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lunedì 30 marzo 2020

Emergenza sanitaria come si accede alla cassa integrazione



Non è necessaria l’intesa con i sindacati. Gli ammortizzatori sociali si possono attivare anche se preventivamente non sono state fruite le ferie.

Da oggi 30 marzo potranno essere inoltrate le domande per la cassa integrazione dei lavoratori. Il pagamento potrà essere anticipato dal datore di lavoro. Con la circolare n. 47 pubblicata ieri dall’Inps, le aziende possono iniziare a presentare le domande per dare copertura economica ai lavoratori che, a causa dell’emergenza Coronavirus, sono fermi e non stanno lavorando.

La domanda deve essere trasmessa all’Inps utilizzando la causale “Covid-19 nazionale”. Il periodo va dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020, per una durata massima di 9 settimane. La Cigo può essere chiesta anche se è stato consumato il plafond “ordinario”.

Le imprese che hanno già in corso un’autorizzazione Cigo o assegno ordinario o hanno presentato domanda possono richiedere l’ammortizzatore con causale «Covid-19 nazionale” anche per periodi già autorizzati o per quelli di oggetto di domande già presentate e non ancora definite.

Le aziende che rientrano nel campo di applicazione dei fondi bilaterali alternativi (come ad esempio il settore artigiano) devono presentare domanda di accesso all’assegno ordinario con la nuova causale «emergenza Covid-19» al relativo fondo. I fondi devono erogare la prestazione indipendentemente dal fatto che l’azienda sia in regola con il versamento della contribuzione e pertanto non possono subordinare la prestazione al pagamento degli arretrati.

Per accedere alla cassa integrazione in deroga è sufficiente un’informativa. La tutela scatta anche per i lavoratori assunti dopo il 23 febbraio 2020 a seguito di cambio appalto. Questi i principali chiarimenti Inps contenuti nella circolare 47/2020 che fornisce le istruzioni operative alle aziende per richiedere la cassa integrazione prevista dal Dl 18/2020.

La domanda deve essere trasmessa all’Inps utilizzando la causale «Covid-19 nazionale» per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020, per una durata massima di 9 settimane. La Cigo può essere chiesta anche se è stato consumato il plafond «ordinario».

Secondo l’Inps le aziende che trasmettono domanda sono dispensate dall’osservanza della procedura sindacale, fermo restando l’informazione, la consultazione e l’esame congiunto che devono essere svolti anche in via telematica entro i tre giorni successivi a quello della comunicazione preventiva. Peraltro la circolare spiega che si tratta di un atto interno e quindi non deve essere data comunicazione all’Inps che potrà, in ogni caso, procedere all’autorizzazione.

L’azienda può anticipare le prestazioni e conguagliare gli importi successivamente nel modello F24. Tuttavia, in considerazione dell’emergenza è data la possibilità di richiedere il pagamento diretto ai lavoratori da parte dell’Inps.

È confermato inoltre che per le unità produttive situate nelle ex zone rossa e gialla possono richiedere il doppio periodo di cassa integrazione: quello previsto dal Dl 9/2020 in aggiunta alle nove settimane del Dl 18/2020.

Le imprese che hanno già in corso un’autorizzazione Cigo o assegno ordinario o hanno presentato domanda possono richiedere l’ammortizzatore con causale «Covid-19 nazionale” anche per periodi già autorizzati o per quelli di oggetto di domande già presentate e non ancora definite.

Le aziende che rientrano nel campo di applicazione dei fondi bilaterali alternativi (come ad esempio il settore artigiano) devono presentare domanda di accesso all’assegno ordinario con la nuova causale «emergenza Covid-19» al relativo fondo. I fondi devono erogare la prestazione indipendentemente dal fatto che l’azienda sia in regola con il versamento della contribuzione e pertanto non possono subordinare la prestazione al pagamento degli arretrati.

Possono ottenere la cassa in deroga i datori di lavoro che non hanno nel loro inquadramento previdenziale la tutela alla Cigo, al fondo integrazione salariale (Fis) o ai fondi bilaterali. Ne deriva che potranno accedere alla prestazione anche le aziende che hanno la sola tutela Cigs come quelle della grande distribuzione organizzata e le agenzie di viaggio e turismo sopra i 50 dipendenti. Anche in questo caso, la circolare spiega che le nove settimane sono aggiuntive ai periodi di cassa integrazione già individuati dal Dl 9/2020.

Quanto all’accordo sindacale, è sufficiente una informativa al sindacato e una eventuale consultazione che si deve esaurire entro tre giorni; in ogni caso questo atto non è vincolate ai fini del procedimento. Il problema ora è rendere compatibile questa posizione con gli accordi quadro delle Regioni che invece sono molto più vincolanti.

Per i datori di lavoro con unità produttive in cinque o più regioni la prestazione sarà concessa con decreto del ministero del Lavoro che però potrà richiedere fino a trenta giorni. A seguito del decreto ministeriale, scatta un’altra autorizzazione dell’Inps. Poi le aziende dovranno inoltrare all’Istituto la documentazione per la liquidazione dei pagamenti. Ora il problema si sposta sui tempi che occorrono per svolgere tutte queste attività.



venerdì 27 marzo 2020

Domanda bonus 600 euro procedura INPS semplificata



I lavoratori italiani potranno richiedere l’indennità da 600 euro prevista dal decreto Cura Italia per alcune categorie (a partire dagli autonomi) che risentono, a livello economico, dell’emergenza Coronavirus. Vediamo chi può richiedere il bonus e come funzionerà anche il voucher baby sitter, su cui l’Inps ha fornito alcune indicazioni. Non ci saranno, per accedere, requisiti economici specifici, fatta eccezione per il settore del turismo per il quale si deve dimostrare l’effettivo danno economico. Per tutti gli altri, invece, “è una sorta di reddito di cittadinanza universale”, esteso agli autonomi in considerazione dell’attuale situazione.

Per la richiesta dell'indennità di 600 euro e del bonus baby sitting, l'INPS rilascia una procedura di domanda semplificata: basta la sola prima parte del PIN dispositivo, che si ottiene subito online.

Il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Cura Italia) prevede che sia l’INPS ad erogare le prestazioni a sostegno di famiglie, lavoratori e imprese individuali, attraverso modalità di richiesta esclusivamente telematica. Come noto, l’accesso ai servizi online dell’INPS può avvenire attraverso il ricorso a specifiche credenziali:

PIN dispositivo INPS;

SPID di livello 2 o superiore;

Carta di Identità Elettronica 3.0 (CIE);

Carta Nazionale dei Servizi (CNS).

Chi è già in possesso di una di queste credenziali può utilizzarle per inoltrare la domanda di prestazione. Tuttavia, per venire in aiuto dei cittadini senza credenziali o con difficoltà nella presentazione delle istanze, l’INPS comunica di:

semplificare la modalità di compilazione e invio online per alcune delle domande di prestazione per l’emergenza Coronavirus (ex D.L. n. 18/2020);

apprestare una nuova procedura di rilascio diretto del PIN dispositivo tramite riconoscimento a distanza.

Modalità semplificata di compilazione e invio online

Questa modalità semplificata è consentito con esclusivo riferimento alle seguenti domande di prestazione per emergenza Coronavirus di cui al D.L. n. 18/2020:

1. indennità professionisti e lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa;
2. indennità lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali dell’AGO;
3. indennità lavoratori stagionali del turismo e degli stabilimenti termali;
4. indennità lavoratori del settore agricolo;
5. indennità lavoratori dello spettacolo;
6. bonus per i servizi di baby-sitting.

La modalità semplificata consente ai cittadini di compilare e inviare le specifiche domande di servizio, previo inserimento della sola prima parte del PIN INPS, ricevuto via SMS o e-mail, dopo averlo richiesto tramite portale o Contact Center.

La richiesta del PIN può essere effettuata attraverso i seguenti canali:

sito internet www.inps.it, tramite servizio “Richiesta PIN”;

Contact Center, dal numero verde 803 164 (gratuito da rete fissa), oppure 06 164164 (a pagamento da rete mobile).

Una volta ricevute (via SMS o email) le prime otto cifre del PIN, il cittadino le può subito utilizzare per la compilazione e l’invio della domanda di bonus da 600 euro o per i voucher baby sitting.

Se entro 12 ore dalla richiesta non si riceve la prima parte del PIN, bisogna chiamare il Contact Center per la validazione della richiesta.

Con riferimento alla sola prestazione “bonus per i servizi di baby-sitting” richiesto con PIN semplificato, la seconda parte del PIN è comunque poi necessario per la registrazione sulla piattaforma Libretto di Famiglia e l’appropriazione telematica del bonus (cfr. paragrafo n. 5, circolare n. 44 del 24 marzo 2020).

PIN dispositivo con riconoscimento a distanza

A breve, l’INPS permetterà il rilascio del PIN dispositivo anche tramite una nuova procedura di riconoscimento a distanza, gestita dal Contact Center, così da non dover aspettare la seconda parte del PIN inviata di norma per posta. Con un successivo messaggio saranno forniti ulteriori dettagli operativi e la data di avvio del servizio.

Al bonus possono accedere i lavoratori privati e pubblici, ma anche gli autonomi non iscritti all’INPS, ma a casse previdenziali professionali. L’importo non aumenta in caso di più figli. L’istituto di previdenza renderà poi nota “la tempistica di rilascio della procedura per l’acquisizione delle domande di bonus da parte dei cittadini e per il tramite degli intermediari abilitati. L’Inps precisa che le domande arrivate dopo il superamento dei limiti di spesa saranno messe in stand by e potranno essere accolte solo nel caso di stanziamento di ulteriori risorse”.




martedì 30 aprile 2019

Assegni familiari, domande via web



Domanda di assegni familiari online: con la circolare 45 del 2019 l’INPS ha introdotto una piccola rivoluzione in ambito di ANF. Dal 1° aprile 2019 infatti la domanda di assegno per il nucleo familiare non può più essere presentata in modalità cartacea al datore di lavoro, ma direttamente all’INPS in modalità telematica.

Si tratta di una novità di assoluto rilievo, dato che la domanda cartacea di assegni familiari, viene superata da una più snella domanda telematica da presentare online o tramite patronato. Ma andiamo con ordine e vediamo cosa prevede la circolare INPS 45/2019 partendo dalla disciplina di riferimento per passare poi alle indicazioni operative per lavoratori e datori di lavoro.

Entro fine giugno chi ne usufruirà, dovrà presentare la domanda per l’assegno al nucleo familiare, ma stavolta non potrà farlo riempiendo un modulo cartaceo in azienda, come è avvenuto finora. Le uniche possibilità per continuare a percepire in busta paga la somma, legata a reddito e numerosità della famiglia, sono munirsi di credenziali dell’istituto con Pin dispositivo (o di Spid) e accedere alla procedura sul sito, oppure in alternativa rivolgersi a un patronato.

A decorrere dal 1° aprile 2019, la domanda di Assegno per il Nucleo Familiare dei dipendenti privati di aziende non agricole deve essere presentata direttamente all’INPS esclusivamente in modalità telematica.

La domanda di Assegno per il Nucleo Familiare deve essere presentata dal lavoratore all’INPS attraverso il servizio online dedicato o tramite i servizi telematici offerti dagli enti di patronato.

Nei casi previsti dalle disposizioni vigenti è necessario inoltrare anche la domanda di Autorizzazione ANF all’Istituto.

La domanda di Assegno per il Nucleo Familiare da parte dei lavoratori agricoli a tempo indeterminato (OTI) deve essere presentata al datore di lavoro con il modello ANF/DIP (SR16) cartaceo. Nei casi previsti dalle disposizioni vigenti è necessario allegare alla stessa l’Autorizzazione ANF (ANF43) rilasciata dall’Istituto.

Modalità di presentazione della domanda per lavoratori di ditte cessate e fallite

In caso di domanda di Assegno per il Nucleo Familiare da parte di lavoratori di ditte cessate o fallite, la prestazione familiare viene erogata direttamente dall’Istituto.

La relativa domanda telematica (cfr. la circolare INPS 30 ottobre 2014, n. 136) deve essere presentata all’Istituto, nel limite della prescrizione quinquennale, attraverso il servizio online dedicato.

In alternativa, si può fare la domanda tramite:

Contact center al numero 803 164 (gratuito da rete fissa) oppure 06 164 164 da rete mobile;
enti di patronato attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.

Domanda di Autorizzazione all’Assegno per il Nucleo Familiare

La domanda di Autorizzazione ANF deve essere presentata attraverso la procedura telematica, corredata della prevista documentazione, nei seguenti casi:

nel caso in cui venga richiesta l’inclusione di determinati familiari nel nucleo (fratelli, sorelle, figli di separati o divorziati, sciolti da unioni civili, figli naturali, familiari residenti all’estero, etc.);
nei casi di possibile duplicazione del pagamento (figli di genitori separati/divorziati o sciolti da unione civile, figli naturali, etc.);

per applicare l’aumento dei livelli reddituali (familiari minorenni con difficoltà a compiere le funzioni proprie della loro età o maggiorenni con inabilità assoluta e permanente a svolgere proficuo lavoro).

Sono tre le motivazioni che hanno spinto l’ Ente di previdenza a questo importante mutamento: le prime due sono a tutela del lavoratore, mentre la terza nasce dai casi di abuso o uso scorretto dello strumento. L’Anf infatti, come ricorda l’istituto nella sua circolare, è una prestazione che spetta per legge al dipendente anche se erogata insieme allo stipendio dal datore di lavoro, indipendentemente quindi da eventuali errori o omissioni di quest’ultimo. Con la nuova procedura l’Inps determinerà gli importi teorici mentre l’azienda, prima di inserirli in busta paga, si limiterà a “parametrarli” al contratto applicato e all’effettivo orario di lavoro, riservandosi poi di recuperare le somme dall’Inps attraverso il consueto scambio di flussi con l’istituto. Su questo versante quindi i lavoratori saranno maggiormente tutelati.

E anche le esigenze di salvaguardia della privacy su dati sensibili potranno avere una salvaguardia più efficace. Allo stesso tempo però l’Inps, ricevendo direttamente le domande dei lavoratori, avrà la possibilità di controllarne in modo più facile la veridicità, attraverso l’incrocio con i dati già in proprio possesso ed anche con quelli di Comuni e Agenzia delle Entrate. Verranno quindi individuate con più facilità situazioni irregolari. Uno dei casi è quello dei genitori che presentano entrambi la domanda per lo stesso nucleo, ma ci sono anche le attestazioni non veritiere o non aggiornate sulla composizione della famiglia o sui redditi da capitale che vanno conteggiati insieme a quelli Irpef. Resta il fatto che i dipendenti interessati per poter percepire l’assegno da luglio dovranno ricordarsi per tempo di provvedere, attrezzandosi per farlo direttamente oppure affidandosi ai CAF.





domenica 14 aprile 2019

Riscatto laurea agevolato: come fare domanda



L’agevolazione riguarda infatti gli anni di corso dal 1996, periodo di competenza del metodo contributivo, una condizione ben più stringente rispetto al limite di età dei 45 anni che verrà cancellato in caso di approvazione del testo da parte del Parlamento: il riscatto della laurea è agevolato, infatti, solo per gli anni di corso dal 1996 in poi.

Questo non significa che non si possano riscattare gli anni precedenti, ma chiaramente il costo sarà ben più alto. E non significa neanche che al riscatto agevolato possano accedere solo coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1996 in avanti.

Prendiamo il caso di un 50enne, diplomato nel 1988: se ha iniziato l’università nel 1989, concludendola nel 1993, non potrà beneficiare del riscatto agevolato, perché si è laureato “troppo presto”. Potrà ovviamente seguire la strada standard del riscatto. Prendiamo invece un 45enne: nato nel 1974 potrà sì riscattare gli anni di corso a un costo agevolato, ma solo per gli anni dal 1996 in poi solo 2 anni o poco più. Per gli altri anni - precedenti al 1996 - potrà decidere di riscattarli a un costo però più elevato. Si ricorda che il riscatto può essere anche parziale e non riguardare tutti gli anni di studio.

Di fatto la nuova misura del riscatto della laurea può essere pienamente goduta per chi è nato dal 1977 in avanti e si è iscritto all’università proprio nel 1996. Beneficio pieno dunque per tutti gli under 42enni.

La nuova facoltà di riscatto agevolato, ai fini previdenziali, dei periodi non coperti da contribuzione è stata introdotta in via sperimentale dall’articolo 20 del Decreto-legge n. 4/2019 recante “Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni”. Con la circolare n. 36/2019 l’INPS ha fornito indicazioni circa le modalità applicative della disciplina del nuovo istituto del riscatto di periodi non coperti da contribuzione e del diverso criterio di calcolo dell’onere di riscatto del diploma di laurea o titolo equiparato (comma 6, articolo 20 del Dl n. 4 /2019), da valutare nel sistema contributivo.

Da sottolineare che la legge di conversione n. 26/2019, ha eliminato la soglia dell’età anagrafica dei 45 anni per essere ammessi alle nuove modalità di calcolo dunque, a partire dal 30 marzo 2019, è possibile accedere al riscatto di laurea agevolato indipendentemente dall’età anagrafica del richiedente, a condizione che siano soddisfatti gli ulteriori requisiti richiesti dalla normativa.

Il decreto legge n. 4/2019 è entrato in vigore il 29 gennaio 2019 e con esso i nuovi istituti per il riscatto agevolato della laurea e dei periodi non coperti da contribuzione che si aggiungono a quelli già previsti dalla disciplina vigente. Le domande di riscatto di laurea agevolato possono riguardare solo il corso legale universitario di studi (non i periodi fuori corso), a patto che l’interessato abbia conseguito il titolo di studio, e devono essere presentate con le stesse modalità previste per il normale riscatto di laurea e dei periodi non lavorati.

La domanda di riscatto si presenta online all’INPS attraverso il servizio dedicato.

Il pagamento dell’onere si effettua utilizzando gli appositi bollettini MAV che lo stesso INPS invierà con il provvedimento di accoglimento. Comunicando il numero della pratica e il codice fiscale è possibile pagare rivolgendosi ai soggetti aderenti al circuito “Reti Amiche” o utilizzando il sistema pagoPA con la modalità “Pagamento online” tramite carta di Credito, debito, prepagata, addebito in conto, oppure con la modalità “Avviso di Pagamento pagoPA”, stampando l’avviso di pagamento contenente il codice IUV (Identificativo Unico del Versamento) e recandosi in uno dei PSP (Prestatori di Servizio di Pagamento), sportelli bancari, istituti di pagamento ed esercenti, aderenti al circuito di pagoPA.

È possibile inoltre scegliere il pagamento rateale, anche mediante addebito diretto sul conto, compilando il modello SDD in cui indicare l’opzione a importo fisso predefinito. Attenzione però, questa opzione implica la rinuncia al diritto di rimborso dell’addebito entro le otto settimane (decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11). L’addebito automatico può essere revocato dal contribuente in qualunque momento, con comunicazione tempestiva all’agenzia bancaria o all’ufficio postale. Le restanti rate potranno essere pagate con le altre modalità di pagamento.

Come calcolare l’onere di riscatto
Per quanto concerne in particolare il riscatto dei corsi universitari di studi per periodi che si collocano nel sistema contributivo l’onere dei periodi di riscatto si traduce in:

Un contributo, per ogni anno riscattare, pari al livello minimo imponibile annuo di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 2 agosto 1990, n. 233, moltiplicato per l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche dell’assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti, vigenti alla data di presentazione della domanda.

Tradotto: l’onere di riscatto va calcolato prendendo come riferimento il minimale degli artigiani e commercianti, vigente utilizzando l’aliquota per il computo delle prestazioni pensionistiche nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti (FPLD), entrambi vigenti nell’anno di presentazione della domanda. L’importo retributivo di riferimento è rapportato al periodo oggetto di riscatto ed è attribuito temporalmente e proporzionalmente ai periodi medesimi. Il contributo è rivalutato secondo le regole del sistema contributivo, con riferimento alla data della domanda.

Si tratta di una modalità di calcolo alternativa a quelle precedentemente già in vigore. L’interessato, a patto di possedere i requisiti richiesti, potrà dunque optare per la modalità di calcolo a lui più conveniente, ovvero è possibile richiedere che l’onere di riscatto dei periodi da valutare nel sistema contributivo sia quantificato in base a quanto previsto dalla legge.

Per quanto riguarda la nuova modalità di calcolo, introdotta questa opzione è esercitabile solo per le domande presentate successivamente al 29 gennaio 2019, data di entrata in vigore della disposizione.

Casi di esclusione

in caso di riscatto del corso di studi già definito con l’integrale pagamento dell’onere dovuto, non si può chiedere la rideterminazione dell’onere in base ad una modalità alternativa;

se è iniziato il pagamento rateale, si potrà interrompere lo stesso, ottenere l’accredito del periodo corrispondente alla quota versata del capitale come già determinato e presentare – per il periodo del corso di studi residuo – nuova domanda di riscatto il cui onere potrà essere determinato, a richiesta, con il criterio alternativo;

in caso di riscatto non ancora perfezionato con l’accettazione dell’onere si potrà ritirare la domanda in questione e proporne una successiva. Attenzione però, il calcolo dell’onere terrà conto della nuova data di presentazione della domanda.



martedì 26 marzo 2019

Inps sulle pensioni: ecco a chi sarà tagliato l’assegno



Con la circolare n.44 del 2019, l’INPS ha illustrato i criteri e le modalità̀ di rivalutazione delle pensioni per l’anno 2019 in applicazione delle novità introdotte dalla Legge di bilancio 2019. L’Istituto dettaglia anche quali sono i trattamenti che restano esclusi dal meccanismo di perequazione e specifica la misura da applicare, diversificata in base alla misura della prestazione spettante.

Novità in arrivo per 5,6 milioni di pensioni: dal 1° aprile gli assegni superiori a tre volte l’importo minimo (oltre i 1.522, 26 euro al mese) saranno ricalcolati per applicare quanto previsto dalla legge di Bilancio, che ha introdotto un meccanismo di adeguamento all'inflazione meno generoso rispetto al passato (legge 388/2000) per gli assegni più alti. Lo chiarisce l’Inps in una circolare appena pubblicata (44/2019). L’Istituto di previdenza precisa anche che per circa 2,6 milioni delle posizioni interessate, la riduzione media mensile dell'importo lordo sarà di 28 centesimi.

Vediamo cosa prevede la legge di Bilancio: per le pensioni fino a tre volte il minimo l’adeguamento all'inflazione è piena al 100%, mentre per tutti gli altri assegni la rivalutazione è compresa tra un massimo del 97% e un minimo del 40 per cento. Il 97% per le pensioni tra le tre e le quattro volte l’importo minimo (da 1.522 a 2.029 euro al mese); il 40% per quelle superiori a 4.569 euro.

La Manovra 2019 - che ha introdotto sette scaglioni per il triennio 2019-2021 - nel dettaglio prevede che per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o superiori a tre volte l’assegno minimo Inps e con riferimento all’importo complessivo la rivalutazione è:
del 97% per gli assegni tra 1.522 e 2.029 euro al mese; 

del 77% per gli assegni tra 2.029 e 2.538 euro al mese;

del 52% per gli assegni tra 2.537 e 3.046 euro al mese;

del 47% per gli assegni tra 3.046 e 4.061 euro al mese;

del 45% per gli assegni tra 4.061 e 4.569 euro al mese;

del 40% per gli assegni oltre 4.569 euro al mese.

Tutte queste percentuali vanno applicate all’inflazione che per il 2019 è stata stimata all’1,1 per cento. Di fatto, quindi, se le pensioni fino a 1.522 euro avranno un incremento dell’1,1% quelle oltre le nove volte il minimo (superiori a 4.569 euro al mese) recupereranno solo lo 0,44 per cento.

Nei prossimi mesi l’Inps chiederà il conguaglio di quanto indebitamente erogato nei primi tre mesi dell’anno (la nuova perequazione andava applicata già dal 1° gennaio, ma l’approvazione della Manovra in extremis ha reso di fatto impossibile far scattare gli adeguamenti).

A quanto ammontano i conguagli
Vediamo, con qualche esempio, a quanto potrebbero ammontare i conguagli, posto che per gli importi fino a 1.522,26 euro non ci sarà alcun “taglio”.

Una pensione di 2.300 euro (lordi) nel 2018 è passata a 2.324, 44 euro da gennaio a marzo: ad aprile scenderà a 2.319, 48 euro per effetto delle novità previste dalla legge di Bilancio 2019. L’importo da “restituire” sarà di circa 5 euro al mese, 15 euro per il trimestre gennaio-marzo 2019.

Una pensione di 2.800 euro (lordi) nel 2018 è passata a 2.828,96 euro da gennaio a marzo: ad aprile si abbasserà a 2.816, 02 euro. L’importo da “restituire” sarà di 12,94 euro al mese, 39 euro per il trimestre gennaio-marzo 2019.

Una pensione di 4.700 euro (lordi) nel 2018 è passata a 4.744,64 euro da gennaio a marzo: ad aprile scenderà a 4.720,68 euro per effetto delle novità. In questo caso l’importo complessivo da conguagliare sarà di circa 72 euro.

L’Inps in una nota precisa che «per importo complessivo lordo si intende la somma di tutte le pensioni di cui un soggetto è titolare, erogate sia dall’Inps che dagli altri enti presenti nel Casellario centrale, assoggettabili al regime della perequazione cumulata».

Non sono interessate dalla rimodulazione della perequazione i seguenti trattamenti:

le pensioni erogate alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice;

i trattamenti assistenziali e a carattere risarcitorio, quali le pensioni sociali e assegni sociali, prestazioni a favore dei mutilati, invalidi civili, ciechi civili e sordomuti;

l’indennità integrativa speciale;

le indennità e gli assegni accessori annessi alle pensioni privilegiate di prima categoria concesse agli ex dipendenti civili e militari delle amministrazioni pubbliche.

Meccanismo di perequazione

Per il periodo 2019-2021 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici è riconosciuta:
per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento;
per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS;

Le misure previste sono le seguenti:

97 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS;

77 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS;

52 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS;

47 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a otto volte il trattamento minimo INPS;

45 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a otto volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a nove volte il trattamento minimo INPS;

40 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a nove volte il trattamento minimo INPS.


giovedì 28 febbraio 2019

Reddito cittadinanza domanda online



L’Inps mette online tre moduli. Prima della firma finale, si ricorda al richiedente che il sussidio può essere ridotto se le risorse stanziate non bastano per tutti.

Il modulo di domanda per richiedere il reddito o la pensione di cittadinanza è stato pubblicato sul sito dell'Inps nell'ultimo giorno utile: il 27 febbraio, il trentesimo dall'entrata in vigore del decreto che istituisce il sussidio. In homepage non è richiamato. Ci si arriva cercando la sezione "Tutti i moduli". Mentre il sito del governo dedicato al reddito di cittadinanza ancora non lo richiama. Lo dovrà fare presto perché dal 6 marzo si parte. Le domande possono essere inoltrate online, presentate alle Poste o compilate con l'ausilio dei Caf.

In realtà si tratta di tre moduli, identificati con la sigla SR180, SR181 e SR182, la cui lettura è tutt'altro che agevole. Ciascun modulo - che si può scaricare e stampare oppure compilare via computer cliccando sulle singole caselle attivabili - è preceduta da una introduzione. Si tratta in realtà di un semplice richiamo delle norme del decretone. Questo però fa suppore che i moduli dovranno essere riscritti a breve, perché molte di quelle norme sono in via di modifica parlamentare. Il decreto scade il 28 marzo. Approvato dal Senato, ora è atteso alla Camera dove cambierà ancora. Per poi tornare a Palazzo Madama per il via libera definitivo.

Il modulo ad esempio non recepisce l'ulteriore stretta sui migranti votata dal Senato: l'obbligo per gli extracomunitari di presentare documentazione patrimoniale aggiuntiva recuperata nei paesi di origine. Come pure la norma anti-furbetti del divorzio, obbligati a certificare il cambio di residenza con il ricorso alla polizia municipale.

La domanda vera e propria è contenuta del modulo SR180. Sono 9 pagine, la compilazione inizia a pagina 5. Ma il riquadro è riservato solo ai rappresentanti legali di soggetti impediti o incapaci. Tutti gli altri vanno diritti a pagina 6 e cominciano a riempire 7 riquadri: dai dati anagrafici alla residenza e cittadinanza, dai requisiti familiari a quelli economici. Per lo più si tratta di barrare crocette.

Ma ci sono spazi da compilare più estesi. E numeri da inserire. Ad esempio, la rata mensile dell'eventuale mutuo e le rate residue da pagare. Curiosamente sembra mancare il riquadro sull'affitto, necessario però a stabilire l'entità del sussidio (il contributo all'abitazione può al massimo essere di 280 euro al mese).

Nella pagina 9 del modulo SR180 il beneficiario prende atto (con una firma finale) che vi possono essere controlli sui dati dichiarati. Che il beneficio tiene conto dei redditi percepiti e quindi può cambiare se il richiedente trova un'occupazione. Che i soldi messi sulla card devono essere spesi tutti, pena un taglio del 20% nel mese successivo. Che la non veridicità di quanto dichiarato comporta la revoca o decadenza dal reddito e anche il carcere.

Ma soprattutto che, qualora i 6 miliardi stanziati per quest'anno dovessero non bastare, il sussidio sarà ridotto. E' la clausola di salvaguardia prevista dal decreto (e dalla legge di bilancio). Chi richiede il reddito accetta quindi possibili tagli all'assegno.

Gli altri due moduli devono essere compilati solo a integrazione o correzione della domanda principale. E solo se il richiedente ha iniziato a lavorare in un periodo successivo a quello fotografato dall'Isee (modulo SR182). Oppure se, una volta incassato il reddito o la pensione di cittadinanza, sono intervenute variazioni non solo lavorative, ma anche relative alla famiglia (modulo SR181, componenti ricoverati o usciti in/da istituti di cura o di detenzione, dimissioni volontarie, mutamenti nel patrimonio finanziario o immobiliare).

Per rendere pienamente operativa la macchina del reddito di cittadinanza saranno comunque necessari almeno altri 15 atti, tra decreti attuativi, a partire da quelli su piattaforme web e monitoraggio delle spese, e intese con le Regioni, dai navigator ai Patti per il lavoro. Tutta da costruire anche la struttura dei controlli, per la quale servirà coinvolgere il Garante della Privacy e, con apposita convenzione, la Guardia di Finanza.

Alcune norme secondarie erano già previste dal testo originario del decreto, altre sono state aggiunte nel primo passaggio al Senato, a partire da quelle legate alla tutela della privacy.

Alcune non sono obbligatorie ma eventuali, come la possibilità, con decreto attuativo, di aggiungere tipologie di spese che si possono sostenere con il reddito - rispetto a quelle già previste dalla carta acquisti - o di modificare l'entità dei prelievi di contanti. O ancora le modalità per presentare la domanda assieme alla dichiarazione sostitutiva unica. Per consentire l'accesso dei cittadini alla Dsu precompilata è previsto comunque un ulteriore decreto attuativo, sentiti Inps, e Garante.



domenica 17 febbraio 2019

Congedo paternità per l'anno 2019: istruzioni e domanda



La Legge di Bilancio ha prorogato per il 2019 l’astensione obbligatoria per i lavoratori padri, prevedendo 5 giorni di congedo continuativi, da fruirsi entro i primi cinque mesi di vita del bambino (o di adozione/affidamento). Le istruzioni per la domanda sono contenute nel nuovo messaggio INPS 591/2019 ma le modalità di fruizione sono le stesse applicate negli anni scorsi, spiegate nella circolare 40/2013.

Se la prestazione è a carico diretto dell’INPS va presentata domanda all’istituto previdenziale utilizzando l’apposito servizio online, oppure tramite call center, o ancora rivolgendosi ai patronati.

Se il congedo obbligatorio di paternità viene anticipato dall’azienda, serve una comunicazione scritta al datore di lavoro (è anche possibile utilizzare eventuali strumenti telematici aziendali per la richiesta e gestione delle assenze) specificando le date di astensione, con un preavviso di almeno quindici giorni.  Se si vuole chiedere i giorni in corrispondenza della nascita, ci si baserà sulla data presunta del parto. Sarà poi il datore di lavoro ad effettuare le dovute comunicazione all’INPS, attraverso il flusso Uniemens, secondo le disposizioni fornite con il messaggio 6499/2013.

Per il settore agricolo la disciplina in merito è stata dettata con la circolare n. 181/2013, che ha fornito le istruzioni operative per la denuncia sul modello DMAG delle giornate di congedo fruite dal lavoratore il cui importo è stato anticipato dal datore di lavoro.

La manovra ha anche previsto un giorno facoltativo di congedo per i papà, che però va utilizzato in sostituzione di una giornata spettante alla madre. Anche in questo caso, le modalità di presentazione della domanda sono le stesse precedentemente previste, e contenute sempre nella circolare 40/2013: il padre allega alla richiesta che presenta al datore di lavoro una dichiarazione della madre di non fruizione di una giornata del congedo di maternità a lei spettante. Questa dichiarazione va presentata anche al datore di lavoro della madre.
Attenzione: l’INPS queste regole valgono solo per nascite, adozioni e affidamenti avvenuti nel 2019. Per eventi 2018, anche se il padre utilizza il relativo congedo nei primi mesi del 2019, si applicherà la precedente normativa, che prevede quattro giorni di congedo.

Congedo paternità 2019: cos’è
Prima di scendere in dettaglio, ricordiamo di cosa si tratta quando parliamo di congedo di paternità. Si chiama anche congedo obbligatorio per i padri lavoratori dipendenti e consiste in un periodo di astensione obbligatorio fruibile dal padre lavoratore dipendente anche adottivo e affidatario, entro e non oltre il quinto mese di vita del figlio.

Si può usufruire di questo congedo entro il quinto mese di vita:

dalla nascita, dall’adozione, dall’affido.

Congedo paternità 2019: come funziona
Il congedo obbligatorio è fruibile dal padre entro il quinto mese di vita del bambino. Si configura come un diritto autonomo e pertanto è aggiuntivo a quello della madre e spetta comunque indipendentemente dal diritto della madre al proprio congedo di maternità.

In pratica, mentre nel 2018 si aveva diritto a 4 giorni obbligatori + 1 giorno facoltativo di congedo, dal 1° gennaio 2019 al 31 gennaio 2019 si avrà diritto a:

cinque giorni di congedo obbligatorio, che possono essere goduti anche in via non continuativa, per gli eventi parto, adozione o affidamento avvenuti dal 1° gennaio 2019 e fino al 31 dicembre 2019.

un ulteriore giorno di congedo facoltativo che è possibile richiedere previa rinuncia di un giorno di congedo da parte della madre del figlio.

Congedo paternità: chi ne ha diritto
Possono fruire del congedo i padri lavoratori dipendenti, anche adottivi e affidatari, entro e non oltre il quinto mese di vita dalla nascita o dall’adozione e affidamento avvenuti a partire dal 1° gennaio 2013 e fino al 31 dicembre 2019.

Congedo paternità 2019: quanto spetta
Il padre lavoratore dipendente che usufruisce del periodo di congedo non perde nulla in termini stipendio. Ha infatti diritto, per i giorni di congedo obbligatorio e facoltativo, a un’indennità giornaliera a carico dell’Inps pari al 100% della retribuzione percepita.

Congedo paternità 2019: come chiederlo
Nei casi di pagamento diretto da parte di INPS, la domanda si presenta online all’Ente attraverso il servizio dedicato. Il menu interno al servizio si articola nelle seguenti voci:

Informazioni, pagina che descrive le prestazioni previste per le differenti categorie di lavoratori;

Manuali, pagina dalla quale è possibile consultare e scaricare i manuali d’uso della funzionalità di “acquisizione domanda” disponibili per ogni categoria di lavoratore;

Acquisizione domanda, funzionalità che consente la compilazione e l’invio della domanda per le diverse categorie di lavoratori;

Annullamento domande, funzionalità che permette di annullare la domanda inserita;

Consultazione domande, funzionalità che consente di verificare le domande inserite e inviate all’INPS.

In alternativa, si può fare la domanda tramite:
Contact center al numero 803 164 (gratuito da rete fissa) oppure 06 164 164 da rete mobile;

enti di patronato e intermediari dell’Istituto, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.

Nel caso invece di pagamento a conguaglio, per poter usufruire dei giorni di congedo il padre lavoratore dipendente deve comunicare in forma scritta al datore di lavoro le date di fruizione.

In merito alle modalità di richiesta del congedo, nell’ultimo messaggio, il numero 591 del 13 gennaio 2019, l’Istituto ha precisato che nulla cambia rispetto agli altri anni e rispetto alla precedente circolare del 2013 (circolare numero 40 del 14 marzo 2013)con cui si dettavano le modalità di domanda.

In particolare, Inps ha precisato che “Sono tenuti a presentare domanda all’Istituto solamente i lavoratori per i quali il pagamento delle indennità è erogato direttamente dall’Inps, mentre, nel caso in cui le indennità siano anticipate dal datore di lavoro, i lavoratori devono comunicare in forma scritta al proprio datore di lavoro la fruizione del congedo di cui trattasi, senza necessità di presentare domanda all’Istituto.

 In tale ultimo caso, infatti, il datore di lavoro comunica all’INPS le giornate di congedo fruite, attraverso il flusso Uniemens”.

Inoltre, rimane fermo che per le nascite e le adozioni/affidamenti avvenute nell’anno solare 2018, i padri lavoratori dipendenti hanno diritto, a quattro soli giorni di congedo obbligatorio, anche se ricadenti nei primi mesi dell’anno 2019.


martedì 29 gennaio 2019

Quota 100 si può presentare la domanda all’INPS


Da oggi è possibile presentare la domanda o telematicamente, se si ha il pin dell’INPS, o attraverso il call center o ai patronati e agli altri soggetti abilitati «alla intermediazione delle istanze di servizio. In attesa della pubblicazione della circolare illustrativa delle nuove disposizioni - si legge - con il presente messaggio si comunicano le modalità di presentazione delle relative domande di pensione».

Nuovi requisiti

Quota 100: prevista dall’articolo 14 del decreto, richiede almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi;

Pensione anticipata con 42 anni e dieci mesi di contributi (un anno in meno per le donne): l’articolo 15 del decreto ha bloccato fino al 2026 gli scatti di adeguamento alle aspettative di vita per le pensioni anticipata, che quindi nel 2019 si raggiungono con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, e con 41 anni e dieci mesi di contributi per le donne.

Opzione Donna: l’articolo 16 del decreto la estende alle lavoratrici dipendenti con almeno 58 anni e alle autonome con almeno 59 anni al 31 dicembre 2019. Resta pari a 35 anni il requisito contributivo.

Il cittadino in possesso delle credenziali di accesso (PIN rilasciato dall'Istituto, SPID o Carta nazionale dei servizi) - spiega l'Istituto - può compilare e inviare la domanda telematica di accesso alla pensione disponibile fra i servizi on line, sul sito www.inps.it, nella sezione “Domanda Pensione, Ricostituzione, Ratei, ECOCERT, APE Sociale e Beneficio precoci”. Una volta effettuato l'accesso e scelta l'opzione “Nuova domanda” nel menù di sinistra, occorre selezionare in sequenza: per la pensione c.d. quota 100: “Pensione di anzianità/vecchiaia” > “Pensione di anzianità/anticipata” > “Requisito quota 100”; per la pensione anticipata: “Pensione di anzianità/vecchiaia” > “Pensione di anzianità/anticipata” > “Ordinaria”; per la pensione anticipata c.d. opzione donna: “Pensione di anzianità/vecchiaia” > “Pensione di anzianità/anticipata” > “Contributivo sperimentale lavoratrici”.

Chi può utilizzare la procedura
La modalità di presentazione delle domande, sopra illustrata, scrive l'Istituto - è utilizzabile da parte dei lavoratori iscritti alle Gestioni private, alla Gestione pubblica e alla Gestione spettacolo e sport, anche al fine di chiedere, per la pensione quota 100, il cumulo dei periodi assicurativi. La domanda può essere presentata anche per il tramite dei Patronati e degli altri soggetti abilitati alla intermediazione delle istanze di servizio all’Inps ovvero, in alternativa, può essere presentata utilizzando i servizi del Contact center.

28 febbraio 2019: si parte con il comparto scuola
Entro il 28 febbraio 2019, il personale a tempo indeterminato della scuola può presentare domanda di cessazione dal servizio, con effetti dall'inizio dell’anno scolastico o accademico.

1° aprile 2019: diritto alla pensione per i privati
Nel comparto privato, chi ha maturato quota 100 entro il 31 dicembre 2018 ottiene il diritto alla decorrenza del trattamento dal 1° aprile 2019. Per chi matura il requisito dopo il 1° gennaio 2019 ed entro il 31 dicembre 2021 (quota 100 è al momento una misura sperimentale per il triennio 2019-2021), avrà il diritto alla pensione dopo tre mesi dalla data di raggiungimento dei requisiti. Per esempio, chi ha raggiunto quota 100 oggi, 29 gennaio, matura la pensione dal 29 aprile.

1° agosto 2019: pensione per i dipendenti pubblici
Per evitare malfunzionamenti nella macchina statale, per i dipendenti pubblici è stato previsto un diverso regime: per quelli che entro il 30 gennaio 2019 hanno maturato quota cento, conseguono il diritto al trattamento pensionistico dal 1° agosto. E la domanda di collocamento a riposo deve essere presentata alla amministrazione appartenente con un preavviso di 6 mesi. Per i dipendenti pubblici che maturano quota cento da oggi in poi e fino al 31 dicembre 2021, hanno diritto al trattamento dopo sei mesi: per esempio, chi raggiunge quota 100 il 10 marzo, matura la pensione dal 10 settembre.

Come fare domanda INPS
La domanda si può presentare utilizzando i servizi INPS online, oppure rivolgendosi a patronati e centri di assistenza fiscale (CAF), oppure chiamando il contact center INPS (803164 da telefono fisso, 06164164 da mobile).

Per chi sceglie la modalità telematica sono necessarie le credenziali di accesso (PIN  INPS, oppure SPID o carta nazionale dei servizi). Bisogna andare sulla pagina dedicata a “Domanda Pensione, Ricostituzione, Ratei, ECOCERT, APE Sociale e Beneficio precoci”, scegliere l’opzione “nuova domanda” dal menù di sinistra e poi selezionare la voce relativa alla tipologia di domanda che si presenta.

Ecco il percorso per le tre nuove opzioni.

Quota 100: “Pensione di anzianità/vecchiaia” > “Pensione di anzianità/anticipata” > “Requisito quota 100”;

Pensione anticipata: Pensione di anzianità/vecchiaia” > “Pensione di anzianità/anticipata” > “Ordinaria”;

Opzione Donna: Pensione di anzianità/vecchiaia” > “Pensione di anzianità/anticipata” > “Contributivo sperimentale lavoratrici”.

In tutti e tre i casi, bisogna selezionare il fondo e la gestione INPS di appartenenza (gestioni private, gestione pubblica e gestione spettacolo e sport).
La procedura consente anche di chiedere la quota 100 utilizzando il cumulo gratuito dei periodi assicurativi in diverse gestioni INPS.

Decorrenza pensione
Ricordiamo che in tutti e tre i casi di pensione agevolata per i quali sono aperte le procedure di domanda, sono previste finestre temporali fra la maturazione del requisito e la decorrenza della pensione.

Quota 100: ci vogliono tre mesi. Coloro che avevano già maturato il requisito allo scorso 31 dicembre, prenderanno la pensione con la quota 100 dal primo aprile 2019. Dal primo gennaio, invece, si calcolano tre mesi dal momento in cui è maturato il requisito.

Pensione anticipata: anche qui la finestra è di tre mesi. Coloro che hanno maturato il requisito dal primo gennaio al 29 gennaio (entrata in vigore del decreto), potranno avere la pensione il primo aprile 2019.

Opzione Donna: qui le finestre temporali sono più lunghe, 12 mesi dalla maturazione del requisito per le lavoratrici dipendenti e 18 mesi per le autonome.



venerdì 23 novembre 2018

Legittima l’indennità di disoccupazione anche se il lavoratore ha un con contratto a termine



Lo stato di disoccupazione normativamente rilevante ai fini del diritto all'indennità di disoccupazione non equivale alla totale mancanza di ogni attività lavorativa, ma piuttosto alla percezione di redditi di importo inferiore alla soglia minima imponibile per legge (Cassazione civile, sezione lavoro, ordinanza 17 ottobre 2018, n. 26027).

La Corte di Cassazione ha riconosciuto l’indennità di disoccupazione al lavoratore in somministrazione che perde uno dei 2 contratti che lo legano al datore somministratore, dovendosi ritenere che lo stato di disoccupazione normativamente rilevante ai fini del diritto all'indennità di disoccupazione non equivalga alla totale mancanza di ogni attività lavorativa, ma piuttosto alla percezione di redditi di importo inferiore alla soglia minima imponibile per legge.

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 17 ottobre 2018, n. 26027, ha riconosciuto il diritto all’indennità di disoccupazione per un lavoratore in somministrazione che aveva perso uno dei 2 contratti stipulati tramite agenzia, mantenendone uno. Infatti, respingendo il ricorso dell'INPS , i Supremi giudici affermano che  lo stato di disoccupazione normativamente rilevante ai fini del diritto all’indennità di disoccupazione non equivale alla totale mancanza di ogni attività lavorativa, ma piuttosto al fatto di percepire un reddito inferiore alla soglia minima imponibile per legge.

Il caso aveva ad oggetto la stipula di più contratti di somministrazione a tempo determinato, da parte di una lavoratrice rimasta poi disoccupata che aveva inoltrato richiesta di corresponsione di indennità di disoccupazione.

In primo grado, il Tribunale di Torino, in funzione di giudice del lavoro, aveva condannato l’Inps a corrispondere alla lavoratrice l’indennità di disoccupazione
L’istituto previdenziale era ricorso davanti alla Corte di appello di Torino che aveva ribadito, in linea con la decisione del giudice del lavoro, che non poteva esservi dubbio sul fatto che l’indennità di disoccupazione spettasse al lavoratore occupato contemporaneamente presso due diversi datori di lavoro che, a partire da una certa data in avanti, avesse perduto uno dei due contratti, ricadendo quindi sotto la soglia reddituale; di conseguenza aveva rigettato il ricorso prodotto dall’Inps.

A questo punto, l’Inps aveva ricorso in Cassazione rilevando che  tale decisione avrebbe male interpretato la disciplina prevista dall’ordinamento previdenziale secondo la quale l’indennità di disoccupazione è riconosciuta solo a favore di coloro che involontariamente non siano più titolari di un rapporto di lavoro, anche se non stabile e continuativo nel corso dell’anno. In altri termini, a detta del ricorrente, la scriminante per l’erogazione di suddetto istituto previdenziale era determinata dalla mancanza di lavoro, tout court, ed a tale proposito il riferimento normativo a sostegno di tale tesi era contenuto nel R.D.L. n. 1827 del 1935, precisamente l’art. 45, terzo comma, secondo cui “L’assicurazione per la disoccupazione involontaria ha per scopo l’assegnazione agli assicurati di indennità nei casi di disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro”.

Ad avviso della Corte di Cassazione il ricorso dell’Inps è da ritenersi infondato in quanto non è giuridicamente legittimo introdurre, e, quindi, fare valere, una discriminazione tra la specie di un unico datore di lavoro somministratore rispetto a più rapporti di lavoro part time a tempo determinato del lavoratore somministrato, a quella di un lavoratore titolare di più rapporti di lavoro a tempo parziale con distinti datori di lavoro. Quanto affermato, soprattutto in considerazione del fatto che la parte debole del rapporto di lavoro (id est, il lavoratore) in ambedue i casi si vedrebbe privato della propria fonte reddituale di sostentamento.

I Giudici di legittimità hanno, pertanto, riconosciuto pregio giuridico alla decisione della Corte di Appello di Torino la quale aveva stabilito che lo stato di disoccupazione normativamente rilevante ai fini del diritto all’indennità di disoccupazione non equivale alla totale mancanza di ogni attività lavorativa, ma piuttosto alla percezione di redditi di importo inferiore alla soglia minima imponibile dalla legge.

La Corte di Cassazione, inoltre, ha richiamato una propria precedente pronuncia (Cass. Sez, lav. n. 705/2016) dove, in un caso di collocamento in mobilità per uno dei due rapporti a tempo parziale cui  era interessato un lavoratore, ha stabilito che “Il lavoratore titolare, contemporaneamente, di due rapporti di lavoro subordinato a tempo parziale cd orizzontale, collocato in mobilità per uno dei due con prosecuzione dell’altro, ha diritto alla relativa indennità stante la facoltà, prevista per l’iscritto alle liste di mobilità della L. n. 223 del 1991, art. 8, comma 6, di svolgere lavoro a tempo parziale pur mantenendo l’iscrizione;




mercoledì 7 novembre 2018

Lavoratori a tempo determinato, come funziona dal 1° novembre 2018



Dal 1° novembre, per prorogare o rinnovare un contratto a termine già avviato tra le parti, bisognerà seguire in tutto e per tutto le nuove regole stabilite dal Dl 87/2018, cioè:

1) durata massima del primo contratto a termine senza causale di 12 mesi;

2) oltre i primi 12 mesi, proroga con causale: il datore deve cioè precisare che la prosecuzione del rapporto avviene a tempo determinato per esigenze temporanee e oggettive, estranee all’attività ordinaria (come ad esempio una produzione nuova, mai sperimentata prima), oppure per sostituire altri lavoratori, oppure ancora per esigenze legate a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria (ad esempio la necessità di vendere tutto lo stock di merce in magazzino per poi ristrutturare il capannone); la causale, come precisa la circolare 17 del ministero del lavoro pubblicata il 31 ottobre è sempre necessaria quando si supera il periodo di 12 mesi, anche se il superamento avviene a seguito di proroga di un contratto originariamente inferiore ai 12 mesi.

3) le proroghe possono essere al massimo quattro nell’arco di 24 mesi (e non più cinque nell’arco di 36 mesi);

4) la durata massima dei rapporti a termine fra lo stesso datore e lo stesso lavoratore è di 24 mesi, salvo previsioni diverse del contratto collettivo applicato dall’azienda.

Restano fuori dalle restrizioni sui limiti di durata massima e sulla disciplina delle proroghe e dei rinnovi i contratti stagionali.

A chi si applica il periodo transitorio
Il 14 luglio 2018 è dunque la data chiave per capire se al contratto a termine si applica il regime transitorio, oppure no. Facciamo l’esempio del rinnovo di un contratto scaduto il 1° ottobre dopo 15 mesi: con un tetto complessivo di 36 mesi, potrà avere una durata massima di altri 21 mesi, senza necessità della causale, solo se siglato entro oggi 31 ottobre.

Se, invece, datore di lavoro e dipendente decidono di rinnovare da domani 1° novembre in poi, si applicano le nuove regole, per cui, con il nuovo tetto di 24 mesi, sarà indispensabile indicare la causale e la durata massima sarà di altri 9 mesi.

I nuovi contratti
Non esiste, invece, regime transitorio se il primo contratto tra le parti è stato stipulato dal 14 luglio in poi: in questo caso le nuove regole sono scattate subito. Quindi, un accordo siglato per la prima volta il 15 luglio può essere prorogato alla scadenza solo fino a un massimo di 4 volte, e richiederà la causale se saranno superati i 12 mesi; allo stesso modo, in caso di rinnovo, dovrà sempre essere accompagnato dalla causale.

Rinnovi sempre più costosi
Va precisato che le regole transitorie riguardano soltanto la durata massima e la disciplina delle proroghe e i rinnovi, mentre non si applicano alla maggiorazione dello 0,5%, che dal 14 luglio vale per tutti i rinnovi (in via cumulativa, quindi al secondo rinnovo la maggiorazione è dell'1%).

È già entrato in vigore (in questo caso dal 12 agosto, in quanto è stato introdotto dalla legge di conversione) anche il nuovo limite del 30% di lavoratori flessibili, intesa come “somma” di lavoratori a tempo determinato e somministrati rispetto al totale di quelli in forza con contratto a tempo indeterminato.

Sul fronte dei nuovi contratti a tempo determinato l’osservatorio sul precariato dell’Inps ha registrato - tra luglio e agosto 2018 - un calo delle attivazioni che risultano essere dimezzate. A luglio sono stati sottoscritti 310.838 contratti a tempo determinato, ad agosto si è invece scesi a 165.998. Un trend influenzato anche dalla stagionalità, visto che anche nel 2017 si era registrata uno andamento analogo, anche se di dimensioni più contenute, con 312mila assunzioni a termine a luglio e 190mila ad agosto.

L’Istat ha registrato che la diminuzione degli occupati nel mese di settembre si è concentrata tra i dipendenti permanenti (-0,5%, pari a -77 mila), mentre quelli a termine hanno proseguito la loro tendenza positiva (+0,8%, +27 mila), anche per beneficiare della possibilità di proroghe e rinnovi durante il periodo transitorio che si chiude oggi 31 ottobre. Nei dodici mesi la crescita occupazionale si è concentra fortemente tra i lavoratori a termine (+13,1%, +368 mila), in lieve ripresa anche gli indipendenti (+0,4%, +22 mila), mentre risultano in calo i dipendenti a tempo indeterminato (-1,2%, -184 mila).



martedì 30 ottobre 2018

Reperibilità e malattia, attenzione agli errori






In caso di malattia il dipendente pubblico o privato deve farsi rilasciare il certificato medico e rendersi reperibile presso l’indirizzo indicato per la visita fiscale.

Sarà poi obbligo del medico curante inviare, in modo telematico, l’attestato medico all’Istituto di Previdenza.

Solo nel caso in cui la trasmissione per via telematica non sarà possibile il certificato medico sarà rilasciato in modalità cartacea.

Il dipendente avrà quindi due giorni di tempo, dal verificarsi della malattia, per presentare il certificato medico all'ufficio INPS di competenza e una copia al datore di lavoro.

Malattia e reperibilità, quanti dubbi. Ma anche errori. A seguito di notizie diffuse on line circa le modalità di esonero dalle visite mediche di controllo domiciliari, ad esempio, "molti lavoratori stanno chiedendo ai propri medici curanti di apporre il codice 'E' nei certificati al fine di ottenere l'esenzione dal controllo" fa sapere l'Inps sul suo sito.

L'istituto precisa così, "in primo luogo, che le norme non prevedono l'esonero dal controllo ma solo dalla reperibilità: questo significa che il controllo concordato è sempre possibile, come ben esplicitato nella circolare Inps 7 giugno 2016, n. 95"

ESCLUSIONE - In secondo luogo, si legge, "il medico curante certificatore può applicare solo ed esclusivamente le 'agevolazioni' previste dai vigenti decreti quali uniche situazioni che escludono dall'obbligo di rispettare le fasce di reperibilità".

E queste situazioni sono contenute in due provvedimenti: nel decreto del ministero del Lavoro 11 gennaio 2016, per i lavoratori subordinati dipendenti dai datori di lavoro privati (e riguardano patologie gravi che richiedono terapie salvavita; o stati patologici connessi alla situazione di invalidità riconosciuta pari o superiore al 67%); nel decreto del presidente del Consiglio dei ministri 17 ottobre 2017 n. 206 per i dipendenti pubblici (e includono patologie gravi che richiedono terapie salvavita; causa di servizio riconosciuta che abbia dato luogo all'ascrivibilità della menomazione unica o plurima alle prime tre categorie della 'Tabella A' allegata al decreto del presidente della Repubblica 30 dicembre 1981 n. 834 o a patologie rientranti nella 'Tabella E' dello stesso decreto; e ancora, stati patologici connessi alla situazione di invalidità riconosciuta pari o superiore al 67%)".

SEGNALAZIONE - In questi unici e circoscritti casi, precisa l'Inps, "la segnalazione da parte del curante deve essere apposta al momento della redazione del certificato e non può essere aggiunta ex post, proprio perché l'esonero è dalla reperibilità e non dal controllo".

CODICE E - Per quanto riguarda il 'Codice E' indicato nel messaggio 13 luglio 2015, n. 4752, è riservato "a esclusivo uso interno riservato ai medici Inps durante la disamina dei certificati pervenuti per esprimere le opportune decisionalità tecnico-professionali, secondo precise disposizioni centralmente impartite in merito alle malattie gravissime" fa sapere l'istituto di previdenza.

NESSUN ESONERO - Che precisa come "qualsiasi eventuale annotazione nelle note di diagnosi della dizione 'Codice E' non può evidentemente produrre alcun effetto di esonero né dal controllo né dalla reperibilità, rimanendo possibile la predisposizione di visite mediche di controllo domiciliare sia a cura dei datori di lavoro che d'ufficio".


sabato 6 ottobre 2018

Bonus asili nido: le istruzioni




Il bonus ASILO NIDO /SUPPORTO DOMICILIARE è stato istituito  dalla legge di stabilità 2017 .

Si tratta di un contributo  di 1000 euro annui,   cui ha diritto ogni bambino nato dal 1 gennaio 2016, per tre anni,  senza limitazioni di reddito familiare, per la frequenza dell'asilo nido o per un supporto in famiglia in caso di bambini con particolari patologie.

Non  va confuso :

né con il voucher baby sitting  - anche detto bonus infanzia -  istituito nel 2013 e prorogato fino a fine 2018, né con  Bonus bebe, il supporto  di 80 euro mensili per le famiglie con un certo ISEE

Come detto il Bonus asilo nido puo essere erogato dall'INPS in due forme:

come contributo  mensile  per pagare la retta dell'asilo  nido , oppure
per il supporto presso la propria abitazione per i bambini che soffrono di particolari patologie che impediscono la frequenza al nido.

Nel primo caso gli assegni vengono erogati mensilmente alla famiglia, in 11 rate da 90,91 euro. Il genitore deve presentare copia delle  ricevuta di pagamento delle rette dell'asilo. Il contributo mensile erogato dall’Istituto non può eccedere la spesa sostenuta per il pagamento della singola retta.

Nel secondo caso  invece il contributo arriverà  in una unica soluzione, a seguito di presentazione di un’attestazione rilasciata dal pediatra  che dichiari, “l’impossibilità del bambino a frequentare gli asili nido in ragione di una  grave patologia cronica” per l’intero  anno di riferimento.

CHI HA DIRITTO AL BONUS

I  requisiti generali del soggetto richiedente  sono:

residenza in Italia;

cittadinanza italiana o comunitaria oppure in caso di cittadino di Stato extracomunitario, permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;

 Per il supporto presso la propria abitazione  è necessario che il genitore richiedente sia convivente con il bambino: 

non è necessario presentare l'ISEE perché non ci sono limiti di reddito;

figlio nato o adottato dal 1.1.2016 al 31.12.2018


Per il 2018  le risorse disponibili sono  250 milioni di euro e vengono accantonate  secondo l’ordine di presentazione della domanda online.

Nel caso in cui, a seguito del numero delle domande presentate,  venga raggiunto il limite di spesa, l’INPS non prenderà in considerazione ulteriori domande.

COME SI RICHIEDE

Il bonus è in vigore anche per il 2018  e le domande vanno presentate dal 29 gennaio al 31 dicembre 2018 con una delle seguenti modalità:

 WEB – Servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino sul sito www.inps.it (cliccando sul banner  Accedi al Servizio) (il cittadino potrà utilizzare, per l’autenticazione,  anche il  Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID) o la Carta Nazionale dei Servizi (CNS).
   
Contact Center Integrato - numero verde 803.164 (numero gratuito da rete fissa) o  numero 06 164.164 (numero da rete mobile con tariffazione a carico dell’utenza chiamante);

attraverso gli enti di Patronato

Nel momento in cui viene presentata l’istanza bisogna specificare quale  forma di agevolazione si richiede e per quale anno  e mese scolastico, nel caso degli asili nido.

DOMANDA PER BONUS ASILO

Nel caso in cui il richiedente intenda accedere al bonus asilo nido dovrà specificare:

se l’asilo nido frequentato dal minore sia pubblico o privato autorizzato e indicare denominazione, codice fiscale della struttura, estremi del provvedimento autorizzativo;

le mensilità relative ai periodi di frequenza scolastica compresi tra gennaio e dicembre 2018, per le quali intende ottenere il beneficio.

Alla presentazione della domanda dovrà essere allegata la documentazione che dimostra il pagamento almeno della retta relativa al primo mese di frequenza  oppure la documentazione da cui risulti l’iscrizione o comunque l’avvenuto inserimento in graduatoria del bambino.

Le ricevute  di pagamento  delle rette successive dovranno essere allegate entro la fine di ciascun mese di riferimento e, comunque, non oltre il 31 gennaio 2019. Per i soli frequentanti asili nido pubblici che emettano i bollettini di pagamento dell’ultimo trimestre oltre tale data, la documentazione di spesa potrà essere allegata improrogabilmente entro il 1° aprile dell’anno successivo.

La documentazione di avvenuto pagamento (ricevuta, fattura o attestazione del datore di lavoro per i nidi aziendali) dovrà sempre indicare:

la denominazione e la partita IVA dell’asilo nido;

il codice fiscale del minore;

il mese di riferimento;

gli estremi del pagamento o la quietanza di pagamento;

il nominativo del genitore che sostiene l’onere della retta.

Nel caso in cui una delle suddette ricevute sia relativa al pagamento di più mesi di frequenza, il documento, anche cumulativo,  dovrà essere allegato rispetto ogni mese a cui si riferisce.

In ogni caso il rimborso avverrà solo dopo aver inviato la ricevuta di pagamento.

DOMANDA PER SUPPORTO DOMICILIARE

In caso di richiesta del bonus per il supporto a bambini fino a tre anni che non possono frequestare l'asilo, come detto,  va allegata alla domanda una dichiarazione del pediatra di base che attesta tale impossibilità per tutto l'anno di riferimento.

EROGAZIONE DEL CONTRIBUTO

L’INPS provvede alla corresponsione del bonus nelle modalità di pagamento indicate dal richiedente nella domanda (bonifico domiciliato, accredito su conto corrente bancario o postale, libretto postale o carta prepagata con IBAN).

Vengono erogati anche eventuali arretrati tra il momento della richiesta e  quello dell'erogazione ma sempre nel limite di 3 annualità totali.

L’utente che opta per l’accredito su un conto con  IBAN è tenuto a presentare anche il modello SR163, a meno che tale modello non sia stato già presentato all’INPS in occasione di altre domande.

CUMULABILITA' DEL BONUS

Il bonus  asilo nido non è cumulabile:

con la detrazione prevista dall'art. 2, comma 6, legge 22 dicembre 2008 (detrazioni fiscali frequenza asili nido), a prescindere dal numero di mensilità percepite.

con il cd "voucher baby sitting o bonus infanzia" ma solo per le  mensilità coincidenti . Significa che il nuovo bonus asilo nido è richiedibile per mesi non coperti dal bonus Infanzia

E' sempre cumulabile, invece, con il bonus Mamma Domani (800 euro in un unica soluzione alla mamma al compimento del 7 mese di gravidanza o al momento della nascita o adozione).

DECADENZA DAL DIRITTO AL BONUS ASILO NIDO E CAMBIO INTESTATARIO
L’erogazione del bonus decade in caso di perdita di uno dei requisiti di legge o di provvedimento negativo del giudice che determina il venir meno dell’affidamento preadottivo. In particolare se si  si verifica uno dei seguenti eventi: 

 perdita della cittadinanza;

 decesso del genitore richiedente;

  decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale;

  affidamento esclusivo del minore al genitore che non ha presentato la domanda (affidamento del minore a terzi).

L’INPS interrompe l’erogazione dell’assegno a partire dal mese successivo all'effettiva conoscenza.

E' pero possibile  il subentro nel beneficio da parte di un soggetto diverso, come l'altro genitore,  se in possesso dei requisiti.

Il cambio di intestatario va richiesto  entro 90 giorni dal verificarsi di una delle cause di decadenza

lunedì 24 settembre 2018

Opzione Donna i requisiti attuali






Possono esercitare l'opzione le lavoratrici dipendenti in possesso di 57 anni (58 anni le autonome) e 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015 ancorché, per effetto dell'applicazione degli adeguamenti alla speranza di vita Istat e del meccanismo delle finestre, la prima data utile di decorrenza della pensione si apra successivamente al 31.12.2015. Per questa tipologia di prestazione resta, infatti, in vigore la cd. finestra mobile secondo la quale l'assegno viene erogato dopo 12 mesi dalla maturazione dei predetti requisiti per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

Le misure di Riforma Pensioni incluse nella Legge di Bilancio 2019 potrebbero lasciare fuori l'Opzione Donna: in attesa della proroga, ecco come funzionano oggi maturazione requisiti e decorrenza pensione.

In attesa di conoscere il destino della misura, dunque, ricordiamo come funziona ad oggi questa formula di pensione anticipata (con penalità) e chi sono le lavoratrici ammesse: ad oggi, infatti, dal punto di vista del requisito anagrafico il limite temporale si estende soltanto fino a quelle nate nell’ultimo trimestre degli anni 1957 o 1958. Mentre un potenziale “rinnovo” consisterebbe in un’estensione dei termini così da includere una platea di contribuenti più ampia.

L’Opzione Donna, come è noto, è una forma di pensione anticipata per le sole lavoratrici, che consente di ritirarsi con 35 anni di contributi e un requisito di età che per le dipendenti è pari a 57 anni e sale a 58 anni per le autonome, accettando però un calcolo interamente contributivo della pensione.

La novità 2017 rispetto alla precedente normativa, che in virtù dell’applicazione delle aspettative di vita lasciava fuori le lavoratrici nate negli ultimi mesi dell’anno, è contenuta nel comma 222 della vecchia Legge di Bilancio, che ha esteso l’Opzione Donna (introdotta con l’articolo 1, comma 9, legge 243/2004): «alle lavoratrici che non hanno maturato entro il 31 dicembre 2015 i requisiti previsti per effetto degli incrementi della speranza di vita».

Attenzione: per accedere all’Opzione Donna, bisogna calcolare anche l’aspettativa di vita (lo prevede espressamente il successivo comma 223 della manovra).

Però, non è necessario (come in origine) che la maturazione del requisito sia avvenuta entro il dicembre 2015. Le lavoratrici che erano rimaste fuori dall’Opzione Donna per effetto di questo limitazione, dunque, possono invece accedere alla prestazione.

Ricordiamo che per la decorrenza della pensione la lavoratrice dovrà aspettare i termini previsti dalla finestra mobile (che pure si applica), pari a 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

L’Opzione Donna è una forma di pensione anticipata riservata alle sole lavoratrici che hanno compiuto 57 anni (o 58 nel caso delle autonome) entro il 31 dicembre 2015 e che alla stessa data avevano almeno 35 anni di contributi, accettando però un calcolo interamente contributivo della pensione. Calcolo contributivo può comportare una decurtazione dal 20 al 30%.

L’Opzione Donna, come è noto, è una forma di pensione anticipata per le lavoratrici, che consente di ritirarsi con 35 anni di contributi e un requisito di età che per le dipendenti è pari a 57 anni e sale a 58 anni per le autonome, accettando però un calcolo interamente contributivo della pensione. La novità rispetto alla precedente normativa, che in virtù dell’applicazione delle aspettative di vita lasciava fuori le lavoratrici nate negli ultimi mesi dell’anno.

Nel dettaglio, per richiedere l’Opzione Donna nel 2018 è necessario che i requisiti per accedere a questo strumento siano stati maturati negli anni scorsi. Nel dettaglio bisogna:

aver compiuto 57 anni e 7 mesi d’età entro il 31 luglio del 2016;

aver maturato 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015.

Questa al momento è l’unica opzione che permette alle donne di andare in pensione in anticipo; tuttavia in questo periodo di campagna elettorale molti esponenti politici stanno presentando alcune proposte per una nuova Opzione Donna.



mercoledì 29 agosto 2018

Reperibilità: per spostamenti motivati comunicazione necessaria



In caso di malattia il dipendente pubblico o privato deve farsi rilasciare il certificato medico e rendersi reperibile presso l’indirizzo indicato per la visita fiscale.

Sarà poi obbligo del medico curante inviare, in modo telematico, l’attestato medico all’Istituto di Previdenza.

Solo nel caso in cui la trasmissione per via telematica non sarà possibile il certificato medico sarà rilasciato in modalità cartacea.

Il dipendente avrà quindi due giorni di tempo, dal verificarsi della malattia, per presentare il certificato medico all'ufficio INPS di competenza e una copia al datore di lavoro.

Il lavoratore deve comunicare tempestivamente al datore di lavoro lo stato di malattia e giustificarlo con valida certificazione, redatta dal medico dopo la necessaria visita. L’annullamento di un certificato, qualora necessario, può avvenire online entro 24 ore dalla sua emissione. Nel caso di malattia insorta in un paese della Comunità europea, si deve presentare il certificato di malattia all’INPS e al datore di lavoro entro due giorni dal rilascio.

L’annullamento di un certificato, qualora necessario, può avvenire online entro 24 ore dalla sua emissione. Trascorso tale periodo, il medico deve rilasciare all'assistito una dichiarazione scritta che certifichi le variazioni dei dati rispetto a quelli già inviati.

Quando il paziente abbia necessità di trascorrere il periodo di malattia in un luogo diverso dalla propria residenza, deve darne comunicazione al proprio medico e fornirgli le informazioni relative al nuovo domicilio, con le indicazioni utili alla sua individuazione e specificando frazione, contrada, cognome, presso cui si è temporaneamente trasferito ed eventuali ulteriori elementi aggiuntivi che possano consentire al medico di controllo l’agevole individuazione dell’abitazione; persiste infatti anche in caso di domicilio diverso dalla residenza abituale il dovere di rispettare le fasce di reperibilità per essere sottoposti alla visita medica di controllo domiciliare, se predisposta. Il nominativo indicato nel certificato deve essere leggibile sul citofono e sulla cassetta postale.

Il lavoratore avente diritto alla tutela previdenziale dell’Inps che cambi il proprio indirizzo di reperibilità durante il periodo di prognosi indicata nel certificato, deve darne comunicazione con congruo anticipo al datore di lavoro ed alla Struttura territoriale Inps di appartenenza, con le modalità previste:

Posta elettronica: inviando una e-mail indirizzata alla casella medicolegale.NOMESEDE@inps.it (Chi risieda a Genova, ad esempio, invierà a: medicolegale.genova@inps.it);

Fax: inviando specifica comunicazione al numero di fax indicato dalla Struttura territoriale;

Contact Center Multicanale: contattando il numero verde 803.164.

L'obbligo di reperibilità alla visita medica di controllo dell'INPS comporta che l'allontanamento dall'abitazione, indicata all'ente previdenziale quale luogo di permanenza durante la malattia, possa essere giustificato, in caso di adeguata motivazione, solo quando tempestivamente comunicato dimostrando così la necessaria cooperazione del lavoratore con l'ente di controllo, prevista dalla normativa e sottolineata dalla Corte Costituzionale.

La Corte di appello conferma la sentenza del Tribunale che ha respinto la domanda proposta dal lavoratore nei confronti dell'INPS per il riconoscimento dell'indennità di malattia per il periodo compreso tra il 21 maggio e l'8 giugno 2001. La Corte d'Appello aveva infatti  rilevato che:

il ricorrente aveva fornito la prova dell'esistenza di un motivo socialmente apprezzabile per l'allontanamento dal domicilio durante il periodo di malattia consistente nel grave incidente stradale subito dal nipote, figlio di sua sorella e nella necessità di accompagnare la sorella presso la clinica;

il ricorrente non aveva nemmeno tentato di dimostrare l'impossibilità di avvisare il datore di lavoro e l'INPS della repentina partenza;

l'inevitabilità del viaggio era stata insufficientemente provata, posto che il ricorrente non aveva allegato né provato che la sorella non era in grado di raggiungere autonomamente;

era sfornita di qualsiasi indice di prova l'affermazione che la sorella era in preda alla disperazione e che avrebbe potuto compiere qualsiasi gesto.

Avverso la sentenza della Corte di Appello, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, fondandolo su due motivi:

il lavoratore ha allegato e dimostrato la ricorrenza di un motivo, ritenuto socialmente apprezzabile, di assenza alla visita di controllo nel proprio domicilio l'INPS e che tale circostanza deve essere ritenuta sufficiente per l'erogazione dell'indennità di malattia, tenuto altresì conto che la solidarietà familiare è valore che assurge a rango costituzionale;

il lavoratore  denuncia omessa, insufficiente, contraddittoria, illogica, irragionevole motivazione della sentenza impugnata avendo, la Corte territoriale, fondato la propria statuizione su circostanze secondarie e marginali, pur avendo ritenuta provata la ricorrenza di un motivo socialmente apprezzabile.

La Corte di Cassazione ha esaminato i due motivi congiuntamente, in quanto si  trattava di valutare la sussistenza di un giustificato motivo di assenza dal domicilio durante il periodo di assenza del dipendente dal posto di lavoro per malattia. La pronuncia ribadisce l’orientamento maggioritario, secondo cui l'obbligo di reperibilità alla visita medica di controllo comporta che l'allontanamento dall'abitazione indicata all'ente previdenziale quale luogo di permanenza durante la malattia sia giustificato solo quando tempestivamente comunicato agli organi di controllo, anche qualora i giudici considerino adeguato il motivo dello spostamento. Qualora tale comunicazione sia stata omessa o sia tardiva, non viene automaticamente meno il diritto, ma l'omissione o il ritardo devono a loro volta essere giustificati.

I giudici affermano infatti che " Invero, l'obbligo dell'INPS di erogare l'indennità di malattia permane, anche a fronte di un comportamento del lavoratore che si sottragga alla verifica sanitaria, solamente ove ricorrano serie e comprovate ragioni, quale l'indifferibile necessità di recarsi presso un luogo diverso dal proprio domicilio, e considerato l'obbligo di cooperazione in capo all'assicurato per la realizzazione del fine di rilevanza pubblica di impedire abusi di tutela. Il ricorso non ha illustrato quali erano le ragioni di indifferibilità dell'allontanamento dal domicilio del lavoratore e non ha nemmeno fornito i motivi della mancata collaborazione con l'ente previdenziale."

La giurisprudenza è molto chiara quando afferma alcuni principi chiave in materia di visita fiscale per malattia e conseguente obbligo di reperibilità. In sintesi:

al lavoratore è consentito assentarsi da casa durante gli orari in cui dovrebbe invece essere reperibile, ma solo a per motivi urgenti e indifferibili (cosiddetto “giustificato motivo”);

anche quando sussistono detti motivi urgenti e indifferibili, l’assenza dalla abitazione durante gli orari di reperibilità va prima comunicata al datore di lavoro e all’Inps;

tale preventiva comunicazione può essere evitata solo se ricorrano gravi e indifferibili ragioni. Il lavoratore deve quindi dimostrare l’impossibilità di avvisare il datore di lavoro e l’Inps della repentina uscita di casa.

Il lavoratore si considera “assente” non solo quando non è presente presso l’abitazione, ma anche quando, in qualsiasi modo, impedisca la visita di controllo. Si pensi al caso in cui il nome del malato non sia presente sul citofono; all’ipotesi in cui il citofono stesso sia rotto e nessuno risponda; al caso in cui venga addotta una patologia auditiva che ha impedito di sentire il campanello, ecc. In tutti questi casi, il lavoratore si considera comunque assente ingiustificato.

Insomma, l’assenza può coincidere con qualsiasi condotta che impedisca l’esecuzione del controllo sanitario, per incuria, negligenza o qualsiasi altro motivo non apprezzabile sul piano giuridico e sociale.

Cosa comporta l’assenza alla visita fiscale?
L’ingiustificata assenza del lavoratore alla visita di controllo comporta la decadenza dal diritto al trattamento economico per malattia.

In particolare, le conseguenze possono essere così schematizzate:

ASSENZA

Prima visita: perdita totale di qualsiasi trattamento economico

Seconda visita: oltre alla precedente sanzione, riduzione del 50% del trattamento economico per il residuo periodo. La seconda visita di controllo può essere sia la visita medica domiciliare sia la visita medica ambulatoriale.

Terza visita: l’erogazione dell’indennità economica previdenziale a carico INPS viene interrotta da quel momento e fino al termine del periodo di malattia: il caso si configura come mancato riconoscimento della malattia ai fini della corresponsione della relativa indennità].

L’assenza deve essere giustificata

Il lavoratore può sottrarsi alla visita fiscale e, quindi, all’obbligo di reperibilità, solo per comprovate ragioni quali, ad esempio, l’indifferibile necessità di recarsi in un altro luogo (tipico è il caso dell’abbandono del domicilio per recarsi presso l’ambulatorio del medico curante).

Il lavoratore che, per un motivo giustificato, serio e urgente, si allontani dall’abitazione presso la quale deve essere reperibile al medico fiscale, deve prima avvisare l’Inps e il datore di lavoro della sua assenza. Infatti, l’obbligo di reperibilità alla visita medica di controllo INPS comporta che l’allontanamento dall’abitazione sia giustificato solo quando tempestivamente comunicato agli organi di controllo dell’Istituto.

Se il dipendente non può neanche inviare tale comunicazione in anticipo o se la invia dopo essersi assentato, dovrà giustificare il mancato o tardivo avviso.
Infatti – precisa la Cassazione – qualora tale comunicazione sia omessa o sia tardiva, non viene automaticamente meno il diritto a percepire il trattamento di malattia, ma l’omissione od il ritardo devono essere giustificati a loro volta.

In altri termini, l’obbligo dell’INPS di erogare l’indennità di malattia permane anche nei confronti di un lavoratore che si sottragga alla verifica sanitaria, a condizione che ricorrano serie e comprovate ragioni dell’allontanamento dal domicilio indicato all’ente e fermo restando l’obbligo di cooperazione in capo all’assicurato, in modo tale da realizzare il fine di rilevanza pubblica e di impedire (quantomeno ridurre) gli abusi di tutela.

L’INPS ha fornito chiarimenti in merito al campo di applicazione della normativa che prevede le esclusioni dall’obbligo di reperibilità per i lavoratori dipendenti del settore privato.

Si ricorda che, sono esclusi dall’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i lavoratori subordinati la cui assenza sia connessa con:

patologie gravi che richiedono terapie salvavita, comprovate da idonea documentazione della Struttura sanitaria;

stati patologici sottesi o connessi a situazioni di invalidità riconosciuta, in misura pari o superiore al 67%.

I lavoratori interessati dall’esenzione, sono quelli con contratto di lavoro subordinato appartenenti al settore privato, sono esclusi quindi i lavoratori iscritti alla gestione separata dell’Inps.



sabato 21 luglio 2018

Pensioni, cos'è quota 41



Il tema pensioni è caldo in questi giorni e tra le ipotesi possibili c'è quella di un passo indietro in merito alla quota 41, ovvero lo strumento che consente di andare in pensione, indipendentemente dall'età anagrafica, una volta maturati 41 anni di contributi. Secondo Boeri la quota 41 aggiunta alla quota 100 (con cui invece si può andare in pensione, una volta compiuti 64 anni, se la somma dell'età anagrafica e dei contributi maturati dà come risultato 100) costerà 11 miliardi di euro nell'immediato, 18 miliardi a regime; una spesa ingente per lo Stato ed è per questo che si sta anche valutando l'idea di portare la quota 41 a quota 42, innalzando di un anno il requisito contributivo previsto. Al momento però si tratta solamente di indiscrezioni, poiché la quota 41 per tutti non fa ancora parte del nostro ordinamento e, stando alle ultime notizie sulle pensioni, non lo farà prima del 2020.

La quota 41 può essere già richiesta da alcune categorie di lavoratori. Si tratta dei lavoratori precoci, ossia di coloro che prima di compiere il 19esimo anno di età hanno maturato almeno 12 mesi di contributi. Per poter accedere a questo strumento non è necessario che i 12 mesi siano continuativi. La quota 41, però, subirà una modifica dal primo gennaio 2019, complice l'adeguamento con le aspettative di vita che riguarderà da vicino anche la pensione di vecchiaia e quella anticipata; nel dettaglio, i lavoratori precoci dovranno maturare 41 anni e 5 mesi di contributi se vorranno smettere di lavorare in anticipo rispetto agli altri lavoratori.

Come annunciato da oeri - presidente dell’INPS fino a febbraio 2019 - rivedere la Legge Fornero introducendo nel contempo una Quota 100 e una Quota 41 costerebbe nell’immediato 11 miliardi di euro, per poi salire a 18 miliardi di eurouna volta che la riforma sarà a regime. Si tratta di uno strumento che permetterà ai lavoratori che avranno versato 41 anni di contributi di andare in pensione senza alcun vincolo di età.

Passando alla Quota 41, ovvero allo strumento che consentirebbe di andare in pensione indipendentemente dall’età anagrafica una volta maturati 41 anni di contributi, è prevista un’ulteriore novità che probabilmente non farà piacere i lavoratori.

Da Quota 41 a Quota 42?

Come anticipato da alcuni quotidiani, per ridurre l’ingente spesa prevista per la ridefinizione della riforma Fornero ci potrebbe essere un potenziale passo indietro del Governo per quel che riguarda la Quota 41.

Nel dettaglio, l’intenzione è quella di alzare di un anno il requisito contributivo previsto, passando così ad una Quota 42 che consentirà ai lavoratori di andare in pensione dopo 42 anni di servizio. Si tratterebbe quindi di un piccolo sconto rispetto a quanto accade oggi per la pensione anticipata, che ricordiamo dal prossimo anno potrà essere richiesta dagli uomini con 43 anni e 3 mesi di contributi e dalle donne con 42 anni e 3 mesi.

Quindi per i primi ci sarebbe una riduzione di 1 anno e 3 mesi, per le seconde solo di 3 mesi (ma per loro resta la possibilità di una proroga dell’Opzione Donna).

Al momento si tratta solo di un’indiscrezione ma se confermata farebbe sicuramente piacere alle casse dell’INPS, le quali - come dichiarato da Boeri - non sono in grado di sostenere gli oneri previsti dalla riforma originaria descritta nel contratto.

Naturalmente una tale novità rischia di far accrescere le polemiche da parte dei lavoratori, i quali speravano in una riforma che rendesse maggiormente flessibile l’uscita dal mercato del lavoro.
uota 41 addio: anche per i precoci aumentano i requisiti
Ricordiamo a tal proposito che la Quota 41 può essere richiesta già oggi, ma solamente da coloro che hanno maturato almeno 12 mesi di lavoro prima del compimento dei 19 anni.
Si tratta dei cosiddetti lavoratori precoci, ovvero coloro che avendo iniziato a lavorare fin da giovani possono vantare almeno 1 anno di contributi (anche non continuativo) accreditati nei 18 anni d’età.
Oggi questi possono andare in pensione, indipendentemente dall’età, una volta raggiunti 41 anni di contributi, ma dal prossimo anno non sarà più così. Complice l’adeguamento con l’innalzamento delle aspettative di vita rilevate dall’INPS che porterà ad un incremento generale dei requisiti per la pensione, infatti, la Quota 41 si potrà richiedere con 5 mesi di ritardo.

Non saranno più sufficienti 41 anni di contributi, poiché serviranno ulteriori 5 mesi per andare in pensione sfruttando l’agevolazione riconosciuta ai precoci.

Dal prossimo anno quindi la Quota 41 così come la conosciamo oggi rischia di non esistere più, e qualora le indiscrezioni sopra riportate fossero confermate questo strumento sparirà per sempre dal sistema previdenziale italiano.

Boeri ha presentato una serie di stime legati a diversi scenari:
quota 100 pura, ovvero senza limiti di età o contributivo (il requisito è che la somma dei due elementi sia pari a 100), oppure pensione con 41 anni di contributi (costo fino a 20 miliardi l’anno);

quota 100 a 64 anni o pensione con 41 anni di contributi: è l’ipotesi che al momento sembra più gettonata, che potrebbe anche confluire nella prossima manovra di Bilancio, ed essere quindi disponibile a partire dal 2019 (costo 18 miliardi annui);

quota 100 a 65 anni o pensione con 41 anni di contributi (costo 17 miliardi annui);

quota 100 (a 64 anni minimi di età) a legislazione invariata sulla pensione anticipata (costo fino a 8 miliardi).

Ci sono comunque, secondo Boeri, spazi per aumentare la flessibilità in uscita, ad esempio accelerando la transizione verso il sistema contributivo.

Attualmente, lo ricordiamo, il contributivo puro si applica a coloro che hanno iniziato a effettuare versamenti dopo il primo gennaio 1996, mentre ai lavoratori più anziani di applica il calcolo misto, oppure quello retributivo, limitatamente al caso in cui ci siano almeno 18 anni di versamenti precedenti al 1996.




giovedì 5 luglio 2018

Cessione del TFR: nuovo servizio INPS



È disponibile il nuovo servizio INPS "Notifica cessione TFR in garanzia", che consente di ricevere le notifiche da parte degli utenti esterni.

Nuovo archivio INPS dei contratti di finanziamento garantiti da TFR ad uso delle aziende e delle società finanziarie , banche e assicurazioni- Le modalità nel messaggio n. 2506 2018

L'INPS ha pubblicato nel messaggio n. 2506/2018 le informazioni su un nuovo servizio disponibile sul sito dell'Istituto relativo alla gestione dei contratti di finanziamento con cessione del TFR a garanzia, inviati da banche e società finanziarie. Si tratta di uno specifico archivio informatico che raccoglierà le notifiche sia digitali che cartacee da parte degli operatori e delle strutture territoriali.

Il servizio è rivolto a società finanziarie, banche ed assicurazioni; le informazioni contenute nella banca dati per individuare il legittimo titolare della prestazione di TFR e nei casi di :

intervento del Fondo di Garanzia del TFR (art. 2 della legge n. 297/82) in caso di insolvenza del datore di lavoro;

pagamento diretto della quota di TFR versata al Fondo di Tesoreria, in caso di incapienza dei contributi dovuti nel mese dal datore di lavoro rispetto al TFR da erogare (cfr. la circolare n. 70/2007, par. 7.3);

residui casi di liquidazione della quota di TFR maturata durante il periodo di fruizione del trattamento straordinario di integrazione salariale (cfr. la circolare n. 24/2017).

Gli utenti possono decidere quando e se notificare i contratti di finanziamento con garanzia del TFR ed è possibile utilizzare il servizio anche per notificare contratti già inviati all’INPS mediante canali diversi.

L’accesso al servizio è consentito previa autenticazione tramite:

PIN dispositivo dell’INPS (cfr. la circolare n. 50 del 15/2011);

CNS (Carta Nazionale dei Servizi) rilasciata da una Pubblica Amministrazione ai sensi del D.P.R. n. 117/04 o mediante altro dispositivo (smart card, chiavetta USB) contenente il “certificato digitale di autenticazione personale” rilasciato da apposito ente certificatore rispondente agli standard definiti per la CNS;

credenziali SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) almeno di livello 2, rilasciate da uno dei gestori accreditati da AgID (www.spid.gov.it).

Per accedere al servizio, i soggetti incaricati con procura dalle aziende dovranno richiedere l’abilitazione presentando il modulo “MV61” ad una qualsiasi Struttura territoriale dell’INPS.

Tale modulo è reperibile nel sito Istituzionale al seguente percorso: “Prestazioni e servizi” > “Tutti i moduli”, digitando nel campo “Cerca” il nome del modulo.

Cessione TFR in garanzia: quando è di competenza INPS
Generalmente nel settore privato il TFR è di competenza del datore di lavoro. Esistono però alcune fattispecie che obbligano l’INPS ad intervenire per gestire tale istituto, ossia:
in caso di insolvenza del datore di lavoro mediante l’intervento del Fondo di Garanzia del TFR;

in caso di incapienza dei contributi dovuti nel mese dal datore di lavoro rispetto al TFR da erogare mediante il pagamento diretto della quota di TFR versata al Fondo di Tesoreria;

nei residui casi di liquidazione della quota di TFR maturata durante il periodo di fruizione del trattamento straordinario di integrazione salariale.

Notifica contratti di cessione del TFR: come accedere al servizio
Per accedere al nuovo servizio di notifica dei contratti di cessione del TFR l’utente deve premunirsi di una delle seguenti credenziali:

PIN dispositivo dell’INPS;

CNS (Carta Nazionale dei Servizi) o firma digitale;

credenziali SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) almeno di livello 2.

Per quanto riguarda i soggetti incaricati tramite specifica procura dalle aziende è necessario richiedere l’abilitazione presentando il modulo “MV61” ad una qualsiasi Struttura territoriale dell’INPS.

Cosa inserire nella banca dati INPS
Effettuato l’accesso, l’utente potrà inserire nella banca dati determinate informazioni riguardanti il lavoratore cedente e il datore di lavoro, quali:

la data di stipula del contratto;

la data di scadenza del finanziamento;

i soggetti che hanno prestato l’assicurazione rischio vita e la garanzia rischio impiego;

nonché copia in formato elettronico del contratto.



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