venerdì 9 febbraio 2018

Legge n. 104: i permessi non sono ferie



L'azienda non può togliere dalle ferie i permessi 104 di chi assiste familiari con handicap, a differenza dei congedi parentali: sentenza di Cassazione, ovvero niente decurtazione dalle ferie dei giorni di permesso chiesti dal dipendente per assistere, ai sensi della legge 104, un familiare affetto da handicap.

I permessi per chi presta cure e assistenza ai familiari con handicap grave e previsti dalla legge 104/1992 non possono essere scalati dalle ferie a meno che non si sommino a periodi di congedo parentale: lo ha chiarito la Corte di Cassazione. In materia di permessi 104, la Cassazione ha di recente definito che chi si prende cura del familiare disabile non ha l’obbligo di fornire un’assistenza continuativa; in più, non è necessario che l’assistenza coincida con gli orari del lavoro. L’importante è dedicare la parte prevalente della giornata al familiare disabile, ma ciò non toglie che si possa anche approfittare per fare la spesa o – perché no – di sdraiarsi sul divano e riposarti. La ragione è presto detta: chi si prende in carico l’assistenza di un portatore di handicap è più “usurato” e impegnato dei colleghi di lavoro i quali, invece, dopo l’orario di servizio, possono dedicarsi ai loro svaghi. Ad avviso della Cassazione, l’assistenza al familiare disabile va inquadrata come un’attività pensate e onerosa, ma anche avente una funzione sociale che è quella della cura dei disabili, tutelata dalla stessa Costituzione. Così come tutelato dalla stessa Costituzione è il diritto alle ferie. Si parla quindi di due diritti sacrosanti che non possono essere calpestati. Proprio per tale ragione è giusto pretendere che anche i giorni di permesso ai sensi della legge 104 siano da considerare come normali giorni di lavoro e, come tali, computabili ai fini della maturazione delle ferie.

Si tratta di permessi retribuiti e coperti da contribuzione figurativa, riconosciuti a coniuge, parenti e affini entro il secondo grado, oppure entro il terzo grado se i genitori o il coniuge della persone con handicap grave hanno più di 65 anni, oppure siano affetti da patologie invalidanti o siano mancanti. Prevedono la possibilità di assentarsi dal lavoro per tre giorni al mese anche in via continuativa. La Corte chiarisce che questi tre giorni di permesso mensile non possono in alcun modo essere sottratti alle ferie.

Diverso è il caso dei congedi parentali ordinari e di quelli per malattia del figlio di età inferiore a tre anni previsti dalla legge 151/2011: questi congedi possono determinare una significativa sospensione della prestazione lavorativa, che giustifica un diverso trattamento.

I permessi di tre giorni previsti per i portatori di handicap, fra l’altro: si inseriscono nell’ambito della tutela dei disabili predisposta dalla normativa interna (in primis, dagli articoli 2, 3, e 38 della Costituzione) e internazionale.

Ad esempio la Direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000 e la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 18/2009.

La Convenzione ONU, prosegue la sentenza:

prevede il sostegno e la protezione da parte della società e degli Stati non solo per i disabili, ma anche per le loro famiglie, ritenute strumento indispensabile per contribuire al pieno ed uguale godimento dei diritti delle persone con disabilità.

Quindi, l’interpretazione della norma a favore di chi assiste familiari deve evitare:

che l’aggravio dei congiunti di portatori di handicap nella fruizione dei permessi possa vanificare le esigenze di tutela» e «scongiurare qualsiasi incidenza negativa sull’utilizzo dei permessi medesimi.

Non è quindi legittimo decurtare dalle ferie i giorni di permesso chiesti dal dipendente per assistere, ai sensi della legge “104”, un familiare affetto da handicap.

Del resto, non calcolare i giorni di permesso della 104 ai fini delle ferie significa discriminare i dipendenti che hanno la sfortuna di avere un familiare disabile con quelli che invece non ce l’hanno: i primi, infatti, oltre a dover rinunciare a una parte delle ferie, sono soggetti tre volte al mese a una cura e assistenza tutt’altro che leggera.

Resta ferma la non commutabilità dei permessi quando debbano cumularsi effettivamente con il congedo parentale ordinario – che può determinare una significativa sospensione della prestazione lavorativa – e con il congedo per malattia del figlio, per i quali compete un’indennità inferiore alla retribuzione normale.


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