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martedì 26 marzo 2019

Inps sulle pensioni: ecco a chi sarà tagliato l’assegno



Con la circolare n.44 del 2019, l’INPS ha illustrato i criteri e le modalità̀ di rivalutazione delle pensioni per l’anno 2019 in applicazione delle novità introdotte dalla Legge di bilancio 2019. L’Istituto dettaglia anche quali sono i trattamenti che restano esclusi dal meccanismo di perequazione e specifica la misura da applicare, diversificata in base alla misura della prestazione spettante.

Novità in arrivo per 5,6 milioni di pensioni: dal 1° aprile gli assegni superiori a tre volte l’importo minimo (oltre i 1.522, 26 euro al mese) saranno ricalcolati per applicare quanto previsto dalla legge di Bilancio, che ha introdotto un meccanismo di adeguamento all'inflazione meno generoso rispetto al passato (legge 388/2000) per gli assegni più alti. Lo chiarisce l’Inps in una circolare appena pubblicata (44/2019). L’Istituto di previdenza precisa anche che per circa 2,6 milioni delle posizioni interessate, la riduzione media mensile dell'importo lordo sarà di 28 centesimi.

Vediamo cosa prevede la legge di Bilancio: per le pensioni fino a tre volte il minimo l’adeguamento all'inflazione è piena al 100%, mentre per tutti gli altri assegni la rivalutazione è compresa tra un massimo del 97% e un minimo del 40 per cento. Il 97% per le pensioni tra le tre e le quattro volte l’importo minimo (da 1.522 a 2.029 euro al mese); il 40% per quelle superiori a 4.569 euro.

La Manovra 2019 - che ha introdotto sette scaglioni per il triennio 2019-2021 - nel dettaglio prevede che per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o superiori a tre volte l’assegno minimo Inps e con riferimento all’importo complessivo la rivalutazione è:
del 97% per gli assegni tra 1.522 e 2.029 euro al mese; 

del 77% per gli assegni tra 2.029 e 2.538 euro al mese;

del 52% per gli assegni tra 2.537 e 3.046 euro al mese;

del 47% per gli assegni tra 3.046 e 4.061 euro al mese;

del 45% per gli assegni tra 4.061 e 4.569 euro al mese;

del 40% per gli assegni oltre 4.569 euro al mese.

Tutte queste percentuali vanno applicate all’inflazione che per il 2019 è stata stimata all’1,1 per cento. Di fatto, quindi, se le pensioni fino a 1.522 euro avranno un incremento dell’1,1% quelle oltre le nove volte il minimo (superiori a 4.569 euro al mese) recupereranno solo lo 0,44 per cento.

Nei prossimi mesi l’Inps chiederà il conguaglio di quanto indebitamente erogato nei primi tre mesi dell’anno (la nuova perequazione andava applicata già dal 1° gennaio, ma l’approvazione della Manovra in extremis ha reso di fatto impossibile far scattare gli adeguamenti).

A quanto ammontano i conguagli
Vediamo, con qualche esempio, a quanto potrebbero ammontare i conguagli, posto che per gli importi fino a 1.522,26 euro non ci sarà alcun “taglio”.

Una pensione di 2.300 euro (lordi) nel 2018 è passata a 2.324, 44 euro da gennaio a marzo: ad aprile scenderà a 2.319, 48 euro per effetto delle novità previste dalla legge di Bilancio 2019. L’importo da “restituire” sarà di circa 5 euro al mese, 15 euro per il trimestre gennaio-marzo 2019.

Una pensione di 2.800 euro (lordi) nel 2018 è passata a 2.828,96 euro da gennaio a marzo: ad aprile si abbasserà a 2.816, 02 euro. L’importo da “restituire” sarà di 12,94 euro al mese, 39 euro per il trimestre gennaio-marzo 2019.

Una pensione di 4.700 euro (lordi) nel 2018 è passata a 4.744,64 euro da gennaio a marzo: ad aprile scenderà a 4.720,68 euro per effetto delle novità. In questo caso l’importo complessivo da conguagliare sarà di circa 72 euro.

L’Inps in una nota precisa che «per importo complessivo lordo si intende la somma di tutte le pensioni di cui un soggetto è titolare, erogate sia dall’Inps che dagli altri enti presenti nel Casellario centrale, assoggettabili al regime della perequazione cumulata».

Non sono interessate dalla rimodulazione della perequazione i seguenti trattamenti:

le pensioni erogate alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice;

i trattamenti assistenziali e a carattere risarcitorio, quali le pensioni sociali e assegni sociali, prestazioni a favore dei mutilati, invalidi civili, ciechi civili e sordomuti;

l’indennità integrativa speciale;

le indennità e gli assegni accessori annessi alle pensioni privilegiate di prima categoria concesse agli ex dipendenti civili e militari delle amministrazioni pubbliche.

Meccanismo di perequazione

Per il periodo 2019-2021 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici è riconosciuta:
per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento;
per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS;

Le misure previste sono le seguenti:

97 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS;

77 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS;

52 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS;

47 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a otto volte il trattamento minimo INPS;

45 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a otto volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a nove volte il trattamento minimo INPS;

40 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a nove volte il trattamento minimo INPS.


martedì 13 novembre 2018

Pensioni, «quota 100» penalità fino al 30%



La pensione con la quota 100 non prevede penalizzazione, ma i minori contributi per ogni anno di anticipo abbassano l'assegno, fino al 30% per chi si ritira sei anni prima: audizione Upb sulla Legge di Bilancio.

"Chi optasse per quota 100 subirebbe una riduzione della pensione lorda rispetto a quella corrispondente alla prima uscita utile con il regime attuale da circa il 5 per cento in caso di anticipo solo di un anno a oltre il 30 per cento se l'anticipo è di oltre 4 anni". E' il calcolo dell'Upb, illustrato dal presidente Giuseppe Pisauro in audizione sulla manovra, in cui ha sottolineato anche che la platea potenziale per il 2019 sarebbe di "437.000 contribuenti attivi". Se uscissero tutti ci sarebbe un "aumento di spesa lorda per 13 miliardi".

Se «quota 100» equivalesse alla somma di un’età di almeno 62 anni e un'anzianità contributiva di almeno 38 anni, la misura potrebbe potenzialmente riguardare nel 2019 una platea fino a 437mila contribuenti. Lo ha stimato l’Ufficio parlamentare di bilancio nel corso di una audizione dinanzi alle commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato.

«Qualora l'intera platea utilizzasse il canale di uscita appena soddisfatti i requisiti potrebbe comportare un aumento della spesa pensionistica lorda stimabile in quasi 13 miliardi nel 2019 sostanzialmente stabile negli anni successivi». Una stima, spiega ancora la relazione, che «non è ovviamente direttamente confrontabile con le risorse stanziate nel Fondo per la revisione del sistema pensionistico per vari fattori: dal tasso di sostituzione dei potenziali pensionati con nuovi lavoratori attivi a valutazioni di carattere soggettivo (condizione di salute o penosità del lavoro) o oggettivo (tasso di sostituzione tra reddito e pensione, divieto di cumulo tra pensione e altri redditi, altre forme di penalizzazione).

Secondo le stime dell’Ufficio parlamentare di bilancio, chi optasse per quota 100 subirebbe una riduzione della pensione lorda rispetto a quella corrispondente alla prima uscita utile con il regime attuale da circa il 5% in caso di anticipo solo di un anno a oltre il 30% se l'anticipo è di oltre 4 anni.

La manovra, spiega ancora l’intervento, peggiora il disavanzo pubblico, sia rispetto al deficit tendenziale sia, per il biennio 2019-2020, rispetto al risultato atteso per il 2018, che verrebbe nuovamente raggiunto solo nel 2021. «La riduzione del disavanzo nel 2020 e nel 2021 si otterrebbe peraltro unicamente grazie al mantenimento di una quota di clausole di salvaguardia su Iva e accise, pari rispettivamente allo 0,7 (13,7 miliardi) e allo 0,8 per cento (15,6 miliardi) del Pil». Le grandezze della finanza pubblica programmate dal Governo appaiono soggette a rischi (indebolimento del quadro macroeconomico e impatto dell'evoluzione recente dei tassi di interesse) e incertezze (l'efficacia delle misure di razionalizzazione della spesa, i tempi di attuazione delle norme sul “reddito di cittadinanza” e sulla riforma del sistema pensionistico, l'effettiva realizzazione dei valori programmatici della spesa per investimenti).

La pace contributiva che accompagna il debutto di “quota 100”, previsto ad aprile per i primi dipendenti privati, avrà una doppia destinazione: la prima per i quotisti che devono raggiungere i 38 anni necessari per l’uscita a 62, la seconda per i più giovani con carriere discontinue alle spalle cui viene data la possibilità di ricostruire la propria carriera contributiva per evitare, in prospettiva, una pensione di vecchiaia a 70 anni e traguardare invece l’anticipo a 41 o più.

C’è poi la proroga fino al 2021 di “opzione donna”: con 58 anni di età e 35 di contributi le lavoratrici (59 se autonome) potranno avere una pensione ricalcolata con il solo criterio contributivo e decorrenza posticipata di 12 mesi (18 per le autonome). Insomma il sistema delle finestre di uscita arriverebbe a totalizzare nove soluzioni diverse per tutte le future pensioni di anzianità, sette delle quali per la sola “quota 100” (4 per i privati, 2 per gli statali e 1 per la scuola). Non potranno invece utilizzare la quota i lavoratori coinvolti in piani di isopensione (articolo 4 legge 92) che prevedono la possibilità di accordi per uscita a carico totale del datore di lavoro. Mentre i fondi di solidarietà aziendali potranno finanziare volontariamente fino a tre anni di assegno straordinario fino a tre anni prima di “quota 100”.

Fra l’altro, bisogna attendere di capire come saranno disegnati i futuri provvedimenti, in particolare, se verranno previste limitazioni (divieto di cumulo con quello da lavoro, finestre di uscita, perdita contributi figurativi, ricalcolo contributivo). Infine, bisogna considerare che l’assegno si riduce con l’anticipo di uscita. A ogni anno di anticipo, in ragione dei minori versamenti contributivi realizzati, corrisponde un minore importo della pensione.



lunedì 24 settembre 2018

Opzione Donna i requisiti attuali






Possono esercitare l'opzione le lavoratrici dipendenti in possesso di 57 anni (58 anni le autonome) e 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015 ancorché, per effetto dell'applicazione degli adeguamenti alla speranza di vita Istat e del meccanismo delle finestre, la prima data utile di decorrenza della pensione si apra successivamente al 31.12.2015. Per questa tipologia di prestazione resta, infatti, in vigore la cd. finestra mobile secondo la quale l'assegno viene erogato dopo 12 mesi dalla maturazione dei predetti requisiti per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

Le misure di Riforma Pensioni incluse nella Legge di Bilancio 2019 potrebbero lasciare fuori l'Opzione Donna: in attesa della proroga, ecco come funzionano oggi maturazione requisiti e decorrenza pensione.

In attesa di conoscere il destino della misura, dunque, ricordiamo come funziona ad oggi questa formula di pensione anticipata (con penalità) e chi sono le lavoratrici ammesse: ad oggi, infatti, dal punto di vista del requisito anagrafico il limite temporale si estende soltanto fino a quelle nate nell’ultimo trimestre degli anni 1957 o 1958. Mentre un potenziale “rinnovo” consisterebbe in un’estensione dei termini così da includere una platea di contribuenti più ampia.

L’Opzione Donna, come è noto, è una forma di pensione anticipata per le sole lavoratrici, che consente di ritirarsi con 35 anni di contributi e un requisito di età che per le dipendenti è pari a 57 anni e sale a 58 anni per le autonome, accettando però un calcolo interamente contributivo della pensione.

La novità 2017 rispetto alla precedente normativa, che in virtù dell’applicazione delle aspettative di vita lasciava fuori le lavoratrici nate negli ultimi mesi dell’anno, è contenuta nel comma 222 della vecchia Legge di Bilancio, che ha esteso l’Opzione Donna (introdotta con l’articolo 1, comma 9, legge 243/2004): «alle lavoratrici che non hanno maturato entro il 31 dicembre 2015 i requisiti previsti per effetto degli incrementi della speranza di vita».

Attenzione: per accedere all’Opzione Donna, bisogna calcolare anche l’aspettativa di vita (lo prevede espressamente il successivo comma 223 della manovra).

Però, non è necessario (come in origine) che la maturazione del requisito sia avvenuta entro il dicembre 2015. Le lavoratrici che erano rimaste fuori dall’Opzione Donna per effetto di questo limitazione, dunque, possono invece accedere alla prestazione.

Ricordiamo che per la decorrenza della pensione la lavoratrice dovrà aspettare i termini previsti dalla finestra mobile (che pure si applica), pari a 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

L’Opzione Donna è una forma di pensione anticipata riservata alle sole lavoratrici che hanno compiuto 57 anni (o 58 nel caso delle autonome) entro il 31 dicembre 2015 e che alla stessa data avevano almeno 35 anni di contributi, accettando però un calcolo interamente contributivo della pensione. Calcolo contributivo può comportare una decurtazione dal 20 al 30%.

L’Opzione Donna, come è noto, è una forma di pensione anticipata per le lavoratrici, che consente di ritirarsi con 35 anni di contributi e un requisito di età che per le dipendenti è pari a 57 anni e sale a 58 anni per le autonome, accettando però un calcolo interamente contributivo della pensione. La novità rispetto alla precedente normativa, che in virtù dell’applicazione delle aspettative di vita lasciava fuori le lavoratrici nate negli ultimi mesi dell’anno.

Nel dettaglio, per richiedere l’Opzione Donna nel 2018 è necessario che i requisiti per accedere a questo strumento siano stati maturati negli anni scorsi. Nel dettaglio bisogna:

aver compiuto 57 anni e 7 mesi d’età entro il 31 luglio del 2016;

aver maturato 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015.

Questa al momento è l’unica opzione che permette alle donne di andare in pensione in anticipo; tuttavia in questo periodo di campagna elettorale molti esponenti politici stanno presentando alcune proposte per una nuova Opzione Donna.



sabato 21 luglio 2018

Pensioni, cos'è quota 41



Il tema pensioni è caldo in questi giorni e tra le ipotesi possibili c'è quella di un passo indietro in merito alla quota 41, ovvero lo strumento che consente di andare in pensione, indipendentemente dall'età anagrafica, una volta maturati 41 anni di contributi. Secondo Boeri la quota 41 aggiunta alla quota 100 (con cui invece si può andare in pensione, una volta compiuti 64 anni, se la somma dell'età anagrafica e dei contributi maturati dà come risultato 100) costerà 11 miliardi di euro nell'immediato, 18 miliardi a regime; una spesa ingente per lo Stato ed è per questo che si sta anche valutando l'idea di portare la quota 41 a quota 42, innalzando di un anno il requisito contributivo previsto. Al momento però si tratta solamente di indiscrezioni, poiché la quota 41 per tutti non fa ancora parte del nostro ordinamento e, stando alle ultime notizie sulle pensioni, non lo farà prima del 2020.

La quota 41 può essere già richiesta da alcune categorie di lavoratori. Si tratta dei lavoratori precoci, ossia di coloro che prima di compiere il 19esimo anno di età hanno maturato almeno 12 mesi di contributi. Per poter accedere a questo strumento non è necessario che i 12 mesi siano continuativi. La quota 41, però, subirà una modifica dal primo gennaio 2019, complice l'adeguamento con le aspettative di vita che riguarderà da vicino anche la pensione di vecchiaia e quella anticipata; nel dettaglio, i lavoratori precoci dovranno maturare 41 anni e 5 mesi di contributi se vorranno smettere di lavorare in anticipo rispetto agli altri lavoratori.

Come annunciato da oeri - presidente dell’INPS fino a febbraio 2019 - rivedere la Legge Fornero introducendo nel contempo una Quota 100 e una Quota 41 costerebbe nell’immediato 11 miliardi di euro, per poi salire a 18 miliardi di eurouna volta che la riforma sarà a regime. Si tratta di uno strumento che permetterà ai lavoratori che avranno versato 41 anni di contributi di andare in pensione senza alcun vincolo di età.

Passando alla Quota 41, ovvero allo strumento che consentirebbe di andare in pensione indipendentemente dall’età anagrafica una volta maturati 41 anni di contributi, è prevista un’ulteriore novità che probabilmente non farà piacere i lavoratori.

Da Quota 41 a Quota 42?

Come anticipato da alcuni quotidiani, per ridurre l’ingente spesa prevista per la ridefinizione della riforma Fornero ci potrebbe essere un potenziale passo indietro del Governo per quel che riguarda la Quota 41.

Nel dettaglio, l’intenzione è quella di alzare di un anno il requisito contributivo previsto, passando così ad una Quota 42 che consentirà ai lavoratori di andare in pensione dopo 42 anni di servizio. Si tratterebbe quindi di un piccolo sconto rispetto a quanto accade oggi per la pensione anticipata, che ricordiamo dal prossimo anno potrà essere richiesta dagli uomini con 43 anni e 3 mesi di contributi e dalle donne con 42 anni e 3 mesi.

Quindi per i primi ci sarebbe una riduzione di 1 anno e 3 mesi, per le seconde solo di 3 mesi (ma per loro resta la possibilità di una proroga dell’Opzione Donna).

Al momento si tratta solo di un’indiscrezione ma se confermata farebbe sicuramente piacere alle casse dell’INPS, le quali - come dichiarato da Boeri - non sono in grado di sostenere gli oneri previsti dalla riforma originaria descritta nel contratto.

Naturalmente una tale novità rischia di far accrescere le polemiche da parte dei lavoratori, i quali speravano in una riforma che rendesse maggiormente flessibile l’uscita dal mercato del lavoro.
uota 41 addio: anche per i precoci aumentano i requisiti
Ricordiamo a tal proposito che la Quota 41 può essere richiesta già oggi, ma solamente da coloro che hanno maturato almeno 12 mesi di lavoro prima del compimento dei 19 anni.
Si tratta dei cosiddetti lavoratori precoci, ovvero coloro che avendo iniziato a lavorare fin da giovani possono vantare almeno 1 anno di contributi (anche non continuativo) accreditati nei 18 anni d’età.
Oggi questi possono andare in pensione, indipendentemente dall’età, una volta raggiunti 41 anni di contributi, ma dal prossimo anno non sarà più così. Complice l’adeguamento con l’innalzamento delle aspettative di vita rilevate dall’INPS che porterà ad un incremento generale dei requisiti per la pensione, infatti, la Quota 41 si potrà richiedere con 5 mesi di ritardo.

Non saranno più sufficienti 41 anni di contributi, poiché serviranno ulteriori 5 mesi per andare in pensione sfruttando l’agevolazione riconosciuta ai precoci.

Dal prossimo anno quindi la Quota 41 così come la conosciamo oggi rischia di non esistere più, e qualora le indiscrezioni sopra riportate fossero confermate questo strumento sparirà per sempre dal sistema previdenziale italiano.

Boeri ha presentato una serie di stime legati a diversi scenari:
quota 100 pura, ovvero senza limiti di età o contributivo (il requisito è che la somma dei due elementi sia pari a 100), oppure pensione con 41 anni di contributi (costo fino a 20 miliardi l’anno);

quota 100 a 64 anni o pensione con 41 anni di contributi: è l’ipotesi che al momento sembra più gettonata, che potrebbe anche confluire nella prossima manovra di Bilancio, ed essere quindi disponibile a partire dal 2019 (costo 18 miliardi annui);

quota 100 a 65 anni o pensione con 41 anni di contributi (costo 17 miliardi annui);

quota 100 (a 64 anni minimi di età) a legislazione invariata sulla pensione anticipata (costo fino a 8 miliardi).

Ci sono comunque, secondo Boeri, spazi per aumentare la flessibilità in uscita, ad esempio accelerando la transizione verso il sistema contributivo.

Attualmente, lo ricordiamo, il contributivo puro si applica a coloro che hanno iniziato a effettuare versamenti dopo il primo gennaio 1996, mentre ai lavoratori più anziani di applica il calcolo misto, oppure quello retributivo, limitatamente al caso in cui ci siano almeno 18 anni di versamenti precedenti al 1996.




lunedì 4 giugno 2018

Pensioni quota 100 cosa c'è da sapere




Pensioni quota 100, in pratica è la possibilità di uscire dal lavoro quando la somma dell'età anagrafica e quella degli anni di contributi versati dal lavoratore è almeno pari a 100 (ad esempio: si potrà uscire dal lavoro con 36 anni di contributi e 64 anni d'età). L'espressione si riferisce alla somma di età anagrafica e contributiva che potrebbe essere necessaria per andare in pensione“. Le pensioni a quota 100 (uscita con un mix di età anagrafica, partendo da almeno 64 anni, e contributiva) e quota 41 anni (a prescindere dall'anzianità contributiva) da estendere a tutti i lavoratori a differenza di quanto previsto attualmente con la possibilità di uscita anticipata per il soli “precoci”.

Questo sistema conviene soprattutto a chi ha accumulato molti anni di contributi, perché gli consentirà di andare in pensione prima rispetto a quanto ora previsto con la legge Fornero.

Ma in cosa consiste quota 100 e come funziona? Si tratta della possibilità per i lavoratori di andare in pensione quando la somma dell'età anagrafica e degli anni di contributi versati è pari almeno a 100. Possono poi essere previsti dei paletti riguardo all'età minima di uscita e a un minimo di anni di contribuzione.
Nel contratto pentaleghista c'è l'impegno a "provvedere all’abolizione degli squilibri del sistema previdenziale introdotti dalla riforma delle pensioni cd. 'Fornero', stanziando 5 miliardi per agevolare l’uscita dal mercato del lavoro delle categorie ad oggi escluse".
"Daremo fin da subito la possibilità di uscire dal lavoro - si legge nel testo - quando la somma dell’età e degli anni di contributi del lavoratore è almeno pari a 100, con l’obiettivo di consentire il raggiungimento dell’età pensionabile con 41 anni di anzianità contributiva, tenuto altresì conto dei lavoratori impegnati in mansioni usuranti".
Nel contratto si parla anche della necessità di "riordinare il sistema del welfare prevedendo la separazione tra previdenza e assistenza". "Prorogheremo - scrivono 5S e Lega - la misura sperimentale 'opzione donna' che permette alle lavoratrici con 57-58 anni e 35 anni di contributi di andare in quiescenza subito, optando in toto per il regime contributivo".
Sui costi della riforma pensionistica lanciata da 5 Stelle e Lega è intervenuto nelle scorse settimane il presidente dell'InpsTito Boeri. Permettere di andare in pensione con quota 100 tra età e contributi, come previsto dal contratto di governo, avrebbe un costo, secondo la stima di Boeri, di 15 miliardi per il primo anno e di un massimo di 20 miliardi all'anno per i successivi.

“L’idea è di mandare in pensione chi ha almeno 64 anni con 36 di contributi, oppure 41 anni e mezzo di contributi”. Alberto Brambilla, esperto di previdenza e già sottosegretario al Welfare nei governi Berlusconi tra il 2001 e il 2005, ha scritto la parte del contratto di governo Lega-M5s sul “superamento della legge Fornero”. In breve, la «quota 100» si raggiunge con la somma di 36 anni di contributi e almeno 64 anni di anzianità. Se invece si hanno 41 anni di contributi versati, la soglia minima di età per andare in pensi ne non viene considerata. Tutto questo, come da contratto, verrebbe portato avanti «tenuto conto dei lavoratori impegnati in mansioni usuranti». Il riferimento è all’Ape sociale, che permette di andare in pensione a 63 o addirittura a 62 anni, e che quindi non dovrebbe essere toccata.

I canali di uscita saranno due. Il primo, la cosiddetta quota 100, richiederà che l'interessato abbia maturato contemporaneamente un requisito di età e uno di contribuzione, il cui totale in anni deve appunto dare 100. Ma proprio per limitare le uscite è previsto un requisito minimo di età a 64 anni. Quindi 64 più 36 di contributi, ma non 63+37: eventualmente potrebbe essere prevista anche la possibilità di lasciare con 65+35, considerando che 35 anni di contribuzione è il limite minimo sempre richiesto anche per la pensione di anzianità prima della Fornero.



mercoledì 14 febbraio 2018

Pensioni: al via il simulatore INPS per l'Ape volontaria



Il nuovo portale dell'INPS, mette al centro l'utente consentendogli di trovare con maggiore velocità e semplicità le informazioni ricercate. I contenuti, inoltre, possono essere salvati nell'area personalizzata "MyInps" che offre ulteriori strumenti per arricchire l'esperienza degli utenti.

Più immediato anche l'accesso ai servizi Inps, possibile direttamente dalla scheda delle relative prestazioni, unitamente ai moduli necessari per presentare le necessarie domande.

Social, capace di adattarsi ad ogni dispositivo tecnologico e al passo con i tempi, a partire dalla veste grafica più moderna, il portale consente di visualizzare infatti direttamente in homepage gli strumenti di ricerca avanzata, sulla base dei principali temi e categorie che interessano gli utenti.

Ad annunciare ufficialmente la partenza dell’Anticipo pensionistico volontario, dopo un anno di gestazione faticosa, sarà il presidente dell’Istituto nazionale per la previdenza sociale Tito Boeri.

La misura è rivolta in particolare ai lavoratori che hanno già raggiunto i 63 anni di età e almeno 20 anni di anzianità contributiva maturati fin dal 1° maggio 2017, ed è un "prestito finanziario con garanzia pensionistica" che consentirà a chi avrà almeno 63 anni nel 2018 (o almeno 63 anni e 5 mesi nel 2019) di uscire in anticipo dal lavoro. Per verificare la propria posizione personale ogni lavoratore potrà collegarsi sul sito dell’Inps e accedere al simulatore online che sarà presentato nei dettagli da Boeri martedì prossimo. Bisogna sapere che più si anticipa l’uscita dal lavoro maggiori saranno le rate del prestito da restituire in 20 anni e da sottrarre dunque alla pensione di vecchiaia.

L'APe volontaria 2018 è una nuova misura sperimentale, in vigore in Italia dal 1° maggio 2017 al 31 dicembre 2018, inserita nella Legge di Bilancio al fine di garantire la pensione anticipata a diverse categorie di lavoratori.

In pratica, l'Ape volontaria si fonda sulla possibilità di andare in pensione in anticipo rispetto ai requisiti ordinari della pensione di vecchiaia, grazie ad un prestito garantito dalla futura pensione.

Ciò significa che chi è in possesso dei requisiti Ape volontaria, può lasciare il lavoro in anticipo solo se tramite l'INPS, richiede un prestito alla banca, a copertura di tutto il periodo che intercorre tra l'Ape e l'erogazione della pensione vera e propria.

L'Ape volontaria funziona così:

Il soggetto in possesso dei requisiti ape volontaria, fa domanda all'Inps;

L'Inps, richiede alla banca o all'impresa assicurativa, scelti tra quelli che aderiscono agli accordi stipulati tra Mef, Ministero del Lavoro, ABI e Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici e le altre imprese assicurative primarie, l'erogazione del prestito Ape volontaria.

Una volta erogate le somme, il prestito Ape va restituito in 260 rate in 20 anni attraverso una trattenuta operata dall'INPS sull'assegno pensionistico, inclusa la tredicesima.

La restituzione del prestito parte, invece, dal primo pagamento della pensione di vecchiaia e termina dopo 20 anni dal pensionamento.

Terminato il prestito, la pensione di vecchiaia è pagata per intero senza subire riduzioni e penalizzazioni APE.

Prevista anche la possibilità di estinzione anticipata del prestito Ape, secondo le modalità fissate dal successivo decreto.

Il prestito APe, è coperto da una polizza assicurativa obbligatoria per il rischio di morte che possa coprire il finanziamento in caso di decesso prematuro dell’interessato.

Il prestito ha una durata minima di 6 mesi.

L'importo minimo (150 euro al mese) e massimo del prestito APe volontaria, è deciso dal decreto ma le somme erogate, non concorrono alla formazione del reddito ai fini IRPEF ma si applicano:

tasso di interesse, e polizza assicurativa sul rischio di premorienza. Sia per gli interessi applicati al finanziamento che alla polizza assicurativa, è riconosciuto un credito di imposta fino al 50% dell’importo.

Il prestito si restituisce in 20 anni con una decurtazione della pensione: le rate sono mensili (nel complesso 240) ed è esclusa la tredicesima che quindi non ha la decurtazione. Per ottenere il prestito la rata di ammortamento mensile, sommata ad eventuali rate per prestiti ancora aperti, non deve superare il 30% del trattamento pensionistico (al netto di eventuali rate per debiti erariali e di eventuali assegni divorzili o di mantenimento dei figli).

La domanda all'INPS con Spid: si sceglie l'istituto finanziatore del prestito e l'assicurazione che farà un contratto contro il rischio di premorienza e si fa domanda di Ape contestualmente alla richiesta per la pensione di vecchiaia. Nella domanda il lavoratore indicherà la quota di Ape chiesta e se vorrà o meno accedere al finanziamento supplementare per avere l'Ape fino all'effettiva età di pensionamento qualora nella fase di erogazione del prestito intervenga l'adeguamento dei requisiti pensionistici. La domanda viene trasmessa all'ente finanziatore che può rigettarla.







mercoledì 6 dicembre 2017

Pensioni, aumenti da 70 a 260 euro



Da gennaio si applicherà il valore provvisorio relativo al 2017 che è pari a 1,1%. Di conseguenza aumenteranno tutti i parametri di riferimento delle prestazioni previdenziali: dal trattamento minimo all’assegno sociale (da 448,07 a 453 euro), dai vitalizi al trattamento di invalidità civile, e poi ancora dei limiti di reddito per l’integrazione al minimo o il cumulo delle pensioni ai superstiti. Oltre ovviamente agli assegni ordinari in pagamento.

Aumenti sino a 260 euro all’anno per i pensionati: dal 2018, infatti, dopo due anni di stop, si applica il meccanismo automatico di adeguamento delle pensioni all’inflazione (o meglio all’indice Istat Foi, l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati), cioè la cosiddetta perequazione.

Da gennaio, in particolare, si applicheranno alle prestazioni aumenti in misura pari all’1,1%: questi aumenti, che non saranno uguali per tutti ma dipenderanno dalla misura dell’assegno, consentiranno non solo di incrementare le pensioni, ma anche di alzare i parametri di riferimento delle prestazioni previdenziali. Dal trattamento minimo agli assegni di assistenza per invalidità civile, dall’assegno sociale all’integrazione al minimo, gli incrementi consentiranno non solo di ricevere prestazioni più elevate, ma anche di subire una minore riduzione delle prestazioni parzialmente incumulabili col reddito, come la pensione di reversibilità e l’assegno ordinario di invalidità.

Iniziamo con l’aumento del trattamento minimo (la retribuzione minima alla quale deve essere adeguata la pensione, se non si superano determinate soglie di reddito): questo, in particolare, passerà da 501,89 euro mensili a 507,41 euro, determinando non solo l’incremento delle pensioni adeguate al minimo, ma anche minori riduzioni per chi percepisce pensioni parzialmente cumulabili con gli altri redditi.

È il caso, ad esempio, della pensione di reversibilità, che viene ridotta del 25% se gli altri redditi superano 3 volte il minimo, del 40% se il trattamento minimo viene superato 4 volte e del 50% se si supera 5 volte il trattamento minimo.

L’assegno sociale, nel 2018, salirà da 448,07 euro mensili a 453 euro mensili, nei casi in cui si ha diritto alla sua liquidazione in misura piena.

Aumento delle pensioni 2018
Ecco, invece, in quale misura aumenteranno le pensioni. Vediamo alcuni esempi:

per chi percepisce 1000 euro lordi al mese, l’incremento mensile sarà pari a 11 euro;

per chi percepisce 1600 euro mensili, l’aumento sarà pari a 16,72 euro;

per chi percepisce 2.100 euro al mese, l’incremento sarà pari a 17,33 euro mensili.

Comparando gli aumenti mensili all’intero anno, otteniamo un aumento di 72 euro per chi percepisce la pensione minima, di 143 euro per chi percepisce 13mila euro annui, sino ad arrivare a un incremento tra i 200 e i 260 euro per chi percepisce tra 1.500 e 3mila euro al mese.

Al crescere dell’importo della pensione, però, gli aumenti sono minori, a causa del funzionamento del meccanismo di perequazione, che garantisce l’adeguamento pieno all’inflazione solo agli assegni più bassi.

Quindi per chi percepisce 1.000 euro lordi al mese, l’incremento sarà di 11 euro, con 1.600 euro il ritocco sarà di 16,72 euro, chi incassa 2.1oo euro avrà un aumento di 17,33 euro. Rapportato all’intero anno, quindi tredicesima compresa, significa che chi riceve la pensione minima avrà poco meno di 72 euro in più; chi intasca 13mila euro all’anno, ne riceverà 143 in più. Inoltre chi ha una pensione compresa tra 1.500 e 3.000 euro al mese guadagnerà tra i 2oo e i 260 euro lordi all’anno. Con il crescere dell’importo della pensione, l’aumento è proporzionalmente minore perché il meccanismo di perequazione favorisce gli assegni di valore più basso, riconoscendo solo a loro l’adeguamento pieno all’inflazione.

Secondo le regole in vigore dal 2012 i requisiti per accedere alla pensione sono destinati ad adeguarsi automaticamente all’allungamento della speranza di vita con un primo aumento di 5 mesi di età o di contributi che dovrebbe scattare nel 2019. Questo a fronte di un requisito per la pensione di vecchiaia che già oggi per la maggior parte dei lavoratori, in teoria perché nei fatti si ha ancora la possibilità di incassare l’assegno diversi anni prima, è di 66 anni e 7 mesi, un livello che, come certificato ieri dal Censis, in Europa è il secondo più alto, dopo quello della Grecia.



sabato 20 maggio 2017

Pensioni: novità, proposte e calcoli



Fra le misure della riforma delle pensioni c’è il fermo agli adeguamenti alle speranze di vita per alcune categorie di lavoratori, in particolare precoci e addetti a mansioni usuranti. Non ci sono invece novità su questo fronte per le altre tipologie di pensioni, che quindi continuano ad applicare gli aumenti delle aspettative di vita previsti dalla legge.

Sul fronte pensioni, arrivano buone novità dall'associazione Lavoro e Welfare, presieduta da Cesare Damiano, che ha lanciato una petizione online per chiedere il sostegno dei lavoratori nei confronti del disegno di legge sulla flessibilità in uscita, il ddl 857. Il gruppo Pd sostiene il ddl: “Le diverse riforme in materia di pensioni dal 1992 a oggi hanno messo in sicurezza i conti pubblici. Tuttavia hanno lasciato molti problemi aperti, sui quali è importante discutere e intervenire al più presto” si legge nella petizione per ottenere la riforma delle pensioni. “La manovra Fornero non ha previsto la fase di transizione e ha irrigidito il sistema, determinando tra l’altro il problema degli esodati, cui si è cercato di rispondere con le sette salvaguardie. L’allungamento dell’età pensionabile, inoltre, frena l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Sosteniamo quindi la proposta di legge A.C. 857/2013 “Damiano-Gnecchi ed altri” che introduce la flessibilità in uscita, consente di lasciare il lavoro con un anticipo fino a quattro anni rispetto ai requisiti previsti, con penalizzazioni accettabili”.

La proposta di Damiano per la flessibilità delle pensioni prevede un pensionamento flessibile a partire dai 62 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contributi con una penalità del 2% per ogni anno di anticipo rispetto all’età di 66 anni e 7 mesi, mentre per i lavoratori precoci si garantirebbe un’uscita unica a 41 anni di contributi. Nella petizione, inoltre, c’è la volontà di ulteriori interventi per rendere più equa la previdenza italiana con: 1) l’ottava e ultima salvaguardia degli esodati; 2) il monitoraggio di opzione donna per l’inclusione di altre lavoratrici; 3) un meccanismo adeguato di indicizzazione per le pensioni medio basse. Intanto, i lavoratori precoci sono tornati a chiedere con forza l’introduzione di quota 41 senza penalizzazioni sia sui palchi delle organizzazioni sindacali che negli studi di programma, come Quinta Colonna, che da sempre si occupano di pensionati e della flessibilità in uscita.

Novità hanno registrato l’intervento di Elsa Fornero al programma di Lucia Annunziata, nel quale ha ribadito di non condividere il ragionamento di mandare in pensione le persone a un’età ancora giovane (66 e 67 anni) per fare posto a quelle che sono più giovani è un modo di ragionare sbagliato, ma di approvare invece l’idea di una tutela per le persone che hanno cominciato da giovanissime a lavorate, come i precoci.

Sul fronte pensioni, lavoro ed occupazione, in base a quanto riporta l’agenzia Italpress il segretario della Uil Milano e Lombardia Danilo Margaritella, ha così dichiarato pochi giorni fa: “Noi registriamo, ancora, una disoccupazione giovanile molto forte, difficoltà nel ricambio generazionale con un sistema di flessibilità vero“, perché “l’ipotesi del part-time in uscita è come dare un’aspirina a un malato grave”, continua Margaritella e racconta di una giovane delegata della RSU della sua azienda, che all’attivo confederale, ha posto una domanda precisa ai 3 segretari nazionali: “‘siamo ancora un Paese che vive sul lavoro, come recita l’articolo 1 della Costituzione? Perché intorno a me vedo solo grandi difficoltà’. È un ragionamento emblematico”, commenta. Per risolvere “la difficoltà occupazionale e il disagio economico basterebbe prendere le risorse dall’evasione fiscale, dagli 80 mld di euro accumulati con la riforma Fornero fino al 2020”, spiega Margaritella. “C’è necessità di chiudere i rinnovi contrattuali, come i metalmeccanici e la funzione pubblica, della riforma delle pensioni, ci vuole buona volontà politica”.

Sul capitolo pensioni e lavoro, ieri giornata di sciopero del pubblico impiego per il rinnovo dei contratti nazionali e l’aumento delle retribuzioni ferme da oltre sei anni, la valorizzazione dei contratti di settore, il rilancio della contrattazione decentrata, il superamento dei vincoli della legge Fornero sulle pensioni e lo sblocco del turnover. Sono alcune delle richieste dei sindacati toscani in vista dello sciopero. I tre sindacati, Fp-Cgil, Cisl-Fp e Uil-Fpl e Uil-Pa hanno chiesto ancora di rafforzare il confronto regionale e aziendale sugli effetti della riforma del sistema socio sanitario regionale per valorizzare il lavoro e migliorare la qualità dei servizi; di garantire il posto di lavoro nei cambi di appalto e nei processi di riorganizzazione e un piano di assunzioni per mantenere la qualità e quantità dei servizi erogati e ridurre le liste di attesa in sanità ed infine aprire un confronto con la Regione sull’assetto istituzionale e delle funzioni, per scongiurare le ricadute occupazionali e sui servizi ai cittadini e alle imprese prodotte dalla riforma della pubblica amministrazione.

Sul fronte pensioni, novità importante quella introdotta grazie Miowelfare, start up innovativa, guidata da Angelo Raffaele Marmo, giornalista, esperto di welfare, già direttore generale della comunicazione del Ministero del Lavoro. Miowelfare, infatti, dopo una fase di test, rende ora operativa una nuova versione del pensionometro, uno strumento che stima quando si potrà andare in pensione e con quanto. Secondo quanto riportato da Adnkronos, il comparatore di Miowelfare si basa su algoritmi che permettono di stimare l’andamento futuro dei Piani. Pensionometro e comparatore, utilizzati insieme, consentono di determinare una stima della pensione pubblica, del momento in cui potrebbe essere percepita e della cifra di cui si compone, verificando il gap tra la prestazione e l’ultimo stipendio o reddito, e la possibilità di stabilire come colmare la differenza attraverso la previdenza complementare e, in particolare, attraverso i Pip.

Va fatta una premessa: attualmente per il 2017  l'età per andare in pensione e ricevere la pensione di vecchiaia è fissata a :

66 anni e sette mesi  per gli uomini ( sia autonomi che dipendenti , pubblici e privati) e le donne che lavorano nel settore pubblico;

65 anni e 7 mesi per le donne dipendenti del settore privato;

66 anni e 1 mese per le donne lavoratrici autonome.

Dal 2018,  per tutti , l'età è stata unificata dalla riforma Fornero e sarà  a 66 anni e 7 mesi

Da ricordare che alla pensione di vecchiaia hanno diritto tutti i lavoratori assicurati con la previdenza obbligatoria  e che all'età stabilita abbiano un anzianità contributiva di almeno 20 anni.

Per la pensione di anzianità , invece, cui si accedeva a prescindere dall'età  ma avendo un requisito contributivo più alto,  la riforma Monti- Fornero ha alzato i paletti e, definendola " pensione anticipata" a partire dal 2012  sono necessari almeno:

41 anni e 10 mesi di contributi  per le donne e

42 anni e 10 mesi per gli uomini sia nel pubblico che nel privato  con almeno 35 anni di  contribuzione effettiva.





Pensioni: flessibilità in uscita, ecco le possibilità previste



Sono previsti dei percorsi alternativi, anche se non sempre facilmente attuabili, alla pensione di vecchiaia ordinaria, i cui requisiti anagrafici per il 2016 sono di 66 anni e 7 mesi per gli uomini indipendentemente dal settore lavorativo e per le donne dipendenti della pubblica amministrazione, di 65 anni e 7 mesi per le dipendenti del settore privato e di 66 anni e 1 mese per le autonome e le iscritte alla gestione separata dell'Inps. La riforma previdenziale di fine 2011 oltre alla vecchiaia ha regolato la pensione anticipata, che si raggiunge quest'anno con 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne) indipendentemente dall'età. Garantisce un vantaggio, rispetto alla “vecchiaia” a chi ha iniziato a lavorare non troppo dopo i venti anni di età e non ha “buchi” contributivi.

Sempre legata all'ultima riforma c'è la pensione anticipata con il sistema contributivo, a cui può accedere solo chi ha iniziato a versare dal 1996 e quindi è soggetto al calcolo della pensione interamente con il sistema contributivo. Sono necessari 20 anni di contributi (quindi proprio quest'anno diventa effettivamente fruibile), 63 anni e 7 mesi di età e l'importo dell'assegno previdenziale deve essere almeno 2,8 volte il valore di quello sociale, quindi deve essere pari almeno a 1.254,60 euro lordi.

Sono ancora in vigore le agevolazioni per i lavoratori soggetti ad attività usuranti o svolte di notte, a cui si applica ancora il sistema delle “quote” (somma di età e anni di contributi) ma aggiornato all'aspettativa di vita. I requisiti minimi per i dipendenti sono quota 97,6 con un minimo di 61 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contributi e, per gli autonomi, quota 98,6 con un minimo di 62 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contributi (per i notturnisti si possono aggiungere 1-2 anni in relazione al numero di notti lavorate).

Per le donne dipendenti che hanno maturato 57 anni e 3 mesi di età e 35 di contributi (58 anni e 3 mesi per le autonome) entro il 2015, è ancora aperta l'opzione donna, cioè la possibilità di andare in pensione trascorsi la finestra mobile o anche successivamente a fronte però del calcolo dell'assegno con il metodo contributivo che comporta in media una penalizzazione del 25-30% rispetto al sistema misto a cui avrebbero diritto.

Ci sono poi delle alternative che prevedono il coinvolgimento del datore di lavoro e non si basano quindi sulla sola scelta del lavoratore. Sempre con la riforma del 2011 è stata introdotta la possibilità di gestire i dipendenti in esubero a cui manchino non più di 4 anni alla pensione erogando una sorta di prepensione interamente a carico dell'azienda. Una volta raggiunti i requisiti minimi, scatterà la pensione vera e propria.

Fa convivere la pensione con il lavoro il part time introdotto con la legge di Stabilità 2016, destinato a chi, dipendente a tempo indeterminato, ha già almeno 20 anni di contributi ed entro il 2018 raggiungerà i requisiti per la pensione di vecchiaia. In accordo con l'azienda possono ridurre l'orario dal 40 al 60% e incassare oltre a quanto dovuto, la parte di contributi a carico dell'azienda per le ore non lavorate.

Infine c'è il mix di part time e pensione di più complessa attuazione. Previsto dal Jobs act attende ancora le indicazioni operative, ma può scattare solo nell'ambito di contratti di solidarietà espansivi (riduzione generalizzata di orario a fronte di nuove assunzioni): in questa situazione i dipendenti a cui mancano non più di 2 anni alla pensione si possono ridurre l'orario almeno per oltre la metà e percepire in anticipo una parte della pensione fino a incassare complessivamente quanto avrebbero preso continuando a lavorare a tempo pieno. Ulteriori misure ad hoc sono riservate ai lavoratori coinvolti nelle bonifiche dell'amianto e per i nati nel 1952.


lunedì 10 aprile 2017

Cedolino pensione: funzioni INPS



Il servizio permette di consultare il cedolino della pensione, verificare l'importo dei trattamenti liquidati dall'INPS ogni mese, conoscere le ragioni per cui tale importo può variare, accedere ad altri servizi di consultazione, certificazione e variazione dati.

L'Inps offre a tutti i pensionati che intendono verificare mensilmente l'inporto dei trattamenti pensionistici, un nuovo servizio garantito tramite il proprio portale istituzionale, che consente la consultazione del cedolino pensioni e l'ottenimento di altri servizi collegati.

E’ anche possibile cliccare dal menu di destra in home page, che elenca le varie categorie di utenti, scegliendo “pensionati“. A questo punto si arriva a una pagina con tutte le schede relative alle varie prestazioni che interessano i pensionati.

Si clicca su “Prestazioni e servizi” e si naviga (in basso c’è una barra per proseguire all’interno delle pagine), fino a quando non si raggiunge la scheda sul cedolino pensione. Questo metodo di navigazione prevede più passaggi ma ha il vantaggio di consentire una panoramica di tutte le prestazioni e servizi online dedicati ai pensionati.

Partendo invece dal pulsante Trova il servizio, si arriva su una pagina dalla quale selezionare l’icona pensionati (una volta selezionata, da azzurra diventa blu) e da qui “I temi di tuo interesse“. Appare un elenco filtrato di servizi, all’interno del quale bisogna selezionare la voce pensioni e poi cliccare sul bottone in basso “Trova prestazioni e servizi“. La pagina che risulta elenca tutti i servizi trovati, con le relative schede di presentazione.

Altra opzione: si parte dal pulsante “Tutti i servizi” presente nella barra della parte bassa della home page. Si arriva su una pagina che consente di proseguire la navigazione guidata per tipologia di utente o per tema, oppure di inserire il testo libero nello spazio  dedicato alla query (si digiterà cedolino pensione), o ancora di selezionare la lettera dell’alfabeto corrispondente al servizio (in questo caso, la c). A questo punto si sceglie se entrare nel servizio relativo al cedolino pensione dipendenti pubblici, dipendenti privati, o ai servizi collegati.

Tutti i percorsi sopra descritti portano alla pagina da cui bisogna effettuare l’accesso tramite credenziali. Una volta all’interno, si naviga selezionando le varie domande a cui si vuole dare una risposta (ad esempio: vuoi consultare gli ultimi due cedolini?). Le funzionalità a disposizione:

Cedolino pensione
Ultimo cedolino
Confronta cedolini
Visualizza cedolini
Visualizza elenco prospetti di liquidazione (Modelli TE08)
Elenco deleghe sindacali
Gestione deleghe sindacali su trattamenti pensionistici
Comunicazioni
Dettaglio recapiti
Modifica dati personali
Riepilogo dati anagrafici
Riepilogo dati anagrafici e di pagamento
Informazioni Posta Elettronica Certificata
Visualizzazione e modifica dati anagrafici, indirizzo e recapiti
Recupero Certificazione Unica
Stampa Certificazione Unica

Fra i servizi collegati:

Certificato di pensione: riporta dati anagrafici del pensionato, sede INPS di competenza, categoria, numero di certificato, eventuale tutore o rappresentante legale;

Modello OBIS/M: viene consegnato ogni anno al pensionato, riassume le informazioni sulla pensione (rivalutazione, importi mensili lordi e netti, tredicesima, ritenute, detrazioni, eventuali quote associative, contributo di solidarietà, trattenute);Variazione istituto di credito: il pensionato può comunicare all’INPS, in qualsiasi momento, eventuali variazioni relative al conto su cui desidera ricevere l’accredito della pensione.

Il servizio online consente di scaricare i moduli per comunicare la variazione (AP03 o AP04), che bisognerà poi far timbrare dal nuovo ufficio pagatore, scansionare e caricare il modulo, confermare l’invio della domanda, scaricare la ricevuta e stampare la domanda di variazione.





venerdì 10 marzo 2017

Pensioni: riscatto congedo parentale per maternità



Sono riscattabili, a domanda, i periodi corrispondenti all’astensione facoltativa, anche per periodi relativi a maternità che si è verificata al di fuori di un rapporto di lavoro, a prescindere dal periodo in cui si è verificato l’evento e dalla circostanza che lo stesso si sia verificato prima o dopo un rapporto di lavoro.

La domanda deve essere presentata alla sede Inps territorialmente competente, unitamente ad autocertificazione attestante tutti i dati da cui si possano desumere maternità, paternità e data di nascita del bambino.

Al pari di quanto avviene per gli anni universitari, precedenti al conseguimento della laurea, anche gli eventi di maternità collocati al di fuori del rapporto di lavoro possono essere riscattati dai lavoratori dipendenti per recuperare tali periodi ai fini pensionistici.

La richiesta di riscatto del periodo corrispondente all’astensione facoltativa (congedo parentale) anche per periodi relativi a maternità che si sono verificati al di fuori di un rapporto di lavoro, indipendentemente dal periodo in cui si è verificato l’evento e dal fatto che si sia verificato prima o dopo un rapporto di lavoro, deve essere presentata dal lavoratore stesso. La domanda di riscatto può essere presentata in qualsiasi momento con un limite massimo di periodi riscattabili di cinque anni.

Il periodo riscattabile è lo stesso riconosciuto alla madre e al padre per l’astensione facoltativa in costanza di rapporto di lavoro con diritto alla relativa indennità, quindi quello successivo ai 3 mesi successivi alla nascita del bambino (astensione obbligatoria), entro i primi 8 anni di vita del bambino fino ad un massimo di sei mesi per ciascun genitore.

Tra i requisiti richiesti per poter fruire del riscatto del congedo parentale:

l’iscrizione al fondo pensioni lavoratori dipendenti ed alle forme di essa sostitutive ed esclusive;

avere almeno 5 anni di contributi da attività lavorativa maturata in costanza di lavoro dipendente in periodi precedenti o successivi all’evento che dà luogo al diritto;

il periodo da riscattare non deve essere già coperto da altra tipologia di contribuzione.

Tale facoltà che consente ai lavoratori di cumulare il riscatto degli eventi di maternità collocati al di fuori del rapporto di lavoro con il riscatto della laurea è in vigore dal 1° gennaio 2016 per effetto della Legge 208/2015 (Legge di Stabilità 2016), mentre fino al 31 dicembre 2015 il riscatto dei periodi riscattabili per congedo parentale extra-lavorativo era alternativa alla facoltà del riscatto di laurea. La circolare INPS 44/2016 chiarisce, in merito alla nuova normativa, che:

la cumulabilità opera anche con riferimento a periodo precedenti il 2016;

le domande di riscatto presentate prima del 2016 , se già elaborate in base alla vecchia normativa, non possono essere riaperte;

le domande presentate nel 2015 ma non ancora elaborate dovranno essere definite in base alla nuova normativa.

L’onere del riscatto è a totale carico del richiedente, così come avviene con il riscatto della laurea, e il periodo riscattato sarà utile sia ai fini dell’anzianità contributiva che della determinazione della misura della pensione.

LE CONDIZIONI PER L'ACCREDITO

Unica condizione per ottenere l’accredito è che risultino versati almeno 260 contributi settimanali di effettiva attività lavorativa (5 anni di contribuzione).

Nel computo dei 5 anni devono essere considerati i periodi durante i quali vi è stata corresponsione di retribuzione assoggettata al pagamento dei contributi, anche se non vi è stata effettiva prestazione di lavoro (ferie, malattia retribuita, ecc.).

Il requisito di cui sopra deve essere già stato raggiunto alla data di presentazione della domanda.

L'ONERE DI RISCATTO

È a totale carico del richiedente e varia in relazione all'età, al periodo da riscattare, al sesso e alla retribuzione media settimanale percepita dal richiedente, determinata come per i trattamenti pensionistici.

Per tutti i periodi precedenti l' 1.1.1996, l'onere è calcolato secondo i criteri della riserva matematica prevista in caso di costituzione di posizione assicurativa per contribuzione omessa e caduta in prescrizione (art. 13 Legge 1338/62).

Per i periodi dal 1.1.1996 l'onere è calcolato con le modalità suindicate, se il richiedente ha diritto ad una pensione interamente retributiva potendo far valere almeno 18 anni di contributi al 31.12.1995, mentre si applicherà un calcolo percentuale, previsto con il sistema contributivo, per coloro che non possono far valere la predetta anzianità.

GLI EFFETTI PENSIONISTICI

I contributi accreditati dopo l'avvenuto pagamento dell'onere di riscatto sono utili ai fini del diritto e della misura della pensione, compresa quella di anzianità.

Se il riscatto si riferisce a periodi anteriori al 1.1.1994, la pensione diretta o ai superstiti può essere liquidata solo con decorrenza 1.5.2001 o successiva. Analogamente, nel caso che il richiedente sia già titolare di trattamento pensionistico, la ricostituzione può operare solo dal 1.5.2001 o dalla data di decorrenza, se successiva.

Le domande di pensione già definite negativamente per mancanza dei requisiti contributivi e assicurativi, con provvedimento per il quale non è intervenuto il termine di decadenza, devono essere riesaminate, su richiesta dell'interessato.

I ricorsi, presentati dopo il termine di decadenza, sono considerati come nuova domanda di pensione.

Come per gli altri casi di riscatto dei contributi l’onere del riscatto è a carico del lavoratore richiedente: l’importo varia in relazione ad età, periodo da riscattare, sesso e retribuzione media settimanale percepita.

Chiudiamo chiarendo un punto importante che, fino al 2015, determinava una discriminazione di genere piuttosto grave: fino a quella data infatti la facoltà di riscatto del congedo parentale era riconosciuta solo in via facoltativa al riscatto della laurea. Una discriminazione per le donne laureate e mamme che è stata risolta grazie alla legge 208/2015: il riscatto maternità è diventato cumulabile con quello della laurea con effetto retroattivo.


mercoledì 25 gennaio 2017

Pensioni i nuovi criteri di anzianità contributiva


La pensione anticipata è il trattamento previdenziale che può essere conseguito a prescindere dall'età anagrafica dai lavoratori iscritti alla previdenza pubblica obbligatoria. Per il triennio 2016-2018 è necessaria un'anzianità contributiva di 41 anni e 10 mesi per le donne e di 42 anni e 10 mesi per gli uomini.

Con la circolare n. 10/2017 condivisa dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con nota n.29/0000289/L del 17 gennaio 2017, l’INPS ha fornito ulteriori chiarimenti in merito ai nuovi criteri per l’accertamento dell’anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 e del conseguente sistema pensionistico da adottare per la liquidazione delle pensioni della Gestione esclusiva e del Fondo Pensione Lavoratori dello Spettacolo e del Fondo Pensione Sportivi Professionisti (FPLS e FPSP).

Con la precedente circolare n. 58/2016 l’INPS ha fornito chiarimenti in merito all'applicazione del massimale contributivo annuo della base contributiva e pensionabile – ex art. 2, comma 18, legge n. 335/1995 – per gli iscritti alle Gestioni pubbliche, in caso di lavoratori “nuovi iscritti” che acquisiscano anzianità assicurative ante 1° gennaio 1996, a seguito di domanda di riscatto o accredito figurativo.

Veniva in particolare specificato che coloro che chiedono la liquidazione della pensione a carico della Gestione esclusiva dell’assicurazione generale obbligatoria, in virtù della maturazione a decorrere dal 1.1.2012 dei nuovi requisiti previsti dalla legge n. 214 del 2011, occorre fare riferimento alla sola contribuzione versata e accreditata nella gestione assicurativa in cui si liquida la pensione.

Ora l’INPS fornisce ulteriori precisazioni in merito a:

l’accertamento dell’anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 per gli iscritti alla Gestione esclusiva dell’assicurazione generale obbligatoria che possano far valere periodi assicurativi presso altre forme assicurative obbligatorie;

l’accertamento dell’anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 per gli iscritti al Fondo Pensione Lavoratori Spettacolo e al Fondo Pensione Sportivi Professionisti che possano far valere periodi assicurativi nel Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti.

Nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici in possesso di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 (cioè nei confronti dei lavoratori che rientrano nel cd. sistema misto) la prestazione può essere conseguita, indipendentemente dall'età anagrafica, al perfezionamento, dal 1° gennaio 2012, di una anzianità contributiva pari a 42 anni ed un mese per gli uomini e a 41 anni ed un mese per le donne.

Tale requisito contributivo è stato aumentato di un mese nel 2013, di un altro mese nel 2014 ed ulteriormente incrementato a seguito della speranza di vita ai sensi dell'articolo 12, comma 12 bis del DL 78/2010 convertito con legge 122/2010 (3 mesi nel 2013 ed altri 4 mesi nel 2016).

Pertanto dal 1° gennaio 2016 e sino al 31 dicembre 2018 il requisito contributivo per accedere alla pensione anticipata è pari a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e a 41 anni e 10 mesi per le donne. Tali requisiti si applicano indistintamente ai lavoratori dipendenti, agli autonomi nonchè ai lavoratori del pubblico impiego. Dal 2019 è previsto un ulteriore adeguamento alla speranza di vita la cui entità ufficiale non è ancora nota.

Misure per i precoci
A decorrere dal 1° maggio 2017 l'articolo 1, co. 199 della legge di Bilancio per il 2017 prevede una riduzione del requisto contributivo a 41 anni necessario per conseguire la pensione anticipata (sempre a prescindere dall'età anagrafica del lavoratore) sia per gli uomini che per le donne che abbiano svolto almeno 12 mesi di lavoro effettivo prima del 19° anno di età e che si trovino alcuni specifici profili di tutela (disoccupati, invalidi, assistenza ai disabili, addetti a lavori usuranti, addetti a lavori gravosi).

Si rammenta che anche il requisito contributivo agevolato di 41 anni di contributi è soggetto ai futuri adeguamenti alla speranza di vita e che l'agevolazione in questione è fruibile entro un determinato vincolo di bilancio (per ulteriori dettagli si veda: quota 41).


La domanda di pensione anticipata si presenta esclusivamente attraverso uno dei seguenti canali:
web – la richiesta telematica dei servizi è accessibile direttamente dal cittadino tramite PIN attraverso il portale dell’INPS;

telefono – chiamando il Contact Center integrato al numero 803164 gratuito da rete fissa o al numero 06164164 da rete mobile a pagamento secondo la tariffa del proprio gestore telefonico, abilitati ad acquisire le domande di prestazioni ed altri servizi per venire incontro alle esigenze di coloro che non dispongono delle necessarie capacità o possibilità di interazione con l’Inps per via telematica;

enti di Patronato e intermediari autorizzati dall’INPS, che mettono a disposizione dei cittadini i necessari servizi telematici.

La pensione anticipata decorre dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda.

Per gli iscritti ai Fondi esclusivi decorre dal giorno successivo alla cessazione dal servizio previa maturazione dei requisiti contributivi sopra descritti. 

Per le decorrenze delle pensioni degli iscritti alle Gestioni esclusive dell’AGO consulta il file Decorrenze Gestioni esclusive dell’AGO. 

Ai fini del conseguimento della prestazione pensionistica è richiesta la cessazione del rapporto di lavoro dipendente. Non è, invece, richiesta la cessazione dell'attività svolta in qualità di lavoratore autonomo.




mercoledì 4 gennaio 2017

Opzione Donna ampliata con la Legge di stabilità 2017




La riforma Fornero del 2011 ha confermato fino al 31 Dicembre 2015 la possibilità per le donne di andare in pensione prima, a patto di scegliere per un assegno interamente calcolato con il metodo contributivo.

La Legge di Bilancio 2017 estende l'ambito di applicazione dell'istituto (transitorio e sperimentale) detto OPZIONE DONNA che permette alle lavoratrici l'accesso al trattamento anticipato di pensione in presenza di determinati requisiti anagrafici e contributivi e a condizione che tali soggetti optino per il sistema di calcolo contributivo integrale. In base alla disciplina finora vigente, all'istituto in esame potevano fare ricorso le lavoratrici che avessero maturato gli entro il 31 dicembre 2015 (a prescindere dalla data della decorrenza iniziale del trattamento) i seguenti requisiti a

anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e età pari o superiore a 57 anni e 3 mesi per le dipendenti e a 58 anni e 3 mesi per le autonome.

L'accesso all'istituto è subordinato alla condizione che la lavoratrice opti per il sistema di calcolo contributivo integrale.

I commi 222 e 223 estendono, a decorrere dal 2017, l'applicabilità dell'istituto alle lavoratrici che, al 31 dicembre 2015, non avessero raggiunto la suddetta frazione di 3 mesi (nell'età anagrafica).

Di conseguenza, con la nuova misura   della legge di stabilità 2017 rientrano nell'Opzione donna anche le lavoratrici che, al 31 dicembre 2015, avessero un'età pari o superiore a 57 anni, se dipendenti, o a 58 anni, se autonome (fermi restando il possesso, alla medesima data, di un'anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e la condizione che la lavoratrice opti per il sistema di calcolo contributivo integrale).

La possibilità di optare per il regime sperimentale è riconosciuta alle lavoratrici iscritte all'assicurazione generale obbligatoria, ed ai fondi ad essa sostitutivi od esclusivi (dipendenti del settore privato; pubblico impiego e lavoratrici autonome) in possesso di contribuzione alla data del 31 dicembre 1995. La facoltà di opzione non è invece esercitabile dalle lavoratrici iscritte alla gestione separata o che, comunque, intendano utilizzare la contribuzione presente in tale gestione per perfezionare il requisito contributivo.

I Requisiti anagrafici e Contributivi
A seguito delle modifiche apportate dall'articolo 1, comma 281 della legge 208/2015 e dall'articolo 1, co. 222 della legge di bilancio 2017 possono esercitare l'opzione le lavoratrici dipendenti in possesso di 57 anni (58 anni le autonome) e 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015 ancorchè, per effetto dell'applicazione degli adeguamenti alla speranza di vita Istat e del meccanismo delle finestre, la prima data utile di decorrenza della pensione si apra successivamente al 31.12.2015. Per questa tipologia di prestazione resta, infatti, in vigore la cd. finestra mobile secondo la quale l'assegno viene erogato dopo 12 mesi dalla maturazione dei predetti requisiti per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

Si ricorda che con l'approvazione di tali ultime disposizioni è venuta sostanzialmente meno la restrizione prevista dall'Inps con le Circolari 35 e 37 del 14 marzo 2012 che avevano interpretato la data del 31 dicembre 2015 come termine entro il quale si dovesse maturare la decorrenza della prestazione. L'Inps ha confermato questa interpretazione con la recente Circolare 45/2016.

La facoltà di esercitare l'opzione per il calcolo della pensione con il sistema contributivo, aderendo al c.d. Progetto donna, anche se la pensione avesse avuto decorrenza successiva al 2015. In particolare “Opzione donna” permette alle lavoratrici l’accesso al trattamento pensionistico anticipato in presenza dei prescritti requisiti contributivi ed anagrafici, a condizione che optino per il sistema di calcolo contributivo.

La facoltà di opzione è stata estesa anche alle lavoratrici che entro il 31 dicembre 2015 abbiano maturano un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni (per le gestioni esclusive dell’AGO 34 anni, 11 mesi e 16 giorni) e un’età anagrafica pari o superiore a 57 anni e 3 mesi per le dipendenti e 58 anni e 3 mesi per le autonome a prescindere dalla data di decorrenza del trattamento pensionistico.

martedì 3 gennaio 2017

Inps: da febbraio 2017 pensioni, pagamento il primo del mese



Nel 2017 tutte le prestazioni pensionistiche saranno pagate il 1° giorno bancabile del mese, con la sola eccezione della rata di gennaio, il cui pagamento è stabilito al 2° giorno bancabile del mese). Lo ha  comunicato l'Inps con una nota spiegando che il Decreto Milleproroghe, firmato dal Presidente Mattarella lo scorso 31 dicembre, ha modificato l'articolo 6 del decreto legge 65/2015, convertito con legge 109/2015, che ha unificato le date di pagamento delle prestazioni Inps, Inpdap ed Enpals. "In base a tale modifica, fortemente richiesta dall'Inps - sottolinea l'Istituto - viene ripristinato per l'anno 2017 il pagamento al primo giorno bancabile del mese, con l'unica eccezione per la rata di gennaio". A febbraio e marzo le pensioni saranno pagate il primo del mese mentre ad aprile le poste pagheranno il primo (è un sabato) e le banche il 3. A maggio le pensioni saranno pagate il due mentre a giugno saranno pagate il primo del mese. A luglio le Poste pagheranno il primo del mese e le banche il 3 mentre ad agosto e settembre la rata arriverà sui conti il primo del mese. A ottobre e novembre le pensioni saranno pagate il due del mese sia dalle Poste che dalle banche mentre a dicembre si potrà riscuotere l'assegno il primo sia dalle banche che dalle Poste.

I pensionati italiani rischiano di dover restituire allo Stato da febbraio lo 0,1% dell'importo ricevuto nel 2015, ovvero la differenza tra l'inflazione programmata e quella effettiva su cui è stato calcolato l'adeguamento al costo della vita delle pensioni. Lo denuncia lo Spi-Cgil, rilevando come nel decreto Milleproroghe di fine anno non ci sia stato l'intervento con cui si doveva risolvere la questione. In questo modo - dice il sindacato dei pensionati della Cgil - tutte le pensioni avranno una perdita di valore. Nel caso di una pensione al minimo la perdita sarà di 6,50 euro all'anno e di 13 euro per una da 1.000 euro. "Cifre - precisa - che possono sembrare di poco conto ma che incidono in particolare sulle pensioni basse". Lo scorso anno il governo intervenne rimandando questa restituzione a quando l'economia fosse effettivamente in ripresa neutralizzandone così gli effetti negativi. Anche quest'anno il governo si era reso disponibile ad intraprendere la stessa strada ma per ora non lo ha fatto. Chiediamo al ministro Poletti - conclude il sindacato - di intervenire urgentemente per evitare che si penalizzino ancora una volta milioni di pensionati italiani".

domenica 18 dicembre 2016

Opzione Donna, i requisiti per il 2017



E’ stato uno dei capitoli più discussi nell'ambito della Riforma Pensioni inserita in Legge di Stabilità 2017: alla fine, è passata l’estensione dell’Opzione Donna alle lavoratrici nate nell'ultimo trimestre degli anni 1957 o 1958.

La facoltà di esercitare l'opzione per il calcolo della pensione con il sistema contributivo, aderendo al c.d. Progetto donna, anche se la pensione avesse avuto decorrenza successiva al 2015. In particolare “Opzione donna” permette alle lavoratrici l’accesso al trattamento pensionistico anticipato in presenza dei prescritti requisiti contributivi ed anagrafici, a condizione che optino per il sistema di calcolo contributivo. La facoltà di opzione è stata estesa anche alle lavoratrici che entro il 31 dicembre 2015 abbiano maturano un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni (per le gestioni esclusive dell’AGO 34 anni, 11 mesi e 16 giorni) e un’età anagrafica pari o superiore a 57 anni e 3 mesi per le dipendenti e 58 anni e 3 mesi per le autonome a prescindere dalla data di decorrenza del trattamento pensionistico.

Vediamo esattamente come è formulata la norma e cosa cambia rispetto a prima.

Possono esercitare l'opzione le lavoratrici dipendenti in possesso di 57 anni (58 anni le autonome) e 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015 ancorché, per effetto dell'applicazione degli adeguamenti alla speranza di vita Istat e del meccanismo delle finestre, la prima data utile di decorrenza della pensione si apra successivamente al 31.12.2015. Per questa tipologia di prestazione resta, infatti, in vigore la cd. finestra mobile secondo la quale l'assegno viene erogato dopo 12 mesi dalla maturazione dei predetti requisiti per le dipendenti e 18 mesi per le autonome (cfr: Circolare Inps 53/2011).

Si ricorda che con l'approvazione di tali è venuta sostanzialmente meno la restrizione prevista dall'Inps con le Circolari 35 e 37 del 14 marzo 2012 che avevano interpretato la data del 31 dicembre 2015 come termine entro il quale si dovesse maturare la decorrenza della prestazione. L'Inps ha confermato questa interpretazione con la recente Circolare 45/2016.

L’Opzione Donna, come è noto, è una forma di pensione anticipata per le lavoratrici, che consente di ritirarsi con 35 anni di contributi e un requisito di età che per le dipendenti è pari a 57 anni e sale a 58 anni per le autonome, accettando però un calcolo interamente contributivo della pensione. La novità rispetto alla precedente normativa, che in virtù dell’applicazione delle aspettative di vita lasciava fuori le lavoratrici nate negli ultimi mesi dell’anno, è contenuta nel comma 222 della Legge di Bilancio.

Che prevede di estendere l’Opzione Donna (introdotta con l’articolo 1, comma 9, legge 243/2004) «alle lavoratrici che non hanno maturato entro il 31 dicembre 2015 i requisiti previsti per effetto degli incrementi della speranza di vita».

Per accedere all’Opzione Donna, bisogna calcolare anche l’aspettativa di vita (lo prevede espressamente il successivo comma 223 della manovra). Però, non è necessario (come prima) che la maturazione del requisito sia avvenuta entro il dicembre 2015. le lavoratrici che erano rimaste fuori dall’Opzione Donna per effetto di questo limitazione, dunque, possono invece accedere alla prestazione. Tenendo conto che ai tre mesi scattati nel 2013 si sono aggiunti quattro mesi nel 2016, le lavoratrici che non maturano il requisito entro il 31 dicembre 2015 devono aggiungere sette mesi all'età anagrafica, perché lo matureranno nel 2016. Ipotesi, una lavoratrice dipendente che ha 35 anni di contributi e ha compiuto i 57 anni nel dicembre 2015, matura il requisito dell’Opzione Donna a fine luglio 2016.

Ricordiamo che per la decorrenza della pensione, la lavoratrice dovrà aspettare i termini previsti dalla finestra mobile (che pure si applica), pari a 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

Per l'esercizio dell'opzione è necessario possedere 57 anni e 3 mesi di età (58 anni e 3 mesi le autonome) unitamente a 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015.

L’Opzione Donna prevede almeno 35 anni di contributi versati e un’età di 57 anni e tre mesi per le lavoratrici dipendenti, 58 anni e tre mesi per le autonome. La maturazione del requisito (31 dicembre 2015) non coincide con la decorrenza della pensione, che in base alla finestra mobile vede l’assegno erogato dopo 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.




lunedì 21 novembre 2016

Opzione Donna verso riapertura termini


Riapertura Opzione Donna in vista: lo annuncia il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano che prevede l’allungamento dei termini da fine 2015 a fine luglio 2016.

Il monitoraggio del Governo appena concluso è servito a stabilire quante risorse sono ancora disponibili per comprendere una platea ampia di lavoratrici. Damiano conferma che Padoan ha firmato il resoconto inviandolo al Ministero del Lavoro, primo passo per quantificare le risorse necessarie alla proroga del regime sperimentale che consente la pensione anticipata alle aventi diritto, calcolata con il metodo contributivo. Il Comitato Opzione Donna si sta muovendo sui Social per accelerare l’iter di trasmissione del resoconto alle Camere.

Al momento ci sono 2,5 miliardi e l’emendamento tiene conto di questa cifra.
L’Opzione Donna consente alle lavoratrici con 57 anni e tre mesi (58 e tre mesi per le autonome) e 35 anni di contributi di andare in pensione anticipata. Secondo la normativa in vigore, il requisito deve essere maturato entro fine 2015, escludendo di fatto le lavoratrici nate nell’ultimo trimestre dell’anno. L’allungamento a luglio 2016 amplierebbe la platea delle aventi diritto.

Si tratta di una corsia preferenziale introdotta dalla Legge Maroni (articolo 1, comma 9 della legge 243/04) e fortemente utilizzata dopo l’introduzione della Riforma Fornero, pur escludendo i contributi versati alla Gestione Separata INPS. La Legge di Stabilità 2016 ha eliminato le limitazioni INPS di cui alle Circolari n.35 e n.37 del 2012 (31 dicembre 2015 termine ultimo di decorrenza pensione), pur mantenendo le finestre mobili di 18 o 12 mesi (autonome o dipendenti) per l’accesso alla prestazione.

Il nuovo emendamento alla Legge di Bilancio 2017 (che contiene una nuova riforma delle pensioni in ottica di maggiore flessibilità in uscita) è stato proposto dalla commissione Lavoro in sede consultiva, dovrà quindi essere discusso dalla commissione Bilancio in sede referente. Il testo dovrebbe arrivare in aula il 24 novembre e approvato dall’aula di Montecitorio prima del 4 dicembre, giorno del referendum costituzionale per poi passare all’esame del Senato.

Con l'Opzione Donna si può uscire invece con un anticipo di diversi anni rispetto ai requisiti sopra indicati a patto però di accettare un assegno interamente calcolato con il sistema contributivo.

Per l'esercizio dell'opzione è necessario possedere 57 anni e 3 mesi di età (58 anni e 3 mesi le autonome) unitamente a 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015 (articolo 1, comma 281 della legge 208/2015). Si ricorda che con l'approvazione della legge di stabilita' 2016 è venuta sostanzialmente meno la restrizione prevista dall'Inps con le Circolari 35 e 37 del 14 marzo 2012 che avevano interpretato la data del 31 dicembre 2015 come termine entro il quale si dovesse maturare la decorrenza della prestazione. L'Inps ha confermato questa interpretazione con la recente Circolare 45/2016.

L’Opzione Donna prevede almeno 35 anni di contributi versati e un’età di 57 anni e tre mesi per le lavoratrici dipendenti, 58 anni e tre mesi per le autonome. La maturazione del requisito (31 dicembre 2015) non coincide con la decorrenza della pensione, che in base alla finestra mobile vede l’assegno erogato dopo 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

La decurtazione scatta poiché, con il contributivo, si rinuncia al sistema misto che garantisce un trattamento più alto. Ecco un esempio che mostra come varia la riduzione dell’assegno in relazione agli anni di anticipo pensionistico: lavoratrice nata nel 1958, con 38 anni di contributi, ultima retribuzione annua pari a 25mila 700 euro.

Per questa tipologia di prestazione resta, infatti, in vigore la in vigore la cd.finestra mobile secondo la quale l'assegno viene erogato dopo 12 mesi dalla maturazione dei predetti requisiti per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

Pronto il responso per l'Opzione Donna sul monitoraggio delle risorse utilizzate e quelle residue rispetto allo stanziamento del Governo. Informazione necessaria per capire se esistono realmente i margini per la proroga oltre il 31 dicembre 2015 dell’Opzione Donna, come previsto da un emendamento alla Legge di Stabilità 2016 (articolo 1, comma 281 della legge 208/2015) a patto però di un residuo di risorse rispetto ai fondi stanziati.

Tale possibilità di proroga del regime sperimentale doveva essere comunicata da Governo e INPS entro il 30 settembre 2016 alle Camere sulla base dei dati relativi al monitoraggio della sperimentazione dell’Opzione Donna, ma la scadenza non è stata rispettata.

Ora però, secondo le dichiarazioni del Sottosegretario al Welfare, Franca Biondelli, fornite in risposta all'interrogazione parlamentare sollevata dalla Lega Nord in Commissione Lavoro alla Camera, i dati sembrano essere arrivati e la relazione relativa al monitoraggio dell’Opzione Donna sarà trasmessa a breve al Parlamento.

In particolare Biondelli ha spiegato:

«La relazione relativa al monitoraggio effettuato dall’INPS, è stata redatta la relazione sull'attuazione della sperimentazione con particolare riferimento agli specifici oneri previdenziali e alle relative previsioni di spesa. Tale relazione, già firmata dal Ministro Poletti, verrà inviata alle Camere non appena ricevuto il concerto da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, come previsto dallo stesso articolo 1, comma 281 della legge n. 208 del 2015.

In ogni caso, intendo rassicurare l’onorevole interrogante che è intenzione del Governo impiegare le risorse eventualmente non utilizzate al fine di portare a conclusione la sperimentazione originariamente introdotta dall’articolo 1, comma 9, della legge n. 243 del 2004.

Assegno ridotto del 20-30% per le lavoratrici che scelgono l’Opzione Donna, prorogata dalla Legge di Stabilità (requisito anagrafico e contributivo maturato entro il 31 dicembre 2015, domanda di pensione presentabile per tutto il 2016): la pensione si calcola interamente con il contributivo e l’importo varia in base a contributi versati e anni di anni di pensione anticipata.


martedì 18 ottobre 2016

Opzione Donna le novità e con l'assegno ridotto



Con l'Opzione Donna si può uscire invece con un anticipo di diversi anni rispetto ai requisiti sopra indicati a patto però di accettare un assegno interamente calcolato con il sistema contributivo.

Per l'esercizio dell'opzione è necessario possedere 57 anni e 3 mesi di età (58 anni e 3 mesi le autonome) unitamente a 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015 (articolo 1, comma 281 della legge 208/2015). Si ricorda che con l'approvazione della legge di stabilita' 2016 è venuta sostanzialmente meno la restrizione prevista dall'Inps con le Circolari 35 e 37 del 14 marzo 2012 che avevano interpretato la data del 31 dicembre 2015 come termine entro il quale si dovesse maturare la decorrenza della prestazione. L'Inps ha confermato questa interpretazione con la recente Circolare 45/2016.

L’Opzione Donna prevede almeno 35 anni di contributi versati e un’età di 57 anni e tre mesi per le lavoratrici dipendenti, 58 anni e tre mesi per le autonome. La maturazione del requisito (31 dicembre 2015) non coincide con la decorrenza della pensione, che in base alla finestra mobile vede l’assegno erogato dopo 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

La decurtazione scatta poiché, con il contributivo, si rinuncia al sistema misto che garantisce un trattamento più alto. Ecco un esempio che mostra come varia la riduzione dell’assegno in relazione agli anni di anticipo pensionistico: lavoratrice nata nel 1958, con 38 anni di contributi, ultima retribuzione annua pari a 25mila 700 euro.

Per questa tipologia di prestazione resta, infatti, in vigore la in vigore la cd.finestra mobile secondo la quale l'assegno viene erogato dopo 12 mesi dalla maturazione dei predetti requisiti per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

Pronto il responso perc l'Opzione Donna sul monitoraggio delle risorse utilizzate e quelle residue rispetto allo stanziamento del Governo. Informazione necessaria per capire se esistono realmente i margini per la proroga oltre il 31 dicembre 2015 dell’Opzione Donna, come previsto da un emendamento alla Legge di Stabilità 2016 (articolo 1, comma 281 della legge 208/2015) a patto però di un residuo di risorse rispetto ai fondi stanziati.

Tale possibilità di proroga del regime sperimentale doveva essere comunicata da Governo e INPS entro il 30 settembre 2016 alle Camere sulla base dei dati relativi al monitoraggio della sperimentazione dell’Opzione Donna, ma la scadenza non è stata rispettata.

Ora però, secondo le dichiarazioni del Sottosegretario al Welfare, Franca Biondelli, fornite in risposta all'interrogazione parlamentare sollevata dalla Lega Nord in Commissione Lavoro alla Camera, i dati sembrano essere arrivati e la relazione relativa al monitoraggio dell’Opzione Donna sarà trasmessa a breve al Parlamento.

In particolare Biondelli ha spiegato:

«La relazione relativa al monitoraggio effettuato dall’INPS, è stata redatta la relazione sull’attuazione della sperimentazione con particolare riferimento agli specifici oneri previdenziali e alle relative previsioni di spesa. Tale relazione, già firmata dal Ministro Poletti, verrà inviata alle Camere non appena ricevuto il concerto da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, come previsto dallo stesso articolo 1, comma 281 della legge n. 208 del 2015.

In ogni caso, intendo rassicurare l’onorevole interrogante che è intenzione del Governo impiegare le risorse eventualmente non utilizzate al fine di portare a conclusione la sperimentazione originariamente introdotta dall’articolo 1, comma 9, della legge n. 243 del 2004».

Assegno ridotto del 20-30% per le lavoratrici che scelgono l’Opzione Donna, prorogata dalla Legge di Stabilità (requisito anagrafico e contributivo maturato entro il 31 dicembre 2015, domanda di pensione presentabile per tutto il 2016): la pensione si calcola interamente con il contributivo e l’importo varia in base a contributi versati e anni di anni di pensione anticipata.


mercoledì 21 settembre 2016

INPS: calcolo pensioni reversibilità o superstiti



Alla morte di un pensionato o di un lavoratore assicurato, alcuni dei suoi familiari hanno diritto ad una pensione. Si tratta di una protezione che l'ordinamento giuridico riconosce ai familiari più stretti del defunto quali il coniuge e i figli ed, in subordine, ai suoi genitori, ai fratelli o alle sorelle inabili che trova fondamento nell'esigenza di tutelare le esigenze di vita della famiglia cui il defunto contribuiva.

La pensione ai superstiti è una prestazione economica erogata, a domanda, in favore dei familiari del:

pensionato (pensione di reversibilità);

lavoratore (pensione indiretta).

I superstiti dell’iscritto nella assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti hanno diritto alla pensione privilegiata indiretta per inabilità nel caso in cui la morte del dante causa risulti riconducibile, con nesso di causalità diretta, al servizio prestato nel corso di un rapporto di lavoro.

Hanno diritto alla pensione:

il coniuge superstite, anche se separato: se il coniuge superstite è separato con addebito, la pensione ai superstiti spetta a condizione che gli sia stato riconosciuto dal Tribunale il diritto  all’assegno al mantenimento;

il coniuge divorziato se titolare di assegno divorzile;

i figli, adottivi e affiliati  riconosciuti legalmente o giudizialmente dichiarati, nati da precedente matrimonio dell'altro coniuge, riconosciuti legalmente o giudizialmente dichiarati dal coniuge del deceduto, minori regolarmente affidati da organi competenti a norma di legge) che alla data della morte del dante causa siano minori, inabili di qualunque età, studenti entro il 21° o 26° anno di età se universitari e siano a carico dello stesso dante causa;

i figli (legittimi o legittimati, adottivi o affiliati, naturali, riconosciuti legalmente o giudizialmente dichiarati, nati da precedente matrimonio dell'altro coniuge) che alla data della morte del genitore siano minorenni, inabili, studenti o universitari e a carico alla data di morte del medesimo;

i nipoti minori (equiparati ai figli) se a carico degli ascendenti (nonno o nonna), anche se non formalmente loro affidati, alla data di morte dei medesimi.

In mancanza del coniuge, dei figli e dei nipoti la pensione può essere erogata:

ai genitori d'età non inferiore a 65 anni, non titolari di pensione, che alla data di morte del lavoratore e/o pensionato siano a carico del medesimo.

In mancanza del coniuge, dei figli, dei nipoti e dei genitori la pensione può essere erogata:

ai fratelli celibi inabili e sorelle nubili inabili, non titolari di pensione, che alla data di morte del lavoratore e/o pensionato siano a carico del medesimo.

La pensione ai superstiti viene pagata dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso del lavoratore o del pensionato, indipendentemente da quando viene fatta domanda.

L'ammontare si calcola sulla base dell'assegno dovuto al lavoratore scomparso, oppure della pensione che veniva pagata al pensionato deceduto, con una percentuale variabile:

60%, solo coniuge;

70%, solo un figlio;

80%, coniuge e un figlio; oppure due figli senza coniuge;

100% coniuge e due o più figli; oppure tre o più figli;

15% per ogni altro familiare, avente diritto, diverso dal coniuge, figli e nipoti.

Il superstite di lavoratore assicurato dopo il 31.12.1995 e deceduto senza aver perfezionato i requisiti amministrativi richiesti, può richiedere  l’indennità una-tantum, se:

non sussistono i requisiti assicurativi e contributivi per la pensione indiretta;

non ha diritto a rendite per infortunio sul lavoro o malattia professionale, in conseguenza della morte dell’assicurato;

è in possesso di redditi non superiori ai limiti previsti per la concessione dell’assegno sociale.

Il diritto all'importo in questione è soggetto alla prescrizione decennale.

Il diritto alla pensione ai superstiti cessa nei seguenti casi:

per il coniuge, se si sposa nuovamente. In questo caso riceve una "una tantum" di due anni della sua quota di pensione, compresa la tredicesima mensilità. Nel caso che la pensione risulti erogata, oltre che al coniuge, anche ai figli, la pensione deve essere ricalcolata a questi ultimi, con le nuove aliquote relative al nuovo nucleo familiare per i figli minori, al compimento del 18° anno di età;

per i figli studenti di scuola media o professionale che terminano o interrompono gli studi e comunque al compimento del 21° anno di età. L'avvio dell'attività lavorativa da parte dei figli, il superamento del 21° anno di età e l'interruzione degli studi non comportano l'estinzione, ma soltanto la sospensione del diritto alla pensione;

per i figli studenti universitari che terminano o interrompono gli anni del corso legale di laurea e comunque al compimento del 26° anno di età; anche in questo caso, un'attività lavorativa da parte dei figli universitari e l'interruzione degli studi non comportano l'estinzione, ma soltanto la sospensione del diritto alla pensione;

per i figli inabili qualora venga meno lo stato di inabilità;

per i genitori qualora conseguano altra pensione;

per i fratelli e le sorelle qualora conseguano altra pensione, o contraggano matrimonio, ovvero venga meno lo stato di inabilità;

per i nipoti minori, equiparati ai figli legittimi, valgono le medesime cause di cessazione e/o sospensione dal diritto alla pensione ai superstiti previste per i figli.

Le pensioni ai superstiti liquidate prima della sentenza con cui la Corte Costituzionale ha bocciato la penalizzazione in caso di matrimoni contratti dopo i 70 anni con differenza di età superiore ai 20, verranno ricalcolate dall‘INPS eliminando la decurtazione e ripristinando la normale aliquota del 60%. Le domande non ancora definite e quelle di nuova presentazione verranno direttamente esaminate in base alle regole post-sentenza. Le precisazioni arrivano dall’INPS con Circolare n. 178/2016.

L’istituto di previdenza recepisce così la sentenza 174/2016, che ha ritenuto illegittimo il taglio alle pensioni stabilito dal comma 5, articolo 18, decreto legge 98/2011. La norma prevedeva un taglio del 10% per ogni anno di matrimonio inferiore ai dieci nel caso di nozze fra persone con differenza di età superiore ai 20 anni e con uno dei due coniugi almeno 70enne.

La Suprema Corte, spiega l’INPS, ha rilevato che: ogni limitazione del diritto alla pensione di reversibilità deve rispettare i principi di uguaglianza, ragionevolezza, nonché il principio di solidarietà che è alla base del trattamento pensionistico in esame».

L’effetto della sentenza è che la norma dichiarata incostituzionale non è più applicabile dal giorno successivo alla sua pubblicazione (dal 21 luglio).

Di conseguenza, l’INPS ha stabilito le regole per ricostituire le pensioni di coloro che hanno subito la decurtazione.

Le pensioni a cui è stato applicato il taglio del 10% vengono ricalcolate a partire dal primo giorno del mese successivo al decesso del coniuge, e vengono riconosciuti i relativi ratei arretrati. Se nel frattempo è intervenuta sentenza passata in giudicato, i ratei arretrati sono erogati dal primo giorno del mese successivo al passaggio in giudicato della sentenza.

Tutti i ricorsi pendenti vanno riesaminati alla luce della sentenza.

Le pensioni di reversibilità eliminate a causa della legge incostituzionale. vengono a loro volta ricostituite ma bisogna presentare domanda.




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