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lunedì 19 giugno 2017

Pensioni: domande INPS aperte per APe sociale e pensione precoci



Decreti APe sociale e pensione precoci nella Gazzetta Ufficiale n.138 del 16 giugno, contemporaneamente alle istruzioni INPS (circolare INPS n. 99 che disciplina l’applicazione della pensione anticipata dei lavoratori precoci e la circolare n.100 che disciplina l’applicazione dell’APE sociale), che sanciscono quindi il via libera alle domande per i nuovi canali di flessibilità in uscita . Il presidente dell’INPS, Tito Boeri, ha confermato l’apertura dei termini per la domanda a partire dalla  mezzanotte del 17 giugno del 2017: «siamo in grado di raccogliere le domande di Ape sociale».


Secondo il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, con la pubblicazione dei decreti: «i lavoratori in condizioni di difficoltà, per quest’anno stimati in circa 60mila, possono anticipare fino a tre anni e sette mesi l’età di pensionamento, con potenziali effetti positivi sul ricambio generazionale in azienda».

Si stimano 35mila soggetti con i requisiti APE e 20mila precoci. Il nuovo ammortizzatore sociale (anticipo pensionistico APE) è riservato a chi ha più di 63 anni e si trova in condizioni di disagio lavorativo e sociale.

Per i Precoci si apre una finestra di uscita con 41 anni di contributi  purché rientrino in una delle quattro categorie di disagio valide per l’APE sociale: disoccupazione da almeno 3 mesi, familiari disabili a carico, invalidità pari o superiore al 75%, lavoro usuranti per almeno 6 anni negli ultimi 7.

I termini per la presentazione delle domande preliminari si chiudono il 15 luglio per chi matura i requisiti entro fine 2017. Le domande di APE saranno accolte nel limite di spesa di 300 milioni di euro per quest’anno. Quelle per i lavoratori precoci fino a 360 milioni.

il conto alla rovescia è partito per presentare le domande all’INPS di accesso all’Ape sociale o al pensionamento anticipato da parte dei lavoratori precoci, ovvero chi ha lavorato almeno un anno prima di compierne 19.

Chi può accedere
Con qualche mese di ritardo sulla tabella di marcia (i nuovi sono in vigore dal 1° maggio) si attiva dunque il nuovo ammortizzatore sociale per gli over 63enni in condizione di bisogno che non hanno ancora l’età per la pensione di vecchiaia. Mentre per i precoci si apre una finestra di uscita alla pensione con 41 anni di contributi versati (contro i 41 anni e 10 mesi per gli uomini e i 42 e 10 mesi se donne) a patto di rientrare in una delle quattro categorie di disagio valide per l’Ape sociale: disoccupazione da almeno 3 mesi, familiari disabili a carico, una invalidità pari o superiore al 75%, aver svolto un lavoro usurante per almeno 6 anni negli ultimi 7.

Assegno massimo di 1.500 euro lordi
L’Ape sociale è una vera e propria indennità ponte verso la pensione. Il suo importo è commisurato alla pensione attesa, con un massimo di 1.500 euro lordi mensili per 12 mensilità (circa 1.325 netti) fino a un massimo di 43 mesi, ma il termine potrebbe allungarsi di qualche mese se dal 2019 cambieranno i requisiti di pensionamento per l’adeguamento alla nuova aspettativa di vita (si parla di un allungamento possibile di 3 o 5 mesi). L’Ape sociale è inoltre tassata come reddito da lavoro dipendente e gode quindi di tutte le detrazioni e i crediti d’imposta spettanti a tali redditi, compreso quindi il “bonus” 80 euro che i pensionati non hanno. È inoltre compatibile con redditi da lavoro dipendente o da collaborazione coordinata e continuativa, fino al limite di 8mila euro annui, e da lavoro autonomo fino al limite di 4.800 euro annui. Per accedere si terrà conto di tutta la contribuzione versata, compresi i contributi figurativi cumulati in caso di cassa integrazione, per esempio, principio attualmente non previsto per l’accesso alla pensione anticipata. «L’Ape sociale - ha spiegato Stefano Patriarca, uno dei consiglieri economici di palazzo Chigi che più ha lavorato a questa misura - è una rilevante innovazione nel nostro welfare».

Domande entro il 15 luglio
I termini per la presentazione delle domande si chiudono il 15 luglio per chi matura i requisiti entro quest’anno ed entro il 31 marzo del 2018 per chi li matura l’anno venturo (si veda l’altro articolo in pagina) sia per l’Ape sociale sia per usufruire della finestra di anticipo precoci. Le due misure sono sperimentali e restano in vigore nella versione attuale per due anni. Dovrebbero intercettare domande per circa 35mila che usufruiranno dell’Ape e 20mila precoci nel primo anno di applicazione secondo stime governative e dell’Inps. Le domande di Ape sociale saranno accolte nel limite di spesa di 300 milioni di euro per quest’anno e fino a 609 milioni di euro per il 2018. Quelle per i precoci fino a 360 milioni quest’anno e 505 l’anno prossimo.



venerdì 23 settembre 2016

Apprendistato scuola-lavoro: si parte con il programma Enel, Ministero dell’Istruzione Ministero del Lavoro





Con sistema duale in apprendistato, si deve intendere la formazione alternata per il 50% a scuola e il restante 50% nell’ambiente di lavoro, con l’obiettivo di rafforzare l’offerta educativa per i giovani, affinché raggiungano un maggior livello di qualificazione.

ENEL, Ministero dell’Istruzione (MIUR) e Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali hanno dato il via ad una nuova edizione del programma di apprendistato scuola-lavoro 2016-2017: «un buon modello di collaborazione tra scuola e mondo del lavoro per migliorare l’occupabilità dei giovani e il loro inserimento nel mondo del lavoro», l’ha definito il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.

Il programma, che vedrà l’assunzione da parte del Gruppo Enel di 140 studenti del quarto e quinto anno di istituti tecnici industriali di sette regioni italiane.

“Dopo il successo della prima sperimentazione, siamo orgogliosi di presentare il nuovo programma di apprendistato scuola-lavoro realizzato in sinergia tra ministeri, istituzioni formative e azienda – ha affermato l’Ad del Gruppo Enel Francesco Starace – Alla base di questa modalità di inserimento ci sono evidenti vantaggi per entrambi gli attori: per l’azienda, che investe sui giovani e sulla loro formazione; per gli studenti, che hanno così l’opportunità di svolgere attività formative più allineate all'innovazione tecnologica e alle esigenze del mondo del lavoro, maturando contestualmente una prima esperienza professionale".

L'alternanza scuola-lavoro diventa così una strategia educativa dove il contesto lavorativo è chiamato ad assumere un ruolo complementare all'aula e al laboratorio scolastico nel percorso di istruzione degli studenti in modo da contribuire alla realizzazione di un collegamento organico tra istituzioni scolastiche e formative e il mondo del lavoro.

Al termine del quinto anno, con la conclusione del percorso scolastico e il conseguimento del diploma, per gli studenti degli istituti interessati, tenuto conto della valutazione di merito del percorso effettuato in azienda, è prevista una seconda fase di apprendistato professionalizzante di un anno. La durata del periodo complessivo di apprendistato sarà di 36 mesi.

Durante l’anno scolastico gli apprendisti trascorreranno un giorno a settimana in azienda, svolgendo un programma formativo incentrato prevalentemente sul laboratorio e sulle competenze specifiche richieste, mentre durante il periodo estivo saranno in azienda full time per il Training on the job durante il quale affiancheranno le squadre operative e applicheranno concretamente le nozioni apprese durante l’anno scolastico, nel rispetto delle competenze acquisite in materia di safety.

L’idea di avviare il progetto sperimentale è nata dall'esigenza di ottimizzare la gestione del turn over nelle posizioni tecnico-operative aziendali anticipando l’ingresso degli apprendisti in azienda già durante lo svolgimento del percorso scolastico e condividendo con la scuola contenuti teorici più allineati alle esigenze industriali e un’esperienza di training on the job finalizzata a completare la formazione individuale.

Il progetto è stato reso possibile dalla cornice normativa che, con il Decreto Legislativo 81/2015 e il successivo Decreto interministeriale del 12 ottobre 2015, ha reso stabile l’apprendistato scuola-lavoro quale ulteriore modalità di ingresso in azienda.

La prima fase del percorso si concluderà al termine del quinto anno di scuola, con il conseguimento del diploma. Quindi, tenuto conto della valutazione di merito del percorso effettuato in azienda, è prevista una seconda fase di apprendistato professionalizzante di un anno. La durata del periodo complessivo di apprendistato sarà di 36 mesi.

Il contratto, stipulato tra azienda e apprendista, è regolato in modo dettagliato dalla legge tedesca, che definisce con precisione obblighi e doveri delle parti. Il sistema duale è diffuso in altri paesi, come Austria e Svizzera e soprattutto nell'Europa del Nord. Soluzioni che si sono dimostrate in grado di assicurare una più ampia integrazione dei giovani nel mercato del lavoro, riducendo così i livelli di disoccupazione.

La sperimentazione italiana del nuovo apprendistato normativo si basa su un modello fortemente innovativo che passa innanzitutto attraverso la ristrutturazione dell’apprendistato e delle sue caratteristiche (requisiti di accesso e modalità di regolazione della formazione): si punta così ad agire direttamente sul fronte delle imprese tramite la definizione di un nuovo mix di vincoli e benefici, in grado di bilanciare meglio l’onere formativo che esse assumono.



venerdì 2 settembre 2016

Disoccupazione: arriva l’assegno di ricollocamento



Dal 2 settembre 2016 entra in vigore la possibilità di richiedere l'assegno di ricollocamento per un numero di disoccupati che corrisponde a più di 50 mila unità, i quali rispondono ai requisiti richiesti affinché la richiesta sia accolta. Il contratto di ricollocazione è uno speciale istituto destinato ai lavoratori disoccupati di lunga data che garantisce loro un servizio di assistenza intensiva nella ricerca di una nuova occupazione.

Il contratto di ricollocazione prevede la decadenza del lavoratore in caso di inadempienza dai diritti-doveri ossia:

qualora il soggetto non si renda parte attiva rispetto alle iniziative proposte dal soggetto accreditato;

qualora il soggetto non partecipi alle iniziative di ricerca, addestramento e riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali coerenti con il fabbisogno espresso dal mercato del lavoro, organizzate e predisposte dal soggetto accreditato;

nel caso di rifiuto senza giustificato motivo di una congrua offerta di lavoro;

in caso di perdita dello stato di disoccupazione.

Il voucher per il ricollocamento sta per concretizzarsi. Manca solo il decreto ministeriale e poi sarà disponibile, proprio a partire da questo mese. È ciò che ha affermato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti.

La nuova misura contro la disoccupazione sta per arrivare in soccorso di migliaia di persone che necessitano di un aiuto concreto per l’inserimento lavorativo.
L’ assegno di ricollocazione rappresenta, infatti, per il Governo uno dei punti chiave del piano d’azione dell’Agenzia per le politiche attive per il Lavoro.

Il nuovo sistema che metterà in comune le informazioni di tutti gli organi coinvolti dall’Inps, al ministero del Lavoro all’Istruzione, e tutti i centri di impiego territoriale, pubblici e privati funzionerà così: sul sito dell’Anpal il disoccupato inserirà tutti i dati richiesti che serviranno a creare il suo profilo occupazionale e un indicatore di occupabilità che terrà conto di competenze, area geografica, scolarizzazione, durata della disoccupazione ecc. che gli dà diritto all’assegno di ricollocazione, che parte dopo 4 mesi di Naspi.

Bonus tanto più alto quanto più fragile è la posizione del senza lavoro. Infatti, secondo gli addetti ai lavori, tanto più alta è la distanza del disoccupato dal mercato del lavoro, tanto più elevato sarà l’assegno e quindi l’aiuto a rientrare nel mercato. Uno strumento questo per colmare differenza che porta alla disoccupazione di lunga durata.

Chi è disoccupato da oltre 4 mesi potrà quindi spendere il voucher nei centri per l’impiego pubblici e privati autorizzati. I quali lo incasseranno solo se entro sei mesi avranno trovato un lavoro a chi lo cerca.

Si potrà fare domanda per ottenere il proprio voucher di disoccupazione se in linea con i requisiti richiesti.

Introdotto con il Jobs Act, il voucher di disoccupazione si affianca ad altri provvedimenti del Governo per la riforma degli ammortizzatori sociali come l’indennità di disoccupazione Naspi, Asdi e Dis Coll.

Il voucher di disoccupazione quindi si inserisce a pieno titolo nella novità introdotte dalla legge di stabilità, e rientra in alcune iniziative che il Governo ha scelto di incentivare per tutelare i lavoratori e per combattere la disoccupazione. A breve, con gli incontri con le sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil fissati per il 6-7 e 12 settembre, con le quali si discuterà di pensioni e mercato del lavoro, si chiariranno tutti i dettagli relativi al nuovo strumento di sostegno alla disoccupazione.

Tale misura voluta dall'attuale Governo rientra nella Legge di Stabilità e ha lo scopo di tutelare i lavoratori e permettere ai giovani di trovare più facilmente il primo impiego, contribuendo alla ripresa economica. Per la piena attuazione del provvedimento in oggetto è estremamente importante accettare un'eventuale offerta lavorativa corrispondente al profilo ricercato dal momento che l'indennizzo potrebbe essere significativamente diminuito o perfino sospeso qualora il richiedente senza lavoro rifiuti l'opportunità lavorativa proposta. Per presentare la domanda è necessario rivolgersi al centro per l'impiego del territorio di residenza e sostenere un colloquio finalizzato alla comprensione del potenziale profilo lavorativo del richiedente.



mercoledì 13 aprile 2016

Pensioni di flessibilità: al via part-time in uscita


La riforma delle pensioni è uno degli argomenti più controversi e dibattuti degli ultimi anni, soprattutto dopo quella del ministro Fornero del 2011 che, tra le varie problematiche sollevate, ha generato anche i cosiddetti lavoratori esodati, numerosi dei quali rimasti ancora oggi senza pensione né stipendio. Il nuovo meccanismo è destinato ai lavoratori del settore privato con contratto a tempo indeterminato ed orario pieno, che possiedono il requisito contributivo minimo.

Al via il part-time agevolato in uscita per i lavoratori vicino alla pensione. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha infatti firmato il decreto che disciplina le modalità della norma introdotta dalla legge di stabilità 2016. Il nuovo meccanismo è destinato ai lavoratori del settore privato con contratto a tempo indeterminato ed orario pieno, che possiedono il requisito contributivo minimo per la pensione di vecchiaia (20 anni di contributi) e che maturano il requisito anagrafico entro il 31 dicembre 2018.

Tutti coloro che hanno i requisiti potranno concordare col datore di lavoro il passaggio al part-time, con una riduzione dell'orario tra il 40 ed il 60%, ricevendo ogni mese in busta paga, in aggiunta alla retribuzione per il part-time, una somma esentasse corrispondente ai contributi previdenziali a carico del datore di lavoro sulla retribuzione per l'orario non lavorato. Inoltre, per il periodo di riduzione della prestazione lavorativa, lo Stato riconosce al lavoratore la contribuzione figurativa corrispondente alla prestazione non effettuata, in modo che alla maturazione dell'età pensionabile il lavoratore percepirà l'intero importo della pensione, senza alcuna penalizzazione.

In pratica, chi si trova a tre anni dalla pensione (passati i 63 anni e 7 mesi) potrà richiedere il part time mantenendo gli stessi contributi che garantiva l'impiego a tempo pieno.

Il lavoratore interessato deve richiedere all'Inps - per via telematica se è in possesso del Pin, o rivolgendosi ad un patronato oppure recandosi presso uno sportello dell'Istituto - la certificazione che attesta il possesso del requisito contributivo e la maturazione di quello anagrafico entro il 31 dicembre 2018. Dopo il rilascio della certificazione da parte dell'Inps, il lavoratore ed il datore stipulano un "contratto di lavoro a tempo parziale agevolato" nel quale viene indicata la misura della riduzione di orario. La durata del contratto è pari al periodo che intercorre tra la data di accesso al beneficio e la data di maturazione, da parte del lavoratore, dell'età per il diritto alla pensione di vecchiaia. Dopo la stipula del contratto, il decreto prevede il rilascio, in cinque giorni, del nulla osta da parte della Direzione territoriale del lavoro e, da ultimo, il rilascio in cinque giorni dell'autorizzazione conclusiva da parte dell'Inps.

Il decreto è stato trasmesso alla Corte dei Conti e diventerà operativo dopo la relativa registrazione.
È inoltre allo studio una nuova estensione della cosiddetta Opzione donna, vale a dire il regime sperimentale nato nel 2004 e appena rilanciato che consente alle lavoratrici dipendenti l'uscita anticipata con 57 anni e 35 di contributi ma con ricalcolo contributivo della pensione.

Inoltre, restano in campo anche le soluzioni più strutturali che riguardano i requisiti di età o contributivi partendo dai disegni di legge presentati in Parlamento o dalla proposta avanzata dal presidente dell'Inps, Tito Boeri, accomunate dalla formula dell'anticipo con penalizzazione (2-3% l'anno rispetto alla vecchiaia). Così come altri interventi di “semplificazione” dei meccanismi di uscita con ricongiunzioni non onerose.

Il contratto di part time agevolato per i lavoratori che raggiungono i requisiti per la pensione di vecchiaia entro il 2018 «rischia di essere precluso per le donne» per effetto del diverso requisito anagrafico previsto in questi anni e dell’equiparazione nel 2018 dell’età tra maschi e femmine. Lo spiega la Uil. Le donne nate nel 1951 - che raggiungerebbero i 66 anni e 7 mesi entro il 2018 sono già uscite nel 2012. Quelle nate nel 1952 escono quest’anno con 64 anni mentre quelle del 1953 raggiungeranno i requisiti fuori tempo massimo.


sabato 5 settembre 2015

Jobs Act: controlli a distanza su tablet e cellulari



La riforma del lavoro è conclusa. Ad annunciarlo, con «soddisfazione», è il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che ha annunciato in conferenza stampa a palazzo Chigi che sono stati approvati gli ultimi quattro decreti del Jobs act. «Abbiamo rimesso al centro il contratto a tempo indeterminato.

Centinaia di migliaia di precari hanno un contratto stabile», ha detto Poletti. Gli ultimi quattro decreti legislativi attuativi del Jobs act riguardano le semplificazioni, il riordino degli ammortizzatori, la razionalizzazione dell’attività ispettiva e il riordino delle politiche attive.
Così i lavoratori verranno controllati a distanza.

In pratica, non ci sarà bisogno di autorizzazione ministeriale nè di accordi sindacali, ma i lavoratori dovranno essere informati in modo preventivo sulle modalità di effettuazione dei controlli, che, comunque, non potranno mai avvenire in contrasto con quanto previsto dal Codice della privacy.

"È vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti che abbiano quale finalità esclusiva il controllo a distanza dell'attività dei lavoratori". Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti "dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere installati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali".

In alternativa, "nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo gli impianti e gli strumenti di cui al periodo precedente possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, del ministero del Lavoro e delle politiche sociali".

L'accordo e l'autorizzazione "di cui al secondo comma non sono richiesti per gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e per gli strumenti di registrazione degli accessi e delle uscite. Le informazioni raccolte ai sensi del terzo comma sono utilizzabili a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n.196". In altri termini, se il lavoratore non verrà adeguatamente informato dell'esistenza e delle modalità d'uso delle apparecchiature di controllo e delle modalità di effettuazione dei controlli, i dati raccolti non saranno utilizzabili a nessun fine, nemmeno a fini disciplinari.

Con i decreti legislativi attuativi del Jobs Act la riforma del lavoro varata dal Parlamento lo scorso dicembre con la legge 183/2014 chiude il cerchio e diventa pienamente operativa su tutti i fronti: non soltanto quello contrattuale, già ai test con i nuovi contratti a tutele crescenti che cominciano a mostrare i primi frutti in termini di stabilizzazioni, ma anche quello della rete dei servizi per l’impiego, della ricollocazione, del sistema delle ispezioni e degli ammortizzatori. La parola d’ordine è una: semplificare. Anche se su alcuni fronti, come Cig e dintorni, l’operazione si annuncia molto complessa e andrà attentamente valutata sul campo. Anche per stimare quale sarà l’impatto effettivo dei costi che le imprese saranno chiamate a sostenere.

Sul tema controverso dei controlli a distanza, Poletti ha detto che è stato «colmato un vuoto normativo»: «Abbiamo modificato l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori per individuare una nuova disciplina nel rispetto della privacy colmando un vuoto non sugli impianti fissi ma sugli strumenti in dotazione ai lavoratori». Gli esiti dei controlli su strumenti e apparecchi di lavoro, come smartphone e tablet, possono dunque essere utilizzati con due paletti: informazione preventiva al lavoratore e rispetto delle norme sulla privacy, ma non serve l’autorizzazione del sindacato e del ministero come avviene per le telecamere.

Quanto alla razionalizzazione dell’inserimento mirato dei disabili: «Abbiamo una buona legge, l’unico problema è che a fronte di cento iscritti alla lista ora siamo sotto il 3%: ogni cento meno di tre trovano un lavoro. Abbiamo perciò pensato di rendere più semplici queste normative e cambiare il sistema degli incentivi», l'utilizzo delle informazioni può essere fatto solo in rispetto della privacy ma l'autorizzazione sindacale o del ministero non è necessaria per cellulare e tablet ma solo per telecamere".

Al debutto anche le novità sulle dimissioni in bianco, quelle che alcuni datori di lavoro usano far firmare senza data al momento dell’assunzione, soprattutto alle lavoratrici per poterle licenziare in caso di maternità: «Non saranno più possibili: le dimissioni saranno valide solo se stilate su un modulo numerato e datato scaricabile solo dal sito del ministero del Lavoro».

Addio alle dimissioni in bianco. La certificazione della richiesta di dimissioni dovrà essere fatta "su un modulo che va scaricato dal sito del ministero del Lavoro, se non c'è un modulo datato e certificato la dimissione non è valida". Ha annunciato Poletti al termine del cdm. "Per i controlli a distanza siamo intervenuti sull'art. 4 dello Statuto dei lavoratori rispetto alla privacy, colmando un vuoto normativo", ha spiegato il ministro. "Oggi abbiamo una normativa complessiva con al centro due obiettivi: una norma chiara e definita e il rispetto della privacy".

La Naspi, il nuovo assegno contro la disoccupazione involontaria durerà 24 mesi. Poletti ha sottolineato che la cig viene riportata alla sua visione originale. L'ammortizzatore in costanza di rapporto di lavoro durerà 24 mesi in un quinquennio mobile, periodo che sale fino a 36 se si usa la solidarietà. Sulle aliquote di applica il meccanismo bonus malus, paga di più chi più usa la cassa.

domenica 31 maggio 2015

Pensioni, decreto ingiuntivo: l’Inps ripaghi l’indicizzazione



I giudici hanno accolto il ricorso di un pensionato partenopeo presentato prima il governo annunciasse il decreto sui rimborsi delle pensioni.

Le sentenze della Corte Costituzionale «producono la cessazione di efficacia della norma stessa dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione» e gli organi politici possono adottare, «ove lo ritengano», «i provvedimenti del caso nelle forme costituzionali».

Un'ingiunzione di pagamento di 3.074 euro a titolo di arretrati dopo la bocciatura del blocco delle indicizzazioni delle pensioni da parte della Corte Costituzionale. Lo ha stabilito in un decreto ingiuntivo del 29 maggio dal Tribunale di Napoli, sezione Lavoro, che ha accolto il ricorso di un pensionato partenopeo presentato prima il governo annunciasse il decreto sui rimborsi delle pensioni. Lo ha riferito l'avvocato Vincenzo Ferrò, che ha assistito il pensionato.

I cittadini che ritengano di vedere leso un proprio diritto hanno pieno titolo fare ricorso, «ma i ricorsi dovranno tenere conto del decreto del governo», ha ricordato il ministero del Lavoro, ribadendo quanto già affermato dal ministro Giuliano Poletti sulla possibilità di ricorrere contro i rimborsi parziali previsti dopo la sentenza della Consulta sulle pensioni. «Dal punto di vista della legittimità - aveva sottolineato il ministro del Lavoro - noi siamo convintissimi di aver pienamente ottemperato a quanto la Corte ha in qualche modo sottolineato come limiti della normativa precedente per cui ha scelto di cassare quella parte della norma».

Con il decreto del 13 maggio il governo ha previsto che dal primo agosto i pensionati ricevano un rimborso che varierà a seconda della pensione percepita. Per il 2012-13 il provvedimento riconosce la rivalutazione del 40%” per gli assegni tra 3 e 4 volte il minimo, del 20% per quelli tra 4 e 5 volte il minimo e del 10% per quelli tra 5 e 6 volte il minimo. Per il 2014-15 sarà rimborsato il 20% di quanto previsto per il biennio precedente. Diversa l'opinione dell'avvocato Vincenzo Ferrò, che ha assistito il pensionato napoletano che, il 29 maggio, si è visto accogliere il ricorso. “Si tratta del primo decreto ingiuntivo di questo tipo.

Abbiamo sempre nutrito la massima fiducia nella Magistratura ed il nostro non facile lavoro è stato ripagato. Questo è solo il primo di una serie di ricorsi volti ad ottenere il riconoscimento del diritto alla rivalutazione delle pensioni”, ha spiegato all'Ansa Ferrò. Il suo assistito percepisce una pensione di circa 2mila euro lordi e rientra, perciò, nella fascia di pensionati alla quale arriverà, ad agosto, il bonus di massimo 750 euro.

Dello stesso avviso il Codacons che ritiene che il provvedimento del governo non valga per il pregresso e secondo il quale si apre la strada a “migliaia di ricorsi analoghi” L'Inps, si legge intanto nell'ingiunzione del tribunale di Napoli, ha ora 40 giorni per opporsi davanti al giudice: un'opposizione che, una volta entrato in vigore, potrà probabilmente basarsi anche sul decreto del governo.

Ricordiamo che la sentenza della Corte Costituzionale che ha 'bocciato' il blocco degli adeguamenti pensionistici.

La soluzione è complessa. Le possibili ripercussioni sui conti pubblici sono enormi. L'applicazione della sentenza sul totale dei pensionati interessati è stato quantificato dai tecnici del Mef in oltre 17 miliardi lordi. Il Governo sta lavorando a «misure che minimizzino l'impatto sui conti pubblici, nel pieno rispetto della Corte».

Intanto il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti dopo aver definito apertamente «impossibile» la restituzione a tutti i pensionati degli adeguamenti all'inflazione bloccati, è tornato sul tema, proponendo «una soglia di 5 mila euro che potrebbe rappresentare una misura giusta» oltre la quale non scatterebbe il rimborso, perché «non è giusto pensare di rimborsare tutte le pensioni, anche quelle più alte».

Il segretario generale dello Spi-Cgil, Carla Cantone, ha sostenuto che la sentenza deve essere applicata immediatamente». Ma ha aggiunto: «Siamo disponibili a ragionare con il governo sulle modalità e sulle tempistiche della restituzione degli arretrati».



martedì 27 maggio 2014

Poletti accelera sul ddl lavoro chiusura entro il 2014




Il ministro del lavoro, Giuliano Poletti, accelera sul ddl lavoro: "La riforma è strutturale, uno di quei cambiamenti radicali che il presidente del consiglio Renzi dice che bisogna fare e anche in fretta. La legge delega è immaginabile che si chiuda entro la fine dell'anno e se ciò accadesse noi saremo in grado di metterla rapidamente a regime".

Giuliano Poletti conferma l'intenzione del governo di accelerare sul ddl delega sul lavoro: «È una riforma strutturale. Ed è immaginabile che si chiuda entro la fine dell'anno e se ciò accadesse noi saremo in grado di metterla rapidamente a regime», ha detto il ministro. L'obiettivo è condiviso dal relatore e presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi che ha sottolineato l'intenzione di chiudere la parte di discussione e l'approvazione a Palazzo Madama del testo di legge delega entro luglio.

Se si coglierà questo obiettivo, ha aggiunto Poletti, «già a settembre si potrà avere il ddl in Aula alla Camera e quindi farlo camminare velocemente». Naturalmente, ha spiegato il titolare del Lavoro, «se nel merito le posizioni interne alla maggioranza e in Parlamento saranno sufficientemente vicine si potranno evitare più passaggi parlamentari».

Poletti ha detto anche che il ministero del Lavoro sta lavorando «per predisporre tutti gli elementi per la stesura dei decreti attuativi della delega. Faremo un lavoro preparatorio che ci metterà in condizione di agire rapidamente appena il Parlamento approverà la legge delega».

Naturalmente, ha aggiunto ministro del Lavoro, "se nel merito le posizioni interne alla maggioranza e in Parlamento saranno sufficientemente vicine si potranno evitare più passaggi parlamentari, quindi io credo che sia possibile farlo velocemente".

Il Ministero si sta "attrezzando, nel senso che stiamo lavorando per predisporre tutti gli elementi per la stesura dei decreti attuativi della delega e questo per non aspettare i tempi della predisposizione e - ha sottolineato - faremo un lavoro preparatorio che ci metterà in condizione di agire rapidamente appena il Parlamento approverà la legge delega".

mercoledì 26 marzo 2014

Giuliano Poletti: no a tagli pensioni invalidità



"Non vi sono ipotesi di modifica dei criteri di concessione" per le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento. Lo ha assicurato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, alla Camera. Anche perché "interventi di questo tipo non possono essere realizzati unicamente nell'ottica di contenimento della spesa pubblica. In quanto, ha spiegato, si correrebbe il concreto rischio di privare molte persone in condizione di grave disabilità e le loro famiglie dell'unico strumento di sostegno previsto attualmente dal nostro ordinamento"

Pensioni di invalidità salve: «Allo stato non vi sono ipotesi di modifica dei criteri di concessione. Eventuali decisioni in materia andranno rimesse alla collegiale valutazione del governo e non quindi del tecnico che ha predisposto la scheda di analisi, ma che da questo punto di vista non produce esiti nel senso di una modifica della situazione», ha detto il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali.

C'è «lo sforzo di questo governo a reperire le risorse per il pagamento della cig in deroga per tutto il 2014», ha poi sottolineato Poletti, evidenziando l'impegno «a costruire un tessuto sociale più coeso e solidale» e «a proteggere quanti hanno subito l'impatto della crisi».

Per la cig in deroga «confermiamo da una parte l'orientamento per l'esaurimento» dello strumento «e dall'altro che per il 2014 e una coda del 2013 c'è una non copertura degli oneri previsti», ha specificato il ministro, in audizione presso la commissione Lavoro del Senato, aggiungendo che «c'è bisogno di una riflessione perché diversamente rischieremmo di avere una caduta senza alcuno strumento che la gestisca»: occorre «una transizione che eviti drammi sociali».

Poletti ha infatti ricordato che «si punta a mantenere la cassa integrazione ordinaria e straordinaria e a superare la cassa integrazione in deroga», come già previsto dalla riforma Fornero, «e ad avere uno strumento unico a copertura generale» per la disoccupazione. Strumento che verrebbe esteso anche ai co.co.co, come è indicato nel disegno di legge delega che riguarda, appunto, anche la riforma degli ammortizzatori sociali. L'intenzione è quella di gestire il passaggio dall'uno all'altro strumento in modo che anche temporalmente non si creino problemi a chi ne usufruisce

E oltre ai precari, altro tasto dolente è la disoccupazione giovanile: «Un tema che riveste una assoluta centralità nell'azione del governo», impegnato a rilanciare l'occupazione, come ha sottolineato Poletti.

A questo proposito, c'è «l'impegno del governo a seguire con la massima attenzione l'attuazione della sperimentazione in corso» avviata a fine 2012, «per poterne valutare gli effetti in vista di una eventuale estensione a tutto il territorio nazionale della staffetta generazionale», ha spiegato il ministro. Si tratta di uno strumento per favorire l'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro.

Con questa iniziativa si è «voluto promuovere l'inserimento dei giovani privi di occupazione attraverso l'attivazione di un contratto a tempo indeterminato o di apprendistato parallelamente al mantenimento nella stessa azienda di lavoratori anziani over-50 titolari di un contratto a tempo pieno che si trovino nella necessità di continuare a prestare la propria attività lavorativa per raggiungere i requisiti pensionistici.

«In questi casi», ha proseguito, «il meccanismo della staffetta prevede che il lavoratore anziano accetti volontariamente la trasformazione del proprio rapporto di lavoro in part-time a fronte del riconoscimento di una integrazione contributiva a titolo di contribuzione volontaria versato dalla Regione o dalla Provincia autonoma all'Inps, la quale servirà a garantire la copertura integrale del delta contributivo. Contestualmente attraverso l'assunzione del giovane lavoratore si determina un saldo occupazionale positivo».


venerdì 21 marzo 2014

Contratti a termine e apprendistato, prevale il consenso fra gli addetti



«Se le regole non creano lavoro è vero che avere una buona regolamentazione del mercato del lavoro aiuta, è una buona cosa»: è il messaggio lanciato dal Forum della Confcommercio in corso a Cernobbio nel giorno dell'entrata in vigore del Decreto legge sul rilancio dell'occupazione (il dl n.34) dal ministro del Lavoro.

Giuliano Poletti, che in vista dell'avvio dell'esame da parte della Camera che inizierà la prossima settimana, aggiunge: «Il Governo monitorerà il passaggio parlamentare del decreto lavoro ma è pronto ad apportare modifiche se verrà dimostrato che le misure non funzioneranno». Lo scenario economico continua a destare preoccupazione, «nel 2014 avremo ancora problemi acutissimi di disoccupazione, la crisi non ha ancora scaricato tutti i suoi effetti», secondo il ministro «siamo in una sorta di terra di mezzo», ci vorrà ancora tempo per vedere gli effetti.

Poletti invita ad avere un approccio pragmatico, non ideologico, sul provvedimento, sottolineando che «il punto di partenza è il dato che negli ultimi tre mesi del 2013 gli avviamenti al lavoro sono stati al 68% con contratti a termine», per concludere: «noi rispondiamo dal 68% in su, le valutazioni di merito bisogna farle partendo da questi dati di realtà». Le critiche per il ministro «sono fisiologiche, è normale avere opinioni diverse, io ascolto, verifico, discuto e metto in campo le mie ragioni ma sono pronto a cambiare se i fatti dimostreranno che quello che ho fatto non va bene».

Il 44% dei direttori del personale si dichiara «del tutto d'accordo» con l'efficacia dell'estensione da 12 a 36 mesi della durata del contratto a tempo determinato "acausale", che cancella l'obbligo per il datore di lavoro di indicare il motivo dell'assunzione. Il 43% si dice «d'accordo in parte».

Lo rivela un sondaggio del centro studi e ricerche Bachelor, pubblicato nello stesso giorno in cui entrano in vigore le novità del decreto legge numero 34 con le disposizioni per favorire il rilancio dell'occupazione e la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese. Prevalgono dunque i giudizi positivi sulle misure sui contratti a termine che complessivamente raggiungono l'87% del campione di direttori del personale interpellato, mentre il 9% si dice «non molto d'accordo» sull'efficacia della norma, il 3% «per niente» e l'1% «non sa». Anche tra i giovani laureati i favorevoli sono più numerosi dei contrari, anche se ad essere «pienamente d'accordo» è solo l'8%, i«parzialmente d'accordo» raggiungono il 51%, a dirsi «non molto» d'accordo il 26%, il 12%«per niente» e il 3% non sa.

Incassa la maggioranza dei consensi anche la semplificazione dell'apprendistato, oggetto del sondaggio svolto dal centro Bachelor tra il campione composto da 100 direttori di imprese di medie-grandi dimensioni del settore privato e da 500 laureati da meno di 3 anni, su tutto il territorio nazionale. Alla domanda se si ritiene efficace il provvedimento che «prevede meno vicoli per le imprese, compreso l'obbligo di confermare i precedenti apprendisti prima di assumerne nuovi» il 47% dei direttori del personale si dice «del tutto d'accordo», il 41% «in parte d'accordo», il 9% «non molto» e il 3% «non sa». Prevalgono i giudizi favorevoli anche tra i giovani laureati: il 44% è «in parte d'accordo», il 21% del tutto, il 20% non molto, il 15 per niente.

Il sondaggio riguarda anche la fiducia sulle politiche d'occupazione giovanile del governo Renzi, con il 67% dei direttori del personale che dichiara di avere «abbastanza fiducia» e il 16% si dice «molto fiducioso». Analoga la percentuale di chi «non ha molta fiducia» (16%), mentre solo l'1% non ripone alcuna speranza. Tra i giovani laureati il 50% degli intervistati è «abbastanza fiducioso», il 9% ha «molta fiducia», il 32% «non ha molta fiducia», il 9% non ne ha «per niente». Infine una domanda sull'annunciata riduzione del cuneo fiscale, i 10 miliardi che dovrebbero andare a beneficio dei lavoratori con stipendi netti fino a 1.500 euro al mese che a partire dalla busta paga di maggio dovrebbero avere un incremento di mille euro su base annua. Questa proposta piace molto al 38% dei direttori del personale e al 34% dei giovani laureati, abbastanza al 47% dei primi e al 53% dei secondi.
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