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martedì 30 settembre 2014
Il trucco sugli 80 euro in busta paga
Una maggiore retribuzione a discapito di una quota di pensione inferiore. Innanzitutto le coperture per tagliare l’Irpef di 80 euro sui redditi più bassi da maggio almeno per il 2014 non sono affatto strutturali (cioè non ci sono tutti i risparmi di spesa necessari
Il datore di lavoro potrà decidere di prelevare il bonus dai contributi previdenziali dei dipendenti: poi lo Stato ripianerà lo sbilancio. Ma per ora non ci sono certezze.
Avere 80 euro in più in busta paga per almeno otto mesi è un bonus che giustifica una pensione più povera? I circa dieci milioni di lavoratori dipendenti che percepiranno la «mancia» del governo Renzi dovrebbero porsi anche questa domanda.
Il taglio del cuneo fiscale, infatti, può trasformarsi in una fastidiosissima partita di giro: si spende oggi per risparmiare domani.
Ma proprio su un capitolo decisivo come quello previdenziale. Il perché è presto spiegato. Il decreto varato dal Consiglio dei ministri, prevede che il tanto ambito bonus di 80 euro sia un «credito» e non una «detrazione». Le parole, in questo caso, sono importanti perché indicano che è compito del datore di lavoro (che in gergo fiscale si chiama «sostituto di imposta») individuare l'area nella quale effettuare il prelievo degli 80 euro da aggiungere alla busta paga.
La norma concede uno spazio di manovra abbastanza largo. Se, infatti, le ritenute Irpef non fossero sufficienti a reperire l'ammontare del bonus, il datore di lavoro potrà «estrapolare» i soldi dai contributi previdenziali, cioè dalla somma che in busta paga viene trattenuta dal reddito lordo e versata all'ente previdenziale (nella maggior parte dei casi l'Inps) per costruire la futura pensione.
Si tratta del dispositivo che era stato studiato anche per il bonus da destinare a incapienti (coloro che hanno un reddito annuo lordo inferiore a 8mila euro e pertanto non pagano tasse, ma i contributi previdenziali li versano ugualmente) e lavoratori autonomi. Con un taglio di 3-4 punti dell'aliquota contributiva gli 80 euro sarebbero pressoché garantiti, ma che ne sarebbe delle pensioni? Le vecchie bozze prevedevano una semplice comunicazione all'Agenzia delle entrate che successivamente avrebbe dovuto provvedere, a sua volta, a notificare la situazione all'Inps o a un altro ente. Questi ultimi constatano solamente che manca all'appello parte dei contributi della posizione del lavoratore. Allo Stato toccherà poi farsi carico di sanare lo sbilancio versando la parte residua.
La difficile situazione patrimoniale dell’INPS è stata soprattutto generata dall'assorbimento dell'Inpdap, il vecchio ente previdenziale dei dipendenti pubblici. Negli anni scorsi lo Stato dichiarava di aver versato i contributi dei propri dipendenti senza, in realtà, provvedervi. Nell'imminenza dell'ingresso nell'euro, quei soldi furono trasformati in anticipazioni di cassa. I contributi «figurativi» si sono così trasformati in un pozzo senza fondo che hanno determinato 25 miliardi di passivo al cui ripianamento contribuiscono i lavoratori parasubordinati cui si chiede sempre un aumento dei versamenti.
Ora se si guarda bene a quegli 80 euro, il rischio non è soltanto quello di una pensione a cui potrebbe mancare qualche «pezzo» ma specialmente quello di vedere che lo Stato prende con una mano ciò che dà con l'altra, ovvero un aumento delle aliquote contributive che generalmente rappresenta il modo più veloce per gestire eventuali «crisi».
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