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domenica 16 settembre 2012

I tagli delle Poste Italiane in 2mila rischiano il posto di lavoro


Per anni sono andati in giro con una scritta sulla schiena: “Stiamo consegnando corrispondenza per conto di Poste Italiane”, ovvero “non siamo postini”. Sono i lavoratori degli appalti postali e il loro posto è a rischio, perché Poste italiane ha cominciato a “razionalizzare” e “reinternalizzare”. Questa fantomatica razionalizzazione tocca più di duemila tecnicamente “non-postini”.

C’è chi da marzo del 2012 non riceve lo stipendio, chi è già in cassa integrazione e chi ha i giorni contati per entrarci. “Siamo a rischio estinzione”, hanno denunciato più volte nei loro appelli su internet e durante lo sciopero nazionale indetto il 2 luglio scorso dalla Cgil.

Ricordiamo che è dal 1999 che Poste Italiane ha deciso di affidare a società esterne alcuni servizi: all’epoca l’amministratore delegato della società era l’attuale ministro dello Sviluppo Corrado Passera.

Vediamo come funziona questo lavoro in appalto. Si svolge su tre binari: ci sono quelli che lavorano e lavoreranno in futuro con le nuove gare, una volta assegnate; ci sono i lavoratori che manterranno il posto di lavoro sino a scadenza proroga, e quelli che sono in cassa integrazione.

Il recapito della corrispondenza, soprattutto per i "civici ad alto traffico" - ad esempio quelli delle grandi amministrazioni pubbliche che ricevono centinaia di comunicazioni e raccomandate ogni giorno - è da sempre gestito da operatori privati, spesso società ex concessionarie. Con un aggravio nei costi e una filiera così non controllata a dovere (è la versione di Poste Italiane), ma «una migliore qualità del servizio per capillarità e puntualità» (è la tesi delle imprese del settore, alcune di loro ora riunitesi sotto il cappello della Cna, la confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola media e impresa).

Nel 2007, la presunta svolta che sembrava aver risolto l'impasse: l'accordo firmato da Poste Italiane e le organizzazioni sindacali di categoria, con il quale l'ex monopolista di Stato otteneva la garanzia di "internalizzare" il recapito della corrispondenza (in modo da razionalizzare i costi date le ingenti perdite in un settore non più "core") e al tempo stesso affidava "quote di attività aziendali" alle imprese appaltanti «diverse dalla consegna delle raccomandate».

Una logica di scambio tesa a garantire determinati livelli di occupazione. Quell'accordo, però, non è mai stato esplicitato a dovere, ed è rimasto una lettera morta e pesando sull'indotto dei corrieri espresso. Ha detto Valter Recchia, referente Cna per le agenzie di recapito, che ora «la soluzione per salvare i posti di lavoro sarebbe quella di attivare una nuova partnership tra Poste Italiane e le imprese del settore, prevedendo la consegna non solo delle raccomandate, ma anche - perché no - dei farmaci, nelle sedi periferiche, nelle aree più svantaggiate del Paese, nelle comunità montane, dove il servizio universale non è redditizio».

Su questa vertenza si è sovrapposta un'altra, che riguarda gli esuberi interni a Poste Italiane, dopo il piano di razionalizzazione degli uffici postali previsto dalla spending review (si parla di 1.152 uffici in tutta Italia). Lo sciopero unitario di tutte le sigle sindacali del settore previsto per il 12 ottobre per scongiurare il "piano di ristrutturazione" di Poste Italiane potrebbe però svuotare la chiamata alla mobilitazione dei lavoratori in subappalto, perché è il segnale che la coperta è davvero corta e ogni tentativo di perdere altro tempo nei loro confronti rischierebbe di essere pura demagogia.
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