblico permette di guadagnare di più rispetto a quanto previsto per i colleghi del settore privato, è bene fare alcune precisazioni perché non sempre è così.

Quali sono quindi le differenze tra un lavoratore statale dipendente del settore pubblico e cosa cambia invece per chi è assunto nel privato? Cerchiamo di seguito di dare una panoramica complessiva delle due opzioni.

Una delle prime differenze tra statali e lavoratori del settore privato riguarda le modalità di assunzione.

Per diventare dipendente pubblico, secondo quanto previsto dal comma 3 dell’art. 97 della Costituzione, è necessario superare un concorso, aperto a tutti i cittadini italiani che rispettano i requisiti per lavorare nella Pubblica Amministrazione.

I bandi di concorso per diventare dipendente statale vengono periodicamente pubblicati in Gazzetta Ufficiale e, salvo specifici casi in cui sono previste deroghe alla normativa, l’assunzione come dipendente pubblico avviene sulla base della graduatoria di merito relativa all’esito del concorso.

Al contrario, come noto a chi si è imbattuto in qualsiasi offerta di lavoro, per lavorare come dipendente privato è necessario inviare la propria candidatura e il proprio curriculum vitae debitamente compilato presso l’azienda che offre opportunità di lavoro. Sarà il datore di lavoro o il selezionatore responsabile delle risorse umane a scegliere quale dipendente assumere sulla base di valutazioni inerenti ai bisogni dell’azienda.

Una delle differenze maggiori tra il lavoro nella Pubblica Amministrazione e come dipendente di azienda privata riguarda lo stipendio.

I dipendenti statali guadagnano in media 2.000 euro all’anno in più di un dipendente privato, questo secondo il confronto tra gli stipendi di dipendenti pubblici e privati. Se lo stipendio di un dipendente pubblico è pari a 34.289 euro, un dipendente del settore privato può vantare una retribuzione pari a 32.315 euro, una differenza che certamente non è eccessiva.

Ovviamente non tutti i dipendenti statali se la passano meglio dei dipendenti del settore privato e anche nel settore pubblico bisogna fare le opportune differenze. In Italia tra i dipendenti pubblici meno pagati c’è sicuramente il personale della scuola e della sanità, con redditi annui di gran lunga inferiori rispetto a quanto guadagnato dai colleghi europei e pari a poco più di 28.000 euro all’anno.

Situazione simile per vigili del fuoco, polizia e forze armate, mentre sul fronte opposto, gli stipendi più alti sono quelli delle agenzie fiscali, con retribuzioni che per i ruoli di maggior prestigio arrivano fino a 200 mila euro annui, seguiti dai colleghi di Inps, Inail e Ministeri.

Per i dipendenti privati l’ammontare dello stipendio è determinato dal CCNL della propria categoria, messo a punto con l’accordo delle sigle sindacali rappresentati del settore e quindi il guadagno annuo può variare notevolmente sia in base al settore di lavoro che al proprio inquadramento contrattuale.

Non sempre lo stipendio di chi lavora nel settore privato è inferiore a quello di un dipendente pubblico - fatta accezione dei dirigenti della PA - e anzi è proprio nel settore privato che c’è maggiore opportunità di crescita professionale e avanzamento di carriera e, perché no, di ambire a stipendi maggiori rispetto alla media.

Uno dei temi di maggior critica riguarda le regole sui licenziamenti  manuale per i dipendenti pubblici e privati, a seguito delle due diverse discipline introdotte dall’avvento della riforma del lavoro e dall’abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Le regole attualmente in vigore introdotte con la riforma Fornero del 2012 hanno modificato quanto previsto in materia di licenziamenti individuali: in caso di licenziamento illegittimo il lavoratore avrà diritto al risarcimento proporzionale e non più alla reintegra sul posto di lavoro.
Questo tuttavia soltanto per i dipendenti privati: nei confronti degli statali in caso di licenziamento illegittimo vige ancora quanto previsto dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori: come confermato dai giudici della Corte di Cassazione.

Vediamo se è preferibile lavorare nel pubblico o nel privato? Ovviamente non esiste una risposta certa. Spesso per chi lavora nel settore pubblico il rischio è di perdere la motivazione del proprio lavoro. Fare carriera non è semplice e il rischio è di trovarsi incastrati nelle maglie della burocrazia. Mentre il vantaggio per chi lavora nel pubblico è la certezza del posto fisso che, nonostante tutto, sembra essere ancora oggi una delle priorità degli italiani.

Il problema della reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento nullo o annullabile per i dipendenti pubblici torna ad allargare di molto la distanza tra lavoro pubblico e privato, infatti sull’applicabilità o meno dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori al lavoro pubblico, mediante l’introduzione di una norma specifica nel testo unico del pubblico impiego, il legislatore ha risolto tutti i dubbi, prevedendo una norma applicabile esclusivamente ai dipendenti pubblici, secondo la quale “Il giudice, con la sentenza con la quale annulla o dichiara nullo il licenziamento, condanna l’amministrazione alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, e comunque in misura non superiore alle ventiquattro mensilità, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative. Il datore di lavoro è condannato, altresì, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali”.

La filosofia di fondo, nel pubblico impiego, è rimasta quella della conservazione del posto, vinto dopo una selezione oggettiva. In quest’ottica, ulteriori esempi sono gli istituti della mobilità del personale e della gestione delle eccedenze: diversamente dal privato, qui non si arriva quasi mai alle espulsioni. Si viene ricollocati presso altri uffici. Anche i trasferimenti forzati hanno una serie di garanzie per l’interessato, come gli ambiti territoriali limitati.

Differenti normative esistono, inoltre, per l’utilizzo dei rapporti precari, e autonomi. Il Jobs act ha ridisegnato diverse fattispecie nel duplice tentativo di salvaguardare le esigenze di flessibilità buona delle aziende, e di rilanciare i rapporti stabili (apprendistato incluso). Nel settore pubblico, invece, queste discipline restano ancorate alla temporaneità o eccezionalità del ricorso. Non solo: nella Pa anche i contratti di lavoro autonomo e le collaborazioni ricevono, oggi, una disciplina speciale rispetto al privato.



giovedì 2 marzo 2017

Contributi INPS per assistenza anziani e disabili



E’ stata prorogata al 2016 l’iniziativa Home Care Premium, il bonus erogato dall’INPS a coloro che assistono un familiare anziano o disabile. Il programma si concretizza nell’erogazione da parte dell’Istituto di contributi economici mensili, c.d prestazioni prevalenti, in favore di soggetti non autosufficienti, maggiori d’età e minori, che siano disabili e che si trovino in condizione di non autosufficienza per il rimborso di spese sostenute per l’assunzione di un assistente familiare.  Il programma è limitato ai dipendenti e pensionati della pubblica amministrazione che contribuiscono alla gestione con lo 0,35% sulle retribuzioni dei lavoratori in servizio e con lo 0,15% versato su base volontaria dei pensionati oltre che dagli interessi su prestiti e mutui concessi agli iscritti.

La domanda dovrà essere trasmessa esclusivamente per via telematica a partire dal 1° marzo sino al 30 marzo 2017. Il beneficio si rivolge ai dipendenti, pensionati e loro familiari iscritti presso la gestione pubblica.

Ecco quali sono le principali informazioni da tenere in considerazione.

L’INPS offre  la possibilità  ai dipendenti e pensionati pubblici di usufruire di un aiuto nell'assistenza domiciliare alle persone anziane o non autosufficienti . E' stato pubblicato in fatti il Bando Pubblico Progetto Home Care Premium – Si tratta di un progetto di Assistenza Domiciliare per i dipendenti e pensionati pubblici, per i loro coniugi, per parenti e affini di primo grado non autosufficienti.

L’Home Care Premium prevede il coinvolgimento di Ambiti Territoriali Sociali e/o Enti pubblici, che vogliano prendere in carico i soggetti non autosufficienti residenti nei propri territori. Il programma si concretizza nell’erogazione da parte dell’Istituto di contributi economici mensili, c.d. prestazioni prevalenti, in favore di soggetti non autosufficienti, maggiori d’età o minori, che siano disabili e che si trovino in condizione di non autosufficienza per il rimborso di spese sostenute per l’assunzione di un assistente familiare. Il beneficio ha la durata di 18 mesi e potrà riguardare 30 mila persone.

La misura del contributo che verrà erogato dall'INPS dipende dall'ISEE familiare e dalla disabilità del soggetto da assistere. E' compreso tra 1.050 euro mensili per un soggetto con disabilità gravisissima e ISEE sotto gli 8mila euro ad un minimo di 50 euro per disabilità grave con ISEE oltre i 40 mila euro. La procedura per l’acquisizione della domanda sarà attiva a decorrere dalle ore 12,00 del giorno 1 marzo 2017 e non oltre le ore 12,00 del giorno 30 marzo 2017.

Dopo la pubblicazione della graduatoria, a decorrere dal 27 aprile 2017 ore12.00, sarà possibile presentare nuove domande, sia per coloro che non hanno già presentato domanda entro il 30 marzo 2017 sia, solo in caso di aggravamento, per gli idonei che hanno già presentato domanda entro i predetti termini. Le nuove domande accolte comporteranno l’aggiornamento della graduatoria degli idonei e saranno ammesse in graduatoria il trentesimo giorno a decorrere dalla data di presentazione. La graduatoria verrà aggiornata il primo giorno lavorativo di ogni mese e sarà pubblicata sul sito dell’Istituto.

 Il programma di assistenza durerà dal 1° luglio 2017 al 31 dicembre 2018 (18 mesi) e selezionerà 30mila beneficiari sulla base di una graduatoria che sarà pubblicata il prossimo 20 aprile ordinata in funzione della gravità della disabilità dell'ISEE e dell'età anagrafica del richiedente. Per accedere al piano gli interessati dovranno produrre esclusivamente domanda telematica all'Inps dalle ore 12 del 1° marzo alle ore 12 del 31 marzo 2017. Prima di trasmettere la domanda il richiedente dovrà presentare o assicurarsi che il CAF abbia presentato presso l’Inps la DSU relativa che attesti l'ISEE del richiedente la prestazione.

Bonus assistenza anziani e disabili: come funziona?

Il bonus erogato a favore di chi assiste anziani e disabili prevede un contributo che oscilla tra un minimo di 400 euro al mese ed un massimo di 1200 euro al mese.

L’importo del contributo assistenziale mensile può subire variazioni in base all’ISEE del richiedente e ad un punteggio che indica il grado di autosufficienza del soggetto beneficiario.
La somma massima di 1200 euro è prevista per i casi in cui i redditi annuali siano inferiori agli 8000 euro annui.

Il bando dispone poi l’assegnazione di un trattamento integrativo che può arrivare fino a un massimo di 2400 euro, importo che, in ogni caso viene concesso in base allo specifico percorso assistenziale che il beneficiario deve seguire.

Bonus assistenza anziani e disabili: beneficiari
Il progetto Home Care Premium è un bonus destinato a dipendenti e pensionati pubblici che sono in condizioni di non autosufficienza o che assistono in casa persone non autosufficienti o con disabilità grave.

Il bonus può, quindi, essere richiesto dai soli dipendenti e pensionati pubblici per se stessi e per i familiari conviventi o di primo grado non autosufficienti (anziani o disabili che siano).


domenica 5 febbraio 2017

Pubblica amministrazione, quando si rischia il licenziamento



Il “decalogo” dovrebbe fare chiarezza sulla questione, mettendo in fila le condizioni che determinano l'espulsione del dipendente: dalla falsa attestazione della presenza in servizio allo scarso rendimento. E la sanzione massima si attiverebbe anche, nei casi più gravi, per il responsabile gerarchico del dipendente assenteista che chiuda un occhio (o tutti e due) davanti agli illeciti. La casistica elencata nel “decalogo” si occuperà anche delle gravi e reiterate violazioni del Codice di comportamento. Per esempio, l'accettare regali costosi o l'abuso dell'auto di rappresentanza.


Ecco quando scatta il licenziamento disciplinare per gli statali. L'elenco precisa le situazioni 'a rischio', esplicitandole, tra cui le gravi e reiterate violazioni del codice di comportamento (accettare regali costosi, abusare dell'auto di rappresentanza). Nel decreto, previsto per metà febbraio, dovrebbe anche essere stabilito che in caso di procedura ordinaria entro tre mesi, non più quattro, l'azione deve essere conclusa. Resta fermo il licenziamento sprint, di 30 giorni, per il furbetto del cartellino, che dovrebbe essere esteso a tutte le forme illecite che portano a licenziamento accertate in flagranza. E la sanzione massima si attiverebbe anche, nei casi più gravi, per il responsabile che davanti agli illeciti «si volta dall’altra parte».

Il caso più classico di «bollino rosso» da assenteismo è quello del venerdì e del lunedì che permette a  chi lavora nella Pubblica amministrazione di allungare il week-end. Problema che si acuisce se il week-end lungo arriva in settimane più «a rischio» a causa della presenza della possibilità di «ponti».

Vi sono altre date sensibili, periodi «caldi» in cui un’amministrazione pubblica deve essere al 100% e non può permettersi intoppi a causa di assenze «anomale». Tra queste date quelle in cui è in programma un grande evento, per esempio un G7. Quest’anno è in calendario un G7 in Italia, il 26 e il 27 maggio a Taormina, preceduto dal G7 finanziario a Bari, dall’11 al 13 maggio.

Altre date a rischio sono quelle in cui scattano le iscrizioni alle scuole. Quest’anno il periodo valido per presentare le domande di iscrizione online alle scuole va dal 16 gennaio al 6 febbraio 2017. Ma chi per motivi validi non riuscirà a presentare domanda entro tale scadenza dovrà fare l’iscrizione in formato cartaceo. E anche per le scuole dell’infanzia si deve presentare domanda cartacea.

Tra i periodi monitorati dal ministero per evitare assenza di massa in grado di creare disservizi c’è anche quello del pagamento del modello  730 all’Agenzia delle Entrate, a luglio. Quest’anno la Dichiarazione dei Redditi 2017 va fatta entro il 23 luglio per il 730 precompilato inviato direttamente dai contribuenti e per i Caf, commercialisti e intermediari che entro il 7 luglio.

I provvedimenti disciplinari, inoltre, dovranno avere anche tempi più veloci. La procedura ordinaria, infatti, dovrà terminare entro 3 mesi e non più quattro mentre viene confermato il licenziamento sprint, di 30 giorni, per il “furbetto” del cartellino.

A parte il licenziamento, viene anche rivista tutta l’azione disciplinare. Con tutta probabilità si preciserà che per le infrazioni di minore gravità, per cui è previsto il solo richiamo verbale, le regole saranno stabilite dai contratti. I tecnici del ministero della Pubblica amministrazione stanno lavorando a una semplificazione dell’iter e si dovrebbe anche aprire a una gestione unificata per le sanzioni più gravi, per cui più amministrazioni possono fare capo a uno stesso ufficio. Anche qui ci sono dei chiarimenti, delle puntualizzazioni sul ruolo dell’ufficio per il procedimento disciplinare. Inoltre i vizi formali, i cavilli giuridici, non potranno fermare l’azione. Anche in questo caso, viene estesa una clausola anticipata con il decreto anti-furbetti. Quindi la violazione dei termini interni fissati per la procedura non potrà impedire di andare avanti, né potrà annullare la validità della sanzione inflitta, fatto salvo il diritto alla difesa. Inoltre se il giudice accerta una sproporzione con la sanzione disciplinare, il procedimento si ripete.



lunedì 16 gennaio 2017

Dipendenti pubblici nuove regole su malattia, congedi e permessi



Nuove regole su malattia, congedi e permessi stanno per arrivare nella pubblica amministrazione. La riapertura della contrattazione segnerà infatti anche una svolta su queste materie. Che l'argomento venga affrontato lo prevede l'intesa del 30 novembre tra sindacati e governo, negoziato che era partito all'Aran nel 2014 ma senza poi giungere a un risultato.

Il lavoro costruito all'Aran aveva conosciuto una fase avanzata, per cui non andrà totalmente disperso. Allora la discussione si concentrò soprattutto sulla possibilità di spacchettare la 'malattia' in ore, in modo che il dipendente pubblico che deve allontanarsi per una visita specialistica o per un esame non salti l'intera giornata di lavoro. Certo quel che si può rivedere nei contratti è quello che i contratti precedenti hanno stabilito, quindi la legge resta fuori, è il caso della legge n. 104, che regola i permessi per le gravi disabilità. In questo campo il contratto può intervenire solo su aspetti, come ad esempio le modalità di fruizione (tra cui rientra il preavviso).

Il governo non lascerà quindi cadere i termini per attuare la delega Madia sul lavoro pubblico. Anche se  ci sono ancora delle incognita sulla dirigenza, che rientrerebbe nel calderone ma su cui pende la bocciatura arrivata dalla Consulta a fine novembre. A proposito, il ministero potrebbe presentare i decreti correttivi su furbetti del cartellino (con cambiamenti marginali), partecipate e dirigenza sanitaria già alla conferenza unificata del 19 gennaio, per cercare l'intesa con gli enti territoriali, come richiesto dalla Corte Costituzionale.

Di sicuro per la fine del prossimo mese l'esecutivo vuole incassare l'accordo, anche perché il decreto furbetti ha già colpito (è stato registrato il caso di un primo licenziamento). Quanto al contrasto degli abusi sulla malattia, o meglio sulle assenze, l'esecutivo è determinato a portare avanti il progetto di un polo unico della medicina fiscale, in capo all'Inps (con le Asl messe da parte). L'obiettivo è rendere gli accertamenti più efficienti. La novità rientrerà nel decreto di febbraio. Decreto che dovrebbe essere anticipato da un confronto con i sindacati, sempre nel rispetto dell'accordo del 30 novembre, che sarà anche al centro della riforma. A questo punto è chiaro come il ministero della P.a sia concentrato già su diversi fronti e sembra difficile che riesca a portare a casa secondo i termini stabiliti le deleghe su altri temi rimasti aperti, dalla revisione dei poteri del premier al taglio delle prefetture.

Quindi stretta sulle assenze degli statali, vediamo le novità attese?

Il primo aspetto le assenze per malattia, nel caso specifico in cui il dipendente pubblico abbia la necessità di dover effettuare una visita specialistica o delle analisi. Attualmente ci sono tre modi per potersi assentare per le visite mediche o per gli accertamenti. Il primo è prendere una giornata di malattia. Il secondo è utilizzare un giorno di ferie e il terzo è usare il permesso orario nel limite delle 18 ore annuali, che però non è specificamente destinato a queste esigenze ma copre anche tutte le altre necessità del lavoratore.

La soluzione individuata e che potrebbe essere recepita nel contratto - si legge - prevede un'altra strada, ossia la possibilità di spacchettare in ore l'assenza per malattia. Se si hanno bisogno di due ore per effettuare una visita specialistica, o di un'ora a settimana per effettuare una determinata terapia, non sarà più necessario giustificare l'intera giornata, ma ci si potrà assentare soltanto per le ore necessarie giustificandole con la certificazione dello specialista o del terapista. Questa possibilità, tuttavia, non sarebbe senza limiti. Ci sarebbe comunque un contingentamento, un tetto che rientrerebbe anche nel cosiddetto 'periodo di comporto', il tempo massimo di assenza entro il quale il dipendente pubblico ha diritto allo stipendio e alla conservazione del posto di lavoro". Dal periodo di comporto, poi, "verrebbero esclusi in ogni caso le terapie salvavita, come per i malati di tumore.

Un altro punto che potrebbe essere affrontato, riguarda la legge 104, quella per l'assistenza dei familiari disabili. Non si toccherebbero i principi fondamentali dell'istituto, che è regolato dalla legge, ma solo alcuni aspetti organizzativi  ed in pratica sarebbe chiesto ai dipendenti che la utilizzano di comunicare preventivamente al datore di lavoro i periodi di assenza, in modo da permettere una programmazione del lavoro. Sulla malattia degli statali sono attese anche altre novità, da tempo annunciate, ossia la stretta sulle assenze seriali e quelle di massa.

sabato 8 ottobre 2016

Licenziamenti illegittimi nella pubblica amministrazione niente risarcimento, solo reintegra



La Corte di cassazione, con la sentenza n. 20056 del 2016, torna di nuovo sulla questione dei licenziamenti illegittimi nella pubblica amministrazione, stabilendo che si applica anche a questi il regime di tutela reale previsto dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori nella sua formulazione precedente alle modifiche di cui alla legge n. 92/2012.

Ad avviso della Corte ai licenziamenti di cui sia stata dichiarata l’illegittimità nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico si applica il regime di tutela reale previsto dall’articolo 18 della legge 300/1970 nella sua formulazione anteriore alle modifiche introdotte dalla legge 92/2012.

È di pochi giorni fa una sentenza di segno opposto della stessa Corte, nella quale è stato affermato che anche ai dipendenti della pubblica amministrazione si applica il regime di tutela introdotto dall’articolo 1 della legge 92/2012 di riforma dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, in forza del quale la tutela reintegratoria, a seconda che il giudice abbia accertato la sussistenza o la insussistenza del fatto alla base del licenziamento, può risultare alternativa alla tutela risarcitoria in ipotesi di recesso datoriale illegittimo.

Con la sentenza la Cassazione ritorna sulle argomentazioni sviluppate in un proprio recente indirizzo, secondo il quale le modifiche apportate dalla legge 92/2012 non potranno automaticamente essere estese ai dipendenti della pubblica amministrazione sino a un intervento di armonizzazione del ministero per le Semplificazione e la Pubblica amministrazione, così come previsto dall’articolo 1, commi 7 e 8, della medesima legge Fornero.

I fautori dell’indirizzo contrario hanno fondato l’estensione dell’articolo 18 post Fornero, tra gli altri rilievi, sul presupposto che l’articolo 51, comma 2 del Dlgs 165/2001 (testo unico sul pubblico impiego) prevede espressamente l’applicazione della legge 300/1970, e successive modificazioni e integrazioni, ragion per cui esisterebbe un preciso riferimento nella legislazione primaria circa l’immediata precettività dell’articolo 18 nella versione dopo le modifiche della legge 92/2012.

Con la sentenza n. 20056 del 2016, la Cassazione dichiara di non condividere questa lettura, ritenendo che il riferimento dell’articolo 51, comma 2 del Testo unico alla legge 300/1970 sia da interpretare non come rinvio mobile, ovvero alla disciplina statutaria tempo per tempo vigente, bensì come rinvio fisso a una fonte di legge cristallizzata alla data in cui è stata introdotta.

La Corte riconosce che tale interpretazione comporta il permanere di una duplicità di normative, ciascuna applicabile in relazione alla diversa natura, privata o pubblica, dei rapporti di lavoro coinvolti, ma respinge con nettezza ogni sospetto di incostituzionalità. Rileva la Corte, a questo proposito, che il lavoro privato e il lavoro pubblico, sebbene contrattualizzato, sono caratterizzati da una obiettiva diversità, in quanto nel comparto pubblico è presente, diversamente dal privato, la necessità di far prevalere la tutela dell’interesse collettivo al buon funzionamento e all’imparzialità della pubblica amministrazione.

Rispetto a questa esigenza, ad avviso della Cassazione, la sanzione reintegratoria è l’unico strumento di rimedio a fronte di un licenziamento illegittimo, laddove la sola tutela risarcitoria mediante riconoscimento di un indennizzo economico non è idonea a rimuovere il pregiudizio arrecato all’interesse collettivo.

Ai licenziamenti nel pubblico impiego si applica l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. E non la legge Fornero. La Corte di Cassazione ha affermato - con la sentenza n. 11868 della sezione Lavoro - che il licenziamento del personale del pubblico impiego non è disciplinato dalla “legge Fornero”, bensì dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Così recita la sentenza: «Non si estendono ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni», sino ad un «intervento normativo di armonizzazione», le modifiche apportate all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

La Cassazione interviene su una questione da tempo dibattuta su cui ci sono state anche sentenze di diverso orientamento ma il Governo, con il ministro della Pa Marianna Madia, ha sempre tenuto a precisare come l'articolo 18 per gli statali non è stato cambiato né dalla legge Fornero, prima, né dal Jobs act, dopo.

Per il pubblico impiego le garanzie sarebbero quindi intatte, con la reintegra in caso di licenziamento senza giusta causa. Un trattamento diverso rispetto ai lavoratori privati, sostiene il ministero, perché è diversa la natura del datore di lavoro. Per mettere fine a possibili diverse interpretazioni il governo resta dell'idea di intervenire, da quanto si apprende, con una norma che chiarisca l'esclusione dei dipendenti pubblici dalle nuove regole. La precisazione dovrebbe trovare spazio nel testo unico del pubblico impiego, in attuazione della riforma della P.A.

Per il pubblico impiego le garanzie sarebbero quindi intatte, con la reintegra in caso di licenziamento senza giusta causa. Un trattamento diverso rispetto ai lavoratori privati, sostiene il ministero, perché è diversa la natura del datore di lavoro. Per mettere fine a possibili diverse interpretazioni il governo resta dell'idea di intervenire, da quanto si apprende, con una norma che chiarisca l'esclusione dei dipendenti pubblici dalle nuove regole.

Ai rapporti di lavoro disciplinati dal decreto legislativo n.165 del 2001, art.2, non si applicano le modifiche apportate dalla legge 28.6.2012 n.92 all'art.18 della legge n.300 del 1970, per cui la tutela del dipendente pubblico in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva all'entrata in vigore della richiamata legge n.92 del 2012 resta quella prevista dall'art.18 della legge n.300 del 1970 nel testo antecedente alla riforma”: è questo il principio di diritto fissato dalla Suprema corte nella sentenza 11868 depositata oggi, con cui esclude che la riforma Fornero si possa applicare al pubblico impiego.

Quindi anche ai dipendenti della pubblica amministrazione si applica il regime di tutela introdotto dall'articolo 1 della legge 92/2012 di riforma dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, in forza del quale la tutela reintegratoria, a seconda che il giudice abbia accertato la sussistenza o la insussistenza del fatto alla base del licenziamento, può risultare alternativa alla tutela risarcitoria in ipotesi di recesso datoriale illegittimo.

Prosegue, dunque, il contrasto della giurisprudenza di legittimità sulla applicabilità al pubblico impiego contrattualizzato delle modifiche introdotte dalla legge Fornero con riferimento agli effetti sanzionatori del licenziamento invalido.




lunedì 26 settembre 2016

MePA: che cos’è, come funziona e come fare l’iscrizione



L’iscrizione al MePA serve per diventare fornitori delle pubbliche amministrazioni e partecipare alle aste. Ecco come funziona il MePA per aziende e privati: procedura di abilitazione, offerte, costi e requisiti per iscriversi.

MePA significa Mercato elettronico della Pubblica Amministrazione. Si tratta di una piattaforma online usata dalle pubbliche amministrazioni per acquistare beni e servizi da aziende e privati che vi hanno fatto iscrizione.

Le Aziende che intendono entrare in questa piazza virtuale devono effettuare la registrazione attraverso il portale https://www.acquistinretepa.it, una volta all'interno del portale le aziende potranno partecipare attraverso aste pubbliche alla vendita di beni e servizi attraverso l’uso della Firma Elettronica, all’interno del portale tutte le aziende che si registrano possono creare un vero e proprio catalogo dove vengono elencati tutti i propri prodotti, beni e servizi disponibili per la vendita, le PA possono acquistare in maniera diretta tutti i prodotti o in alternativa possono inoltrare una richiesta di offerta (RdO), in questo l’azienda viene invitata alla partecipazione di bandi e gare di negoziazioni.

L’iscrizione al MePA è una procedura che dà molti vantaggi economici soprattutto ai piccoli imprenditori, che non sempre hanno la possibilità di vendere alle Pubbliche Amministrazioni.

Registrarsi al Mercato elettronico della Pubblica Amministrazione, infatti, consente di diventare fornitori delle PA negoziando online la vendita o l’acquisto di servizi e prodotti utilizzando la firma digitale. Chi è iscritto al MePA, inoltre, può partecipare ai bandi indetti dalla Pubblica Amministrazione.

La procedura di registrazione al MePa non sostanzialmente difficoltosa ma è composta da diversi passaggi sequenziali che devono essere ben compresi per portare a termine con successo la registrazione.

Per potersi iscrivere al Mercato Elettronico della PA l’azienda deve essere un oggetto sociale abbinabile a quello di uno dei bandi del Mercato Elettronico pubblicati sul Portale degli Acquisti in rete PA, non è richiesta e le  fasi sono sostanzialmente 2 e, per acquistare o vendere nell’ambito del Programma di razionalizzazione degli acquisti nella PA o per utilizzare il servizio Equitalia, bisogna completarle entrambe:

1) Registrazione Base (dati personali)
Qui vi sarà chiesto di inserire alcune informazioni personali e selezionare la PA o l’impresa di vostra appartenenza. Al termine di questa operazione vi verranno forniti username e password per poter passare alla fase successiva di abilitazione, accedere all’area personale e iscrivervi alla Newsletter “Acquistinretepa”.

2) Abilitazione (dati aziendali)
La fase di abilitazione permette di fare acquisti come Pubblica Amministrazione, di vendere i prodotti alla PA come impresa e di utilizzare il servizio di Equitalia di verifica degli inadempimenti.

Una volta che avrete inserito le vostre credenziali (nome utente e password), dovrete indicare il ruolo con il quale intendete operare sul sistema, fornire alcune informazioni aggiuntive e attendere l’esito delle attività di verifica.

Se siete Amministrazione potrete abilitarvi come:

Punto Ordinante

Punto Istruttore

Operatore di verifica inadempimenti

Se siete Impresa potrete abilitarvi come:

Rappresentante Legale

Operatore delegato

Ricordiamo che durante la fase di registrazione ed inserimento dei dati il sistema chiederà di utilizzare 2 volta la firma digitale, per tanto è consigliabile averla a portata di mano.

Il dispositivo di firma digitale è una chiavetta USB dotata di un piccolo vano all'interno del quale viene inserita la Card, simile a una sim telefonica, che contiene i dati pre-caricati del Legale Rappresentante e il software necessario a utilizzare la firma digitale. Il dispositivo viene rilasciato dalla Camera di Commercio di appartenenza e può costare dai 40 ai 70€.

Effettuati i passaggi sopra elencati sarà necessario creare il proprio catalogo prodotti, non vi preoccupate se non avete molti prodotti da aggiungere al catalogo ne basta anche uno solo, (consigliamo di prestare attenzione ai prodotti o servizi che possono essere inseriti consultando il Capitolato tecnico allegato al Bando di registrazione) a questo punto la piattaforma genererà in maniera automatica un file pdf contenente tutte le informazioni inserite e che corrisponde al vostro documento di abilitazione che dovrà essere scaricato sul pc e sottoscritto con firma digitale.

La fase di registrazione è terminata, tutta la documentazione verrà inviata telematicamente al Consip che dovrà verificare la correttezza delle informazioni inserite e il possedimento di tutti i requisiti necessari all'iscrizione, una volta terminate i protocolli di verifica verrà inoltrata una comunicazione al richiedente contenente l’esito della richiesta di registrazione.

Possono iscriversi al Mercato elettronico della Pubblica Amministrazione tutte le aziende e gli imprenditori che operano nei seguenti settori:

Servizi di Informazione

Prodotti farmaceutici

Servizi di logistica

Prodotti Alimentari

Carburanti combustibili e lubrificanti

Servizi Postali

Facility Management Urbano

Soluzioni per la Scuola digitale

Eventi e comunicazione

Mobilità e monitoraggio

Fonti di energia rinnovabile

Information & Communication Technology

Manutenzione degli impianti Antincendio

Beni e servizi per la sanità

Manutenzione degli impianti Termoidraulici

Manutenzione degli impianti Elettrici

Manutenzione impianti elevatori

Servizi di pulizia e igiene ambientale

Arredi e segnaletica stradale

Materiale Igienico Sanitario

Cancelleria

Prodotti per attività operative, ferramenta, vestiario e calzature da lavoro, Materiale Elettrico

Macchine per ufficio, elettronica, foto ottica, audio/video

Formazione

Servizi Professionali (Diagnostica degli Edifici, Indagini non strutturali su solai e controsoffitti)

Servizi di accertamento e riscossione tributi

Servizi di raccolta, trasporto e trattamento dei rifiuti di apparecchiature elettriche o elettroniche (RAEE)

Servizi Sociali (Assistenza alle persone/Servizi socio-educativi e ricreativi per la prima infanzia)

Servizi di valutazione della conformità



martedì 23 agosto 2016

Rinnovo contratto statali quanto deve spettare al dipendente pubblico




La vicenda degli stipendi degli statali risale ormai dal 2010, quando si impose per decreto il blocco delle buste paga di circa 3,3 milioni di dipendenti pubblici per gli anni 2011-2012-2013. poi non più revocato.

Sul rinnovo dei contratti del pubblico impiego si è partiti col il passo inopportuno, infatti sono fermi da sei anni, in seguito  la Corte costituzionale, con la sentenza n. 178 del luglio 2015, ha stabilito che il blocco doveva cessare, e bisognava rinnovare i contratti. Di qui all'ultimo giorno in cui la legge di stabilità 2017 uscirà dal parlamento  sarà  aperto lo scontro su quante risorse destinare al rinnovo dei contratti degli statali. Ovvero i dipendenti statali, circa tre milioni di dipendenti pubblici. Subiscono il blocco dei contratti di lavoro da sei -sette anni, e hanno diritto, non fosse altro che per la sentenza sopra menzionata, al rinnovo del contratto di lavoro.

Vediamo gli effetti dello stop retributivo pubblico. È ovvio che i sindacati del pubblico impiego considerino molto grave che, fatta 100 la base retributiva pubblica del 2010, essa sia la stessa a giugno 2016, sicché in termini reali i dipendenti pubblici hanno perso potere d'acquisto.

Mentre le retribuzioni del settore privato sono passate da 100 del 2010 a 109,9. Bisogna però equilibrare questo dato con un altro, più di lungo periodo. Le retribuzioni pubbliche conoscevano da decenni andamenti nel complesso superiori rispetto a quelle private. Nel solo periodo 2001-2009, cioè prima dello stop, l'incremento complessivo nominale delle retribuzioni di fatto pubbliche è stato secondo l'Istat del 31,9%, a fronte del 27% nell'industria privata e del 23,% nei servizi di mercato.

Il rinnovo del contratto degli statali sembra che stia entrando nel vivo, appena qualche giorno fa la UilPa ha piazzato l’asticella delle risorse che il governo dovrebbe mettere sul tavolo del rinnovo del contratto degli statali a 7 miliardi a regime, al di sotto di questa cifra non avrebbe senso neanche sedersi al tavolo della trattativa per discuterne, le altre sigle sindacali come Cgil e la Cisl sono quasi sulla stessa lunghezza d’onda della UilPA.

La CGIL ha chiesto un’aumento di stipendio per i 3 milioni di dipendenti statali di circa 220 euro lordi al mese, che al netto delle tasse fanno 132 euro, mentre la Cisl ha chiesto un’incremento in busta paga di 150 euro, cifre molto distanti di quelle fornite dal Governo che ad oggi sarebbe disposto a stanziare circa 300 milioni di euro che divisi per tutti i dipendenti statali sarebbero non più di 10 € di aumento a testa, una vera e propria presa in giro.

Il governo in queste ultime settimane si è reso conto che i 300 milioni di euro sono davvero irrisori ed i fondi da destinare ai dipendenti pubblici devono essere aumentati.

Tra le soluzioni al momento in discussione c’è l’idea di un’aumento di 80 € come è accaduto appena qualche anno fa per i redditi più bassi in questo modo non si andrebbe al di sotto del bonus 80 euro ed allo stesso tempo si tratterebbe di un aumento contrattuale qualche gradino al di sotto di 110 euro mediamente ottenuto dai dipendenti privati nei contratti rinnovati fino ad ora.

Poniamoci delle domande Hanno diritto ad un aumento salariale?

Già, ma quanto? Quanti euro fa questo diritto? Subito dopo la sentenza il governo pro forma mise a bilancio trecento milioni per gli statali: faceva 5/6 euro al mese lordi per lavoratore.

Appena iniziate le trattative reali il governo ha subito spiegato che non sarà trecento milioni la sua disponibilità, sarà di più. Ma quanto di più il governo non ha detto. Hanno detto invece i sindacati: sette miliardi.

Che fa più o meno 150 euro lordi al mese di aumento per dipendente pubblico. Come li calcolano i sindacati questi sette miliardi?

Più o meno così: moltiplicando per tutti gli anni di blocco contrattuale l’inflazione più un totale inerente alla per loro naturale e doverosa progressione delle retribuzioni. Ci provano, è il loro mestiere.

Ma il diritto, come espresso sopra agli statali spetta da sentenza della Corte Costituzionale non sono 150 euro lordi di aumento al mese.

Quel che spetta agli statali, sentenza alla mano è 20/40 euro lori al mese a seconda del grado e qualifica del lavoratore.

La sentenza non impone il recupero del passato, anzi di fatto fissa da quando si ricomincia ad avere contratti non bloccati. E quel quando è il 30 luglio 2015. Quindi agli statali spetta il recupero dei soldi perduti da quella data, dal 30 luglio 2015.

Il recupero da quella data fa 1,2 miliardi di euro e significa appunto 20/40 euro al mese di aumento per dipendente pubblico. Fin qui quel che loro spetta da sentenza, liberissimi di chiedere di più. Ma non in nome di una sentenza che esclude il recupero integrale del blocco contrattuale. Quanto poi alla richiesta del recupero integrale di quanto perso nei sette anni e passa della crisi economica, una domanda impertinente ma assolutamente pertinente. I sindacati, non solo degli statali, quasi sempre si ingegnano a calcolare l’ammontare degli aumenti non avuti se fosse andata come prima della crisi. Fanno al cifra e la dichiarano “soldi persi dai lavoratori”.

Nel calendario della P.A. prima dei contratti viene però la riforma della dirigenza, con la creazione del ruolo unico, la determinazione della durata degli incarichi (quattro anni), l'accesso per concorso con esame di conferma dopo tre anni (altrimenti si retrocede). In linea di principio le novità trovano il favore dei sindacati, che però lanciano l'allarme su eventuali discriminazioni. «In una riforma che già non comprende tutta la dirigenza della Repubblica, perché esclude prefetti e diplomatici, professori universitari e presidi, vogliamo creare ulteriori divisioni?», si chiede Barbara Casagrande, segretario generale di Unadis e Confedir.


martedì 26 luglio 2016

Riforma pubblico impiego: addio a posto fisso e scatti automatici




Secondo la bozza del nuovo testo unico sul pubblico impiego, vengono eliminate due delle certezze dei dipendenti pubblici. Il documento, che appartiene ad una parte della legge delega sulla riforma della P.A., prevede che ogni anno tutte le amministrazioni comunichino al ministero della Pubblica Amministrazione le "eccedenze di personale" rispetto alle "esigenze funzionali o alla situazione finanziaria": in pratica i dipendenti in esubero possono essere trasferiti in un altro ufficio, purché questo si trovi a 50 chilometri da quello di provenienza, con la mobilità obbligatoria.

In alternativa, le 'eccedenze' possono essere messe in 'disponibilità', ossia non lavorano e percepiscono l'80% dello stipendio, compresi i contributi per la pensione. Ma se entro due anni non riescono a trovare un altro posto, anche accettando un inquadramento più basso con relativo taglio dello stipendio, il loro «rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto» praticamente licenziati. In teoria un meccanismo simile c’è già adesso. Con le nuove regole, invece, ci sarà lo stop alle assunzioni e il procedimento disciplinare per il dirigente.

Una differenza non da poco.

Di fatto finora le amministrazioni hanno l'obbligo di segnalare il personale in eccesso. Ma chi non lo fa non viene sanzionato. Adesso, col nuovo piano, i dirigenti dovranno segnalare i dipendenti in eccesso e qualora non lo facessero potrebbero venire sanzionati.

Per quanto riguarda gli scatti di anzianità, la bozza del nuovo testo li elimina del tutto e prevede che il lavoro dei dipendenti pubblici sia valutato ogni anno dai dirigenti.

Sulla base di tale valutazione, verrà assegnato un aumento, variabile a seconda delle risorse disponibili e comunque erogato a non più del 20% dei dipendenti per ogni amministrazione. Tra le altre novità c'è anche l'obbligo della conoscenza dell'inglese per i concorsi pubblici e la visita fiscale automatica che scatterà per le assenze del venerdì e nei giorni prefestivi. Inoltre, la bozza prevede anche il buono pasto di 7 euro al giorno, uguale per tutti gli impiegati, stop anche all'indennità di trasferta.

Sullo stipendio la novità era nell'aria, visto che gli scatti di anzianità sono stati congelati a lungo. Il nuovo testo unico, però, li cancella per sempre. Ogni anno tutti dipendenti pubblici saranno valutati dai loro dirigenti per il lavoro fatto. E sulla base di quelle pagelle sarà assegnato un aumento, piccolo o grande a seconda delle risorse disponibili, a non più del 20% dei dipendenti per ogni amministrazione.

Nella bozza ci sono tante altre novità. L’obbligo della conoscenza dell’inglese come requisito per i concorsi pubblici. La visita fiscale automatica per le assenze fatte al venerdì e nei prefestivi. Un procedimento disciplinare più veloce, sull'esempio di quello in 30 giorni per gli assenteisti colti in flagrante. E ancora la fine dell’indennità di trasferta e il buono pasto uguale per tutti, sette euro al giorno. Tutte materie che vengono regolate per legge, togliendo margine di manovra ai sindacati.

In base alla riforma della pubblica amministrazione questa parte delle delega potrà essere esercitata già entro febbraio 2017, e non più entro settembre come più volte annunciato.



domenica 6 marzo 2016

Assunzioni nella pubblica amministrazione


In Gazzetta il decreto che autorizza assunzioni in vari ministeri e agenzie nazionali. Il Consiglio dei Ministri ha pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 50 del 1° febbraio 2016, il D.P.C.M. 31 dicembre 2015 con il quale autorizza, in favore di varie Amministrazioni, a bandire procedure di reclutamento ai sensi dell’art. 35, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché autorizza ad assumere a tempo indeterminato ai sensi dell’articolo 3, comma 102, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 e successive modificazioni ed integrazioni, nonché’ dell’articolo 3, commi 1 e 3, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge  11 agosto 2014 n. 114.

Si autorizza in favore di varie amministrazioni, a bandire procedure di reclutamento di personale a tempo indeterminato. In particolare, autorizza poco più di un centinaio di assunzioni nei ministeri ed enti sottoelencati:
Ministero della salute;
Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
Ente nazionale per l'aviazione civile;
Agenzia nazionale per la sicurezza del volo;
INAIL - Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro;
Ministero della difesa;
Ministero dell'ambiente;
Ministero dell' interno;
Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

Inoltre, le Amministrazioni che intendano  procedere  ad  assunzioni  per unità di  personale  appartenenti  a categorie  e  professionalità diverse rispetto a quelle autorizzate,  o intendano procedere all’indizione  di  concorsi  diversi  rispetto  a quelli  autorizzati,  possono  avanzare  richiesta  di  rimodulazione indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per la funzione pubblica, Ufficio per il  personale  delle  pubbliche amministrazioni e al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento  della  ragioneria generale dello Stato, IGOP, che valuteranno la richiesta nel rispetto della normativa vigente e delle risorse finanziarie autorizzate con il presente provvedimento.

Secondo quando previsto dall’art. 97, 3° comma, della Costituzione, “Agli impieghi nellepubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”. Il principio è stato più volte ribadito dalla Corte Costituzionale secondo cui “Il concorso pubblico–quale meccanismo imparziale di selezione tecnica e neutrale dei più capaci sulla base del criterio del merito – costituisce la forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni.

Esso è posto a presidio delle esigenze di imparzialità e di efficienza dell'azione amministrativa. Le eccezioni a tale regola consentite dall'art. 97 Cost., purché disposte con legge, debbono rispondere a «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico» (sentenza n. 81 del 2006). Altrimenti la deroga si risolverebbe in un privilegio a favore di categorie più o meno ampie di persone (sentenza n. 205 del 2006). Perché sia assicurata la generalità della regola del concorso pubblico disposta dall'art. 97 Cost., l'area delle eccezioni va, pertanto, delimitata in modo rigoroso”.

Appare quindi necessario ricordare cosa s’intende per pubblica amministrazione. Un’elencazione esaustiva delle pubbliche amministrazioni nel nostro ordinamento è contenuta nell’art. 1, comma 2, del D.Lgs 30/03/2001 n. 165 recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”. Oltre a quelle tipizzate, la norma fa un generico riferimento a “tutti gli enti pubblici non economici”. L’individuazione di questi è riservata all’ordinamento positivo.

Quindi, per amministrazioni pubbliche si deve intendere tutte le amministrazioni dello Stato, compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN).

giovedì 6 agosto 2015

Riforma pubblica amministrazione. Dirigenti e pubblico impiego: si cambia



Ecco le principali novità

TRASPARENZA: accesso libero ai documenti e ai dati della pubblica amministrazione.

DIGITALIZZAZIONE: viene introdotta la “carta della cittadinanza digitale”, gestita da un dirigente ad hoc.

LICENZIAMENTI PIÙ FACILI: in caso di azione disciplinare obbligo di portare a termine la pratica, compreso il ricorso alla sanzione più grave.

LICENZIANBILITA’ DEI VERTICI: basta incarichi dirigenziali che possano essere ricoperti senza preoccupazione di rimozione. Viene infatti introdotto il criterio della valutazione. Se questa è negativa, due le possibilità: o lasciare l’amministrazione dello Stato, o accettare di passare da un incarico di dirigente a quello di funzionario. Inoltre viene introdotta la revoca o il divieto dell’incarico in settori esposti al rischio corruzione, quando c’è una condanna (anche non definitiva) da parte della Corte dei Conti al risarcimento del danno erariale per condotte dolose.

ABOLITO IL VOTO MINIMO DI LAUREA: viene abolito il requisito del voto minimo di laurea per partecipare ai pubblici concorsi.

LOTTA ALL’ASSENTEISMO: passano dalle Asl all’Inps le funzioni di controllo sulle malattie.

STOP AL PRECARIATO. Obiettivo della delega è regolare le forme di lavoro flessibile, limitandole a tassative fattispecie. Il tutto anche al fine di prevenire il precariato.

CONCORSI, POLO UNICO E FOCUS SU INGLESE. Viene sancita l'importanza dell'inglese e di altre lingue straniere. Si va poi verso un polo unico per le selezioni, una sorta di agenzia ad hoc con il compito di gestire le prove.

DIRIGENTI LICENZIABILI DOPO “BOCCIATURA”. I manager potranno essere mandati via dalla PA dopo essere stati valutati negativamente. Per non essere licenziato il dirigente pubblico potrà chiedere di essere demansionato a funzionario.

MAGLIE PIÙ LARGHE PER I PENSIONATI IN PA. Si allentano i vincoli per il conferimento di incarichi pubblici a pensionati. Salta infatti il tetto di un anno come durata massima, purché non si tratti di posizioni direttive o dirigenziali, per cui resta il limite di 12 mesi. Per tutti la condizione è però il “costo zero”, cioè gli incarichi devono essere gratuiti.


Salta la barriera del voto minimo di laurea per la partecipazione ai concorsi della pubblica amministrazione. Marcia indietro, invece, sulla norma cosiddetta 'valuta-atenei' che introduceva nei concorsi pubblici il criterio del 'peso' dell'università in cui ci si è laureati.

E' previsto il taglio da 105 a 60 per le Camere di Commercio. Nell'opera di riduzione si dovrà tenere conto della soglia dimensionale minima di 75mila imprese iscritte o annotate nel Registro delle imprese. PRA Le funzioni del pubblico registro automobilistico passano dall'Aci al ministero dei Trasporti a cui fa già capo la motorizzazione.

Il riordino della dirigenza è uno dei punti più significativi della riforma dovei la carriera e retribuzione saranno valutate in base al merito. Gli incarichi non saranno più a vita, possono durare quattro anni estendibili di altri due ( se necessario, ma per una sola volta)., e si può essere licenziati se l'ultimo incarico ricoperto viene valutato negativamente. Introdotto anche lo stop ai dirigenti condannati dalla Corte dei Conti: si prevede la revoca o il divieto dell'incarico, in settori sensibili ed esposti al rischio di corruzione, ai dirigenti condannati dalla magistratura contabile, anche in via non definitiva, al risarcimento del danno erariale per condotte dolose. Scompare la figura dei segretari comunali, ma per tre anni potranno svolgere la stessa funzione pur essendo confluiti nel ruolo dei dirigenti locali. Tra le deleghe quella della riscrittura del testo unico del pubblico impiego.

Chi rimane senza incarico può chiedere di essere “demansionato” a funzionario per non perdere il posto. In ogni caso, la licenziabilità è sempre vincolata a una «valutazione negativa» sull'operato del dirigente.

E chi è vicino alla pensione potrà scegliere di lavorare part time, mantenendo i contributi pensionistici per il tempo pieno solo con versamenti volontari.


martedì 28 aprile 2015

Contratto a tempo parziale prima della pensione



Lavoro, pensione e tempo parziale. Si ritorna a parlare dell'ipotesi di una staffetta generazionale nella Pubblica amministrazione. Lo strumento per permettere lo svecchiamento dei ranghi del pubblico impiego potrebbe essere inserito attraverso una riforma della Pubblica amministrazione.

Comunque si va verso la staffetta generazionale nel pubblico impiego: il contratto a tempo parziale al posto del pre pensionamento. Ma i lavori dovranno versare da soli i contributi. Quindi fuori i vecchi, dentro i giovani. Niente di più semplice: anticipare l'uscita ai dipendenti statali più anziani, e quindi vicini alla pensione, per far spazio a neo diplomati e neo laureati che si affacciano sul mondo del lavoro. Per garantire questo ricambio Hans Berger, senatore del gruppo delle autonomie, presenterà un emendamento per dare la possibilità a chi è vicino alla pensione di scegliere il part time. Con un "piccolo" stratagemma: per prendere una pensione piena i lavoratori dovranno versarsi da soli i contributi.

L'emendamento di Berger contiene un "piccolo" inganno per i dipendenti statali che sceglieranno il contratto a tempo parziale. Si dice in modo esplicito, infatti, che l'invarianza dell'assegno previdenziale dovrà essere garantita, solo e soltanto, "attraverso la contribuzione volontaria ad integrazione". Insomma, se il dipendente vuole andare in pensione con un assegno pieno dovrà versarsi da solo la differenza dei contributi tra il part time e il tempo pieno. "Un dipendente pubblico che guadagna 2mila euro netti al mese - esemplifica il Messaggero - oltre allo stipendio dimezzato per il tempo parziale, si troverebbe a dover versare contributi mensili per altri 300-350 euro".

Ricordiamo ce lo scorso anno, il ministro Madia aveva proposto la cosiddetta staffetta generazionale nella PA, ipotesi subito abbandonata dopo che la Ragioneria Generale dello Stato aveva avanzato forti dubbi sulla possibilità di attuare questo provvedimento sia per la tenuta dell'equilibrio del nostro sistema pensionistico sia per il costo elevato che avrebbe provocato l'attuazione di questa norma. Ora, l'ipotesi del ricambio generazionale riprende quota con modalità diverse da quelle che erano state prospettate l'anno scorso. Non si tratta di anticipare la pensione ai dipendenti pubblici ma di far accedere i lavoratori prossimi alla pensione ad una sorta di part-time. In questa maniera ci potrebbe essere la possibilità di liberare nuovi posti di lavoro creando, anche in questo caso, la staffetta generazionale richiesta da molti.

Un'altra proposta, che potrebbe diventare legge nella prossima riforma della Pubblica Amministrazione è relativa al pensionamento delle lavoratrici con il sistema contributivo. Infatti, un recente disegno di legge che potrebbe essere inserito anche nella riforma della PA, prevedrebbe la possibilità di pensione anticipata a 60 anni per tutte le lavoratrici che hanno avuto la possibilità di sommare tutti i contributi versati durante la propria carriera lavorativa, compresi quelli versati durante i periodi di maternità e durante l’assolvimento di funzioni di cura nei confronti di figli e parenti. Questa proposta potrebbe essere l’occasione giusta per trovare una definitiva soluzione alla questione dell’ «opzione donna» che è ormai finita in una pericolosa strada. Mentre, infatti, il Governo deve ancora varare delle misure ufficiali per la proroga delle pensioni contributivo donna sia il ministro Poletti che l’INPS nelle ultime comunicazioni su questo tema hanno lasciato aperta la possibilità di inoltrare le domande si pensionamento all’Inps (per tutte le donne che hanno raggiunto il requisito pensionistico dei 57 anni e 3 mesi entro il 2015). Proprio per questo è stata già avviata, dal Comitato Opzione Donna, una class action per richiedere una soluzione immediata al problema.

Quindi non si tratterebbe, quindi, di anticipare il pensionamento dei lavoratori del pubblico impiego, permettere l’ingresso di un nuovo dipendente ogni tre, come voleva il progetto di riforma originario, ma di far accedere al part time i dipendenti del pubblico impiego più prossimi alla pensione.

In tal modo si libererebbero comunque nuovi posti di lavoro e si metterebbe in campo un’inedita forma di flessibilità in uscita, anche se limitatamente alla sola Pubblica Amministrazione. Occorre ora capire se questo emendamento troverà attuazione e, eventualmente, quali saranno le conseguenze, sul piano contributivo e previdenziale.


sabato 18 aprile 2015

Pensioni per la pubblica amministrazione prima dei 62 anni



Le pubbliche amministrazioni potranno collocare in quiescenza forzosa il dipendente al perfezionamento della massima anzianità contributiva anche prima del 62° anno di età. Ma sino al 2017.

La circolare INPS numero 74/2015 descrive quali sono le procedure da applicare per tutti quei lavoratori che vanno in pensione anticipata a partire dal primo gennaio 2015 maturando i requisiti di contribuzione entro il 31 dicembre 2017.

Il ricambio generazionale aggiunge un nuovo tassello che consente di licenziare anche i dipendenti non troppo avanti con l'età. A dire il vero la norma ha origine nella legge di stabilità 2015, ma la Funzione pubblica, nella sua circolare, non ne aveva evidenziato gli effetti e oggi lo stesso Dipartimento provvede a correggere il tiro.

L’oggetto del contendere è la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro prevista dall'articolo 72, comma 11, del decreto legge 112/2008. Dopo la riscrittura della disposizione a opera del decreto legge 90/2014, la risoluzione è consentita quando il dipendente perfeziona il diritto alla pensione anticipata (nel 2015, 42 anni e 6 mesi di anzianità contributiva per gli uomini e 41 e 6 mesi per le donne, che aumentano, per tutti, di 4 mesi dal 2016 a causa dell'adeguamento dei requisiti agli incrementi della speranza di vita), ma non prima del raggiungimento di un'età anagrafica che possa dar luogo a riduzione percentuale del trattamento di quiescenza.

In effetti, l'articolo 24, comma 10, del decreto legge 201/2011 aveva introdotto la decurtazione della pensione nel caso in cui il lavoratore maturasse il diritto ad essere collocato a riposo prima del compimento dei 62 anni di età. La penalizzazione era pari all'1% per i primi due anni di anticipo e del 2% per ogni ulteriore anno. Potevano sottrarsi a tale taglio i dipendenti la cui anzianità contributiva era costituita da effettiva prestazione lavorativa, parificando al servizio attivo anche alcune tipologie di assenza.

In particolare quest'ultima parte della previsione normativa ha destato parecchi dubbi e problemi interpretativi, tanto che il Parlamento, nella legge di stabilità 2015, ha disposto che le penalizzazioni non si applicano, tout court, con effetto sulle pensioni decorrenti dal 1° gennaio 2015 e per tutti i soggetti che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2017.

In quest'ultimo caso a nulla rileva se la decorrenza della pensione sia posticipata nel 2018 o negli anni a seguire. Ma la Funzione pubblica, nella sua circolare 2/2015 del 19 febbraio, a commento del decreto legge 90/2014, non fa alcun cenno alla legge di stabilità 2015 e parla ancora di impossibilità di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro in presenza di penalizzazioni.

La Funzione pubblica evidenzia che la risoluzione unilaterale, negli anni 2015, 2016 e 2017, è consentita in tutti i casi in cui il dipendente raggiunga il diritto alla pensione anticipata, essendo venute meno, nel triennio, le limitazioni. Ma oltre a porre attenzione ai dipendenti che arriveranno al traguardo della pensione nei prossimi mesi, le amministrazioni devono riconsiderare anche tutte le situazioni per le quali, in precedenza, avevano soprasseduto alla risoluzione unilaterale in quanto il lavoratore, pur avendo il diritto al trattamento di quiescenza, aveva un'età anagrafica inferiore a 62 anni.

Per completezza si ricorda che, per poter far cessare gli effetti del contratto individuale di lavoro, la norma richiede una decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative, ai criteri di scelta e alla funzionalità dei servizi. Per questo, è consigliabile che l'ente adotti una regolamentazione interna, al fine di evitare comportamenti difformi a fronte della medesima fattispecie. La norma impone, altresì, il rispetto di un termine di preavviso, che è fissato in sei mesi. Il problema delle penalizzazioni tornerà a rivivere dal 2018, salvo ulteriori interventi legislativi.

Le amministrazioni pubbliche possono attivare la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro nei confronti del personale soggetto alla nuova disciplina pensionistica, quando detto personale abbia acquisito il requisito contributivo per la pensione anticipata (per il 2015: 42 anni e 6 mesi per gli uomini e 41 anni e 6 mesi per le donne, mentre per il triennio 2016-2018 si passa a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne), a condizione che dipendente non abbia un'età anagrafica che possa farlo incorrere in penalizzazioni sull'importo della pensione.

In sostanza, come chiarito dalla circolare della funzione pubblica 2/2015, la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro, ai sensi della riforma Madia, non può avvenire prima del compimento dei 62 anni d'età.

Il diritto a pensione deve essere raggiunto entro il 2017. Sul tema però è tornato l'articolo 1, comma 113, della legge 190/2014, ai sensi del quale le disposizioni contenute nella «riforma Fornero» delle pensioni e, in particolare l' articolo 24, comma 10, terzo e quarto periodo, del dl 201/2011 «non trovano applicazione limitatamente ai soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017».

Qualora il dipendente abbia maturato il requisito contributivo per la maturazione del diritto alla pensione anticipata in data antecedente al 1° gennaio 2015 e tale dipendente sia in servizio perché di età anagrafica inferiore ai 62 anni, l'amministrazione di appartenenza potrebbe comunque disporre la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro con preavviso di 6 mesi e senza penalizzazioni per l'interessato, purché successivamente al 1° gennaio 2015.

Laddove il dipendente maturi i suddetti requisiti contributivi entro il dicembre 2017, anche con età inferiori a 62 anni, anche in questo caso la risoluzione del rapporto di lavoro non comporterebbe penalizzazioni, nonostante la decorrenza dell'assegno di pensione ricada successivamente al 31/12/2017. Le penalizzazioni torneranno operative a partire dal 1° gennaio 2018, fatto salvo, appunto, il caso della Quindi non è più prevista la decurtazione per i lavoratori che vanno in pensione prima dei 62 anni ma che però hanno raggiunto una contribuzione minima di 41 anni e 6 mesi, per le donne, e 42 anni e 6 mesi, per gli uomini. Specificando meglio, si trattava, prima di questa norma, di un taglio dell'1 per cento per ogni anno di anticipo rispetto ai 62 anni e del 2 percento per ogni anno ulteriore oltre i due anni.

I beneficiari della pensione anticipata con il taglio delle decurtazioni sono tutti quei lavoratori che andranno in pensione a partire da quest'anno escludendo tutti quelli che sono in pensione anticipata con decorrenza precedente al primo gennaio 2015, ai quali sono state applicate le vecchie norme.

Ricordiamo, per gli appassionati della materia, che, a partire dal primo gennaio 2016 il requisito contributivo per la pensione anticipata salirà di quattro mesi a causa dell'adeguamento delle aspettative di vita.

mercoledì 11 marzo 2015

Jobs act e la stabilizzazione dei lavoratori



Le forme flessibili di lavoro sono individuate principalmente nel contratto a termine e nella somministrazione di lavoro. Nel primo contratto la scadenza viene apposta per esigenze organizzative produttive o sostitutive con evidenza della scadenza garantendo la parità retributiva e le assicurazioni sociali previste dai contratti di lavoro. Nel caso della somministrazione di lavoro (l’ex interinale) lo scopo è rispondere alle esigenze di flessibilità produttiva delle imprese garantendo al lavoratore, in aggiunta alla parità retributiva e  assicurativa, una sistema di welfare specifico per i lavoratori che garantisce assistenza e formazione proprio per rafforzarne l’occupabilità e l’occupazione permanente. Per questo motivo la somministrazione costa di più per il 4,3% che finanzia il sistema di welfare di settore.

L’UE prevede che le tipologie contrattuali stabili e flessibili vengano combinate con un sistema di servizi per il lavoro e politiche attive che garantiscano l’occupabilità e l’occupazione dei lavoratori.

Il primo problema riguarda la insostenibilità dei contratti privi di tutele quali le collaborazioni a progetto e le partite IVA con un unico cliente. Con la presenza di una flessibilità in entrata così ampia (36 mesi e 8 proroghe per il primo contratto e 20 % di contratti flessibili) il fenomeno dei contratti privi di tutele (parità di trattamento salariale e welfare) dovrebbe essere rifiutato dalle imprese. Gli accordi tra le parti sociali possono ulteriormente incrementare perfezionare e combinare le necessità di flessibilità con le tutele. La necessità di sostenere servizi alla ricollocazione offerti a tutti i lavoratori che concludono il contratto a termine suggerisce di adottare un modello (già sperimentato in Francia) che preveda un costo maggiore dell’assicurazione contro la disoccupazione per contratti con durata inferiore a 4/6 mesi.

Il secondo problema riguarda l’assenza di qualificati ed omogenei servizi di politica attiva del lavoro presenti in tutto il territorio nazionale che dovrebbero sostenere il reimpiego dei lavoratori con contratto a tempo determinato che terminano il lavoro. Infatti sono ancora poche le regioni che hanno attivato i sistemi di accreditamento per i servizi al lavoro ed ancora incerta l’azione delle politiche attive a favore della ricollocazione dei lavoratori. La situazione paradossale che può accadere ad un giovane lavoratore che ha appena concluso il contratto di lavoro, quindi disoccupato, sia di non poter esercitare il diritto ad una servizio di ricollocazione in quanto nella propria regione tale servizio è finalizzato alle pratiche amministrative e nelle regioni limitrofe è presente con servizi finalizzati alla ricollocazione. La debolezza delle attuali politiche attive per il lavoro è caratterizzata principalmente dal fatto che non partono dal risultato che si vuole raggiungere. Il risultato non può essere che un inserimento al lavoro (almeno 6 mesi) attraverso questo percorso il lavoratore riprende un contatto professionale con un’azienda. A partire da una logica di risultato anche il rimborso sulle attività svolte (orientamento, patto di servizio, bilancio delle competenze, accompagnamento al lavoro, formazione) potrà essere distribuito con una parte “a processo” ed una a “risultato” in funzione al periodo di occupazione.

Diventa più vantaggiosa non solo l'assunzione di nuovo personale, ma anche la stabilizzazione di lavoratori che già lavorano con l'azienda sulla base di un rapporto flessibile, temporaneo o atipico. Le imprese che, da oggi, stabilizzeranno i propri dipendenti mediante l'assunzione a tempo indeterminato potranno, infatti, acquisire un doppio beneficio: l'applicazione delle nuove regole sui licenziamenti, da un lato, e gli incentivi contributivi previsti dalla legge di Stabilità, dall'altro.

Questi benefici si applicheranno, tuttavia, in misura differenziata nelle varie ipotesi di stabilizzazione. Se un'azienda deciderà di assumere a tempo indeterminato un lavoratore che già oggi lavora con un contratto a termine, potrà applicare, nei suoi confronti, le nuove norme sui licenziamenti. Lo stesso datore di lavoro potrebbe beneficiare anche dell'esonero contributivo riconosciuto dalla legge di Stabilità (fino a 8.060 euro l'anno, per tre anni), se l'operazione sarà completata entro il 31 dicembre del 2015 e se il lavoratore interessato dalla stabilizzazione non risulterà titolare, nei 6 mesi precedenti alla data di conversione del rapporto, di un altro rapporto di lavoro a tempo indeterminato (nella stessa azienda o presso una diversa).

Meno evidenti i benefici per i casi di “conversione” a tempo indeterminato del rapporto con un apprendista: nei confronti dell'azienda si applicherà la nuova normativa sui licenziamenti, mentre non spetteranno gli incentivi contributivi introdotti dalla legge di Stabilità.

Un'altra ipotesi nella quale si applicheranno le nuove regole sulle tutele crescenti sarà la trasformazione a tempo indeterminato di contratti atipici come le collaborazioni coordinate e continuative, i contratti a progetto, le collaborazioni occasionali, le prestazioni d'opera e i rapporti intermittenti. Il datore di lavoro che assumerà a tempo indeterminato una persona già impiegata con uno di questi rapporti potrà applicare le nuove regole sui licenziamenti e potrà anche beneficiare dell'esonero contributivo, se ricorreranno le condizioni richieste per l'accesso al beneficio.

Le nuove regole sui licenziamenti si applicheranno, infine, anche nei casi in cui una piccola impresa supererà i 15 dipendenti nell'unità produttiva (o i 60 su scala nazionale) a seguito di nuove assunzioni. In questo caso, entreranno nell'area del contratto a tutele crescenti non solo i nuovi assunti , ma anche il personale già in forza a tempo indeterminato; invece non si applicheranno gli incentivi contributivi, trattandosi di rapporti che sono già stabili.

Un piano di stabilizzazione dei lavoratori precari nella PA era stato già predisposto dalla Legge D'Alia che annunciava che fino al 2016, la metà dei posti disponibili nei concorsi pubblici fossero riservati ai candidati che avessero lavorato per almeno tre anni degli ultimi cinque, presso un'amministrazione statale o locale. Ma, ha fatto sapere il ministro Madia, questo provvedimento è stato congelato per due anni, e quindi fino al termine del 2018, per far posto alle operazioni necessarie al personale in esubero impiegato nelle amministrazioni provinciali.

Tuttavia è in atto una grossa operazione di razionalizzazione delle società pubbliche che operano sulla base della delega sulla PA. Infatti, si sta procedendo alla riorganizzazione industriale e territoriale di queste società per arrivare a decretare quante e quali società di servizi siano realmente necessarie per l'erogazione dei servizi pubblici ai cittadini. Si tratterà, quindi, di un giro di vite sulle poltrone inutili.



giovedì 19 febbraio 2015

Dipendenti Pa, è arrivata la circolare sul pensionamento obbligatorio



Governo fortemente inflessibile sul pensionamento obbligatorio dei dipendenti pubblici: chi snatura il diritto dovrà essere messo subito a riposo. Obbligati alla pensione i dipendenti pubblici. Nei loro confronti non opera l'incentivo della permanenza al lavoro fino a 70 anni d'età e non opera più neppure la facoltà di rimanere in servizio oltre i limiti d'età per conseguire il massimo della pensione.

Obbligo i dipendenti della Pa ad andare in pensione quando sono stati raggiunti i requisiti ovvero chi ha raggiunto i requisiti per il pensionamento. È quanto stabilisce una circolare firmata dal ministro Marianna Madia.

Il provvedimento prevede la risoluzione del rapporto di lavoro "obbligatoria, per coloro che hanno maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia ovvero il diritto alla pensione anticipata, avendo raggiunto l'età limite ordinamentale".

«Soppressione del trattenimento in servizio e modifica della disciplina della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro» - per la circolare del ministero della Pa che conferma e regola l'uscita obbligatoria (con poche eccezioni) dalla Pubblica amministrazione per chi abbia raggiunto l'età della pensione e ridefinisce la disciplina della risoluzione unilaterale. Il documento, appena firmato dalla ministra Marianna Madia, è in attesa di registrazione da parte della Corte dei conti, ma il ricambio generazionale dei dipendenti pubblici si può dire definitivamente avviato.

ll decreto legge Madia, entrato in vigore quest’estate, prevedeva dopo il 31 ottobre 2014 l’abolizione del trattenimento in servizio, che consentiva di continuare a lavorare dopo il raggiungimento dei requisiti per la messa a riposo. Ma per i magistrati il termine è stato, già nel dl, esteso al 31 dicembre 2015. "Essendo già scaduto" il termine del 31 ottobre 2014, "i trattenimenti non possono proseguire", si legge nel testo della circolare pubblicata sul sito della Funzione pubblica. "A tal fine, si considerano in essere i trattenimenti già disposti ed efficaci. I trattenimenti già accordati ma non ancora efficaci al 25 giugno 2014 (data di entrata in vigore del decreto-legge) si intendono revocati ex lege".

Quanto alla disciplina speciale, si precisa, «la data limite per l'efficacia dei trattenimenti in servizio, seppure ancora non disposti, per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari è il 31 dicembre 2015, data oltre la quale coloro che ne stiano fruendo devono essere collocati a riposo. Per tali categorie di personale, pertanto, è ancora possibile disporre il trattenimento, che non potrà avere durata tale da superare la predetta data». Quanto al personale della scuola, il regime «ha esaurito i suoi effetti il 31 agosto 2014. Nessun dipendente del comparto scuola, quindi, può trovarsi ancora in servizio in virtù del trattenimento eventualmente operato».

Quanto alla disciplina speciale, si precisa, "la data limite per l’efficacia dei trattenimenti in servizio, seppure ancora non disposti, per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari è il 31 dicembre 2015, data oltre la quale coloro che ne stiano fruendo devono essere collocati a riposo". Per tali categorie di personale, pertanto, è ancora possibile "disporre il trattenimento, che non potrà avere durata tale da superare la predetta data". Riguardo al personale della scuola, il regime "ha esaurito i suoi effetti il 31 agosto 2014. Nessun dipendente del comparto scuola, quindi, può trovarsi ancora in servizio in virtù del trattenimento eventualmente operato". "L’intervento legislativo - spiega il Ministero - è volto a favorire il ricambio e il ringiovanimento del personale nelle pubbliche amministrazioni".

Innanzitutto, la circolare illustra i nuovi requisiti di età e contribuzione per maturare il diritto alla pensione, nelle due nuove alternative di pensione di vecchiaia e pensione anticipata; ricorda, tra l'altro, l'abrogazione delle finestre che fissavano la decorrenza della pensione e l'estensione del sistema contributivo, con il pro-rata, alle anzianità successive al 2011. Le nuove norme non si applicano, tuttavia, nei confronti dei lavoratori che hanno maturato i requisiti per la pensione entro il 31 dicembre 2011, i quali potranno conseguire la pensione in qualsiasi momento secondo il vecchio regime (ante riforma). Da questa deroga, la circolare fa scaturire un preciso obbligo per le p.a., ossia quello di dover collocare a riposo nel 2012 o negli anni successivi al compimento dei 65 anni quei dipendenti che nel 2011 erano già in possesso della massima anzianità contributiva (40 anni) o della «quota» (era 96) o comunque dei requisiti per la pensione.

"L'intervento legislativo - spiega il Ministero - è volto a favorire il ricambio e il ringiovanimento del personale nelle pubbliche amministrazioni". La risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro con la Pa continua a non applicarsi per i magistrati e i professori universitari cui si aggiungono anche i dirigenti di struttura complessa del Servizio sanitario nazionale.

L'amministrazione è però tenuta a proseguire il rapporto di lavoro quando il dipendente "non matura alcun diritto a pensione al compimento dell'età limite ordinamentale o al compimento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia". In questi casi l'amministrazione "deve proseguire il rapporto di lavoro con il dipendente oltre il raggiungimento del limite per permettergli di maturare i requisiti minimi previsti per l'accesso a pensione non oltre il raggiungimento dei 70 anni di età".

Rimane invariato il termine di preavviso per il recesso, che anche la nuova disposizione stabilisce in 6 mesi.




domenica 6 luglio 2014

Pensioni per la scuola si avvicina la quota 96


Quota 96 con almeno 60 anni di età. Ovvero ci vogliono 60 anni di età e 36 di contributi ma salgono a 61 se gli anni di contributi sono solo 35. Una volta raggiunti i requisiti per avere l'assegno bisogna aspettare ancora 12 mesi previsti dalla nuova finestra mobile arrivando quindi almeno a 61 anni.

I lavoratori autonomi andranno in pensione di anzianità con quota 97 e almeno 61 anni di età.  A questi requisiti va aggiunta un'attesa di 18 mesi previsti dalla finestra mobile prevista dalla manovra di luglio. Quindi per i lavoratori autonomi sono necessari almeno 62 anni e mezzo (regola che vale anche per i collaboratori a progetto).

Sale il numero degli esodati, salvaguardati e si prospettano soluzioni anche i Quota 96 della scuola: novità approvate e cosa potrebbe arrivare nei prossimi giorni.

Anche se non si può parlare di una riforma delle pensioni Renzi in senso strutturale, gli interventi in materia previdenziale sono stati parecchi, dall'abolizione del trattenimento in servizio alla sesta salvaguardia per gli esodati. E il caso delle pensioni Quota 96 scuola? In effetti sembra essere l'ultimo tema "caldo" lasciato completamente senza soluzione ma la notizia è che sembra che il governo abbia intenzione di discutere in tempi brevi e probabilmente risolvere anche la loro vertenza. Buone notizie? Forse è ancora presto per dirlo, ma analizziamo quali sono state le dichiarazioni.

Ad intervenire sul caso delle pensioni Quota 96 scuola è stato Francesco Boccia del PD che ha dichiarato di avere l'intenzione di inserire come emendamento al DL sulla Pubblica Amministrazione alcuni elementi del disegno di legge Ghizzoni/Marzana, fermo da mesi in Parlamento per mancanza di copertura economica.

Nell'ambito di quella che possiamo definire riforma delle pensioni Renzi, un primo tentativo di inserire un emendamento a favore delle pensioni Quota 96 scuola c'era stato nella discussione parlamentare sulla misura per gli esodati. In quel caso era arrivata la bocciatura da parte della maggioranza parlamentare, la motivazione era l'estraneità della materia.

Come ben sapranno tutti i docenti e il personale ATA coinvolto nel caso delle pensioni Quota 96 scuola, la Marzana del M5S è stata una delle più attive in Parlamento in vista della risoluzione. In un intervento di questi ultimi giorni, i deputati M5S, dopo che l'emendamento è stato ammesso alla discussione, hanno dichiarato: 'Grazie a un ordine del giorno della deputata Maria Marzana il tema dei Quota 96, e la risoluzione di questa travagliata vicenda, verrà affrontato nel decreto Pa, prossimo ad arrivare alla Camera. Siamo soddisfatti ed ora aspettiamo il governo alla prova dei fatti'.

Insomma, si respira un'aria di cauto ottimismo per una vicenda, quella dei Quota 96, che assomiglia sempre di più ad un paradosso tutto italiano. E intanto sembra sempre di più che si stia formando un cantiere per una riforma delle pensioni Renzi complessiva e strutturale.

E’ salito a 170.230 unità, dal 160mila, il numero degli esodati salvaguardati grazie all’approvazione del nuovo emendamento nato dall’accordo tra Cesare Damiano e ministro del Lavoro Poletti. In tutto sono 32mila lavoratori esodati: 24 mila posizioni sono state recuperate dai provvedimenti precedenti e 8 mila sono del tutto nuove.

Il nuovo emendamento propone una soluzione, più contenuta nei numeri rispetto alla proposta della Commissione Lavoro, che permette di allungare di un anno, cioè al 6 gennaio 2016, la tutela pensionistico per accedere alle regole vigenti prima dell’arrivo della legge Fornero. A questa nuova platea di lavoratori si aggiunge anche quella dei ‘cessati’, coloro che sono stati i licenziati da un lavoro a tempo determinato.

Per definire questa salvaguardia è stata utilizzata una parte dei risparmi, avanzati, della seconda e della quarta salvaguardia, cui saranno aggiunte altre risorse che deriveranno dal Fondo per l’occupazione. In tutto le risorse ammontano ad 11 miliardi di euro. E si tratta di soldi che dovranno essere utilizzati esclusivamente per i lavoratori rimasti senza reddito dopo l’entrata in vigore della legge Fornero che ha decisamente commesso gravi errori.

Una soluzione dovrebbe arrivare presto anche per i quota 96 della scuola, visto che il presidente della commissione Bilancio della Camera Boccia ha annunciato parla di un emendamento già pronto al dl sulla Pa, che riporta anche le necessarie coperture, novità che consentirebbe di risolvere la situazione per 4 mila insegnanti in attesa della pensione.

mercoledì 2 aprile 2014

Marianna Madia e la staffetta generazionale nella Pubblica amministrazione



La parola d’ordine è rinnovamento. Il ministro della Semplificazione e la Pubblica amministrazione Marianna Madia illustra in commissione Affari costituzionale e Lavoro della Camera le linee programmatiche della staffetta generazionale, il meccanismo su cui sta lavorando per abbassare l’età media degli impiegati pubblici.

Serve «un grande progetto di staffetta generazionale», con «un processo di riduzione non traumatica dei dirigenti e dei dipendenti vicini alla pensione per favorire l'ingresso di giovani». Così il ministro per la Semplificazione e la Pa, Marianna Madia, in audizione davanti alle commissioni Affari costituzionali e Lavoro della Camera, rilancia la sua proposta che ha già fatto discutere all'interno del governo.

«Se non si fa, non ci può essere rinnovamento» dell'amministrazione, «ma solo agonia», ha detto il ministro per il quale il progetto va ancora definito, sicché l'idea avanzata nei giorni scorsi di prevedere un'entrata ogni tre uscite «era solo un esempio». Il ministro ha auspicato anche l'introduzione di un «ruolo unico nella dirigenza pubblica» per superare le «distorsioni» nei ministeri, a causa delle quali «alle Politiche agricole o alla Salute si guadagna di più che alle Infrastrutture». Forte il richiamo sulla necessità di maggiore «mobilità nella Pa».

Per Madia il progetto "staffetta generazionale" «non vuole mettere in discussione gli equilibri» della spesa pubblica ottenuti con la riforma delle pensioni. Il ministro ha evidenziato, invece, i risparmi derivanti dalle differenza «tra gli stipendi attualmente pagati e quelli dei neo assunti». Madia ha aggiunto che «l'amministrazione non può permettersi e non ha bisogno di alcun blocco delle assunzioni». Ha bisogno invece «di cambiamento, di rinnovamento e di nuove competenze fresche».

Ma la Ragioneria generale dello Stato boccia la proposta del ministro di prepensionare gli statali per favorire il ricambio generazionale. Se si mandano via persone che non vengono rimpiazzate, ha detto Francesco Massicci (a capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale della Rgs) in un'audizione davanti alla commissione di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, «viene meno lo stipendio e la pensione ed è un costo neutrale. Ma se mando via persone che devo sostituire devo pagare lo stipendio, la pensione e la buonuscita e la legge deve prevedere una copertura», ha spiegato Massicci. Lo ha fatto precisando di non «conoscere le proposte» del governo e di non essere «nelle condizioni di poter valutare come nascono gli 85mia esuberi» cui ha fatto riferimento il commissario per la spending review Carlo Cottarelli.

Il ministro Madia, nella sua audizione, ha sottolineato poi l'esigenza di una maggiore mobilità per dare efficienza alla Pa. «La mobilità che serve nella Pa deve consentire spostamenti di personale, sia tra i diversi comparti sia tra diversi livelli amministrativi con un conseguente allineamento delle diverse tabelle retributive e degli inquadramenti» ha detto il ministro per il quale «la nostra amministrazione ha bisogno di un piano strategico di redistribuzione delle risorse». Secondo Madia «l'attuale disciplina della mobilità del personale non ha impedito di avere uffici in forte carenza di personale e altri con palesi eccedenze». E il ministro a tal proposito si è detta «pronta a un confronto innovativo di idee con le parti sociali».

Madia ha annunciato poi l'intenzione di introdurre un ruolo unico della dirigenza pubblica, eventualmente articolato per territorio e per specifici profili professionali, utile per superare le distorsioni generate dall'attuale sistema di reclutamento e di carriera. «Il ruolo unico - ha spiegato Madia - ci permette di raggiungere due importanti obiettivi: mettere ordine nelle retribuzioni e consentire una reale mobilità tra le amministrazioni, con la rotazione degli incarichi».

Quanto all'annunciato taglio del cuneo fiscale con ricadute sugli stipendi dei lavoratori dipendenti a reddito più basso, per Madia gli 80 euro in più in busta paga «di fatto significano, per il pubblico impiego, l'equivalente di un rinnovo contrattuale che altrimenti non sarebbe stato possibile».

Insomma, serve «un grande progetto di staffetta generazionale» con «un processo di riduzione non traumatica dei dirigenti e dei dipendenti vicini alla pensione per favorire l’ingresso di giovani. Se non si fa, non ci può essere rinnovamento dell’amministrazione, ma solo agonia». Il primo obiettivo che si pone il ministro per la Pubblica amministrazione Maria Anna Madia è «semplificare il linguaggio e l’azione amministrativa» in quanto spesso si approvano «norme illeggibili e circolari incomprensibili». Gli 80 euro in più in busta paga, ha detto Madia, che auspica un confronto innovativo con le parti sociali, «di fatto significano, per il pubblico impiego, l’equivalente di un rinnovo contrattuale che altrimenti non sarebbe stato possibile.


martedì 25 marzo 2014

Prepensionamenti nella P.A. per aiutare i giovani



L'idea del Governo è quella di incentivare prepensionamenti nella pubblica amministrazione per favorire i giovani. Così il Ministro della Funzione Pubblica Marianna Madia, secondo cui la 'ricetta' potrebbe essere quella di "una sana mobilità obbligatoria".

85mila esuberi? Numero e terminologia sbagliati
Per quanto riguarda il numero degli esuberi, il Ministro si è limitato a dire che 85 mila è "un numero e una terminologia assolutamente sbagliati e distorti anche rispetto al piano Cottarelli". "L'idea sarà quella di provare ad avere uscite, anche con prepensionamenti", ha spiegato aggiungendo che in questo modo si aiuterebbero i giovani "ad entrare nella P.A.". E ha concluso: "Penso ad una sana mobilità obbligatoria, laddove il rispetto è quello del diritto del lavoratore, laddove non ci siano degli ostacoli burocratici".

"Tavolo con i sindacati? Non è detto"
"Non è detto che ci saranno dei tavoli, perché abbiamo tempi molto stretti" ha spiegato il ministro Madia a chi le chiedeva di un confronto con le categorie del pubblico impiego sulla riforma dello Stato: "non lo so, può anche darsi, ma non per forza". "Abbiamo chiesto ai sindacati proposte oltre il piano Cottarelli" ha aggiunto.

Piano Cottarelli? "Strategico per l'Italia"
Quanto al piano Cottarelli Madia sottolinea come si tratti di un "lavoro importante e strategico per l'Italia". Un lavoro per cui, precisa Madia rivolta al commissario alla spending review, "lo voglio ringraziare". Il ministro, a margine del convegno 'I manager pubblici che vogliamo' spiega come l'intenzione sia quella di "ringiovanire la pubblica amministrazione" e "parliamo di prepensionamenti per reimmettere energie nuove nella P.A.". Infatti, sottolinea Madia, "ci sono generazioni che non hanno avuto un canale sano di accesso nella P.A., vincitori di concorsi non assunti e precari vittime di uno Stato che non ha concesso canali sani e trasparenti di accesso, come dice la nostra Costituzione".

L'occupazione per il 2014 sarà nera
All'orizzonte l'occupazione non ha un futuro roseo. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, in commissione alla Camera spiega le linee programmatiche del dicastero: "Il 2014 "credo sarà un anno ancora di grande sofferenza" per il lavoro. Indipendentemente dalle considerazioni legate alle dinamiche del Pil, - precisa il ministro - la dinamica dell'occupazione continuerà ad essere molto pesante", come "immancabile coda della crisi". "Cercheremo di accelerare al massimo" il recupero.

"Camusso: "No a tagli lineari". Il leader della Cgil da Riccione è intervenuta sulle parole del ministro Madia:  "Il problema è quanti dipendenti pubblici si tagliano" perchè se la si fa così "non si sta parlando della riforma della p.a. ma si sta parlando di un altro taglio lineare"


"Siamo assolutamente serafici sul fatto che possiamo sfidare questo governo sulla riforma della pubblica amministrazione". Il leader della Cgil Susanna Camusso è intervenuto a Riccione al congresso regionale Cgil Emilia Romagna spiegando che il punto di partenza sarà l'autonomia negoziale del rapporto di lavoro pubblico. Camusso ha fatto una premessa: "o noi cambiamo profondamente la pubblica amministrazione oppure - ha detto - è molto difficile immaginare che sia il motore della creazione di lavoro e del cambiamento del modo in cui si considera e si cura il paese".

Camusso ha poi ricordato che sia la Cgil che il sindacato di categoria non si sono mai detti contrari ad una riorganizzazione del settore. "Bisognerebbe avere un'idea di qual è il progetto - ha detto ancora Camusso - non si può avere un'idea al rovescio. Il problema è quanti dipendenti pubblici si tagliano, perchè se la si fa così non si sta parlando della riforma della p.a. ma si sta parlando di un altro taglio lineare, del fatto che si può sul lavoro pubblico come sulle pensioni trovare le risorse per tenere insieme un Paese che continua a essere uguale a se stesso".

Per quanto riguarda i dirigenti, ha spiegato Camusso, "vorremmo evitare che diventi una gigantesca campagna di nomine della politica. L'abbiamo già sperimentata, e oggi già succede in tutta la sanità - ha detto - dove tanta parte delle nomine non solo non avviene in ragione delle competenze e degli obiettivi, ma dell'appartenenza a chi governa".

domenica 10 novembre 2013

Pubblica amministrazione, assunzioni vincolate con la legge n. 125 del 2013



Entra in vigore la legge 30 ottobre 2013, n. 125. Con l'approvazione definitiva si ampliano gli strumenti di gestione del personale precario e si aprono nuove possibilità di assunzione. Ogni amministrazione, per l'utilizzo delle nuove regole deve tener conto dei vincoli alle assunzioni e alla spesa di personale, che non vengono derogate dal decreto e anzi sono in via di rafforzamento con il disegno di legge di stabilità.

Lo stesso ministro della Pubblica amministrazione Giampiero D'Alia, ha chiarito che non tutti gli 80mila precari in scadenza (su 122mila che ne conta il pubblico impiego, scuola esclusa) potranno salire sulle scialuppe previste dal decreto appena convertito in legge: «Quelli interessati dalle nuove procedure saranno prorogati mentre per gli altri i contratti scadranno secondo il singolo rapporto contrattuale, perché non ci possono essere ulteriori proroghe».

Lo strumento principe per gli "interessati" è la nuova stagione triennale di concorsi, dal 2014 al 2016, con una riserva al 50% per i precari che abbiano totalizzato almeno tre anni di contratti negli ultimi cinque; per accompagnare la struttura del personale verso la stabilizzazione, il provvedimento permette di prorogare i contratti a termine in corso e la validità delle graduatorie dei concorsi già effettuati. Nel tentativo di frenare il diffondersi di nuovo precariato, infine, viene rafforzato il principio in base al quale le assunzioni flessibili possono essere effettuate solo per soddisfare «esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale» (con una modifica all'articolo 36, comma 2 del Dlgs 165/2001, che finora parlava di «esigenze temporanee ed eccezionali» e non ha funzionato troppo come argine).

La strategia, evidente, è quella di coordinare due esigenze contrapposte: la volontà di non lasciare per strada i lavoratori che hanno passato anni negli uffici pubblici senza posto fisso, e la tutela di chi ha vinto un concorso pubblico ma non ha mai ottenuto un posto di lavoro, e teme di vedersi passare davanti uno "stabilizzato". Nasce da qui la regola del 50%, che in pratica impone di bandire concorsi per un numero di posti doppio rispetto a quello dei precari che si intendono stabilizzare: un principio, però, che in ogni amministrazione deve fare i conti con i vincoli alle assunzioni e alla spesa di personale.

La maggioranza dei 122mila precari (scuola esclusa) oggi impiegati nella pubblica amministrazione si concentra negli enti territoriali: nel caso dei Comuni, la legge di stabilità conferma il tetto al turn over, che permette di dedicare a nuove assunzioni il 40% dei risparmi ottenuti con le cessazioni dell'anno precedente. Non solo: negli enti (soprattutto del Sud) in cui la spesa di personale di Comune e società controllate supera il 50% delle uscite correnti, qualsiasi assunzione è bloccata, e anche chi si attesta in prossimità del limite non può superarlo in virtù dei nuovi bandi. Il blocco totale delle assunzioni riguarda anche gli enti che non rispettano il Patto di stabilità.

Per le Regioni la regola chiave resta l'obbligo di riduzione delle spese di personale rispetto all'anno precedente (articolo 1, comma 557 della legge 296/2006), ma vincoli decisamente più stringenti sono previsti nelle amministrazioni impegnate nei piani di rientro dai deficit sanitari.

I bandi per le assunzioni. Il meccanismo sarà "di norma" quello di adottare bandi per assunzioni a tempo indeterminato con contratti di lavoro a tempo parziale, salvo diversa motivazione, tenuto conto dell'effettivo fabbisogno di personale e delle risorse finanziarie dedicate e si terrà in considerazione l'anzianità anagrafica, di servizio e i carichi familiari. Ovviamente è previsto il rispetto dei limiti di spesa.




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