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sabato 13 settembre 2014
Lavoro: il modello tedesco come funziona
Nel dibattito pubblico l’espressione “modello tedesco”, in riferimento alla riforma del mercato del lavoro, ha assunto il significato di concedere al giudice la possibilità (non l’obbligo, come è oggi, salvo diversa scelta del lavoratore) di reintegrare la persona licenziata ingiustamente nel posto di lavoro.
In Germania è presente il tasso di disoccupazione più basso d'Europa secondo gli ultimi dati Eurostat riferiti a luglio: la Germania grazie alla riforma Hartz del mercato del lavoro varata tra il 2003 e il 2005, ha affrontato meglio degli altri Paesi la crisi economica riuscendo a ampliare la base occupazionale.
In Italia il tasso di disoccupazione è aumentato tra il 2007 e il 2013 dal 6,1% al 12,2% (dati Eurostat) mentre in Germania e' diminuito nello stesso periodo dall'8,7% al 5,3% (ma era al 10,5% nel 2004). A luglio 2014 il tasso dei senza lavoro in Germania era al 4,9%, il più basso in Europa. La diminuzione della disoccupazione tedesca è stata possibile grazie alla riforma Hartz, dal nome dell'ex consigliere d'amministrazione di Volkswagen che, sotto il governo Schroeder, diede vita fra il 2003 e il 2005 a una serie di provvedimenti sul mercato del lavoro nella Germania post-unificazione alle prese con circa cinque milioni di disoccupati. In quattro provvedimenti, la Germania ha rilanciato il suo welfare attraverso sussidi di disoccupazione universali, estesi cioè a tutti, purché si dimostri di essere in ricerca attiva di lavoro: i disoccupati vengono sollecitati con proposte di lavoro che, se non accettate, decurtano progressivamente l'indennità.
Oltre a buoni per la formazione, job center e agenzie interinali, Hartz ha introdotto i famosi mini-job, sono nuovi contratti di lavoro a basso salario e con orario ridotto, che prevedono una paga di appena 450 euro al mese e sono soggetti a tasse e contributi modestissimi, quasi nulli. Secondo le stime, più di 7 milioni di tedeschi oggi svolgono un mini job. Per 2 milioni di persone è un secondo lavoro, mentre per altri 5 milioni è l'unica fonte di reddito. L'obiettivo che ha portato alla nascita di questi contratti era di far entrare nel mondo del lavoro regolare molte fasce di popolazione prima escluse (per esempio gli studenti o gli immigrati).
Sono stati riformati gli uffici di collocamento pubblici, unificati nell'Agenzia Federale del Lavoro (con un modello di organizzazione che somiglia a quello di una struttura privata). Gli uffici dell'Agenzia Federale gestiscono direttamente i sussidi di disoccupazione mentre le aziende che inviano un preavviso di licenziamento al dipendente, con qualche mese in anticipo, devono darne immediata notizia alla stessa agenzia, in modo che il lavoratore inizi subito un percorso di reinserimento professionale, ancor prima di diventare disoccupato.
Nel mercato quindi convivono l'alta flessibilità del lavoro (su modello americano) con il modello di welfare nord-europeo (sostegno a chi dimostra di non trovare lavoro) ma con regole molto stringenti (come i lavori socialmente utili pagati un euro o un euro e mezzo l'ora per non perdere il sussidio di disoccupazione). Un mix che ha facilitato le assunzioni portando il costo del lavoro, che era cronicamente alto, a livelli così competitivi da rendere la Germania il secondo esportatore mondiale dopo la Cina (a volte superando Pechino). Ma che hanno anche indebolito i consumi, al punto da spingere i partner Ue e persino gli Usa, con l'amministrazione Obama, a chiedere a Berlino di sostenere la domanda interna pagando di più il lavoro.
È stato posto un limite alla durata dei sussidi di disoccupazione ordinaria, che non vengono erogati per più di 12 mesi (18 mesi per i lavoratori anziani over 55). È stato inoltre reso più severo il criterio per l'erogazione dell'indennità (che di solito arriva sino al 67% dell'ultimo stipendio). Chi rifiuta un'offerta di lavoro che proviene dall'ufficio di collocamento, infatti, in Germania perde il diritto all'assistenza statale. Si tratta di un sistema che in teoria è già in vigore anche in Italia, anche se spesso i nostri centri per l'impiego pubblici non riescono a gestire la domanda di lavoro dei disoccupati e a presentare delle offerte di impiego credibili.
Sono stati introdotti dei criteri più stringenti per il sussidio sociale riservato ai disoccupati di lunga durata, cioè quelli che hanno perso il lavoro da molto tempo e che ricevono una sorta di reddito minimo garantito (già esistente da tempo nel sistema di welfare tedesco). È stato escluso dall'erogazione di questa indennità chi possiede dei risparmi personali superiori a una certa soglia (fissata inizialmente a 13mila euro circa) mentre è stato stabilito un tetto massimo (attorno a 330-350 euro al mese) per l'importo assegno, a cui però si aggiungono altri contributi per i figli o per gli affitti.
Tra il 2004 e il 2006, per abbassare il costo del lavoro, è stato messa in cantiere una riduzione di oltre 2 punti della quota di contributi sui salari destinati al sistema sanitario nazionale. Il taglio è stato finanziato con una riduzione delle prestazioni mediche gratuite, imponendo ai pazienti un sistema di compartecipazione alle spese per le visite e per la prescrizione delle cure. Inoltre, sono state escluse dai benefit pubblici alcune prestazioni mediche non urgenti ma costose come alcuni tipi di cure odontoiatriche. A partire dal 2004, il governo di Berlino ha attuato anche un consistente taglio delle imposte personali, con l'obiettivo di rimettere in tasca ai consumatori quasi 22 miliardi di euro di risorse. La manovra fiscale ha portato a una riduzione dal 48,5 al 42% dell'aliquota fiscale sui redditi più elevati e dal 19,9 al 15% dell'aliquota sulle retribuzioni più basse. Il programma è stato finanziato con un piano di privatizzazioni e di tagli ai sussidi statali.
Si parla molto del “modello tedesco come riferimento di successo ed esemplare per uscire dalla crisi: lo si richiama perfino per modificare l’articolo 18. Ma si nasconde quasi sempre che uno degli elementi fondativi di questo modello è la contemporanea partecipazione: infatti in Germania i rappresentanti dei lavoratori – eletti da tutti i lavoratori, iscritti o meno al sindacato – partecipano al board delle grandi e medie imprese, in posizione, quasi, paritetica con gli azionisti
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Deleghe sul lavoro: contratti di solidarietà, contratto di ricollocazione e dimissioni in bianco
C’è l’intenzione di ampliare la platea di imprese che possono far ricorso ai contratti di solidarietà e rimuovere gli ostacoli che sinora hanno azzoppato il contratto di solidarietà espansivo, quello cioè che favorisce nuove assunzioni attraverso una contestuale riduzione dell'orario di lavoro e della retribuzione.
Il primo obiettivo è estendere la facoltà di usarli alle imprese che finora non possono accedervi (perché l'ambito di applicazione adesso è lo stesso di quello della cassa integrazione straordinaria). Il secondo scopo è semplificare sia il ricorso al contratto di solidarietà difensivo (che prevede tagli di stipendio in caso di crisi aziendale per evitare la riduzione del personale) sia al contratto di solidarietà "espansivo", usato cioè per favorire nuove assunzioni attraverso una riduzione dell'orario di lavoro e della retribuzione dei lavoratori in organico. Quasi l'applicazione pratica del vecchio slogan "lavorare meno, lavorare tutti". Proprio all'insegna di quel modello tedesco, infatti in Germania le ore mediamente lavorate dal singolo lavoratore sono nettamente inferiori a quelle lavorate in Italia. Tenendo immutato il numero totale delle ore di lavoro, e invece riducendo quelle lavorate da ciascuno, l'occupazione aumenta.
E’ stato approvato un emendamento che vede primo firmatario Pietro Ichino, che introduce il "contratto di ricollocazione" il quale prevede la "promozione di un collegamento tra misure di sostegno al reddito della persona inoccupata o disoccupata e misure volte al suo inserimento nel tessuto produttivo". Si tratta, in sostanza, di un contratto trilaterale tra lavoratore disoccupato, centri per l'impiego e agenzia per il lavoro in cui, in cambio di una riconversione e una effettiva ricollocazione del lavoratore, all'agenzia viene corrisposta una remunerazione. I disoccupati potranno scegliere un'agenzia specializzata tra quelle accreditate dalla Regione, che a sua volta potrà stipulare il contratto con la persona rimasta senza lavoro e con il centro per l'impiego, impegnandosi ad assisterla e a indirizzarla in un percorso di riqualificazione mirata. L'agenzia sarà remunerata con un voucher regionale liquidabile in gran parte soltanto a risultato ottenuto. Una via per escludere gli operatori meno capaci. «Si tratta di uno strumento utile – ha commentato Ichino - anche per collegare il sostegno del reddito del disoccupato e le iniziative per il suo reinserimento e per condizionare effettivamente il sostegno del reddito all'attivazione e disponibilità del beneficiario nel percorso verso la nuova occupazione».
Previste misure anche per combattere le dimissioni in bianco assicurando "l'autenticità" delle scelte del lavoratore. Un emendamento che indirizza il governo, nei decreti di attuazione, a stabilire "modalità semplificate per garantire la data certa nonché l'autenticità della manifestazione di volontà del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anche tenuto conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso del lavoratore". Una delega ampia, quindi, volta ad arginare la pratica di far firmare ai neoassunti, e spesso alle donne che potrebbero restare incinte, una lettera di dimissioni "in bianco" per poterli licenziare con facilità.
domenica 2 settembre 2012
Lavoro, imprese ed il modello tedesco
In attesa dell'incontro con le imprese che si terrà il 5 settembre, il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, al Corriere della Sera ha annunciato importanti riforme. Tra queste "il taglio del cuneo fiscale alle imprese che coinvolgono i lavoratori", sul modello tedesco.
Il Ministro Fornero, alla domanda se con le imprese aprirà il cantiere della produttività? ha risposto «È insieme il cantiere dell'occupazione, della produttività e della competitività. La produttività è un elemento chiave della crescita. Ma da sola non basta».
E' necessario "favorire le start up (produzione) ma anche fare in modo che le norme del lavoro che si adatteranno a queste aziende innovative siano coerenti con la riforma". Inoltre,"la produttività non può nascere dai contratti mordi e fuggi", perchè, ha spiegato il ministro, c'è bisogno di "stabilizzazione nei contratti di lavoro" per sostenere "la produttività" delle imprese.
Vediamo in che cosa consiste il modello tedesco.
La via del modello tedesco più volte indicata dal ministro del lavoro Fornero è quella della partecipazione dei lavoratori alle decisioni strategiche dell’impresa, un elemento qualificante che nei grandi gruppi è basato appunto sulla cogestione che in Germania garantisce ai dipendenti i poteri decisionali attraverso una rappresentanza in specifici organismi aziendali e una partecipazione ai risultati economici e alla redistribuzione degli utili. In particolar modo si tratta di un diritto presente nella Costituzione italiana che all’art. 46 riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.
La leva fiscale è "il primo strumento da utilizzare per rilanciare i consumi e l'economia e per far ripartire la contrattazione a livello aziendale". Lo dice il leader della Cisl, Bonanni, a 'La Stampa', sollecitando il taglio delle tasse in vista dell'incontro con il governo con le parti sociali. La crisi, avverte, "è molto pesante, la gente è spaventata per la perdita di posti di lavoro e la chiusura delle aziende". E per questo "servono soluzioni nuove" che siano "credibili". Bonanni plaude a Monti che sentirà "tutti". E invita a valorizzare il patrimonio italiano: "L'industria manifatturiera e i servizi".
Ricordiamo che in questo clima di apparente, sottolineo apparente fiducia del mercato del lavoro ci sono circa 150 tavoli di crisi aziendale aperti al ministero dello Sviluppo economico per circa 180.000 lavoratori coinvolti e oltre 30.000 esuberi: l'autunno - secondo i sindacati che hanno rielaborato dati del ministero - si prepara ad essere molto difficile sul fronte delle crisi industriali, con la situazione più difficile nell'ultimo ventennio. Ci sono poi altre migliaia di posti a rischio in vertenze che non arrivano neanche al ministero dello sviluppo economico come quelle delle piccole aziende tessili.
Oltre alle vertenze gia note come quella del Carbosulcis e dell'Alcoa, ci sono decine di crisi ancora irrisolte, da quelle del settore elettrodomestici (Electrolux, Indesit, Antonio Merloni) a quelle del settore aereo (da Windjet a Meridiana) passando per la produzione nel comparto ferroviario (Ansaldo Breda e Firema), l'Ict e il tessile (alla crisi della Miroglio si è aggiunta quella di Sixty mentre una soluzione si e' trovata per la Golden Lady/Omsa).
Ecco il quadro di alcune delle principali vertenze alle quali si sta cercando di dare una soluzione:
ALCOA: nella multinazionale dell'alluminio lavorano in Italia a Portovesme, sempre in Sardegna, 540 addetti diretti mentre altri 250 circa sono impiegati nell'indotto. Nel complesso l'azienda tra Veneto e Sardegna occupa 900 lavoratori. Nonostante le trattative in corso la multinazionale ha rifiutato una proroga di una settimana dell'avvio della procedura di spegnimento degli impianti che parte oggi mentre la multinazionale Glencore ha confermato l'interesse per lo stabilimento ma si e' presa una settimana di tempo per valutare. Il nuovo appuntamento è fissato per il 5 settembre.
CARBOSULCIS: nella miniera che rischia la chiusura lavorano, spiega la Uilcem Sardegna, 480 minatori mentre altri 150 lavoratori sono impegnati nella manutenzione.Ieri il ministero ha assicurato che la miniera non interromperà l'attività, come paventato, il 31 dicembre e ha annunciato che chiederà al Parlamento una proroga di "sei mesi, massimo un anno" della scadenza prevista dalla legge 99/2009 per il bando di affidamento della relativa concessione.
E' già invece chiusa, sempre in Sardegna, l'EUROALLUMINA (400 dipendenti diretti). Circa il 20% degli operai è impegnato comunque nella manutenzione dell'impianto mentre gli altri sono in cassa integrazione. Il nodo resta quello dei costi energetici.
FINCANTIERI: il gruppo che occupa oltre 9.000 dipendenti ha circa 1.300 esuberi ma i livelli di cassa integrazione straordinaria al momento - spiega il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella - sono piu' che doppi rispetto a questa cifra.
LUCCHINI: in crisi l'acciaieria con la chiusura ad agosto dell'altoforno di Piombino per carenza di ordini. Per i 1.943 lavoratori sono stati adottati contratti di solidarieta' mentre gli enti locali chiedono al ministro dello Sviluppo economico un tavolo nazionale. Nel complesso il Gruppo (presente anche in Puglia e in Friuli Venezia Giulia) occupa 2.800 dipendenti.
MERLONI: la vertenza - segnala la Cgil - è ancora aperta dopo la cessione di tre stabilimenti all'imprenditore della Qs Group con l'impegno di riassumere 700 lavoratori (ma l'azienda ne conta 3.500). Resta problematica anche la situazione dell'ELECTROLUX con 800 esuberi su 7.000 dipendenti (ma 230 sono gia' usciti grazie a esodi incentivati).
Esuberi anche per l'INDESIT dopo l'annuncio della chiusura dello stabilimento di None che produceva lavastoviglie. L'Indesit ha 4.500 dipendenti, i posti a rischio sono 360.
FIAT TERMINI IMERESE: resta ancora incerto il futuro dei circa 1.300 lavoratori dello stabilimento siciliano della Fiat chiuso lo scorso dicembre dopo che e' sfumata l'ipotesi di impegno da parte di Dr Motors. Difficoltà ci sono anche in altri stabilimenti del Gruppo con l'annuncio di cassa integrazione per Pomigliano e Mirafiori. Vivono nell'incertezza anche i lavoratori dell'IRISBUS in cassa integrazione poichè - spiegano alla Cgil - non e' stato ancora raggiunto il 30% da ricollocare in altri stabilimenti del Gruppo per accedere al secondo anno di cigs a zero ore. Il nodo resta la ricerca di un imprenditore che rilevi la produzione.
NATUZZI: l'azienda che occupa 2.700 lavoratori per la produzione di salotti è in crisi e ha chiesto la cassa integrazione per 1.300 dipendenti.
TESSILE: mentre al ministero dello Sviluppo economico approdano le vertenze più significative sul fronte dei numeri (come OMSA, MIROGLIO, ecc) ci sono decine di piccole aziende di conto terzisti che stanno chiudendo con diverse migliaia di lavoratori, soprattutto donne, che perdono il posto.
COSTRUZIONI: la Cisl segnala come uno dei settori piu' in sofferenza sia quello delle costruzioni a causa del blocco degli investimenti pubblici, della crisi e dell'aumento dei costo dei mutui. Per l'occupazione si è registrato un calo del 5,1% tendenziale nel secondo trimestre 2012 con un picco del 10,1% al Sud.
WINDJET: L'azienda che occupa circa 500 lavoratori ha aperto la procedura di mobilità a metà 2012. A giugno è stato firmato un accordo al Ministero del lavoro per 2 anni di cigs a zero ore per tutti i lavoratori.
MERIDIANAFLY: L'azienda - spiegano alla Cgil trasporti - ha aperto la procedura di mobilità a inizio 2012. Da giugno 2012 850 lavoratori sono in cigs per 7 anni (4 + 3). Il personale della compagnia ammonta nel complesso a 2.300 addetti.
TURISMO: In crisi anche diverse aziende del settore. Al ministero dello Sviluppo economico sono aperti tavoli per la VALTUR (3.600 i lavoratori dipendenti del Gruppo) e per l'ALPITOUR (3.500) a dimostrazione del fatto che la crisi non morde solo l'industria.
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