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martedì 7 novembre 2017

Busta paga: cos'è la retribuzione imponibile



La busta paga è il documento necessario per tutti i dipendenti, che attesta la retribuzione netta e lorda del lavoratore e serve per verificare lo stipendio percepito e la sua congruità con quanto stabilito nel CCNL. Sulla busta paga si possono inoltre verificare i contributi pensionistici versati dal datore di lavoro a vantaggio del dipendente.

La retribuzione imponibile è per definizione la base per il calcolo delle trattenute che il datore di lavoro è tenuto ad operare periodicamente sulla busta paga dei lavoratori. Le tipologie principali di imponibile sono quello contributivo o previdenziale e quello fiscale o imponibile IRPEF, ma esistono molti altri imponibili, come per esempio l'imponibile cassa edile, l'imponibile INAIL, ecc.

Imponibile previdenziale

La retribuzione imponibile ai fini contributivi non può essere inferiore alla retribuzione contrattualmente dovuta e comunque ad un valore minimo calcolato annualmente per settore, detto minimale contributivo.

Gli importi dei minimali contributivi vengono calcolati e pubblicati dall'INPS ogni anno sulla base del trattamento minimo di pensione.

In pratica questo significa che se per caso la busta paga di un dipendente che lavora a tempo pieno fosse di € 1.000 (Mille Euro) per un mese intero, i contributi previdenziali (9,19%) devono essere calcolati su € 1.224 ( 47,07 x 26) anziché su € 1.000 perché scatta appunto il minimale. Può capitare che in un dato mese il dipendente sia assente per motivi vari e che i 1000 euro si riferiscano ad indennità o a integrazioni carico datore di lavoro in misura inferiore al 100% della normale retribuzione e non a retribuzione diretta per ore effettivamente lavorate.

Per verificare il rispetto della condizione richiesta occorre quindi riportare a giornata la retribuzione corrisposta nel periodo di paga dividendo il suo ammontare complessivo per le giornate retribuite nel periodo. Se il lavoratore è retribuito in misura fissa mensile ovvero ha ricevuto la retribuzione per tutte le giornate lavorative del mese, il divisore è 26. Non sono soggette ad applicazione del minimale le giornate di assenza per malattia, maternità o infortunio per le quali il datore di lavoro ha corrisposto a proprio carico ai lavoratori solo indennità integrative delle prestazioni previdenziali dovute a carico degli Enti previdenziali (in questo caso infatti il numero giorni minimale del mese in busta paga sarà inferiore a 26).

Il minimale per i lavoratori assunti con contratto a tempo parziale è calcolato in misura unica per tutti i settori; si ottiene moltiplicando l'importo stabilito in misura giornaliera per il numero di giornate di lavoro settimanali (6 giornate anche in caso di settimana corta) e dividendo il risultato per il numero di ore settimanali contrattualmente previste per i lavoratori a tempo pieno.

Per un settore con orario normale di 40 ore il minimale orario sarà quindi pari a € 47,07 X 6 : 40 = € 7,06

Per alcune categorie di lavoratori la retribuzione imponibile è determinata in misura convenzionale; non vengono quindi prese in considerazione le retribuzioni effettivamente corrisposte.

Rientrano in questa casistica le retribuzioni relative:

ai soci delle cooperative di produzione e lavoro;

ai lavoratori italiani o comunque appartenenti a Paesi comunitari, assunti sul territorio nazionale con contratto avente come oggetto esclusivo la prestazione in Paesi extracomunitari non convenzionati o parzialmente convenzionati. Le disposizioni trovano applicazione anche ai lavoratori italiani trasferiti o assunti direttamente nel Paese extracomunitario;

ai lavoratori che prestano attività all'estero per un periodo superiore a 183 giorni nell'arco di 12 mesi;

agli operai agricoli a tempo determinato; per questi lavoratori viene applicato il salario convenzionale determinato con decreto ministeriale, se superiore a quello spettante in applicazione della contrattazione collettiva a livello provinciale.

Imponibile contributivo nel settore edile

Nel settore edile la contribuzione è riferita ad una retribuzione convenzionale commisurata ad un numero di ore settimana non inferiore all'orario di lavoro normale stabilito dalla contrattazione collettiva di categoria e territoriale, con esclusione delle assenze per malattia, infortunio sciopero, cassa integrazione ed altri eventi indennizzati (maternità, congedo matrimoniale, donatori di sangue, ecc.), eventi per i quali il trattamento economico è assolto attraverso accantonamento presso le casse edili (ferie, riposi annui).

Nel caso di rapporto di lavoro iniziato o concluso nella settimana si fa riferimento all'orario di lavoro relativo alle giornate nelle quali il rapporto si è svolto.

Imponibile fiscale

L'imponibile fiscale è la base di calcolo dell'IRPEF, Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche, ottenuta applicando aliquote diverse a scaglioni progressivi di reddito (o imponibile)

Un esempio di calcolo dell'IRPEF in busta paga lo trovate a questo indirizzo:

Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori (intendendo con tale espressione la quantificazione dei beni e dei servizi) che il dipendente percepisce nel periodo di riferimento, a qualunque titolo, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.

Costituiscono reddito da lavoro dipendente, dunque, tutti gli elementi reddituali che siano in qualunque modo riconducibili al rapporto di lavoro, le voci imponibili della retribuzione concorrono alla determinazione della base di calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali, dei premi per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e delle ritenute fiscali.

Sono esclusi dall'imponibile fiscale e contributivo:

le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, nonché quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi;

le prestazioni di servizi di trasporto collettivo alla generalità o a categorie di dipendenti, anche se affidate a terzi, ivi compresi gli esercenti servizi pubblici (ad esempio, la società che gestisce il servizio pubblico urbano o extra-urbano del luogo in cui si trova l'azienda oppure il servizio taxi);

i compensi e le indennità che il lavoratore percepisce da terzi e che per clausola contrattuale devono essere riversati al datore di lavoro o che per legge devono essere riversati allo Stato;

le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni per l'esercizio di pubbliche funzioni, nonché i compensi corrisposti ai membri delle commissioni tributarie, ai giudici di pace e agli esperti del Tribunale di sorveglianza che per legge debbono essere riversati allo Stato;

le somme erogate dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la frequenza di asili nido, colonie climatiche da parte dei familiari, nonché per borse di studio a favore dei medesimi familiari; il corrispettivo dell'utilizzo delle opere e servizi per le finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, da parte dei dipendenti;

le indennità percepite per le trasferte o le missioni fuori del territorio comunale, nei limiti indicati;

i rimborsi di spese di trasporto comprovate da documenti provenienti dal vettore per le trasferte nell'ambito comunale;

le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per contratto all'espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, anche se corrisposte con carattere di continuità, nella misura del 50% del loro ammontare;

le indennità di navigazione e di volo previste dalla legge o dal contratto collettivo, nella misura del 50% del loro ammontare;

le indennità di trasferimento, di prima sistemazione e equipollenti, nella misura del 50% del loro ammontare. L'importo escluso da tassazione non può tuttavia superare un valore massimo.

Non costituiscono reddito imponibile le seguenti spese rimborsate:

spese di viaggio, anche per i familiari fiscalmente a carico, e di trasporto delle cose, strettamente collegate al trasferimenti (non vi rientrano i successivi viaggi che il dipendente nel corso dell'anno faccia, esempio, per visitare la famiglia che non si è trasferita con lui);

spese ed oneri sostenuti dal dipendente in qualità di conduttore, per recesso del contratto di locazione in dipendenza dell'avvenuto trasferimento della sede di lavoro;

le spese di viaggio, di trasporto e di recesso dal contratto di locazione sostenute dal dipendente in occasione dell'avvenuto trasferimento della sede di lavoro, rimborsate dal datore di lavoro e analiticamente documentate;

gli assegni di sede e di altre indennità percepite per servizi prestati all'estero, nella misura del 50%;

gli assegni familiari e l'assegno per il nucleo familiare, nonché, con gli stessi limiti e alle medesime condizioni, gli emolumenti per carichi di famiglia comunque denominati, erogati nei casi consentiti dalla legge.

Riguardo i contributi, ossia parte dei soldi che vengono versati ogni mese dal dipendente e dal datore di lavoro per finanziare l'INPS, nei casi di dipendenti privati l’istituto di riferimento è l’INPS, mentre per i dipendenti pubblici è l’INPDAP. La differenza è che i contributi versati dal datore di lavoro non sono visibili sulla busta; al contrario, i contributi versati dal lavoratore sono indicati nell’apposita casella.

I contributi costituiscono il finanziamento delle prestazioni previdenziali e assistenziali, finanziamento che viene attuato mediante l'applicazione di una percentuale sulla retribuzione che il lavoratore percepisce. L’imponibile contributivo sia contributivo che fiscale, è un vero e proprio contenitore di valori che servono esclusivamente allo scopo di poter attuare una corretta tassazione da parte del datore di lavoro.



venerdì 3 novembre 2017

Retribuzione imponibile e minimali: come si determinano i contributi





La busta paga è il documento necessario per tutti i dipendenti, che attesta la retribuzione netta e lorda del lavoratore e serve per verificare lo stipendio percepito e la sua congruità con quanto stabilito nel CCNL. Sulla busta paga si possono inoltre verificare i contributi pensionistici versati dal datore di lavoro a vantaggio del dipendente.

Con effetto dal 1° gennaio 2017, il minimale di retribuzione giornaliera per il tempo pieno, valido per la generalità dei lavoratori, è fissato in € 47,68. La retribuzione minima giornaliera per il calcolo dei contributi non deve essere inferiore al minimo contrattuale e al minimo legale. In particolare, il minimale contrattuale giornaliero è determinato sulla base delle tabelle retributive del contratto collettivo di settore e deve essere applicato anche dai datori di lavoro non aderenti, neppure di fatto, al CCNL. Il minimale legale rappresenta il “minimo dei minimi”, ovvero la soglia al di sotto della quale la retribuzione minima giornaliera non può comunque scendere.

Come calcolare i contributi?

La retribuzione imponibile utile al fine del calcolo della contribuzione previdenziale non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi o individuali.

L’importo giornaliero della retribuzione imponibile, inoltre è soggetto al vincolo del controllo del minimale previsto dall’art 7 della legge 11 novembre 1983 n. 638, ovvero alla soglia minima pari al 9,5% del trattamento minimo di pensione in vigore al primo di gennaio.

La retribuzione minima giornaliera per il calcolo dei contributi, quindi deve essere non inferiore al maggiore dei due importi minimi, sia quello contrattuale che quello legale, se la retribuzione è superiore ad entrambi, andrà utilizzata quella effettiva.

I contributi entro il minimale sono i contributi previdenziali calcolati sul minimale di retribuzione imponibile: questo è il valore minimo che per legge deve essere rispettato per permettere l’accredito dei contributi, cioè il “reddito minimo” sul quale deve essere applicata l’aliquota contributiva, dunque su cui vanno calcolati i contributi. Normalmente i contributi previdenziali sono calcolati applicando un’aliquota alla retribuzione, o al reddito imponibile: quando, però, la retribuzione o il reddito sono inferiori a un determinato ammontare, detto minimale, i contributi sono calcolati applicando l’aliquota prevista al minimale e non al reddito effettivo.

Un esempio:

Tizio, che ha un negozio ed è iscritto alla Gestione Inps commercianti, guadagna, nell’anno, 5.000 euro;

l’aliquota previdenziale della Gestione commercianti è pari al 23,19% (salvo alcune eccezioni);

i suoi contributi dovrebbero quindi ammontare a 159,50 euro (il 23,19% di 5.000);

la Gestione commercianti, però, prevede un reddito minimale annuo pari a 548 euro: significa che chi ha un reddito inferiore a tale soglia, anche se non ha guadagnato nulla, deve comunque pagare i contributi sul minimale, come se avesse guadagnato, nell’anno, 15.548 euro;

Tizio, quindi, anziché pagare 1.159,59 euro, deve pagare 3.613,02 euro di contributi (3.605,58 contributo Ivs più 7,44 contributo maternità, calcolati sul minimale);

naturalmente, se il reddito è superiore, è a questo che deve essere applicata l’aliquota contributiva.

Per i lavoratori dipendenti è previsto un reddito, o stipendio minimale: se l’imponibile, di fatto, risulta inferiore al valore minimale determinato dall’Inps, i contributi si calcolano su quest’ultimo valore e gli accrediti sono diminuiti in proporzione.

Nel dettaglio, il minimale settimanale per l’accredito dei contributi obbligatori e figurativi per i lavoratori dipendenti ammonta al 40% del trattamento minimo di pensione in vigore al 1° gennaio di ogni anno.

Ciò vuol dire che poiché il trattamento minimo è pari a 501,86 euro, il minimale settimanale su cui calcolare i contributi è pari a 200,74 euro.

Quello annuale è invece pari a 10.438,48 euro (200,74 moltiplicato per 52 settimane).

I contributi settimanali calcolati sul minimale, per i dipendenti del settore privato, risultano così pari a 66,24 euro (200,74 per 33%, cioè l’aliquota complessiva Ivs a carico di dipendente e datore di lavoro), mentre quelli annuali devono risultare almeno pari a 3.444,48 euro (cioè 66,24 per 52).

Se è stato versato nell’anno un ammontare almeno corrispondente a tale cifra, il dipendente risulta assicurato per tutte e 52 le settimane. Se, invece, il lavoratore non raggiunge la retribuzione imponibile minima di 10.438,48 euro, i periodi coperti sono ridotti: la diminuzione è calcolata in proporzione a quanto versato, dividendo lo stipendio per il minimale settimanale.

Un esempio per comprendere meglio: se X, nell’anno, ha un imponibile di 8.500 euro, non si vedrà accreditate 52 settimane di contributi, ma soltanto 42 (ottenute dividendo 8.500 per il minimale settimanale di retribuzione, ossia per 200,74).

In pratica, anche se X ha lavorato tutto l’anno, ai fini della pensione si vedrà accreditate 10 settimane in meno, come se non avesse lavorato per oltre 2 mesi. Questo succede perché non è previsto un numero minimo di ore di lavoro su cui versare i contributi. Di conseguenza, la contribuzione va calcolata tenendo conto dell’orario pattuito tra le parti nel contratto di lavoro, anche se inferiore a un eventuale orario minimo stabilito dal contratto collettivo.

Lo stesso minimale valido per gli artigiani e i commercianti è valido anche per i liberi professionisti e i lavoratori parasubordinati (co.co.co.) iscritti alla Gestione separata: tuttavia, per loro, i versamenti calcolati sul minimale non sono obbligatori, ma il minimale serve unicamente per rapportare, su base mensile e annuale, i contributi versati.

Un esempio:

Caio, lavoratore parasubordinato, lavora per tutto l’anno come co.co.co., da gennaio a dicembre, ricevendo una retribuzione pari a 12.000 euro, liquidata mensilmente dal committente;

i contributi su 12.000 euro di reddito ammontano a 3.806,40 euro, di cui 1/3 sono a carico del lavoratore e 2/3 a carico del committente, che li versa all’Inps, Gestione separata (assieme a quelli a carico del collaboratore, che gli sono trattenuti dalla retribuzione) entro il 16 del mese successivo a quello in cui è erogato il compenso: il committente di Caio, dunque, ha versato 317,20 euro per 12 mesi;

tuttavia, nonostante Caio abbia lavorato per 12 mesi e il committente abbia versato i contributi ogni mese, alla fine dell’anno il lavoratore si vede accreditati soltanto 9 mesi di contribuzione: questo perché il suo reddito imponibile è sotto il minimale da assoggettare a contribuzione, dunque gli vengono accreditati soltanto i mesi di contributi corrispondenti ai contributi versati;
548 per 31,72% (l’aliquota contributiva valida per i co.co.co., nella Gestione separata) è pari, difatti, a 4.931,83 euro circa: questi sono i contributi annui calcolati sul minimale;

rapportando al mese i contributi minimali, abbiamo un ammontare di 410,99 euro circa: vuol dire che, perché sia accreditato almeno un mese di contributi, devono essere versati, nell’anno, almeno 410,99 euro;

poiché il committente di Caio ha versato 3.806,40 euro, Caio si vede accreditati, dunque, 9 mesi di contributi (3.806,40 euro/410,99): il risultato deve essere arrotondato solo per difetto e non per eccesso (quindi non si possono accreditare 10 mesi di contributi se i versamenti non sono almeno pari a 4109,90 euro).

Lo stesso procedimento di calcolo vale anche per i versamenti effettuati nel fondo delle casalinghe: in questo caso, il minimale è pari a 310 euro annui ed il minimale mensile a 25,82 euro.

In pratica, l’Inps accredita per ogni anno tanti mesi di contributi, quanti ne risultano dividendo l’importo complessivo versato nell’anno per 25,82 euro, sino a un massimo di 12 mesi. In questo modo:
se in un anno risultano versati 110 euro, ad esempio, i mesi accreditati sono 4;

perché risulti accreditata un’annualità intera, bisogna versare all’Inps 310 euro;

se in un anno sono versati più di 310 euro, i contributi non possono essere “spalmati” nelle annualità non interamente coperte, ma servono soltanto ad aumentare la misura dell’assegno di pensione.

In alcuni casi particolari i contributi non sono calcolati sulla retribuzione effettivamente erogata ma su retribuzioni stabilite convenzionalmente.

Per i lavoratori domestici l’importo del contributo orario è stabilito annualmente, sempre da una circolare dell’Inps. Tali importi sono stabiliti in relazione a retribuzioni convenzionali commisurate a fasce di retribuzione effettiva. L’Inps ha pubblicato la circolare per l’anno 2014 nella quale è confermato che per i lavoratori che prestano attività presso lo stesso datore di lavoro per più di 24 ore settimanali l’importo dei contributi da versare è fisso (nel 2014 pari a 1,01 euro ad ora, importo che si eleva a 1,08 euro all'ora in caso di contratto a termine) ed è indipendente dall’entità della retribuzione effettiva percepita. Per maggiori informazioni vediamo i contributi 2014 per lavoratori domestici.

Sulla base di retribuzioni convenzionali sono calcolati anche i contributi per i lavoratori italiani operanti all'estero, in Paesi extracomunitari con i quali non sono in vigore accordi di sicurezza sociale. Tali retribuzioni sono fissate con decreto ministeriale.





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