sabato 22 marzo 2014
Licenziamento e periodo di comporto cosa prevede la legge
In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, le assenze del lavoratore per malattia non giustificano il recesso del datore di lavoro ove l'infermità dipenda dalla nocività delle mansioni o dell'ambiente di lavoro che lo stesso datore di lavoro abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell'obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c.) o di specifiche norme. Peraltro, incombe sul lavoratore l'onere di provare il collegamento causale tra la malattia che ha determinato l'assenza e le mansioni espletate, in mancanza del quale deve ritenersi legittimo il licenziamento.
La Corte di Appello, in riforma della decisione del Tribunale di Locri, annullava il licenziamento del lavoratore, per superamento del comporto per malattia, ordinando alla società la reintegra e condannava l'appellata società a risarcire alla predetta il danno subito, mediante corresponsione della indennità di legge. Osservava la Corte territoriale che la natura professionale delle patologie dedotte dall'appellante (lombosciatalgia bilaterale e cervico brachialgia bilaterale) non era sufficiente ad escludere le assenze derivatene da quelle computabili per il comporto e che era necessaria, ai fini considerati, l’imputabilità delle stesse a responsabilità datoriale. Nella specie era emerso, anche dalla c.t.u. espletata, che il tipo di lavoro svolto era stato concausa delle patologie osteoarticolari e che le assenze dal lavoro, per un totale di 293 giorni su 322, erano riconducibili, come emergeva dai certificati acquisiti agli atti di causa, a lombosciatalgia, determinata dalle condizioni di lavoro (continue movimentazioni di carichi ed esposizione a sbalzi di temperatura nel settore della floricultura).
Contro la sentenza dell’appello, la società ha presentato ricorso che è stato rigettato, per la seguente motivazione:
“La fattispecie di recesso del datore di lavoro, per l'ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore, tanto nel caso di una sola affezione continuata, quanto in quello del succedersi di diversi episodi morbosi (cosiddetta eccessiva morbilità), si inquadra nello schema previsto, ed è soggetta alle regole dettate dall’art. 2110 c.c., che prevalgono, per la loro specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, con la conseguenza che, in dipendenza di tale specialità e del contenuto derogatorio delle suddette regole, il datore di lavoro, da un lato, non può unilateralmente recedere o, comunque, far cessare il rapporto di lavoro prima del superamento del limite di tollerabilità dell'assenza (cosiddetto periodo di comporto), predeterminato per legge, dalla disciplina collettiva o dagli usi, oppure, in difetto di tali fonti, determinato dal giudice in via equitativa, e, dall'altro, che il superamento di quel limite è condizione sufficiente di legittimità del recesso, nel senso che non è all'uopo necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo né della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, né della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse, senza che ne risultino violati disposizioni o principi costituzionali. Le assenze del lavoratore per malattia non giustificano, tuttavia, il recesso del datore di lavoro ove l'infermità sia comunque imputabile a responsabilità dello stesso datore di lavoro, in dipendenza della nocività delle mansioni o dell'ambiente di lavoro, che egli abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell'obbligo di sicurezza o di specifiche norme, incombendo, peraltro, sul lavoratore l'onere di provare il collegamento causale fra la malattia e il carattere morbigeno delle mansioni espletate”.
2. Licenziamento per superamento del periodo di comporto ed art. 2087 c.c.
La fattispecie del recesso del datore di lavoro - per l'ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore, tanto nel caso di una sola affezione continuata quanto in quello del succedersi di diversi episodi morbosi alle regole dettate (dall’art. 2120 c.c.), che prevalgono - per la loro specialità - sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa (art. 1256 c.c., comma 2, e art. 1464 c.c.), sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali (L. 604/1966 e L. 300/1970 e successive modifiche) - secondo la giurisprudenza (ora consolidata) di questa Corte (dopo le sentenze delle Sezioni Unite n. 2072, 2073, 2074/80, vedine, per tutte, le sentenze della Sezione Lavoro n. 5066/2000, 14065, 13992/99, 5927/96, 6601/95, 3213/87, 3879/86, 5741, 4095, 2806/85, 5968, 1973/84, 4068, 3909, 1726/83, 1168/82) - con la conseguenza che, in dipendenza della prospettata specialità e del contenuto derogatorio di dette regole, il datore di lavoro, da un lato, non può unilateralmente recedere o, comunque, far cessare il rapporto di lavoro prima del superamento del limite di tollerabilità dell'assenza (cosiddetto periodo comporto) - predeterminato dalla legge, dalla disciplina collettiva o dagli usi oppure, nel difetto di tali fonti, determinato dal giudice in via equitativa - e, dall'altro, che il superamento di quel limite è condizione sufficiente di legittimità del recesso - nel senso che non è all'uopo necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo (art. 3 della L. 604/1966), né della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa (artt. 1256, comma 2 ed 1464 c.c.), né della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse (in tal senso è Cass., Sez. Un. n. 7755 del 1998, invocata dal ricorrente) - senza che ne risultino violati disposizioni o principi costituzionali (vedi Cass. 5927/96).
Le assenze del lavoratore per malattia non giustificano, tuttavia, il recesso del datore di lavoro - in ipotesi di superamento del periodo di comporto - ove l'infermità sia, comunque, imputabile a responsabilità dello stesso datore di lavoro - in dipendenza della nocività delle mansioni o dell'ambiente di lavoro, che abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell'obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c.) o di specifiche norme - incombendo, peraltro, al lavoratore l'onere di provare il collegamento causale fra la malattia - che ha determinato l'assenza (e, segnatamente, il superamento del periodo di comporto) - ed il carattere morbigeno delle mansioni espletate.
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venerdì 21 marzo 2014
Giù stipendi manager cosa dice Moretti
"Non mi sembra che ci sia alcun rapporto conflittuale con le istituzioni europee, abbiamo grandissima fiducia nelle istituzioni europee e un grande desiderio di investire nell'Europa che non rappresenta il nostro passato ma il nostro futuro". Lo ha detto, in conferenza stampa a Bruxelles,il premier, Matteo Renzi, sottolineando anche l'importanza del semestre europeo. ''Non e' vero che è un appuntamento burocratico - ha rilevato -.
L'Italia ci puo' arrivare avendo molto da dire e da fare soltanto se prima sarà in grado di svolgere un gigantesco lavoro sulle riforme". "Il semestre che noi immaginiamo ha insistito - vede l'Europa sulle frontiere di innovazione, agenda digitale, climate change, che affronti questioni vere a partire dalla lotta alla disoccupazione. Un'Europa che si occupi di vincoli astratti e lontani da gente è un'Europa che sbaglia".
La ripresa economica, ha detto ancora il capo del governo, "è modesta, timida, ma è in atto. Tra i fattori qualificanti c'è il tema della forza dell'export, ma anche la ripresa di fiducia che e' condizione dello sviluppo economico". Quindi sul fiscal compact: ''Un impegno che il nostro Paese ha preso e come tutte le regole che ci siamo dati confermiamo l'impegno".
Renzi ha anche confermato l'intervento sui compensi dei manager, replicando così anche al numero uno delle Ferrovie contrario al taglio: "Confermo l'intervento sugli stipendi dei dirigenti pubblici. Sono convinto che quando Moretti vedrà la ratio sarà d'accordo con me".
"Di Renzi mi fido". Così l'a.d. di Fs, Mauro Moretti, dopo che il premier ha annunciato che il taglio alle retribuzioni dei manager pubblici sarà fatto con ragionevolezza.
Le tasse non aumenteranno: parola di Renzi che in un tweet, da Bruxelles, scrive a chi gli chiede se intende alzarle: "No, lo vedrai. Contro l'evasione ho intenzione di combatterla anche attraverso l'innovazione digitale e l'incrocio dei dati''.
Dopo il braccio di ieri sul rispetto dei vincoli Ue, nella sua seconda giornata brussellese il premier ha incontrato, prima dell'inizio dei lavori del vertice Ue, il presidente Ue Herman Van Rompuy. "L'Europa cambia verso", ha detto Renzi scherzando con i cronisti al suo ingresso, entrando nel corridoio opposto a quello attraversato le volte precedenti.
Il premier trova sponda nel presidente del Parlamento Europeo Schulz, il quale si dice d'accordo con lui perché, afferma, 'c'è bisogno di una filosofia e di una strategia della crescita. "Se non ci sarà crescita in Italia, non ci sarà neppure in Europa e viceversa.
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Contratti a termine e apprendistato, prevale il consenso fra gli addetti
«Se le regole non creano lavoro è vero che avere una buona regolamentazione del mercato del lavoro aiuta, è una buona cosa»: è il messaggio lanciato dal Forum della Confcommercio in corso a Cernobbio nel giorno dell'entrata in vigore del Decreto legge sul rilancio dell'occupazione (il dl n.34) dal ministro del Lavoro.
Giuliano Poletti, che in vista dell'avvio dell'esame da parte della Camera che inizierà la prossima settimana, aggiunge: «Il Governo monitorerà il passaggio parlamentare del decreto lavoro ma è pronto ad apportare modifiche se verrà dimostrato che le misure non funzioneranno». Lo scenario economico continua a destare preoccupazione, «nel 2014 avremo ancora problemi acutissimi di disoccupazione, la crisi non ha ancora scaricato tutti i suoi effetti», secondo il ministro «siamo in una sorta di terra di mezzo», ci vorrà ancora tempo per vedere gli effetti.
Poletti invita ad avere un approccio pragmatico, non ideologico, sul provvedimento, sottolineando che «il punto di partenza è il dato che negli ultimi tre mesi del 2013 gli avviamenti al lavoro sono stati al 68% con contratti a termine», per concludere: «noi rispondiamo dal 68% in su, le valutazioni di merito bisogna farle partendo da questi dati di realtà». Le critiche per il ministro «sono fisiologiche, è normale avere opinioni diverse, io ascolto, verifico, discuto e metto in campo le mie ragioni ma sono pronto a cambiare se i fatti dimostreranno che quello che ho fatto non va bene».
Il 44% dei direttori del personale si dichiara «del tutto d'accordo» con l'efficacia dell'estensione da 12 a 36 mesi della durata del contratto a tempo determinato "acausale", che cancella l'obbligo per il datore di lavoro di indicare il motivo dell'assunzione. Il 43% si dice «d'accordo in parte».
Lo rivela un sondaggio del centro studi e ricerche Bachelor, pubblicato nello stesso giorno in cui entrano in vigore le novità del decreto legge numero 34 con le disposizioni per favorire il rilancio dell'occupazione e la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese. Prevalgono dunque i giudizi positivi sulle misure sui contratti a termine che complessivamente raggiungono l'87% del campione di direttori del personale interpellato, mentre il 9% si dice «non molto d'accordo» sull'efficacia della norma, il 3% «per niente» e l'1% «non sa». Anche tra i giovani laureati i favorevoli sono più numerosi dei contrari, anche se ad essere «pienamente d'accordo» è solo l'8%, i«parzialmente d'accordo» raggiungono il 51%, a dirsi «non molto» d'accordo il 26%, il 12%«per niente» e il 3% non sa.
Incassa la maggioranza dei consensi anche la semplificazione dell'apprendistato, oggetto del sondaggio svolto dal centro Bachelor tra il campione composto da 100 direttori di imprese di medie-grandi dimensioni del settore privato e da 500 laureati da meno di 3 anni, su tutto il territorio nazionale. Alla domanda se si ritiene efficace il provvedimento che «prevede meno vicoli per le imprese, compreso l'obbligo di confermare i precedenti apprendisti prima di assumerne nuovi» il 47% dei direttori del personale si dice «del tutto d'accordo», il 41% «in parte d'accordo», il 9% «non molto» e il 3% «non sa». Prevalgono i giudizi favorevoli anche tra i giovani laureati: il 44% è «in parte d'accordo», il 21% del tutto, il 20% non molto, il 15 per niente.
Il sondaggio riguarda anche la fiducia sulle politiche d'occupazione giovanile del governo Renzi, con il 67% dei direttori del personale che dichiara di avere «abbastanza fiducia» e il 16% si dice «molto fiducioso». Analoga la percentuale di chi «non ha molta fiducia» (16%), mentre solo l'1% non ripone alcuna speranza. Tra i giovani laureati il 50% degli intervistati è «abbastanza fiducioso», il 9% ha «molta fiducia», il 32% «non ha molta fiducia», il 9% non ne ha «per niente». Infine una domanda sull'annunciata riduzione del cuneo fiscale, i 10 miliardi che dovrebbero andare a beneficio dei lavoratori con stipendi netti fino a 1.500 euro al mese che a partire dalla busta paga di maggio dovrebbero avere un incremento di mille euro su base annua. Questa proposta piace molto al 38% dei direttori del personale e al 34% dei giovani laureati, abbastanza al 47% dei primi e al 53% dei secondi.
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