Visualizzazione post con etichetta art 18 statuto dei lavoratori. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta art 18 statuto dei lavoratori. Mostra tutti i post
lunedì 22 settembre 2014
Jobs Act e l'ipotesi di riforma del mercato del lavoro
La prima stesura prevedeva l’introduzione di un contratto unico e indeterminato a tutele crescenti, eventualmente in via sperimentale, per «favorire l’inserimento del mondo del lavoro, con tutele crescenti per i lavoratori coinvolti». Con l‘emendamento approvato, invece, si applicherà per tutte le nuove assunzioni (compreso il reinserimento di un disoccupato) e non più solo al primo impiego.
Di conseguenza, in tutti i casi le tutele crescenti escluderanno la protezione dal licenziamento prevista dall’Articolo 18, prevedendo un’indennità economica (crescente con l’anzianità di servizio) al posto del reintegro (oggi imposto nel licenziamento in cui non si evince la giusta causa). In sostanza si apre la strada verso l’abolizione dell’Articolo 18 per tutte le future assunzioni.
L’emendamento rende più chiaro l’obiettivo di riformare i contratti di lavoro. Il testo originario del ddl delegava il Governo a «misure per il riordino e la semplificazione delle tipologie contrattuali esistenti».
Ora l’Esecutivo è chiamato a formulare:
«un testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro».
Altra differenza, prima si richiamava il rispetto degli «orientamenti annuali dell’Unione europea in materia di occupabilità», mentre ora il riferimento è più genericamente riferito alla: «coerenza con la regolazione comunitaria e le convenzioni internazionali».
Estensione dei contratti di solidarietà alle PMI sotto i 15 dipendenti, offrendo alle imprese la possibilità di utilizzarli non solo per difendere i posti di lavoro in momenti di crisi, ma per creare nuove assunzioni (riducendo le ore dei dipendenti).
Innovazioni in tema di maternità e conciliazione dei tempi di vita e lavoro, introducendo la possibilità di cedere i giorni di ferie non goduti ai colleghi limitatamente a determinate esigenze (cura dei figli minori in particolari condizioni di salute). Regole più semplici per aumentare l’efficacia delle norme contro le dimissioni in bianco, di cui sono spesso vittima le lavoratrici.
Previsti meccanismi premiali per aumentare l’efficienza delle agenzie per l’impiego (pubbliche e private), misure per favorire i disoccupati attraverso i contratti di ricollocamento. In questo filone si inserisce la nuova proposta di Maurizio Sacconi, presidente della Commissione Lavoro al Senato, di introdurre un voucher per remunerare le agenzie in caso di ricollocamento del lavoratore che perde il posto.
"Io sono personalmente favorevole all'abolizione dell'articolo 18 anche perché dobbiamo considerare che è un mantra che in tutto il mondo ci addossano come paese. Parlando in tutto il mondo ci dicono che in Italia non si può investire perché c'e'l'art. 18 e quando assumi un dipendente è per la vita". E' quanto ha detto il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi intervistato da Maria Latella su Sky Tg24.
"Bisogna fare chiarezza: il nostro sistema con le cig speciali e in deroga è sbagliato perchè permette di continuare la finzione che aziende esistano ancora quando invece hanno chiuso e sono decotte. La cassa integrazione deve essere uno strumento importante per aziende in difficoltà ma che abbiamo prospettive di rilancio: la durata dovrebbe essere al massimo di un anno", rileva Squinzi rispondendo ad una domanda sui fondi necessari per allargare gli ammortizzatori.
Il Governo abbia il coraggio politico di spiegarci che cosa vuole fare con la legge delega: ascolti le parti sociali, e poi prenda le sue decisioni". E’ quanto ha detto il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti."Si può decidere se starci a sentire o meno ma si abbia il coraggio di spiegarci come in tutti i paesi normali ". Siamo disponibili al dialogo, ma "guai a toccare le forme di tutela che ci sono già" , aggiunge Angeletti: "Un conto è avvicinare due mondi, ma quello che non si può fare è modificare l'art.18 per chi già ce lo ha"
Oltre l’80% delle imprese è favorevole a ridurre i contratti (abolendo in primis il co.co.pro), esprimendo un forte consenso anche sulla riscrittura dello Statuto dei lavoratori ma, a sorpresa, non tutte si schierano per l’abolizione dell’Articolo 18: quasi la metà non lo ritiene necessario o concorda con il diritto al reintegro nei licenziamenti illegittimi a tre anni di contratto; chi invece opta per l’ipotesi di indennità economica, suggerisce di introdurre programmi di ricollocazione professionale. E’ quanto emerge dall‘Osservatorio Permanente sul Mercato del Lavoro di Gi Group Academy in relazione al Jobs Act, condotto su un campione di circa 500 aziende (in maggioranza micro imprese e PMI).
Al centro del Ddl Delega - approvato dalla Commissione Lavoro del Senato, con l’emendamento del governo sul contratto unico a tutele crescenti per tutti - per il 49,5% delle imprese intervistate dovrebbe esserci l’outplacement, ossia il supporto al ricollocamento. Per il 46,6% la pensione anticipata per gli over 60 e per il 45,4% un indeterminato flessibile.
Quasi tutti d’accordo sul riscrivere lo Statuto dei Lavoratori (71,8%) adeguandolo al mutato contesto economico-sociale. Il 17,9% modificherebbe solo mansioni, controllo a distanza e costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali, il 42,5% abolirebbe l’Articolo 18, sostituendo il reintegro con un’indennità e supporto alla ricollocazione professionale, il 32,6% non pensa ci sia bisogno di tutele crescenti (magari per applicare ancora i contratti a termine, meno convenienti con le tutele crescenti?), il 24,9% ne prevedrebbe l’eliminazione per i primi tre anni di assunzione. Per il 10,3% la norma va bene così come è.
Larghissimo consenso sulla necessità di semplificare i contratti (87,4%). I primi da eliminare? Le collaborazioni a progetto (48,4%) e le associazioni in partecipazione (45,3%). Anche dopo il Decreto Poletti (dl 34/2014) in vigore dal 21 marzo, convertito con la legge 78/2014, il 60% delle aziende dichiara di non aver cambiato idea sui contratti da stipulare per le nuove assunzioni, ma di fatto il tempo determinato è aumentato del 19,6% (indeterminato -23,1%), così come tirocini formativi (+17,1%,) e apprendistato (+12,6%).
Queste tendenze nella scelta dei contratti per le nuove assunzioni sembrano da confermarsi anche per il 2015, lasciando poche speranze all’indeterminato. Da segnalare l’intenzione di ricorrere agli incentivi per le assunzioni giovanili: +13% entro fine anno e +18,3% nel 2015. Per quanto riguarda i licenziamenti, aumenteranno del 12% entro fine anno, del 14% nel 2015.
Interessante il capitolo occupazione giovanile. C’è un 45,8% di aziende che riformerebbe ulteriormente l’apprendistato, dando la possibilità di recedere dopo un determinato periodo di tempo (ad esempio un anno), se l’apprendista non viene ritenuto in grado di acquisire le competenze necessarie per ricoprire la posizione. Ma il dato forse più rilevante riguarda la scarsa informazione che le aziende dimostrano di avere per il Piano Garanzia Giovani: il 44% non sanno di cosa si tratti, il 64,5% non sta utilizzando nessuna delle opportunità previste e non prevede di farlo, meno di un’azienda su tre dichiara l’intenzione di ricorrervi nel 2015.
sabato 4 febbraio 2012
Flessibilità sul lavoro ipotesi al vaglio e la “flessibilità buona”
Probabilmente il significato della flessibilità sul lavoro, lavoro flessibile cambierà con la Riforma del mercato del lavoro.
E con molta probabilità il lavoratore si dovrà accontentare di un indennità economica in sostituzione del reintegro deciso dal giudice. Un ipotesi verosimile al vaglio è quella che prevede la sospensione della tutela secondo l’art 18 dello statuto dei lavoratori solo per i nuovi assunti e per i primi tre anni di rapporto di lavoro. Passato questo periodo se l’azienda vuole ancora quel lavoratore, lo deve assumere a tempo indeterminato con la tutela dell’ art 18.
Il Ministro del Lavoro Elsa Fornero ha parlato sui programmi del governo per lavoro e previdenza. Ospite di Maria Latella a SkyTg24, Fornero ha ribadito l'intenzione dell'esecutivo di distinguere tra flessibilità e precarietà: "Il mio modello è la capacità di avere nel sistema economico una flessibilità che sia buona", ha detto, "Abbiamo imparato che si può avere una flessibilità cattiva che si traduce in precarietà. Abbiamo fatto le liberalizzazioni e anche questo per molte categorie è stata vista come una cattiveria del governo, ma l'idea era introdurre elementi di flessibilità. Non bisogna demonizzare il posto fisso che resta un'importante aspirazione per molti, ma se non lo possiamo fare per tutti l'importante è che per chi accetta la flessibilità non sia precarietà". Ha spiegato la Fornero: "Questo governo è tecnico, non ha parti della società italiana che vuole favorire o partiti cui è particolarmente legato. Si dialoga, però questo governo ha l'ambizione di fare politiche per il Paese, per il futuro del Paese. Può essere un'ambizione eccessiva ma è questa".
Flessibilità in uscita. Nessuno mai può licenziare per motivi di discriminazione, però può volere dire che in alcune circostante non è una soluzione ottimale cercare di tenere stretto a tutti i costi il lavoratore all'azienda. L'importante è chi perde il posto di lavoro deve essere aiutato a trovarne un altro, anche dall'azienda stessa". Per il ministro "se il datore trova che la flessibilità è un elemento positivo un po’ la deve pagare. Quello che si deve rompere - ha spiegato - è il meccanismo per cui il lavoro flessibile è quello che costa meno, quindi dobbiamo dire che la flessibilità è qualcosa che vale ma si deve pagare. Le imprese sanno che se hanno la possibilità di usare la flessibilità devono pagarla un po’ di più e non meno". Ma il ministro ha anche specificato: "Nessuno, mai, potrà licenziare per motivi di discriminazione: questo è inaccettabile in qualunque Paese civile. E quindi deve essere inaccettabile anche in Italia che è un Paese civile".
Iscriviti a:
Post (Atom)