I diritti acquisiti di una fetta di sindacalisti privilegiati sono stati infine toccati, da una sentenza della Corte dei Conti. La quale ha stabilito che no, il meccanismo delle «contribuzioni aggiuntive», per anni all'origine di improvvise e a volte strabilianti impennate nelle pensioni di alcune categorie di rappresentanti sindacali, non va bene affatto e deve esser tutto ricalcolato.
Per capirci: mai più casi clamorosi come quello di Raffaele Bonanni che, sommando i contributi originari del suo lavoro con quelli di sindacalista a tempo pieno e per quasi un decennio segretario della Cisl, si era elevato negli ultimi anni da 75.223 a 336.260 euro l’anno di stipendio tirandosi poi dietro, grazie anche ai contributi aggiuntivi, una pensione netta di 5.391 euro mensili. Subito infilzata dalle rabbiose contestazioni di migliaia di lavoratori.
La sentenza 491/2016 del 10 ottobre 2016, emessa dalla III Sezione giurisdizionale d’Appello, partiva dal ricorso di un maestro elementare, da anni sindacalista, che si lamentava di una «valorizzazione della contribuzione aggiuntiva» solamente «parziale» nel calcolo della pensione. Secondo lui, infatti, il decreto legislativo 564/1996 non prevedeva «alcuna limitazione in ordine al numero degli incarichi dirigenziali che possono formare oggetto di retribuzione aggiuntiva». Non solo: l’Inps non avrebbe, secondo lui, alcun «titolo per sindacare quanto deliberato, in merito ai relativi compensi, dagli organi statutari delle organizzazioni sindacali».
Che cosa sono i contributi aggiuntivi? Lo sportello online dell’Inps definisce: «La contribuzione aggiuntiva è una contribuzione di natura volontaria destinata a integrare la contribuzione figurativa o effettiva versata a favore dei lavoratori dipendenti, che siano dirigenti sindacali». E aggiunge: «In particolare a favore dei lavoratori collocati in aspettativa, possa essere versata, facoltativamente, una contribuzione aggiuntiva sull'eventuale differenza tra le somme corrisposte per lo svolgimento dell’attività sindacale e la retribuzione di riferimento per il calcolo della contribuzione figurativa. Come detto, la retribuzione figurativa corrisponde alla retribuzione commisurata a quella cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in base ai contratti collettivi di categoria» senza però «quegli emolumenti collegati all’effettiva prestazione lavorativa o condizionati da una determinata produttività, né incrementi retributivi o avanzamenti che non siano legati alla sola maturazione dell’anzianità di servizio».
Dopo questa sentenza i sindacati, per i loro rappresentanti in aspettativa o distacco sindacale dal posto di lavoro, possono versare contributi aggiuntivi sui compensi ricevuti per l’attività sindacale. Questi «aggiuntivi» non incidono sulla data di pensionamento ma hanno avuto negli anni, «un peso rilevante sull’importo delle pensioni dei dipendenti dell’amministrazione pubblica o appartenenti ad alcune categorie di lavoratori (autoferrotranvieri, elettrici, telefonici…) del settore privato che si trovavano nel regime misto o in regime retributivo, prima della riforma Fornero».
«Questa contribuzione aggiuntiva veniva inserita, fino a oggi, nella quota di pensione relativa alle anzianità maturate fino al ‘92 (la cosiddetta quota A che in teoria dovrebbe contenere solo voci della retribuzione “fisse e continuative” negli anni). La quota A di pensione è calcolata sulla base della retribuzione percepita l’ultimo mese di servizio ed è quindi soggetta a regole molto più generose rispetto a quelle applicate dal ‘92 in poi per il calcolo della quota B, che considera la media delle retribuzioni percepite in un periodo più lungo».
La decisione
Bene: la sentenza che dicevamo della Corte dei Conti nota appunto che «i compensi corrisposti per l’attività sindacale espletata» dal maestro sindacalista «hanno subito un incremento invero assai cospicuo in un lasso di tempo piuttosto breve, passando nell’arco di quattordici mesi dall’iniziale compenso mensile di euro 2.000 (periodo settembre-dicembre 2009), ai 4.000 euro mensili corrisposti nel periodo gennaio-giugno 2010, agli 8.000 euro corrisposti nel periodo luglio-agosto 2010, a ridosso del collocamento in quiescenza, senza che in tale breve arco di tempo, risultino essersi verificate variazioni negli incarichi di dirigenza sindacale». Come non immaginare che si trattasse di aumenti dovuti alla scelta di preparare all’interessato una pensione più alta a carico dell’Inps e cioè, essendo assai inferiori i contributi precedenti, a carico dei cittadini?
Risultato: dopo questa storica sentenza, si dà per scontato che una nuova circolare dell’INPS possa aggiornare le modalità con le quali si determinano le quote di pensioni dei sindacalisti e ricalcolarle. Toccando per la prima volta «un privilegio acquisito non solo sulle pensioni future ancora da liquidare ma anche su alcune delle pensioni in essere». Una trentina di casi, sembra, per ora, sul passato. Ma almeno milletrecento nel futuro più o meno prossimo. Scommettiamo? Barricate.
Speriamo che ora si occupino anche delle doppie e triple pensioni.
Nelle premesse della sentenza leggiamo:
Come è noto, l’articolo 13 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, ha stabilito che: “Per i lavoratori dipendenti iscritti all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti ed alle forme sostitutive ed esclusive della medesima, e per i lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali amministrate dall’INPS, l’importo della pensione è determinato dalla somma:
A) della quota di pensione corrispondente all’importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente all’1 gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile;
B) della quota di pensione corrispondente all’importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dall’1 gennaio 1993, calcolato secondo le norme di cui al presente decreto”.
In concreto, nella determinazione della pensione per il personale destinatario del succitato complesso normativo, sono computabili in quota A, dopo l’entrata in vigore della legge n. 335 del 1995: gli assegni già espressamente dichiarati pensionabili dallo stesso d.P.R. n. 1092 del 1973; gli assegni già dichiarati pensionabili da altre disposizioni precedenti la legge n. 335/1995; gli assegni dichiarati pensionabili in quota A da disposizioni di legge successive alla legge n. 335 del 1995. Gli emolumenti divenuti pensionabili solo con la legge n. 335 del 1995 vanno invece considerati unicamente nella quota B della pensione.
L’art. 3, comma 5 del d. lgs 564/96 stabilisce che “può essere versata, facoltativamente, una contribuzione aggiuntiva sull'eventuale differenza tra le somme corrisposte per lo svolgimento dell'attività' sindacale ai lavoratori collocati in aspettativa ai sensi dell'art. 31 della citata legge n. 300 del 1970 e la retribuzione di riferimento per il calcolo del contributo figurativo di cui all'art. 8, ottavo comma, della citata legge n. 155 del 1981. La facoltà può essere esercitata dalla organizzazione sindacale, previa richiesta di autorizzazione al fondo o regime pensionistico di appartenenza del lavoratore. Il contributo aggiuntivo va versato entro lo stesso termine previsto per la domanda di accredito figurativo di cui al comma 3 ed è pari all'aliquota di finanziamento del regime pensionistico a cui il lavoratore e' iscritto ed e' riferito alla differenza tra le somme corrisposte dall'organizzazione sindacale e la retribuzione figurativa accreditata”.
Il successivo comma 6, a sua volta, stabilisce che “La facoltà di cui al comma 5 può' essere esercitata negli stessi termini e con le stesse modalità' ivi previste per gli emolumenti e le indennità' corrisposti dall'organizzazione sindacale ai lavoratori collocati in distacco sindacale con diritto alla retribuzione erogata dal proprio datore di lavoro”.
Nella fattispecie presa in esame i caratteri di “fissità e continuità” degli emolumenti risultano palesemente mancanti pertanto la Corte ritenendo che l’interpretazione caldeggiata dall'appellante “legittimerebbe il riconoscimento di una posizione di ingiustificabile privilegio non solo rispetto alla generalità dei lavoratori per i quali il computo nella quota a) di pensione è ammesso per le sole retribuzioni erogate con carattere di fissità e continuità, ma anche a quei lavoratori, collocati come l’odierno ricorrente in posizione di distacco, che abbiano cessato di ricoprire le funzioni retribuite di rappresentanza o dirigenza sindacale prima dell’accesso al pensionamento. Per questi ultimi, infatti, la computabilità degli emolumenti percepiti dall'organizzazione sindacale nella prima quota di pensione dipenderebbe dalla circostanza, del tutto casuale, di essere collocati in quiescenza nel corso dell’espletamento dell’ incarico sindacale”,) l’appello va respinto.