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venerdì 28 marzo 2014
Visco: parti sociali frenano sviluppo e lavoro
"Rigidità legislative, burocratiche corporative, imprenditoriali, sindacali, sono sempre la remora principale allo sviluppo del nostro paese". Lo ha detto il governatore di Bankitalia Ignazio Visco rifacendosi alle parole di Guido Carli, durante la celebrazione del centenario della nascita dell'economista alla Luiss.
Le conseguenze dell'immobilismo della politica e della società italiana "sono diverse da quelle che si manifestavano negli anni settanta: mentre allora era l'inflazione, oggi è il ristagno".
I "segnali di risveglio che vediamo sono incoraggianti, ma vanno confermati con un'azione riformatrice costante" dice il governatore, aggiungendo che "solo affrontando risolutamente i nodi strutturali" sarà possibile riprendere un sentiero di crescita robusta e duratura.
"Mi sembra un riproporre di ricette che hanno già mostrato il loro fallimento". Così il segretario generale della Cgil, Camusso, rispondendo al Governatore di Bankitalia,Visco, che, ricordando Guido Carli,ha criticato la rigidità di imprese e sindacati che 'frena lo sviluppo'. "Visco -ha aggiunto Camusso- richiamando Carli ha riprodotto un vecchio concetto dei 'lacci e lacciuoli'.Quella,se non erro,era la stagione nella quale il Paese ha cominciato a disinvestire sul lavoro,a precarizzarlo".
Il segretario generale della Uil, Angeletti,replica alle accuse formulate dal governatore di Banca d'Italia,Visco,sul ruolo di imprese e sindacati nella crisi attuale. Secondo il leader della Uil, la Banca d'Italia, come azionista della Bce, non ha gestito nel modo migliore la crisi, come dimostrerebbe il numero di disoccupati in Europa, decisamente superiore a quello degli Stati Uniti."Hanno fatto delle politiche per le quali metà dei giovani non hanno lavoro. Una forma di autocritica ci piacerebbe sentirla".
Il segretario della Cisl, Bonanni, risponde a distanza al governatore della Banca d'Italia, Visco, che ha affermato che la rigidità frena il Paese chiedendo quindi riforme strutturali da varare con urgenza. "Ci sono alte autorità che spesso parlano a vanvera, non si deve fare di tutto un'erba un fascio, e questo purtroppo è anche il comportamento di alte autorità. Stanno gridando allo sfascio e stanno diventando loro gli untori del populismo italiano. Se il governatore della Banca d'Italia, Visco rendere un servizio al Paese dovrebbe parlare con coraggio delle banche invece di scaricare responsabilità sui sindacati".
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domenica 10 giugno 2012
Lavoro, cresce la disoccupazione diminuisce il reddito
Stando ai dati forniti dall'Istat e da Bankitalia disoccupazione giovanile sale del 7,8% e diminuisce il reddito degli operai meno 3,2%.
Tra il 2008 e il 2011 la disoccupazione giovanile è cresciuta di 7,8 punti percentuali nella fascia tra 15 e 24 anni. È quanto emerge dalle tabelle dell'Istat, contenute nel rapporto 2012. I dati dell'Istituto di statistica evidenziano che sono stati i giovani soprattutto a pagare il difficile momento economico, il tasso di disoccupazione per gli under 24, tra il 2008 e il 2011, è passato dal 21,3% al 29,1%, con un incremento quattro volte superiore rispetto al dato medio, che ha fatto registrare un calo di 1,7 punti percentuali (si è passati dal 6,7% all'8,4%). Secondo le tabelle dell'Istituto di statistica il part time involontario ha registrato addirittura un incremento di quasi 20 punti. Il dato medio ha registrato, dal 2008 al 2011, un incremento di 1,2 punti, passando al 14,3% degli occupati totali al 15,5%; di questi gli involontari erano il 34,1% all'inizio della crisi e sono diventati il 53,3% lo scorso anno (+19,2). Negativi anche i dati che riguardano la trasformazione da lavoro atipico a lavoro standard, che scendono dal 29,2% al 23,4% (-5,8). Secondo l'Istat dall'inizio della crisi al 2011 l'occupazione nella fascia 15-64 anni è scesa di 1,8 punti percentuali, passando dal 58,7% al 56,9%. Ha colpito soprattutto gli uomini, che sono passati dal 70,3% di occupati al 67,5% (-2,8); mentre per le donne il calo è stato più contenuto: dal 47,2% al 46,5% (-0,7). All'interno di questa fascia si è registrato invece un incremento delle donne occupate single (+0,7) che passano dall'81% all'81,7%. Le donne che non hanno figli sono passate da un tasso di occupazione del 69,5% al 67,9% (-1,6), mentre le donne occupate con figli sono passate passati dal 54,9% al 53%. Infine forte il calo di occupazione tra gli stranieri, che passano dal 67,1% del 2008 al 62,3% dello scorso anno (-4,8).
Mentre dalla relazione annuale di Bankitalia emerge che il reddito reale delle famiglie italiane è cresciuto tra il 2000 e il 2010 appena del 6,2% (da 18.358 a 19.495 euro) ma mentre nei nuclei con capofamiglia lavoratore autonomo il reddito è cresciuto del 15,7%, nelle famiglie di operai, apprendisti e commessi il reddito è diminuito nel decennio del 3,2%. Nello stesso periodo il reddito reale equivalente disponibile delle famiglie di dirigenti è cresciuto dell'8% mentre in quelle di pensionati del 9,8%. Se però si guarda al periodo della crisi il calo è consistente non solo per il reddito reale disponibile delle famiglie di operai (da 14.485 euro del 2006 a 13.249 del 2010 con un -8,5%) ma anche per quello delle famiglie di dirigenti (passate da 35.229 euro del 2000 a 43.825 del 2006 e a 38.065 del 2010 con un calo negli ultimi quattro anni considerati del 13,1%) e dei lavoratori autonomi (da 28.721 a 26.136 euro con una riduzione del 9%). Hanno tenuto dal 2006 al 2010 i redditi reali delle famiglie di impiegati, quadri e insegnanti (da 21.344 euro a 21.311) mentre hanno avuto un lieve avanzamento i redditi dei nuclei con capofamiglia pensionato (da 18.579 a 19.194 e un +3,3%). Il reddito medio disponibile delle famiglie era nel 2010 di 22.758 euro in media nel Centro Nord e di 13.321 euro nel Sud e nelle Isole. Se si guarda solo alle retribuzioni reali nette mensili dei lavoratori dipendenti nel 2010 si attestavano su 1.439 euro, sostanzialmente stabili rispetto ai 1.410 euro medi del 2000 e in calo rispetto ai 1.489 euro del 2006. (1.503 euro nel Centro Nord, 1.276 nel Sud e nelle Isole). Lievemente migliore la situazione delle retribuzioni reali nette dei lavoratori dipendenti a tempo pieno passate dai 1.483 euro mensili del 2000 (valori a prezzi 2010) a 1.543 euro nel 2010 (1.606 euro nel Centro Nord, 1.380 nel Sud e nelle Isole). Il dato del totale dei lavoratori dipendenti risente della crescita in questi anni del part time (che abbassa la media delle retribuzioni complessive perchè basate su meno ore di lavoro).
Tra il 2008 e il 2011 la disoccupazione giovanile è cresciuta di 7,8 punti percentuali nella fascia tra 15 e 24 anni. È quanto emerge dalle tabelle dell'Istat, contenute nel rapporto 2012. I dati dell'Istituto di statistica evidenziano che sono stati i giovani soprattutto a pagare il difficile momento economico, il tasso di disoccupazione per gli under 24, tra il 2008 e il 2011, è passato dal 21,3% al 29,1%, con un incremento quattro volte superiore rispetto al dato medio, che ha fatto registrare un calo di 1,7 punti percentuali (si è passati dal 6,7% all'8,4%). Secondo le tabelle dell'Istituto di statistica il part time involontario ha registrato addirittura un incremento di quasi 20 punti. Il dato medio ha registrato, dal 2008 al 2011, un incremento di 1,2 punti, passando al 14,3% degli occupati totali al 15,5%; di questi gli involontari erano il 34,1% all'inizio della crisi e sono diventati il 53,3% lo scorso anno (+19,2). Negativi anche i dati che riguardano la trasformazione da lavoro atipico a lavoro standard, che scendono dal 29,2% al 23,4% (-5,8). Secondo l'Istat dall'inizio della crisi al 2011 l'occupazione nella fascia 15-64 anni è scesa di 1,8 punti percentuali, passando dal 58,7% al 56,9%. Ha colpito soprattutto gli uomini, che sono passati dal 70,3% di occupati al 67,5% (-2,8); mentre per le donne il calo è stato più contenuto: dal 47,2% al 46,5% (-0,7). All'interno di questa fascia si è registrato invece un incremento delle donne occupate single (+0,7) che passano dall'81% all'81,7%. Le donne che non hanno figli sono passate da un tasso di occupazione del 69,5% al 67,9% (-1,6), mentre le donne occupate con figli sono passate passati dal 54,9% al 53%. Infine forte il calo di occupazione tra gli stranieri, che passano dal 67,1% del 2008 al 62,3% dello scorso anno (-4,8).
Mentre dalla relazione annuale di Bankitalia emerge che il reddito reale delle famiglie italiane è cresciuto tra il 2000 e il 2010 appena del 6,2% (da 18.358 a 19.495 euro) ma mentre nei nuclei con capofamiglia lavoratore autonomo il reddito è cresciuto del 15,7%, nelle famiglie di operai, apprendisti e commessi il reddito è diminuito nel decennio del 3,2%. Nello stesso periodo il reddito reale equivalente disponibile delle famiglie di dirigenti è cresciuto dell'8% mentre in quelle di pensionati del 9,8%. Se però si guarda al periodo della crisi il calo è consistente non solo per il reddito reale disponibile delle famiglie di operai (da 14.485 euro del 2006 a 13.249 del 2010 con un -8,5%) ma anche per quello delle famiglie di dirigenti (passate da 35.229 euro del 2000 a 43.825 del 2006 e a 38.065 del 2010 con un calo negli ultimi quattro anni considerati del 13,1%) e dei lavoratori autonomi (da 28.721 a 26.136 euro con una riduzione del 9%). Hanno tenuto dal 2006 al 2010 i redditi reali delle famiglie di impiegati, quadri e insegnanti (da 21.344 euro a 21.311) mentre hanno avuto un lieve avanzamento i redditi dei nuclei con capofamiglia pensionato (da 18.579 a 19.194 e un +3,3%). Il reddito medio disponibile delle famiglie era nel 2010 di 22.758 euro in media nel Centro Nord e di 13.321 euro nel Sud e nelle Isole. Se si guarda solo alle retribuzioni reali nette mensili dei lavoratori dipendenti nel 2010 si attestavano su 1.439 euro, sostanzialmente stabili rispetto ai 1.410 euro medi del 2000 e in calo rispetto ai 1.489 euro del 2006. (1.503 euro nel Centro Nord, 1.276 nel Sud e nelle Isole). Lievemente migliore la situazione delle retribuzioni reali nette dei lavoratori dipendenti a tempo pieno passate dai 1.483 euro mensili del 2000 (valori a prezzi 2010) a 1.543 euro nel 2010 (1.606 euro nel Centro Nord, 1.380 nel Sud e nelle Isole). Il dato del totale dei lavoratori dipendenti risente della crescita in questi anni del part time (che abbassa la media delle retribuzioni complessive perchè basate su meno ore di lavoro).
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domenica 3 giugno 2012
Lavoro, Bankitalia: 2.500.000 lavoratori irregolari
Dalla Relazione annuale di Bankitalia emerge che il sommerso è presente soprattutto nell'agricoltura e nel commercio.
I lavoratori irregolari rappresentano il 10,3% del totale: 2.500.000 persone. Lo rende noto Bankitalia. Le unità di lavoro "irregolari" (una persona può avere più di un lavoro irregolare) sono 2.950.000 e si concentrano soprattutto nei servizi:2.200.000 e in particolare nel commercio,alberghi e ristoranti. Il lavoro irregolare è frequente in agricoltura, 321mila unità, pari al 24,9%: è irregolare il 37,4% del totale,oltre una persona su 3. Nell'industria il lavoro irregolare è il 6,6% del totale.
Secondo la Relazione annuale se si guarda alle persone (senza considerare i doppi lavori compresi nelle unità di lavoro) i sommersi sono 2.549.000, pari al 10,3% del totale. I settori dove è più forte il lavoro sommerso restano agricoltura (quasi un quarto del totale) e i servizi (13,5%) mentre l'industria si limita al 6,6% di sommerso.
Il dato sulle unità di lavoro irregolari è rimasto sostanzialmente stabile negli ultimi anni, ma l'incidenza percentuale sul totale dell'occupazione è cresciuta perché sono diminuiti gli occupati. Se quindi le unità di lavoro irregolari sono passate da 2.941.000 nel 2009 a 2.959.000 nel 2010 l'incidenza sul totale è passato dal 12,1% al 12,3%. Se si guarda alle persone fisiche irregolari il dato è rimasto stabile (da 2.554.000 a 2.549.000) con un incidenza rimasta stabile al 10,3%.
Le unità di lavoro irregolari - secondo le tabelle contenute nell'appendice della Relazione annuale - si concentrano nei servizi (2,2 milioni su 2,9 milioni) e in particolare nel commercio, gli alberghi e i ristoranti (1,2 milioni di unità irregolari e il 18,7% del totale del comparto). Il dato è qui molto superiore per le unità di lavoro rispetto alle persone (solo 1,7 milioni di irregolari, 445mila delle quali nel commercio, alberghi e ristoranti) probabilmente perché in questi settori è molto frequente il doppio lavoro (quindi operano persone che hanno un lavoro irregolare ma arrotondano con un secondo lavoro in nero).
Il lavoro irregolare è molto frequente anche in agricoltura (321mila unità di lavoro irregolare pari al 24,9% del totale) per circa 372mila persone coinvolte (non tutte evidentemente impegnate a tempo pieno). Se si guarda alle persone in agricoltura sono irregolari il 37,4% del totale, oltre una su tre. L'industria resta un settore nel quale il lavoro sommerso è residuale con 419mila unità di lavoro irregolare e il 6,6% del totale.
Ma il dato risente del lavoro irregolare nelle costruzioni: in edilizia infatti le unità di lavoro irregolari sono 218mila (l'11,3% del totale) mentre nell'industria in senso stretto sono 202.000 (il 4,6% del totale).
I lavoratori irregolari rappresentano il 10,3% del totale: 2.500.000 persone. Lo rende noto Bankitalia. Le unità di lavoro "irregolari" (una persona può avere più di un lavoro irregolare) sono 2.950.000 e si concentrano soprattutto nei servizi:2.200.000 e in particolare nel commercio,alberghi e ristoranti. Il lavoro irregolare è frequente in agricoltura, 321mila unità, pari al 24,9%: è irregolare il 37,4% del totale,oltre una persona su 3. Nell'industria il lavoro irregolare è il 6,6% del totale.
Secondo la Relazione annuale se si guarda alle persone (senza considerare i doppi lavori compresi nelle unità di lavoro) i sommersi sono 2.549.000, pari al 10,3% del totale. I settori dove è più forte il lavoro sommerso restano agricoltura (quasi un quarto del totale) e i servizi (13,5%) mentre l'industria si limita al 6,6% di sommerso.
Il dato sulle unità di lavoro irregolari è rimasto sostanzialmente stabile negli ultimi anni, ma l'incidenza percentuale sul totale dell'occupazione è cresciuta perché sono diminuiti gli occupati. Se quindi le unità di lavoro irregolari sono passate da 2.941.000 nel 2009 a 2.959.000 nel 2010 l'incidenza sul totale è passato dal 12,1% al 12,3%. Se si guarda alle persone fisiche irregolari il dato è rimasto stabile (da 2.554.000 a 2.549.000) con un incidenza rimasta stabile al 10,3%.
Le unità di lavoro irregolari - secondo le tabelle contenute nell'appendice della Relazione annuale - si concentrano nei servizi (2,2 milioni su 2,9 milioni) e in particolare nel commercio, gli alberghi e i ristoranti (1,2 milioni di unità irregolari e il 18,7% del totale del comparto). Il dato è qui molto superiore per le unità di lavoro rispetto alle persone (solo 1,7 milioni di irregolari, 445mila delle quali nel commercio, alberghi e ristoranti) probabilmente perché in questi settori è molto frequente il doppio lavoro (quindi operano persone che hanno un lavoro irregolare ma arrotondano con un secondo lavoro in nero).
Il lavoro irregolare è molto frequente anche in agricoltura (321mila unità di lavoro irregolare pari al 24,9% del totale) per circa 372mila persone coinvolte (non tutte evidentemente impegnate a tempo pieno). Se si guarda alle persone in agricoltura sono irregolari il 37,4% del totale, oltre una su tre. L'industria resta un settore nel quale il lavoro sommerso è residuale con 419mila unità di lavoro irregolare e il 6,6% del totale.
Ma il dato risente del lavoro irregolare nelle costruzioni: in edilizia infatti le unità di lavoro irregolari sono 218mila (l'11,3% del totale) mentre nell'industria in senso stretto sono 202.000 (il 4,6% del totale).
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