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domenica 8 febbraio 2015

Contratti di solidarietà: integrazione salariale 2015



I contratti di solidarietà sono accordi, stipulati tra l'azienda e le rappresentanze sindacali, aventi ad oggetto la diminuzione dell’orario di lavoro al fine di:

mantenere l’occupazione in caso di crisi aziendale e quindi evitare la riduzione del personale (contratti di solidarietà difensivi, art. 1 legge 863/84);

favorire nuove assunzioni attraverso una contestuale e programmata riduzione dell’orario di lavoro e della retribuzione (contratti di solidarietà espansivi art. 2 legge 863/84). Questa tipologia ha avuto, però, scarsissima applicazione.
Il contratto di solidarietà nasce come strumento atto a difendere l’occupazione, facendo in modo che il sacrificio imposto ai lavoratori, in seguito alla diminuzione dell'orario di lavoro, possa essere recuperato attraverso un rimborso di quote di retribuzione da parte dell’Inps.

I contratti di solidarietà sono rivolti a tutto il personale dipendente ad esclusione di:
dirigenti

apprendisti;

lavoratori a domicilio;

lavoratori con anzianità aziendale inferiore a 90 giorni;

lavoratori assunti a tempo determinato per attività stagionali.
I lavoratori part-time sono ammessi nel solo caso in cui l’azienda dimostri “il carattere strutturale del part-time nella preesistente organizzazione del lavoro”.

La legge prevede due tipologie di contratti di solidarietà:

1. TIPO A - contratti di solidarietà per le aziende rientranti nel campo di applicazione della disciplina in materia di CIGS (art. 1 legge n. 863/84);

2. TIPO B - contratti di solidarietà per le aziende non rientranti nel regime di CIGS e per le aziende artigiane (art. 5 comma 5 legge n. 236/93).


Dal 2015 torna al 70% l’integrazione salariale dei contratti di solidarietà. È la novità introdotta da un emendamento al decreto Milleproroghe approvato dalla Commissione Bilancio alla Camera. Il ripristino per tutto il 2015 del contributo nella misura del 70% per i contratti in essere verrà finanziato con 50 milioni di euro di risorse recuperate dal fondo sociale per l’occupazione e la formazione.

Dal 2015 per i contratti di solidarietà di tipo A, stipulati in un contesto aziendale ove sussiste il diritto alla cassa integrazione salariale straordinaria, è prevista l’integrazione del 60%. Né la legge di Stabilità 2015, ne' il decreto Milleproroghe 2015 hanno prorogato la norma che stabiliva al 70% la misura dell'integrazione salariale spettante ai lavoratori coinvolti in contratti di solidarietà. Il rischio è destabilizzare un contratto il cui utilizzo è cresciuto in termini importanti nel corso degli ultimi anni, determinandone una perdita di attrattiva per aziende e lavoratori. Si apre, tuttavia, uno spiraglio con un emendamento del Governo al Milleproroghe che ripristina la percentuale del 70%.

Viene dunque confermato l’intervento sui contratti di solidarietà anticipato nei giorni scorsi dal sottosegretario al Ministero del Lavoro, Teresa Bellanova, la quale ha definito l’integrazione dei contratti di solidarietà: «Uno strumento fondamentale, specialmente in anni di crisi, perché permette di evitare il licenziamento: per questo nel Jobs act abbiamo scritto che il suo ricorso dovrà essere prioritario. Il Ministero ha quindi confermato l’impegno a dare attuazione alle disposizioni della delega con specifici interventi per la messa a regime di questo ammortizzatore sociale, destinando ai contratti di solidarietà una parte delle risorse attribuite alla cassa integrazione».

Senza questa proroga, dal primo gennaio 2015, i contratti di solidarietà avrebbero perso il 10% sull’integrazione salariale. Anche nel 2014 l’integrazione era al 70%, mentre per questi contratti la legge prevede un’integrazione pari al 60% a carico della cassa integrazione straordinaria, sulla parte di monte ore che viene perso. Grazie all’emendamento al Milleproroghe approvato, l’integrazione sarà al 70% anche nel 2015.

L'intervento straordinario di integrazione salariale è destinato alle seguenti categorie di aziende che abbiano occupato nel semestre precedente alla richiesta d'intervento più di 15 dipendenti:

imprese industriali (comprese quelle edili ed affini);

imprese cooperative e loro consorzi, che trasformano, manipolano e commercializzano prodotti agricoli e zootecnici, per i dipendenti a tempo indeterminato;
imprese artigiane, il cui fatturato nel biennio precedente, dipendeva per oltre il 50% da un solo committente, destinatario di CIGS;

aziende appaltatrici di servizi di mensa o ristorazione, le cui imprese committenti siano interessate da CIGS;

imprese appaltatrici di servizi di pulizia la cui impresa committente sia destinataria di CIGS;

imprese editrici di giornali quotidiani, periodici e agenzie di stampa a diffusione nazionale per le quali si prescinde dal limite dei 15 dipendenti;

imprese esercenti attività commerciali con più di cinquanta dipendenti;

agenzie di viaggio e turismo, compresi gli operatori turistici, con più di cinquanta dipendenti;

imprese di vigilanza con più di quindici dipendenti;

imprese del trasporto aereo a prescindere dal numero di dipendenti;

imprese del sistema aeroportuale a prescindere dal numero di dipendenti.

I lavoratori che possono beneficiare dell'intervento nel rispetto del requisito occupazionale di 90 giorni di anzianità lavorativa ( art. 8, co. 3 della Legge n. 160 del 20/5/1988 - Circ. n. 171 del 4/8/1988 sono:
operai e intermedi;
impiegati e quadri;
soci e non soci di cooperative di produzione e lavoro;
lavoratori poligrafici e giornalisti.




martedì 1 luglio 2014

Militari vicini alla pensione potranno restare in servizio fino a fine 2015



I militari vanno in pensione prima rispetto al resto degli statali, tra i 60 e i 62 anni. Per loro non esiste il trattenimento in servizio, ossia la possibilità di rimanere per altri due anni una volta raggiunta l’età pensionabile, ma c’è un istituto simile: il collocamento in ausiliaria. Ai militari sarà concessa la stessa «eccezione» dei giudici. Potranno rimanere sì in servizio, ma solo fino al 31 dicembre del 2015, poi dovranno andare in pensione.

Quindi i militari in pensione, e richiamati in servizio (attraverso l'istituto del collocamento in ausiliaria) non dovranno lasciare l'incarico alla scadenza del prossimo 31 ottobre come originariamente previsto dalla bozza del Dl sulla riforma della Pa, licenziata lo scorso 13 giugno.

Per loro la nuova data conclusiva è fissata al 31 dicembre 2015, come stabilito per i magistrati che invece non avranno alcun ulteriore slittamento dei termini sulla revoca del trattamento in servizio.

I tecnici della Funzione pubblica spiegano che la prevista deroga per i militari nasce dal fatto nelle Forze armate si va in pensione prima (60-62 anni) e non esiste il trattenimento in servizio ma il collocamento in ausiliaria, che sostanzialmente risponde alla stessa logica che è quella di consentire a chi è andato in pensione di poter continuare a prestare il proprio lavoro (da richiamato) in questo caso per una durata fino a cinque anni. I militari in questi giorni premevano per una deroga più ampia o la totale salvezza del collocamento in ausiliaria. La strada scelta dal Governo è stata invece quella di consentire agli attuali vertici militari (in pensione, ma in servizio perché richiamati) di proseguire il lavoro fino al 31 dicembre 2015, per evitare pericolosi vuoti d'organico nelle gerarchie delle Forze armate.

Sui magistrati il testo finale del provvedimento conferma l’abbassamento da 75 a 70 anni dell’età di pensionamento dei giudici lasciando, come appunto per i militari, un periodo di transizione fino al 31 dicembre del 2015. Dal testo finale sarebbero state eliminate anche le norme che allargavano alla Banca d’Italia il taglio del 20 per cento dei salari accessori dei dipendenti deciso per le Authority indipendenti. Così come è stata addolcita la norma sul divieto di conferire incarichi nella Pa ai pensionati. Questa regola sarà valida solo per il futuro e non riguarderà gli organi costituzionali.

Tolti magistrati e militari, l’abolizione del trattenimento in servizio per la parte restante degli statali partirà da ottobre. Da quel momento in poi nessun lavoratore che ha i requisiti per la pensione potrà più continuare ad essere impiegato. Questo, secondo le stime del governo, dovrebbe liberare 15 mila posti in un triennio per assumere giovani.


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