giovedì 9 aprile 2020

Firma sulla busta paga: non vale come ricevuta



Sentenza Cassazione Lavoro n. 21699 -2018: non esiste una presunzione assoluta di corrispondenza della retribuzione percepita dal lavoratore rispetto a quella risultante dai prospetti di paga. Le buste paga sottoscritte dal lavoratore con la formula "per ricevuta" costituiscono prova solo della avvenuta consegna dello specifico documento e non anche dell'effettivo pagamento, che deve essere provato diversamente dal datore di lavoro. Questo il principio riaffermato dalla Cassazione nella sentenza n. 21699 -2018, con numerosi precedenti conformi.

Il caso in particolare riguardava un lavoratore che vantava verso l'azienda differenze retributive e per t.f.r. per complessivi 26.831,41 euro. All'esito della prova testimoniale, il giudice del lavoro rigettava la domanda del lavoratore mentre la Corte d'Appello accoglieva il suo ricorso.

I giudici della Cassazione hanno rigettato il ricorso dell’azienda, basandosi sull’orientamento giurisprudenziale maggioritario secondo cui l’obbligo, previsto a carico del datore di lavoro dall'art. 1 della legge 5 gennaio 1953 n. 4, di consegnare ai lavoratori dipendenti all'atto della corresponsione della retribuzione un prospetto contenente l'indicazione di tutti gli elementi costitutivi della retribuzione, non fornisce la prova dell'avvenuto pagamento: infatti non sono sufficienti le annotazioni contenute nel prospetto stesso, e se il lavoratore contesta che il pagamento sia avvenuto  spetta al datore di lavoro la prova rigorosa dei pagamenti in effetti eseguiti.

Di conseguenza, non esiste una presunzione assoluta di corrispondenza della retribuzione percepita dal lavoratore rispetto a quella risultante dai prospetti di paga ed è sempre possibile l'accertamento della insussistenza del carattere di quietanza anche delle sottoscrizioni eventualmente apposte dal lavoratore sulle busta paga.

Il principio è stato recentemente esplicitamente ribadito anche nella norma che vieta l'erogazione in contanti della retribuzione, contenuta nella legge di bilancio 2018 L.208-2017. Ovvero le regole sono cambiate dal 1° luglio 2018, da quando cioè lo stipendio deve essere pagato necessariamente tramite accredito sul conto corrente ossia il bonifico bancario. Un obbligo che viene escluso solo in casi eccezionali come ad esempio nel lavoro domestico (colf, badante, domestica). Leggi a riguardo Posso pagare lo stipendio in contanti? La legge ha così cambiato le regole sul valore della firma sulla busta paga che, ad oggi, non ha più rilievo. Difatti solo l’estratto conto o la documentazione bancaria può dimostrare l’avvenuto pagamento dello stipendio e non anche la sottoscrizione del cedolino.

La busta paga che viene fatta firmare dal datore di lavoro ai propri dipendenti per ricevuta, non ha alcun valore. Tale pratica non prova che il datore di lavoro abbia effettivamente pagato il lavoratore e assolto al suo obbligo. Spesso la busta paga viene fatta firmare ai dipendenti ancor prima di ricevere materialmente il relativo pagamento. E se il datore di lavoro effettivamente non procede al versamento delle somme? In detti casi, il lavoratore può stare tranquillo. La firma sulla busta paga per ricevuta messa in calce al documento non ha quindi nessuna valenza.

Firma sulla busta paga per ricevuta: la vicenda
Il caso riguarda un dipendente che vantava differenze retributive e il mancato pagamento del trattamento di fine rapporto (TFR) per un importo complessivo di 26.831,41 euro. Il dipendente agisce per vie legali, ma la il giudice del lavoro con sentenza di primo grado rigetta la domanda del ricorrente, con la condanna dell’attore al pagamento delle relative spese.

Busta paga quietanza valore probatorio: la sentenza
I giudici della Corte Suprema respingono il ricorso della società. Per questi ultimi, la sottoscrizione è prova solo dell’avvenuta consegna della busta paga e non del pagamento della cifra ivi contenuta.

Sul tema, precedenti interventi della Cassazione ha stabilito come “soltanto la sottoscrizione apposta dal dipendente sui documenti fiscali relativi alla sua posizione di lavoratore subordinato (CUD e mod. 101) costituisce quietanza degli importi ivi indicati come corrisposti da parte del datore di lavoro, ed ha il significato di accettazione del contenuto delle dichiarazioni fiscali e di conferma dell’esattezza dei dati ivi riportati” (Cass. lav. n. 245 – 11/01/2006).

Quindi, la scusa del datore di lavoro di far valere la firma del dipendente sul cedolino come prova del fatto di aver versato l’importo indicato sullo stesso, non può essere fatto valere. Al riguardo, l’art. 1, co. 913 ha previsto anche un regime sanzionatorio; in tale articolo è espressamente specificato che il datore di lavoro o committente che viola l’obbligo di retribuire il dipendente in maniera telematica, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000 euro a 5.000 euro. L’importo della sanzione varierà in base alla gravità e la durata della violazione.

In definitiva, inserire la dicitura “per accettazione” serve soltanto al datore di lavoro a indicare a che titolo il dipendente sta firmando un documento. Il dipendente, per assurdo, potrebbe anche rivendicare lo stipendio affermando di non averlo ricevuto. In questo modo, invece, si attesa che almeno il dipendente ne abbia preso visione.

Nel caso della dicitura “per ricevuta” invece, l’apposizione del nome e cognome del dipendente dimostra solo che questi ha avuto una copia della busta paga; non ha alcun valore invece in merito al ricevimento dello stipendio che il datore evidentemente dovrà dimostrare in altro modo.

Infine, la dicitura “per quietanza” sta a significare che è avvenuto il ricevimento di una prestazione e, quindi, anche del denaro. Ma questo ora non è più sufficiente. Inserire semplicemente la predetta dicitura per conservare la prova di aver adempiuto al proprio obbligo retributivo non è più valido.

Con ordinanza n. 21699/2018, la Corte di Cassazione ha affermato che la firma per ricevuta del lavoratore sulla busta paga, non dimostra l’effettivo pagamento della somma indicata sul documento. I giudici della Suprema Corte hanno evidenziato come la sottoscrizione è prova solo dell’avvenuta consegna della busta paga e non del pagamento della cifra ivi contenuta. Precedenti decisioni della Cassazione hanno evidenziato come “soltanto la sottoscrizione apposta dal dipendente sui documenti fiscali relativi alla sua posizione di lavoratore subordinato (CUD e mod. 101) costituisce quietanza degli importi ivi indicati come corrisposti da parte del datore di lavoro, ed ha il significato di accettazione del contenuto delle dichiarazioni fiscali e di conferma dell’esattezza dei dati ivi riportati” (Cass. lav. n. 245 – 11/01/2006).

Il dipendente potrebbe anche lamentare il fatto di aver ricevuto uno stipendio più basso di quello indicato in busta paga. Questa purtroppo è una prassi di alcune aziende che neanche le regole sul pagamento con bonifico sono riuscite ad arginare completamente. Difatti esiste l’abitudine di erogare, al lavoratore, l’intera busta paga sul conto corrente obbligandolo poi a restituire in contanti la differenza; in tal modo il lavoratore ottiene uno stipendio più basso di quello documentato. In tali ipotesi purtroppo spetta al lavoratore dimostrare l’illecito del datore di lavoro (magari anche con registrazioni o testimoni). Tuttavia, c’è anche da dire che se questi si rifiuta di restituire la differenza non potrà certo essere licenziato.



Cassa integrazione in tempo di covid 19: differenze tra cigo, cigs e cigd




Con il crescere ed il perdurare dell’emergenza Covid 19 il Governo italiano ha dovuto attuare delle misure ad hoc per fare in modo che l’economia nazionale non tracolli del tutto, sostenendo lavoratori e imprese maggiormente in difficoltà a fronte del confinamento di sicurezza.

Tra gli aiuti previsti per far fronte all’emergenza epidemiologica, il Decreto-legge c.d. Cura Italia, ha allargato la platea dei beneficiari dei trattamenti di integrazione salariale, includendo gli eventi strettamente correlati all’emergenza COVID-19. Una situazione improvvisa e imprevista in cui si sono visti catapultare anche aziende e lavoratori che prima del Coronavirus non si erano mai interessati alla cassa integrazione, vediamo dunque di chiarire qualche dubbio in merito, analizzando nel dettaglio le diverse tipologie di sostegno del reddito e le loro rispettive finalità.

CIGO
La Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria è uno strumento rivolto ai lavoratori del settore industriale, che può essere richiesto nei periodi transitori e temporanei di particolare contrazione o sospensione dell’attività produttiva causato da eventi non imputabili al datore di lavoro. L’integrazione salariale avviene a fronte di una sospensione dell’attività o di una semplice riduzione dell’orario di lavoro.

L’importo che viene corrisposto è pari all’80% della retribuzione totale che sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate, comprese tra le zero ore e il limite orario contrattuale, entro un limite massimo mensile stabilito di anno in anno.

Le aziende che possono far ricorso alla CIGO devono appartenere ai seguenti settori:

imprese industriali manifatturiere, di trasporti, estrattive, di installazione di impianti, produzione e distribuzione dell’energia, acqua e gas;

cooperative di produzione e lavoro che svolgano attività lavorative similari a quella degli operai delle imprese industriali, ad eccezione delle cooperative elencate dal D.P.R. n. 602/1970;
imprese dell’industria boschiva, forestale e del tabacco;

cooperative agricole, zootecniche e loro consorzi che esercitano attività di trasformazione, manipolazione e commercializzazione di prodotti agricoli propri per i soli dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato;

imprese addette al noleggio e alla distribuzione dei film e di sviluppo e stampa di pellicola cinematografica;

imprese industriali per la frangitura delle olive per conto terzi;

imprese produttrici di calcestruzzo preconfezionato;

imprese addette agli impianti elettrici e telefonici;

imprese addette all’armamento ferroviario;

imprese industriali degli enti pubblici, salvo il caso in cui il capitale sia interamente di proprietà pubblica;

imprese industriali e artigiane dell’edilizia e affini;

imprese industriali esercenti l’attività di escavazione e/o lavorazione di materiale lapideo;

imprese artigiane che svolgono attività di escavazione e di lavorazione di materiali lapidei, con
esclusione di quelle che svolgono strutture ed escavazione.

Al di fuori dei casi relativi ad eventi oggettivamente non evitabili, il trattamento di CIGO può durare:

3 mesi consecutivi (prorogabile fino a un massimo di 12 mesi al ricorrere di determinate circostanze);

12 mesi in due anni se applicato in modo non continuativo.

Il Decreto CuraItalia consente l’accesso alla CIGO, con condizioni agevolate rispetto al regime ordinario, alle imprese che rientrano nel campo di applicazione della cassa integrazione che sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’epidemia da Coronavirus, utilizzando la specifica causale “emergenza COVID-19”.

CIGS
La Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria, invece, può essere richiesta quando si verifica uno dei seguenti eventi:

ristrutturazione, riorganizzazione e conversione aziendale;

crisi aziendale di grande rilevanza sociale;

contratti di solidarietà;

fallimento.

La CIGS viene concessa alle seguenti tipologie di aziende con più di 15 dipendenti (inclusi apprendisti professionalizzanti e dirigenti):

imprese industriali, comprese quelle edili ed affini;

imprese artigiane che procedono alla sospensione dei lavoratori in conseguenza di sospensioni o riduzioni dell’attività dell’impresa che eserciti l’influsso gestionale prevalente, che si ha quando oltre il 50% del fatturato proviene da una sola committente;

imprese appaltatrici di servizi di mensa o ristorazione, che subiscano una riduzione di attività in dipendenza di situazioni di difficoltà dell’azienda appaltante, che abbiano comportato per quest’ultima il ricorso al trattamento ordinario o straordinario di integrazione salariale;

imprese appaltatrici di servizi di pulizia, anche se costituite in forma di cooperativa, che subiscano una riduzione di attività in conseguenza della riduzione delle attività dell’azienda appaltante, che abbiano comportato per quest’ultima il ricorso al trattamento straordinario di integrazione salariale;

imprese dei settori ausiliari del servizio ferroviario, ovvero del comparto della produzione e della manutenzione del materiale rotabile;

imprese cooperative di trasformazione di prodotti agricoli e loro consorzi;

imprese di vigilanza;

imprese dell’editoria;

imprese del trasporto aereo e di gestione aeroportuale e società da queste derivate, nonché imprese del sistema aereoportuale;

partiti e movimenti politici e loro rispettive articolazioni e sezioni territoriali, nei limiti di spesa di 8,5 milioni di euro per l’anno 2015 e di 11,25 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2016.

Rientrano nell’ambito di fruizione della CIGS anche le imprese appartenenti alle seguenti ulteriori categorie che nel semestre precedente la data di presentazione della domanda di ammissione abbiano occupato mediamente più di 50 dipendenti (inclusi apprendisti e dirigenti):

imprese esercenti attività commerciali, comprese quelle della logistica;

agenzie di viaggio e turismo, compresi gli operatori turisti.

La durata del trattamento di CIGS varia da 12 a 36 mesi in base alla causale che ha condotto l’azienda a farne richiesta.

L’integrazione salariale è dovuta nella misura dell’80% della retribuzione globale che sarebbe spettata ai lavoratori interessati per le ore di lavoro non prestate comprese tra le zero ore e ed il limite orario contrattuale.

CIGD
La Cassa Integrazione in Deroga (cd. CIGD) è uno strumento di politica passiva, aggiuntivo rispetto a quelli esistenti sopracitati e introdotto in via sperimentale a partire del 2005, poi ripetutamente prorogato, per garantire un sostegno economico a lavoratori di quelle imprese che beneficiano degli ordinari interventi d’integrazione salariale.

Questo strumento di sostegno a reddito in costanza di rapporto è stato utilizzato dal Governo anche per far fronte all’emergenza epidemiologica da COVID-19: il Decreto n. 18/2020 prevede infatti che le Regioni e le Province Autonome possono riconoscere trattamenti di cassa integrazione salariale in deroga ai datori di lavoro del settore privato, ivi inclusi quelli agricoli, della pesca e del terzo settore compresi gli enti religiosi civilmente riconosciuti (esclusi soltanto i datori di lavoro domestico), per i quali non trovino applicazione le tutele previste dalle vigenti disposizioni in materia di sospensione o riduzione di orario.

La CIGD per l’emergenza COVID-19 sarà riconosciuta per la durata della sospensione del rapporto di lavoro, sino ad un massimo di 9 settimane, utilizzabili dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020, limitatamente ai dipendenti già in forza al 23 febbraio 2020.

Per i datori di lavoro che occupano più di 5 dipendenti, l’accesso a tale ammortizzatore è subordinato alla conclusione di un accordo, anche in via telematica, con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.




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