mercoledì 14 dicembre 2016

Lavoro: referendum sul Jobs Act



La Consulta esaminerà l'ammissibilità del referendum l'11 gennaio. Il referendum sono stati proposti dalla Cgil, che ha raccolto oltre 3 milioni di firme a sostegno l'ammissibilità delle richieste relative a tre referendum abrogativi tutte concernenti disposizioni in materia di lavoro, comprese misure presenti nel Jobs Act. Le richieste sono già state dichiarate conformi a legge dall'Ufficio centrale per il referendum presso la Cassazione, con ordinanza depositata il 9 dicembre 2016.

I referendum sono stati proposti dalla Cgil, che ha raccolto oltre 3 milioni di firme a sostegno. L'obiettivo è quello di cancellare le norme del Jobs Act che hanno modificato l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e quindi la possibilità di licenziamento; di abrogare le disposizioni che limitano la responsabilità in solido di appaltatore e appaltante, in caso di violazioni nei confronti del lavoratore; e di eliminare i cosiddetti voucher, ossia i buoni lavoro per il pagamento delle prestazioni accessorie.

L’Ufficio centrale per il referendum della Cassazione ha già dato il via libera. Ora spetta alla Corte Costituzionale pronunciarsi e nessuno dubita sull’ok della Consulta. Da quel momento il governo dovrà fissare una data per il referendum tra il 15 aprile e il 15 giugno. Tranne se in quel lasso di tempo non venissero indette elezioni anticipate: in quel caso la consultazione referendaria verrebbe rinviata di un anno. Ma il governo Gentiloni non ha una scadenza e non è prevedibile cosa accadrà nei prossimi mesi, allora a Palazzo Chigi è scattato l’allarme rosso. Le richieste di referendum, già vagliate dall'Ufficio centrale della Cassazione, riguardano le disposizioni in materia di licenziamenti illegittimi e quelle inerenti il lavoro accessorio contenute nel Jobs Act, nonchè la norma, contenuta nel decreto per l'attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, riguardanti la responsabilità solidale in materia di appalti.

La bocciatura del Jobs Act, che decretò la storica abolizione dell’articolo 18, sconfesserebbe il triennio renziano a palazzo Chigi, azzopperebbe le possibilità di «rivincita» dell’ex premier e comprometterebbe la corsa del Pd e dei suoi alleati alle successive elezioni, spianando la strada delle forze antisistema verso la vittoria. Certo, la Consulta deve ancora pronunciarsi. Certo, il governo proverà a correggere parti della legge per tentare di far saltare il referendum. Certo, stavolta la consultazione per essere valida avrebbe bisogno di superare il quorum.
Ma a parte l’incognita della Corte, a parte l’impossibilità per l’esecutivo di reintrodurre l’articolo 18, a parte il nodo dell’affluenza alle urne, nella maggioranza si scorge il rischio.

Primo quesito (reintroduzione della reintegra in caso di licenziamento senza giusta causa e sua estensione alle imprese sopra i 5 addetti – “articolo 18”) 

«Volete voi l'abrogazione del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, recante "Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183" nella sua interezza e dell'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, recante "Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento" comma 1, limitatamente alle parole "previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell'art. 1345 del codice civile"; - comma 4, limitatamente alle parole: "per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili," e alle parole ", nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto"; - comma 5 nella sua interezza; - comma 6, limitatamente alla parola "quinto" e alle parole ", ma con attribuzione al lavoratore di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi" e alle parole ", quinto o settimo"; - comma 7, limitatamente alle parole "che il licenziamento è stato intimato in violazione dell'art. 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento" e alle parole "; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell'indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'art. 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo"; - comma 8, limitatamente alle parole "in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento", alle parole "quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di" e alle parole ",anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti".».

Secondo quesito (eliminazione dei voucher) «Volete voi l'abrogazione degli articoli 48, 49 e 50 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante "Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'art. 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183"?».

Terzo quesito (responsabilità e controllo sugli appalti) «Volete voi l'abrogazione dell'art. 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, recante "Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30", comma 2, limitatamente alle parole "Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti," e alle parole "Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all'appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell'appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l'azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore e degli eventuali subappaltatori”?»


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