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mercoledì 19 marzo 2014
Jobs Act e il mercato del lavoro cosa c’è da sapere
Fondi per favorire l’occupazione dei giovani, riforma della cassa integrazione, correzione dei meccanismi che regolano i contratti a tempo determinato e dell’apprendistato. Tutto per sbloccare l’asfittico mercato del lavoro. Il menu è ricco, e risponde al principio di concentrare le risorse su tutto quello che può essere di stimolo alla crescita e ridurre all’osso l’assistenza pura.
Contratti a termine per tre anni senza l’obbligo di inserire la causale e apprendistato più semplice subito con un decreto legge. E poi, con un disegno di legge delega, un «codice» semplificato del lavoro e un assegno universale di disoccupazione, l’addio alla cassa integrazione in deroga insieme alla riduzione dei contributi ordinari per tutti ma l’aumento per chi li utilizza di più la cig. Ecco, in sintesi, le misure contenute nel Jobs Act di Renzi.
Contratti a termine
Per il contratto a termine viene elevata da 12 a 36 mesi la durata del primo rapporto di lavoro a tempo determinato per il quale non è richiesto il requisito della cosiddetta causalità (il motivo dell’assunzione), fissando il limite massimo del 20% per l’utilizzo.
Proroghe più semplici
Inoltre c’è la possibilità di prorogare i contratti a termine più volte, mettendo così fine alla «tortura», come l’ha definita Poletti, delle interruzioni
Apprendistato
Più semplificazione anche per l’apprendistato, prevedendo meno vincoli. Dunque senza l’obbligo di confermare i precedenti apprendisti prima di assumerne di nuovi.
Retribuzione
La retribuzione dell’apprendista, per la parte riferita alle ore di formazione, è pari al 35% della retribuzione del livello contrattuale di inquadramento.
Garanzia universale
Il sussidio è inserito nel secondo braccio, cioè nel ddl delega. Ci vorranno almeno sei mesi. Assorbirà Aspi e mini Aspi e sarà «graduato in ragione del tempo in cui la persona ha lavorato». La cig in deroga andrà verso l’esaurimento.
Cassa integrazione
Nel ddl delega si mantengono la cig ordinaria e straordinaria, introducendo però un «meccanismo premiante»: si abbassa il contributo di tutti ma si alza usa di più la cassa.
Meno forme contrattuali
Il documento del governo prevede un riordino delle forme contrattuali: al momento sono 40, l’obiettivo è snellirle di molto
Tutele crescenti
Questo snellimento potrà passare, tra l’altro, attraverso l’introduzione «eventualmente in via sperimentale, di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti»
Smaterializzazione del Durc
Sul fronte della semplificazione è prevista la smaterializzazione del Durc. Un intervento importante in considerazione del fatto che nel 2013 i Durc presentati sono stati circa 5 milioni
Garanzia giovani
Parte dal primo maggio e riguarderà una platea potenziale di 900 mila persone con risorse per 1,5 miliardi.
In prima fila, naturalmente, ci sono i giovani che non hanno ancora avuto accesso al mercato del lavoro: per loro arriva la prima applicazione pratica della garanzia giovani europea, con uno stanziamento robusto: 1,7 miliardi che serviranno per offrire a tutti i giovani tra i 18 e i 29 anni un’occasione di lavoro o la possibilità di continuare gli studi. I servizi saranno disponibil grazie a un portale internet Garanzia giovani. Ha spiegato il ministro Giuliano Poletti «nessun italiano deve restare a casa ad aspettare, tutti devono avere un’occasione o un’occupazione. Essere inutili è una condanna ingiusta».
I benefici dovrebbero andare a tutto l’universo del lavoro precario, di quello in difficoltà e di quello che ancora non si trova. Così un decreto legge cambia le regole dei contratti a termine, che potranno durare tre anni senza l’obbligo di indicare una causale (il motivo dell’assunzione, fonte di complicazioni burocratiche) e l’apprendistato semplice. Accanto al decreto, un disegno di legge delega porterà alla scrittura di un codice semplificato del lavoro, introdurre un assegno di disoccupazione universale e dare l’addio alla cassa integrazione in deroga. Insieme con una riduzione dei contributi ordinari per tutti bilanciata da aumenti per chi invece usa di più la cassa. È il Jobs Act: dovrebbe favorire il rilancio dell’occupazione e di riformare gli ammortizzatori sociali.
Parola d’ordine, semplificazione. La possibilità di rinnovare più volte i contratti a termine dovrebbe mettere fine alla «tortura» - così l’ha definita Poletti - delle interruzioni. È «un buon modo per chi vuole assumere». Anche nell’apprendistato, ci saranno meno vincoli: niente obbligo, per assumere nuovi apprendisti, di confermare i precedenti. Per i disoccupati arriverà invece un trattamento universale, in cui confluiranno Aspi e mini Aspi: un assegno che sarà proporzionale alla durata dell’impiego che lo ha preceduto.
Infine i servizi e le politiche attive per il lavoro, da rafforzare, e gli adempimenti, da ridurre. E il riordino delle forme contrattuali, che oggi sono circa 40. L’operazione di sfrondamento potrà passare, anche attraverso l’introduzione «eventualmente, in via sperimentale, di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti» e, anche questo «eventualmente in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile a tutti i rapporti di lavoro subordinato, previa consultazione delle parti sociali».
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sabato 20 aprile 2013
I contributi Inps non versati crescono di oltre il 20% in due anni
I numeri danno concretezza a una sensazione diffusa nel mondo produttivo. La difficoltà delle imprese è cresciuta al punto tale che molte non riescono nemmeno più a far fronte agli obblighi contributivi. Secondo i dati forniti dall'Inps gli importi dovuti e non versati in due anni sono cresciuti di oltre il 21 per cento.
Secondo i dati forniti dallo INPS, sono aumentati del 21,4% i contributi annuali non versati all'ente di previdenza da parte dei datori di lavoro e degli iscritti. Secondo i dati forniti dallo stesso Inps, dai 4,59 miliardi di euro del 2010 si è passati ai 5,57 miliardi del 2012.
Si evidenzia un andamento diverso tra il 2011 e l'anno scorso (il cui bilancio consuntivo non è stato ancora approvato ma si può contare su dati contabili reali). Tra il 2010 e il 2011, i contributi non versati sono cresciuti del 3,1%, mentre tra il 2011 e il 2012 il salto è stato del 17,8% segno, di un grave e brusco peggioramento della situazione delle imprese, che, alle prese con difficoltà economiche, rinunciano a rispettare gli obblighi di contribuzione.
Un quadro che è emerso a seguito del decreto legge messo a punto per sbloccare i pagamenti arretrati della Pubblica amministrazione. Tale provvedimento prevede quale condizione per accedere ai pagamenti, la regolarità contributiva da parte delle aziende. Ma proprio per la difficoltà delle imprese a far fronte agli obblighi, in questi giorni si sta lavorando per escludere il possesso del Durc dai requisiti previsti, tanto più che spesso sono proprio i mancati pagamenti della Pubblica amministrazione ad aver contribuito all'irregolarità contributiva delle imprese.
L'analisi per settori ha messo in evidenza come sia in particolare l'industria ad aver peggiorato i valori. Da 2,02 miliardi di euro di contributi non versati nel 2010 si è passati a 2,91 miliardi nel 2012, con un incremento del 44,1%, mentre per commercio, servizi e artigianato l'aumento è stato del 10% circa. Non si rilevano sensibili differenze a livello territoriale, dato che Nord, Centro, Sud e Isole oscillano tra un incremento del 21,2 e il 21,4 per cento.
A fronte di entrate contributive per 154 miliardi stimate nel 2012 (esclusa la gestione ex Inpdap), i 5,5 miliardi mancanti rappresentano il 3,6%, una dimensione che non costituisce un elemento di criticità per i bilanci dell'Inps. Però allargando l'orizzonte si nota che nel corso degli anni il totale dei contributi mancanti all'appello è andato crescendo.
Secondo quanto riportato nei rendiconti generali, a fine 2003 i crediti per contributi non versati ammontavano a 33,3 miliardi di euro (rettificati in 14,1 miliardi nel fondo svalutazione crediti contributivi). A fine 2011 l'importo era salito a 66,3 miliardi (30,5 miliardi postati nel fondo dedicato). In otto anni il debito complessivamente accumulato dalle imprese è raddoppiato.
Questa situazione rischia di trasformarsi come un boomerang, dato che spesso sono i ritardati pagamenti della Pa una delle ragioni che determinano una situazione di anomalia contributiva, la quale, impedisce all'operazione di pagamento delle somme arretrate dovute dal committente pubblico. I dati affermano che già nel 2007 i contributi non versati nell'anno ammontavano a 4,5 miliardi. Poi, nel pieno della crisi, dal 2008 al 2011 il dato è rimasto stabile, segno che finché hanno potuto gli imprenditori hanno rispettato gli obblighi.
Secondo i dati forniti dallo INPS, sono aumentati del 21,4% i contributi annuali non versati all'ente di previdenza da parte dei datori di lavoro e degli iscritti. Secondo i dati forniti dallo stesso Inps, dai 4,59 miliardi di euro del 2010 si è passati ai 5,57 miliardi del 2012.
Si evidenzia un andamento diverso tra il 2011 e l'anno scorso (il cui bilancio consuntivo non è stato ancora approvato ma si può contare su dati contabili reali). Tra il 2010 e il 2011, i contributi non versati sono cresciuti del 3,1%, mentre tra il 2011 e il 2012 il salto è stato del 17,8% segno, di un grave e brusco peggioramento della situazione delle imprese, che, alle prese con difficoltà economiche, rinunciano a rispettare gli obblighi di contribuzione.
Un quadro che è emerso a seguito del decreto legge messo a punto per sbloccare i pagamenti arretrati della Pubblica amministrazione. Tale provvedimento prevede quale condizione per accedere ai pagamenti, la regolarità contributiva da parte delle aziende. Ma proprio per la difficoltà delle imprese a far fronte agli obblighi, in questi giorni si sta lavorando per escludere il possesso del Durc dai requisiti previsti, tanto più che spesso sono proprio i mancati pagamenti della Pubblica amministrazione ad aver contribuito all'irregolarità contributiva delle imprese.
L'analisi per settori ha messo in evidenza come sia in particolare l'industria ad aver peggiorato i valori. Da 2,02 miliardi di euro di contributi non versati nel 2010 si è passati a 2,91 miliardi nel 2012, con un incremento del 44,1%, mentre per commercio, servizi e artigianato l'aumento è stato del 10% circa. Non si rilevano sensibili differenze a livello territoriale, dato che Nord, Centro, Sud e Isole oscillano tra un incremento del 21,2 e il 21,4 per cento.
A fronte di entrate contributive per 154 miliardi stimate nel 2012 (esclusa la gestione ex Inpdap), i 5,5 miliardi mancanti rappresentano il 3,6%, una dimensione che non costituisce un elemento di criticità per i bilanci dell'Inps. Però allargando l'orizzonte si nota che nel corso degli anni il totale dei contributi mancanti all'appello è andato crescendo.
Secondo quanto riportato nei rendiconti generali, a fine 2003 i crediti per contributi non versati ammontavano a 33,3 miliardi di euro (rettificati in 14,1 miliardi nel fondo svalutazione crediti contributivi). A fine 2011 l'importo era salito a 66,3 miliardi (30,5 miliardi postati nel fondo dedicato). In otto anni il debito complessivamente accumulato dalle imprese è raddoppiato.
Questa situazione rischia di trasformarsi come un boomerang, dato che spesso sono i ritardati pagamenti della Pa una delle ragioni che determinano una situazione di anomalia contributiva, la quale, impedisce all'operazione di pagamento delle somme arretrate dovute dal committente pubblico. I dati affermano che già nel 2007 i contributi non versati nell'anno ammontavano a 4,5 miliardi. Poi, nel pieno della crisi, dal 2008 al 2011 il dato è rimasto stabile, segno che finché hanno potuto gli imprenditori hanno rispettato gli obblighi.
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