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domenica 9 ottobre 2016

Permessi Legge 104: spettano anche al convivente


I permessi Legge 104 sono dei permessi mensili retribuiti che vengono riconosciuti dal datore di lavoro e permettono al coniuge, parenti o affini della persona affetta da handicap grave di poter prestare assistenza al famigliare disabile grazie a 3 giorni di permesso retribuito.

I tre giorni di permesso al mese che consentono di assentarsi dal lavoro per assistere familiari con gravi handicap devono essere riconosciuti anche al convivente more uxorio e non solo al coniuge e ai parenti e affini. Con la sentenza 213/2016, depositata ieri, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 33, comma 3, della legge 104/1992 che individua i fruitori dei permessi, in quanto non include i conviventi oltre ai familiari più stretti.

Il diritto alla salute, tutelato dall’articolo 32 della Costituzione, rientra a sua volta tra i diritti inviolabili garantiti dall’articolo 2 della Carta costituzionale, sia in quanto il soggetto come singolo che nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità. Per quanto riguarda queste ultime, per formazione sociale si deve intendere ogni forma di comunità.

Di conseguenza, per la Consulta «è irragionevole che nell’elencazione dei soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito…non sia incluso il convivente della persona con handicap in situazione di gravità». L’articolo 33, comma 3, della legge 104/1992 risulta illegittimo rispetto all’articolo 3 della Carta costituzionale non tanto perché non equipara coniuge e convivente, che hanno una condizione comunque diversa, ma perché costituisce una contraddizione logica dato che la norma vuole tutelare il diritto alla salute psico-fisica del disabile, finalità che in questo caso costituisce l’elemento che unifica la situazione di assistenza da parte del coniuge o del familiare di secondo grado e quella fornita dal convivente.

Escludere quest’ultimo dai beneficiari dei permessi comporta, secondo i giudici, un’irragionevole compressione del diritto, costituzionalmente presidiato, del disabile a ricevere assistenza nell’ambito della sua comunità di vita «non in ragione di una carenza di soggetti portatori di un rapporto qualificato sul piano affettivo, ma in funzione di un dato normativo rappresentato dal mero rapporto di parentela o di coniugio».

Secondo quanto stabilito dalla sentenza 213/2016 della Corte Costituzionale, i tre giorni di permesso al mese che permettono di assentarsi dal lavoro per poter assistere dei familiari affetti con gravi handicap possono essere fruiti anche dal convivente more uxorio e non solo al coniuge e ai parenti e affini. Vediamo dunque in che modo si sia arrivati a questa pronuncia, e cosa potrebbe ora cambiare per tutti i potenziali interessati.

Per potersi esprimere circa la congruità di tale valutazione, o meno, i giudici costituzionali hanno tuttavia ricordato che l’interesse primario della legge 104/1992 è quello di “assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell’assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare”. Tutto ciò, unito all’evidenza che il diritto alla salute rientra a pieno titolo tra i diritti inviolabili garantiti dall’articolo 2 della Carta costituzionale, ha portato la Consulta a ritenere “irragionevole che nell’elencazione dei soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito…non sia incluso il convivente della persona con handicap in situazione di gravità”.

La Corte Costituzionale ha poi ricordato come la ragione dei permessi mensili retribuiti risiede nella tutela della salute psico-fisica del disabile, che rappresenta la finalità che lo Stato vuole perseguire attraverso la Legge 104/92.


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