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giovedì 26 marzo 2020

Assenza dal lavoro per emergenza covid 19: cosa dice la legge



Le misure di sicurezza legate al timore di contagio da Coronavirus si ripercuotono sulla vita lavorativa di dipendenti di uffici e aziende, non solo nelle aree coinvolte da quarantena ma a macchia di leopardo in tutta Italia. Tra ordinanze comunali, decreti nazionali e policy aziendali, I Consulenti del Lavoro fanno chiarezza sulla corretta gestione delle assenze in ufficio.

Il Dpcm detta particolari disposizioni per la gestione delle assenze dei lavoratori in azienda. In particolare, il governo ha specificato che i datori di lavoro devono far fruire ai propri dipendenti di tutti i periodi di congedo e di ferie, laddove non sia possibile applicare lo smart working.
Nello specifico, il lavoro agile può essere applicato dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti. In termini operativi è necessario:

fornire in modalità telematica (email, Pec, ecc.), al dipendente e ai rappresentati dei lavoratori per la sicurezza, l’informativa sulla sicurezza prevista dall’art. 22 della L. n. 81/2017;

depositare la comunicazione obbligatoria sul portale entro 5 giorni dall’avvio della prestazione di lavoro agile, intesa quale trasformazione del rapporto di lavoro.

Il decreto legge “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”, del 23 febbraio ha creato non pochi dubbi tra i datori di lavoro, s cui CdL cercano di rispondere:

il  lavoratore in quarantena va retribuito?

ci si può assentare per timore di contagio?

come regolarsi con le trasferte?

Assenza dal lavoro per ordinanza

La prima tipologia di assenza che potrebbe verificarsi è quella dettata dalla pubblica autorità, che impedisce ai lavoratori di uscire di casa. In tal caso, chiaramente, il lavoratore non può recarsi al lavoro perché imposto direttamente da un’autorità pubblica, quindi indipendente dalla volontà dei lavoratori. La retribuzione, in tale fattispecie, è comunque garantita.
L’impossibilità di recarsi al lavoro per cause indipendenti dalla volontà del lavoratore comporta la retribuzione regolare per il lavoratore.

In alternativa all’assenza, il datore di lavoro potrebbe disporre l’opportunità per i propri dipendenti – laddove possibile – di poter lavorare da casa in modalità “smart working”. Sul punto, il Ministero del Lavoro ha già fatto sapere che non serve alcun accordo individuale tra le parti per avviare la tale tipologia di lavoro.

È uno dei casi per i quali è stato chiesto un provvedimento di cassa integrazione ordinaria se l’assenza diventa prolungata.

Un’alternativa può essere la convenzione di accordi one-to-one di smart working (ai sensi della l. n. 81/2017) fra azienda e lavoratore, che di norma richiede una comunicazione del datore di lavoro sul portale del Ministero del Lavoro. In base al Decreto Coronavirus per contenere il contagio nei comuni delle regioni Lombardia e Veneto, non sarà necessario il preventivo accordo scritto fra le parti.

Tra le possibili misure di contrasto alla potenziale diffusione del Coronavirus rientra anche la sospensione delle attività lavorative:

per le imprese e/o i lavoratori residenti nel comune o area interessata da focolai. Anche in questi casi permane ovviamente il diritto alla retribuzione anche se le attività sono di fatto sospese. Ed anche in questo caso è giustificato il ricorso alla Cig, come annunciato dal Ministro del Lavoro.

Quarantena obbligatoria
I lavoratori posti in osservazione perchè manifestano sintomi riconducibili al virus non possono ovviamente recarsi al lavoro. La gestione del caso è demandata al CCNL applicato, assimilabile ad un ricovero per altre patologie o interventi. La sua assenza sarà trattata come astensione dal lavoro per malattia, con le conseguenze del caso in materia di tutela della salute e conservazione del posto di lavoro.

Naturalmente l’assenza del lavoratore deve essere disciplinata secondo le previsioni, di legge e contrattuali, che riguardano l’assenza per malattia; con le conseguenti tutele per la salute e la garanzia del posto di lavoro.

Quarantena volontaria
Gli individui che hanno fatto ingresso in Italia da zone a rischio epidemiologico devono comunicare tale circostanza all’ASL, che provvede a comunicarlo all’autorità competente per l’adozione della misura di permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva. Tale scelta (quarantena volontaria) è motivata dal possibile contatto con soggetti a rischio e può dunque rappresentare un comportamento prudenziale rispondente alle prescrizioni della normativa d’urgenza, disciplinato come le astensioni obbligatorie.

E se il lavoratore è assente per quarantena volontaria? Siccome si tratta di un comportamento di oggettiva prudenza l’assenza è considerata alla stregua dell’astensione lavorativa obbligate dal provvedimento amministrativo.

Il lavoratore può cioè decidere di adottare un comportamento di quarantena “volontaria”:
a causa delle prescrizioni dell’autorità pubblica
oppure perchè è entrato in contatto con soggetti ricadenti nelle condizioni previste
Pertanto il “comportamento di oggettiva prudenza” è considerato al pari delle astensioni dalla prestazione lavorativa obbligate dal provvedimento amministrativo.

Assenti per paura di contagio
Si tratta dell’unico caso in cui l’assenza dal luogo di lavoro è ingiustificata, tanto che possono adottarsi provvedimenti disciplinari fino anche al  licenziamento.

Infine, potrebbe verificarsi il caso di lavoratori che non si recano a lavoro per paura di essere contagiati dal Coronavirus, pur non sussistendo provvedimenti di Pubbliche Autorità che impediscano la libera circolazione.
Ebbene, in tali casi, si tratta di una assenza autodeterminata poiché dettata dal semplice timore di essere contagiati.
Quindi, dall’assenza ingiustificata dal luogo di lavoro possono determinarsi provvedimenti disciplinari che possono portare anche all’espulsione del lavoratore dall’azienda.



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