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venerdì 28 ottobre 2016
Giovani e lavoro: competenze non in linea con le qualifiche
I giovani italiani non trovano lavoro perché non hanno competenze adeguate, secondo una ricerca condotta da Università Bocconi e J.P. Morgan evidenzia le problematiche del mercato del lavoro italiano. Poco spazio ai laureati in materie scientifiche, che risultano essere troppo qualificati rispetto al tessuto produttivo italiano. Lo studio: «Competenze non in linea con le qualifiche». Difficile la transizione tra scuola e lavoro. E per il 30% dei laureati scientifici non ci sono posti abbastanza qualificati
Una conferma: il mercato del lavoro italiano registra fortissime disuguaglianze in termini di età, genere, area geografica e titolo di studio. E una sorpresa: ciò che penalizza di più, nella ricerca di un impiego, è il dato anagrafico. Insieme alla mancanza delle competenze specifiche richieste dai datori di lavoro, che a volte sono carenti, ma, più spesso, «eccessive». Sono i risultati della prima edizione dello studio «Employment, Skills and Productivity in Italy», realizzato dall'Università Bocconi di Milano, nell'ambito del progetto «New Skills at Work» di J.P. Morgan, presentati giovedì a Milano, nell'ateneo di via Sarfatti, alla presenza del sottosegretario alla Presidenza del consiglio dei ministri, Tommaso Nannicini e del presidente dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, Maurizio Del Conte.
Nel 2015 - è la sintesi - il profilo più avvantaggiato (maschio, 40-44 anni, residente al Nord, laureato) aveva il 50,3% di possibilità di lavorare in più rispetto al profilo più svantaggiato (donna, 20-24 anni, residente al Sud, con licenza media o titolo inferiore). L'età pesa per il 56% della differenza e i dati suggeriscono la necessità di politiche rivolte ai più giovani. Perché i ragazzi italiani tra i 15 e i 24 anni costituiscono il 6,5% della forza lavoro, ma ben il 20,3% dei disoccupati di lungo periodo, mentre la differenza tra i tassi di disoccupazione dei giovani e degli adulti, tra il 2007 e il 2015, è salita dal 14% al 31%.
A risultare particolarmente critica (e a spiegare, in parte, il mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro) è la mancata corrispondenza tra quello che si impara a scuola e le richieste del mercato del lavoro. I titoli rilasciati, poi, risultano «poco informativi» delle effettive competenze dei diplomati e dei laureati. Se si guarda la corrispondenza tra qualifica e posizione, la percentuale di lavoratori in posizioni non in linea con il loro titolo di studio è molto alta. Ma la discrepanza si riduce se, anziché le qualifiche, si prendono in esame le competenze: in questo caso il 76% dei «sovraqualificati» e il 79% dei «sottoqualificati» ricopre una posizione consona. E la percentuale di effettivi «over-skilled» (14%) e «under-skilled» (9%) risulta' in linea con il resto del mondo.
Anche depurato dell'equivoco di fondo, il dato resta però problematico: l'over-skilling è maggiormente diffuso tra i laureati (19,6%) e raggiunge una percentuale altissima (30%) tra i laureati in materie scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche, perché la struttura produttiva italiana, a causa della concentrazione nei settori tradizionali e della larga diffusione della piccola impresa, sembra offrire soprattutto impieghi poco qualificati, che non consentono l'utilizzo e il mantenimento delle competenze. Dati sui quali la banca d'affari lavorerà per «informare i nostri futuri interventi filantropici in collaborazione con organizzazioni locali per sostenere la realizzazione di programmi di formazione professionale di alta qualità che possano contribuire a ridurre l’elevata disoccupazione», ha dichiarato Guido Nola, senior country officer di J.P. Morgan Italia.
Il progetto di ricerca triennale, varato nel 2013, è parte di un programma globale, del valore di 250 milioni di dollari, promosso da J.P. Morgan in Europa per contrastare la disoccupazione, migliorare la struttura del mercato e sviluppare una forza lavoro competente e capace di rispondere alle esigenze attuali e future del mercato del lavoro.
L'over-skilling è maggiormente diffuso tra i laureati (19,6%) e raggiunge una percentuale altissima, pari al 30%, tra i laureati in materie scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche a causa dell'inadeguatezza della struttura produttiva italiana, costituita da piccole e medie imprese a basso valore aggiunto e che per questo motivo offre impieghi poco qualificati e poco adatti a questo tipo di laureati.
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