Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR), rappresenta una porzione di retribuzione dovuta al lavoratore subordinato che viene erogata, dal datore di lavoro, in maniera differita rispetto la cessazione del rapporto di lavoro.
Se il lavoratore richiede di ricevere il Tfr in busta paga, l'opzione resta irrevocabile fino al 30.06.2018.
La misura, sperimentale, vale per i periodi di paga decorrenti dal 1° marzo 2015 e fino al 30 giugno 2018, nei confronti dei lavoratori dipendenti del settore privato, esclusi i lavoratori domestici e i lavoratori del settore agricolo, che siano in forza da almeno sei mesi.
Alcuni emendamenti propongono la modifica dei requisiti per l’accesso: viene, per esempio, elevata ad un anno la durata del rapporto di lavoro in essere presso lo stesso datore di lavoro e con questa anzianità di servizio viene consentito anche ai dipendenti contrattualizzati del settore pubblico di chiedere direttamente all’Inps l’anticipazione del trattamento di fine rapporto o di fine servizio a cui avrebbe diritto al momento della richiesta.
In base a questa proposta emendativa anche per i dipendenti del settore privato l’erogazione non sarebbe più una quota integrativa della retribuzione, ma diventerebbe una richiesta di anticipazione ed in quanto tale soggetta a tassazione.
Il datore di lavoro che abbia alle proprie dipendenze meno di 50 dipendenti e che non intenda erogare l’anticipazione con risorse proprie potrà accedere ad un finanziamento assistito da fondo di garanzia, da rimborsare in rate mensili con un minimo di cinque anni e un massimo di dieci.
L'opzione, qualora esercitata, è irrevocabile fino al 30.06.2018. L'opzione può essere esercitata anche per le quote destinate dal lavoratore a forme di previdenza complementare. La parte integrativa della retribuzione costituita dalla quota di Tfr corrisposta è assoggetta a tassazione ordinaria (non, quindi, a tassazione sostituiva come accadrebbe in caso di corresponsione del TFR al termine del percorso lavorativo). Tuttavia, non è imponibile ai fini previdenziali e non concorre alla formazione del reddito complessivo ai fini della verifica della spettanza del bonus "80 euro".
Dal 1° marzo potrà acquisire la forma di un'integrazione della retribuzione mensile, ovvero viene ora riconosciuta al dipendente un'ulteriore e alternativa possibilità, cioè quella di chiedere il pagamento mensile dell'importo maturando di Tfr (nel medesimo mese), che in tal modo diventa, come precisa la stessa norma, un'integrazione della retribuzione, previdenziale non imponibile, da assoggettare a tassazione ordinaria.
La nuova opzione, che si aggiunge a quelle già esistenti (mantenimento in azienda o trasferimento ad un fondo pensione), rischia però di modificare le scelte già effettuate, posto che lo stesso articolo 6 della legge di Stabilità prevede che la scelta della monetizzazione può riguardare anche la quota già destinata al fondo pensione.
Le conseguenze dell'opzione La legge di Stabilità precisa che la manifestazione della volontà in favore della liquidazione monetaria, una volta effettuata, non possa essere modificata fino al 30 giugno 2018.
La norma riserva questa nuova possibilità a tutti i lavoratori dipendenti privati, esclusi gli agricoli e i domestici, con almeno sei mesi di anzianità di servizio presso il datore di lavoro tenuto all'erogazione, ed esclude dall'obbligo le sole aziende sottoposte a procedure concorsuali e quelle in crisi in base all'articolo 4 della legge 297/1982.
La nuova opzione produce effetti differenziati i nei confronti dei numerosi soggetti coinvolti. Il primo interessato è sicuramente il dipendente che attraverso la nuova scelta potrà fruire di un incremento del netto in busta paga. Ma il beneficio sarà fortemente attenuato dalla circostanza che sull'integrazione della retribuzione subirà la tassazione ordinaria, con applicazione dell'aliquota marginale Irpef e delle addizionali, mentre sull'importo erogato a fine rapporto di lavoro a titolo di Tfr avrebbe subito la tassazione separata, che è una tassazione Irpef (escluse addizionali) agevolata in quanto tiene conto del fatto che la somma è maturata nel corso del rapporto a fronte di un'erogazione differita al momento della cessazione.
Ecco perché il maggior guadagno sarà per l'Erario, che incasserà subito e cioè mese per mese, un'Irpef più alta in quanto calcolata con modalità ordinaria.
A perdere saranno i fondi pensioni che per i prossimi tre anni, salvo successive proroghe, rischiano di perdere una delle più importanti fonti, rappresentata appunto dal Tfr trasferito dai lavoratori dipendenti.
Ma l'effetto più immediato ed evidente sarà comunque rappresentato per aziende, consulenti, spetterà l’ulteriore complicazione “gestionale” ed ”amministrativa” del Tfr, o meglio di quello che fino al 31 dicembre 2006 era una semplice forma di retribuzione differita e che dal 2007 a oggi può assumere forme e diverse, e cambiarle nel corso della vita lavorativa. A “perdersi” probabilmente non saranno solo gli operatori del settore, che in fase di assunzione dovranno intervistare in modo approfondito il lavoratore sulle pregresse scelte effettuate, ma anche gli stessi lavoratori che potranno non avere più contezza di quella che un tempo era una consolazione economica della fine del rapporto di lavoro.
Dopo le perplessità espresse in sede di audizione parlamentare da Banca d’Italia e Corte dei Conti, arriva una presa di posizione di Assofondipensione, che ritiene la misura un pericolo per lo sviluppo della previdenza complementare. L’associazione ha espresso preoccupazione ritenendo che l’anticipazione del TFR, unitamente all'aumento della tassazione sui fondi pensione prevista dalla Legge di Stabilità, è una sfida al sistema della previdenza complementare, che coinvolge circa 2 milioni di lavoratori. Sulla tassazione dei fondi pensione l’associazione non esclude ricorsi per via giudiziaria, anche rivolgendosi alla Corte Europea.
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