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domenica 28 febbraio 2021

Permessi e congedi: cosa prevede la legge

 


Non tutti i lavoratori conoscono permessi e congedi di cui hanno diritto come dipendenti, molti anche retribuiti: vediamo caso per caso.


Oltre alle misure straordinarie previste per l’emergenza Coronavirus – con i diversi congedi e le equiparazioni tra quarantena e malattia o degenza ospedaliera, previsti a seconda dei casi e della categoria di lavoratori interessati – il Diritto del Lavoro prevede diverse forme di tutela e strumenti che si adattano a specifiche circostanze, volte a migliorare la conciliazione tra lavoro e famiglia. Ad esempio, tutti conoscono il congedo matrimoniale (15 giorni retribuiti al 100%), ma ci sono altri permessi meno noti, ad esempio quello per motivi sindacali. Ma non solo: vediamo tutte le regole sulle assenze retribuite del lavoratore, approfondite dalla Fondazione Studi di Consulenti del Lavoro in base a quanto previsto dai CCNL.


Congedo matrimoniale

Il congedo matrimoniale spetta a tutti i lavoratori e lavoratrici che contraggono matrimonio valido agli effetti civili, dura 15 giorni di calendario ed è retribuito al 100%. In genere non è obbligatorio che inizi esattamente il giorno delle nozze: dipendente e datore di lavoro possono concordare una data vicina, con una flessibilità che non dovrebbe essere superiore a 30 giorni. 


È il lavoratore a dover chiedere il permesso matrimoniale, ed ogni contratto stabilisce con precisione con quanto anticipo (in genere da 6 a 15). Le norme di riferimento sono il RDL del 1937 per gli impiegati e il contratto collettivo interconfederale del 1941 per operai di industria, artigianato e cooperative.


Congedi e permessi familiari

I lavoratori dipendenti hanno diritto a un permesso retribuito di 3 giorni in caso di grave decesso di un parente di primo grado (coniuge). È anche possibile chiedere, in casi gravi e documentati, un congedo straordinario non retribuito fino a un massimo di 2 anni. La norma di riferimento è l’articolo 4 della legge 53/2000.


Congedo straordinario per la cura delle persone disabili in situazione di gravità: con la Circolare n. 159 l’INPS fornisce indicazioni dettagliate sui requisiti soggettivi per il riconoscimento del congedo e sulle modalità per la presentazione delle domande. Si tratta di un congedo che può essere concesso al familiare che assiste la persona disabile che versa in situazione di particolare gravità o anche un parente o affine entro il terzo grado convivente. Questo nel caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti dei soggetti individuati dalla norma secondo precisi criteri di priorità.


Requisiti

Il permesso retribuito per l’assistenza ai disabili in condizione di gravità si traduce normalmente nel diritto a fruire di 3 giorni mensili ai sensi dell’art. 33, comma 3 della Legge 104 del 5 febbraio 1992, mentre il congedo straordinario può essere concesso fino a due anni (tali permessi e congedi non possono essere riconosciuti a più di un lavoratore per l’assistenza alla stessa persona disabile in situazione di gravità) a patto che di essere conviventi con il disabile e che i soggetti che vengono prima nell’ordine prioritario siano:


mancanti, assenza naturale e giuridica o altra condizione ad essa giuridicamente assimilabile, continuativa e debitamente certificata dall’autorità giudiziaria o da altra pubblica autorità come il divorzio, la separazione legale o l’abbandono;

deceduti;

affetti da patologie invalidanti tali da impossibilitarli a svolgere la propria funzione assistenziale.


Permesso sindacale

L’articolo 2 dello Statuto dei lavoratori concede 10 ore annue di permessi retribuiti al 100% per la partecipazione ad assemblee sindacali. Sono retribuiti anche i permessi dei rappresentanti sindacali per partecipare a RSU, trattative, convegni sindacali (con preavviso di 3 giorni). I contratti collettivi possono prevede condizioni migliorative.


Legge 104

Per i lavoratori portatori di handicap o malattia grave (di cui alla Legge 104/1992)  ci sono 2 ore retribuite al giorno oppure 3 giorni al mese. Per prendersi cura di un parente è possibile avere sempre 3 giorni di permesso al mese, retribuiti al 50%.


Permesso elettorale

Chi accetta funzioni presso gli uffici elettorali, ad esempio come scrutatore ai seggi, compresi i rappresentanti di lista, possono assentarsi per l’intera durata della consultazione elettorale, con intera retribuzione. Per i giorni festivi compresi nel periodo elettorale (in genere la domenica), ricevono un compenso aggiuntivo allo stipendio o un riposto compensativo (per esempio al termine delle operazioni). La normativa di riferimento è l’articolo 119 del Dpr 361 del 1957.


Funzioni pubbliche

Riguarda coloro che vengono eletti a incarichi pubblici. I consiglieri nazionali e regionali hanno diritto a un’aspettativa per l’intera durata del mandato, senza stipendio. In pratica, c’è la garanzia della conservazione del posto di lavoro. Per i consiglieri comunali e provinciali, invece, è previsto un permesso retribuito per ogni giornata di riunione del consiglio, più un monte di 24 ore al mese.


Permessi studio

Gli studenti universitari hanno diritto a un permesso retribuito per l’intera giornata lavorativa del giorno d’esame.


Congedo formazione

I dipendenti con almeno cinque anni di anzianità aziendale possono chiedere un’aspettativa non retribuita per un massimo di undici mesi, per una volta sola nell’arco della vita lavorativa.




giovedì 11 ottobre 2018

Lavoro: il contratto a tempo determinato



Il contratto a tempo determinato, o più semplicemente contratto a termine, è diventato negli ultimi anni sempre più frequente fino a costituire  la modalità più utilizzata dai datori di lavoro. Offre infatti il vantaggio della flessibilità, necessaria ai datori di lavoro che si confrontano con una difficile congiuntura economica, anche se è sottoposto a un costo maggiore.

La normativa è cambiata più volte negli ultimi anni, prima con il Jobs act (D.lgs. 81/2015) che togliendo le causali  intendeva favorire l'occupazione negli anni di più profonda crisi. Ora il Decreto Dignità (L. 96 2018) ne ha ristretto nuovamente l'utilizzo, ed è intervenuto  sia limitandone la durata  che reintroducendo l'obbligo di causale dopo i primi 12 mesi . Inoltre lo ha reso ancora meno conveniente innalzando il contributo aggiuntivo di uno 0,50% ad ogni rinnovo, per tentare di spingere le aziende verso forme contrattuali più stabili. E' stato anche concesso più tempo al lavoratore che intenda impugnare il contratto in caso di irregolarità portando il termine da 120 a 180 giorni.

Le novità  del nuovo decreto relative alla durata sono applicabili:

ai contratti  stipulati dalla data di entrata in vigore del decreto: 14 luglio 2018,

per  rinnovi e proroghe di contratti che fossero già attivi a quella data: dal 1 novembre  2018.

La normativa del d.lgs n. 81 2015 resta comunque in vigore su molti aspetti della materia come sulla disciplina degli intervalli fra contatti sulla comunicazioni obbligatorie, il diritto di precedenza, l'obbligo di parità di trattamento normativo ed economico e di formazione dei lavoratori.

Il contratto a termine deve avere forma scritta tranne nel caso di rapporti di durata inferiore ai 13 giorni. Il datore di lavoro deve consegnarne al lavoratore una copia, entro 5 giorni lavorativi dall'inizio della prestazione.

Il contratto a tempo determinato è tale perché nella lettera di assunzione viene indicata una data di cessazione del rapporto di lavoro. Il termine può essere stabilito con una data precisa oppure con riferimento ad un evento futuro e certo ma del quale è incerta la data esatta – ad esempio  nelle sostituzioni per maternità può essere usata la dicitura "…fino al rientro in servizio della lavoratrice ".

Il datore di lavoro è tenuto a effettuare le comunicazioni obbligatorie di assunzione, trasformazione e di cessazione (se anticipata rispetto al termine fissato) al servizio regionale al servizio telematico della propria Regione  o provincia autonoma. (Per le comunicazioni obbligatorie è necessario rivolgersi ad Anpal. Tutti i contatti sono disponibili al seguente link: www.anpal.gov.it/Aziende/Servizi/Pagine/Contatti)

La durata massima complessiva di utilizzo dei contratti a termine passa con il Decreto dignità da 36 a 24 mesi. In particolare il primo contratto può essere senza causale ma deve avere come termine massimo 12 mesi.

Un rinnovo di contratto o una proroga con lo stesso lavoratore e per le stesse mansioni può essere stipulato solo con l'apposizione di una tra le CAUSALI seguenti:

esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività;

esigenze di sostituzione di altri lavoratori;

esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell'attività ordinaria.

Sono esenti dall'obbligo di causale le attività stagionali. Inoltre sull'obbligo della causale non sono previste deroghe per la contrattazione collettiva nazionale ma solo per la contrattazione aziendale o di prossimità.

Il numero di proroghe o rinnovi possibili scende da 5 a 4, sempre all'interno della durata massima di 24 mesi. E' sempre richiesto l'assenso del lavoratore.

È consentita la riassunzione del lavoratore a termine con le stesse mansioni nella stessa azienda solo nel rispetto dei seguenti intervalli tra un contratto e l’altro:

INTERVALLO MINIMO FRA DUE CONTRATTI A TERMINE SUCCESSIVI

contratti di durata pari o inferiore a 6 mesi   10 giorni

contratti di durata superiore a 6 mesi        20 giorni

Il mancato rispetto dei predetti intervalli comporta la trasformazione del secondo contratto da tempo determinato a tempo indeterminato.

Sono esclusi  da queste limitazioni: i lavoratori impiegati nelle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del lavoro; le ipotesi individuate dai contratti collettivi; i contratti a termine stipulati dalle agenzie di somministrazione.

E' previsto un termine massimo per prosecuzioni di fatto (senza proroga o rinnovo del contratto) del rapporto pari a:

30 giorni, se il contratto a termine aveva una durata inferiore a 6 mesi, e 50 giorni negli altri casi.

Per queste prosecuzioni il lavoratore ha diritto ad una maggiorazione dello stipendio.

Se il rapporto di lavoro prosegue oltre, il contratto deve essere considerato a tempo indeterminato dal momento della scadenza dei termini.

Non si può utilizzare il contratto a tempo determinato nei casi seguenti:

la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;

presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi, di lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto, salvo che per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti, per assumere lavoratori iscritti nelle liste di mobilità , o con durata iniziale non superiore a 3 mesi;

presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell'orario in regime di cassa integrazione guadagni

da parte di datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi secondo la normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

La violazione comporta la trasformazione del contratto in contratto a tempo indeterminato.

Salvo diversa disposizione della contrattazione collettiva i contratti a tempo determinato non possono superare il 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione. Nel caso di inizio dell'attività nel corso dell'anno, il limite percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento dell'assunzione.

NOVITÀ 2018 nel caso di utilizzo anche di contratti in somministrazione il limite complessivo è fissato al 30 % della forza aziendale.

ECCEZIONI: imprese start-up innovative; attività stagionali; per specifici spettacoli e programmi radiofonici o televisivi; per sostituzione di lavoratori assenti; con lavoratori di età superiore a 50 anni; università, istituti pubblici di ricerca, istituti di cultura.

Al lavoratore a tempo determinato spetta il trattamento economico e normativo, anche in materia di formazione, in atto nell'impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili (c.d. principio di non discriminazione), in proporzione al periodo lavorativo prestato.

La violazione, da parte del datore di lavoro, del divieto di discriminazione, comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa.

E' previsto un contributo a carico dei datori di lavoro per le assunzioni a termine pari al 1,4% della retribuzione imponibile del lavoratore, riservato al finanziamento dell’indennità di disoccupazione Naspi. In caso di rinnovo  viene aumentato did uno 0,5% passando dunque all'1,9%, e con il secondo rinnovo al 2,4% e cosi via.

Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi, il lavoratore che ha prestato attività lavorativa per un periodo superiore a 6 mesi ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate in azienda entro i successivi 12 mesi con riferimento alle mansioni già espletate. Per le lavoratrici, il congedo di maternità durante un contratto a tempo determinato può essere  conteggiato per conseguire il diritto di precedenza.

Inoltre il lavoratore assunto per lo svolgimento di attività stagionali ha diritto di precedenza rispetto a nuove assunzioni a tempo determinato per le medesime attività.

Il diritto di precedenza deve essere espressamente richiamato nel contratto e può essere esercitato a condizione che il lavoratore manifesti per iscritto la propria volontà in tal senso al datore di lavoro entro 6 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro (3 mesi nel caso di attività stagionali). E si estingue dopo un anno dalla cessazione del rapporto.

Il Decreto dignità ha ricompreso nelle nuove regole su durata e obbligo di causale anche i contratti stipulati in regime di somministrazione, facendo salve però le previsioni dei contratti collettivi del settore.

Inoltre la legge di conversione ha specificato che tali  nuovi limiti si intendono riferiti al rapporto tra azienda utilizzatrice e lavoratore; l'agenzia per il lavoro può quindi utilizzare il lavoratore in missioni diverse senza limiti temporali, se non quelli riferiti ad una specifica azienda.

La normativa attuale non ha modificato la possibilità al termine del periodo di utilizzo massimo del contratto a termine (24 mesi) di stipula del cosiddetto Contratto Assistito, stipulato davanti all’Ispettorato territoriale del lavoro, sempre con durata massima di  12 mesi. Anche questo contratto è sottoposto all'obbligo di causale e di contribuzione maggiorata dello 0,5%.

Ricordiamo che la disciplina è pienamente in vigore dal 1 novembre tra le specificazioni fornite dal documento di prassi segnaliamo in particolare:

In tema di “causale” obbligatoria quando la durata del contratto supera il periodo di 12 mesi,   si sottolinea che va inserita anche quando il  superamento avviene a seguito di proroga di un contratto originariamente inferiore ai 12 mesi.

La causale è obbligatoria anche nelle ipotesi in cui non è richiesto dal decreto-legge n. 87,  se il datore di  usufruire dei benefici previsti da altre disposizioni di legge (ad esempio per gli sgravi contributivi  decreto legislativo n. 151 del 2001, per la  sostituzione di lavorartici e lavoratori in congedo

Nel conteggio dei mesi si deve tener conto della DURATA complessiva dei rapporti di lavoro a termine intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, considerando  sia la durata di quelli già conclusi, sia la durata di quello che si intende  prorogare.

In tema di applicabilità della CONTRATTAZIONE COLLETTIVA viene chiarito che le previsioni contenute nei CCNL  stipulati prima del 14 luglio 2018, data di entrata in vigore del decreto,   su una  durata massima dei contratti a termine pari o superiore ai 36 mesi, mantengono la loro validità fino alla naturale scadenza dell’accordo collettivo.

AUMENTO ADDIZIONALE: Come noto il decreto dignità ha anche previsto l'aumento della contribuzione addizionale già fissata per i contratti a tempo determinato al 1,4 % della retribuzione imponibile. Si precisa che  al primo rinnovo la misura ordinaria dell’1,4% andrà incrementata dello 0,5%. In tal modo verrà determinata la nuova misura del contributo addizionale cui aggiungere nuovamente l’incremento dello 0,5% in caso di ulteriore rinnovo. Analogo criterio di calcolo dovrà essere utilizzato per eventuali rinnovi successivi, avuto riguardo all’ultimo valore base che si sarà venuto a determinare.

Altra specificazione importante è che la maggiorazione  non si applica in caso di proroga  ma solo nei casi di rinnovo

SOMMINISTRAZIONE: La circolare fornisce una indicazione importante sul tema del limite temporale di utilizzo del contratto a termine che somma la durata sia dei r contratti diretti che i contratti di somministrazione tra l'azienda e il lavoratore, utilizzato con la stessa  qualifica e mansione. Si specifica che il limite massimo di 24 mesi  va conteggiato tenendo conto  di tutti i rapporti di lavoro intercorsi , anche prima dell'entrata in vigore del Decreto Dignità.

Infine  si conferma anche per la somministrazione:

la "facoltà per la contrattazione collettiva di individuare  percentuali diverse, per tenere conto delle esigenze dei diversi settori produttivi"  per cui   i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati dalle associazioni sindacali  comparativamente più rappresentative sul piano nazionale mantengono la loro validità fino alla naturale scadenza del contratto collettivo.

Il limite percentuale del 30% trova applicazione per ogni nuova assunzione a termine o in somministrazione avvenuta a partire dal 12 agosto 2018. Pertanto, qualora presso l’utilizzatore sia  presente una percentuale di lavoratori, a termine e somministrati a termine con contratti stipulati in data  antecedente al 12 agosto 2018, superiore a quello fissato dalla legge, i rapporti in corso  potranno continuare fino alla loro iniziale scadenza e  non sarà possibile effettuare  nuove assunzioni né proroghe per i rapporti in corso fino a quando il datore di lavoro o l’utilizzatore non rientri entro i nuovi limiti.

Continuano a rimanere esclusi dall'applicazione dei predetti limiti i lavoratori  somministrati a tempo determinato che rientrino nelle categorie: i disoccupati che fruiscono da almeno 6 mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali, soggetti svantaggiati o molto svantaggiati.





lunedì 7 maggio 2018

Teatro: CCNL firmati i rinnovi



Il 18 aprile scorso, a Roma, nella sede dell’AGIS, la Federazione dello Spettacolo dal vivo (FEDERVIVO), insieme a PLATEA, AIDAP, ANCRIT, ANTAC, ASTRA, ISP, ossia le associazioni di categoria della prosa e della danza, hanno firmato con le segreterie generali e nazionali di SLC-CGIL, FISTEL-CISL e UILCOM-UIL il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale dei dipendenti dei Teatri e del Contratto Collettivo Nazionale degli artisti, tecnici e amministrativi scritturati.

I nuovi strumenti contrattuali recepiscono l’evoluzione legislativa in materia di lavoro e introducono elementi normativi fortemente innovativi che potranno garantire maggiore competitività alle imprese, migliorando capacità produttiva, efficienza organizzativa, crescita occupazionale, tutela dei lavoratori. Inoltre, sul fronte economico, prevedono un aumento delle retribuzioni che, a regime nel 2020, sarà pari al 12%.

Il contratto di lavoro intermittente deve essere stipulato in forma scritta e deve indicare i seguenti elementi:

a) la durata;

b) la/e produzione/i oggetto della scrittura e la tipologia delle prestazioni richieste allo scritturato;

c) il luogo e la modalità della eventuale disponibilità di risposta alla chiamata garantita dal lavoratore, il relativo “preavviso di chiamata” che in ogni caso non può essere inferiore a un giorno lavorativo aggiuntivo all’eventuale tempo di trasferimento, da considerare utile ai fini del trattamento economico secondo quanto previsto all’articolo 11 del presente CCNL, che resta a carico dell’azienda sia per l’andata che per il ritorno;

d) il trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per la prestazione eseguita e, se dovuta, l’indennità di risposta alla chiamata nella misura del 20% del compenso giornaliero pattuito comunque non inferiore al minimo del compenso giornaliero previsto nella colonna C della tabella compensi di cui all’art. 31 del presente CCNL. 6

e) le forme e le modalità con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l’esecuzione della prestazione di lavoro;

f) i tempi e le modalità di pagamento della retribuzione: con cadenza non superiore alla settimana qualora le prestazioni richieste riguardino parte o tutti i giorni della settimana - con cadenza mensile quando le prestazioni coprono oltre 10 giorni nell’arco di 30. Il pagamento di quanto dovuto a titolo di indennità di disponibilità dovrà comunque rispettare la scadenza dei primi 5 giorni del mese successivo a quello di maturazione;

g) le eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione al tipo di attività dedotta in contratto. Il datore di lavoro è tenuto a informare preventivamente il Comitato di compagnia, ove esistente, sull’ eventuale presenza in compagnia di scritturati con rapporto di lavoro intermittente ovvero sul ricorso in corso d’opera a tale tipologia contrattuale, e ad inviare copia del/dei contratto/i all’osservatorio.

Prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni, il datore di lavoro è tenuto a darne comunicazione alla Direzione Territoriale del Lavoro competente per territorio. Inoltre il datore di lavoro, ogni qualvolta attiverà un contratto intermittente, provvederà a darne comunicazione all’Osservatorio Nazionale di cui alla dichiarazione a verbale dell’art. 27 e entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello di competenza darà comunicazione sul numero complessivo dei contratti intermittenti utilizzati, la durata, la quantità e la collocazione temporale delle giornate di utilizzo di ciascun contratto di scrittura. Al lavoratore intermittente spetta, per ogni giornata lavorata, il compenso pattuito nel contratto individuale al quale sarà applicata una maggiorazione del 40%. Resta inteso che il compenso giornaliero come sopra indicato è comprensivo della percentuale prevista in sostituzione dei ratei di mensilità aggiuntive, ferie e TFR.

L’unificazione dei due CCNL è caratterizzante alla luce della necessità di costruire un CCNL complessivo di riferimento per tutto lo spettacolo dal vivo. E' stato anche sottoscritto il CCNL degli scritturati, importante conquista per tutti gli artisti e tecnici che hanno rapporti di lavoro atipici, più deboli quindi nel rivendicare condizioni di lavoro più' adeguate anche dal punto di vista salariale e dei diritti. Il CCNL introduce nuove normative contrattuali, lo sforzo compiuto dalle parti datoriali e sindacali dovrà essere completato dell’iter legislativo previsto dalla recente legge per lo spettacolo e con un incremento dei finanziamenti al settore. Le parti si sono impegnate a trovare soluzioni adeguate ed efficaci ma sarà necessario individuare soluzioni legislative sui decreti per un miglior sistema di tutele, riconoscendo il comparto dello spettacolo come un settore atipico e da dotare di adeguati strumenti, in particolare per i periodi di non lavoro, poiché l’attuale sistema di disoccupazione è insufficiente ed inadeguato, e per la formazione. Importante traguardo su questo contratto è stato anche quello di individuare un equo compenso minimo per le partite Iva.



sabato 17 marzo 2018

Contratti di lavoro si cambia



E' stato firmato il testo definitivo della riforma del modello contrattuale. Dopo anni di tentativi Confindustria, Cgil, Cisl e Uil hanno finalmente chiuso una partita che si protraeva da tempo e che - oltre a definire un modello con cui disciplinare il contratto nazionale (su due livelli di contrattazione e livelli salariali autonomi) - definisce anche nuove regole sulla rappresentanza sindacale e, per la prima volta, anche quella delle imprese.

Una firma, inoltre, che riporta in primo piano il ruolo di regolatore che Confindustria e sindacati giocano nella vita economica del Paese dopo una lunga stagione che ne aveva messo in discussione le competenze ed allontana eventuali interventi di legge con cui scavalcare le parti sociali, come quel salario minimo per legge a cui ha pensato negli ultimi mesi la politica.

Viene individuato un trattamento economico complessivo (Tec), costituito dal trattamento economico minimo (Tem, i minimi tabellari) e da tutte quelle voci (dagli scatti di anzianità, all’Edr, all’elemento perequativo, al welfare sanitario o previdenziale) che il Ccnl considera comuni a tutti i lavoratori del settore. In sostanza le differenti esperienze negoziali delle categorie vengono sistematizzate dal documento conclusivo delle parti sociali. Alla luce di queste esperienze, il menù a disposizione delle parti nella negoziazione si è arricchito. Il contratto nazionale non si limita più a indicare i minimi tabellari ma ricomprende ormai altre voci: tra queste, il welfare entra a pieno titolo nel trattamento economico complessivo. Il contratto nazionale individuerà, dunque, i minimi tabellari per la vigenza contrattuale e la variazione avverrà, secondo le regole dei singoli Ccnl, in base agli scostamenti registrati dall’Ipca, l’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi Ue (depurato dei prezzi dei beni energetici importati), calcolato dall’Istat.

In busta paga, inoltre, entreranno anche eventuali forme di welfare: il trattamento economico complessivo, infatti, sarà costituito dal salario minimo e da tutti i trattamenti economici, dunque compreso il welfare, che il contratto collettivo nazionale di categoria qualifica come "comuni a tutti i lavoratori del settore". Per quanto riguarda la contrattazione aziendale, il secondo livello, invece, l'accordo punta ad incentivarne uno "sviluppo virtuoso", sia quantitativo che qualitativo. E tornando alle norme sulla rappresentanza e all'obiettivo anti dumping che si pongono le parti sociali sembrano non voler escludere un intervento di legge che rafforzi lo scopo anti pirateria. "Le intese in materia di rappresentanza possono costituire, attraverso il loro recepimento, il presupposto per l'eventuale definizione di un quadro normativo in materia", si legge infatti nel documento.

Un modello contrattuale che spinge alla crescita della produttività aziendale e, con essa, dei salari dei lavoratori. Il documento conclusivo di Confindustria e Cgil, Cisl e Uil, confermando gli attuali due livelli contrattuali (nazionale e aziendale o, in alternativa, territoriale) valorizza il ruolo del contratto nazionale e della contrattazione decentrata: il primo come fonte di regolazione dei rapporti di lavoro e garante dei trattamenti economici e normativi comuni ai lavoratori del settore, sull’intero territorio nazionale; la seconda, come luogo in cui si realizza l’incontro virtuoso tra salario e produttività.

Le parti riconoscono un ruolo importante alla contrattazione collettiva che può creare le condizioni per «migliorare il valore reale» delle retribuzioni e, nel contempo, «favorire la crescita del valore aggiunto e dei risultati aziendali», valorizzando le «competenze tecniche e organizzative dei lavoratori» contro il rischio di un appiattimento nelle politiche salariali.

Si tratta, appunto, di un modello che lascia alle categorie la decisione se distribuire gli aumenti ex post (come fanno i meccanici) o ex ante (come i chimici). Sempre in tema di autonomia e responsabilità delle parti, attraverso la contrattazione si potrà valorizzare nei diversi settori la partecipazione organizzativa, per contribuire alla competitività delle imprese e valorizzare il lavoro.




domenica 11 marzo 2018

Lavoro dipendente: trasferte e orario di lavoro





La trasferta presuppone che al lavoratore venga temporaneamente richiesto di prestare la propria opera in un luogo diverso da quello in cui deve abitualmente eseguirla (si tratta della sede indicata nel contratto di lavoro quale luogo normale di svolgimento dell’attività lavorativa) anche all'estero. A tale richiesta alla quale il lavoratore in genere è tenuto a adeguarsi.

Trasferte, le indicazioni del Ministero del Lavoro sulla nozione di orario di lavoro, nella quale non rientrano le ore trascorse in viaggio.

Per il Ministero del Lavoro, il tempo impiegato per raggiungere la sede di lavoro durante il periodo della trasferta non è da considerarsi orario di lavoro, quindi, per definire se un periodo sia da ricomprendersi nell’orario di lavoro è necessario che si verifichi la coesistenza di tre criteri indicati dall’art. 1, comma 2, lett. a) del D.Lgs. n. 66/2003:

il prestatore di lavoro deve essere al lavoro,

deve essere anche a disposizione del datore di lavoro,

nonché deve essere nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni.

Nella normativa non è più quindi presente alcun riferimento alla nozione di orario di lavoro effettivo e per questo va considerato orario di lavoro sia il tempo dedicato al lavoro che quello in cui il lavoratore è presente nel luogo di lavoro, disponibile a far fronte alle necessità del datore di lavoro con la propria attività. A titolo di esempio, si ritiene che rientrino nell’orario di lavoro:

la timbratura del cartellino;

il tempo necessario per la vestizione e la vestizione quando è d’obbligo una divisa ed è disciplinato il tempo e il luogo in cui deve avvenire;

l’entrata ed uscita dal pozzo nelle cave e nelle miniere.

Il luogo della prestazione lavorativa è un elemento fondamentale del contratto di lavoro subordinato. Per quanto nella maggior parte dei casi la sede di lavoro sia fissa e identificata in modo specifico al momento della stipula del contratto di assunzione, per particolari tipologie di attività può essere richiesto, occasionalmente o con maggior frequenza, lo svolgimento della prestazione lavorativa in luoghi differenti rispetto alla normale sede di lavoro contrattualmente definita. In queste ipotesi il datore di lavoro deve valutare se vi sia l’obbligo di erogare trattamenti economici aggiuntivi rispetto alla retribuzione ordinaria che vadano a remunerare il tempo impiegato dal lavoratore per raggiungere il luogo di temporanea assegnazione e per il rientro.

Va considerato orario di lavoro sia il tempo dedicato al lavoro che quello in cui il lavoratore è presente nel luogo di lavoro, disponibile a far fronte alle necessità del datore di lavoro con la propria attività, ad esempio per timbrare il cartellino, vestirsi, se è d’obbligo una divisa. Non rientra nella nozione di orario di lavoro, invece, il periodo di reperibilità del lavoratore, a meno che egli non venga effettivamente chiamato al lavoro.

Dubbi sono sorti in passato anche con riferimento alle ore di viaggio effettuate quando il lavoratore è in trasferta, ovvero quando presti temporaneamente la propria attività in un luogo diverso da quello in cui effettua normalmente la sua prestazione lavorativa. Poiché in generale, non rientrano nell’orario di lavoro tutte le attività preparatorie allo svolgimento della prestazione se avvengono quando il prestatore non è soggetto al potere direttivo del datore di lavoro ma può godere di una certa autonomia, le ore di viaggio non rientrano nell’orario di lavoro qualora il lavoratore sia libero di scegliere i tempi di partenza, il mezzo di trasporto e così via. La giurisprudenza con riferimento alla trasferta ritiene che qualora al lavoratore sia corrisposta un’indennità di trasferta di tipo retributivo, il tempo impiegato per raggiungere la sede di lavoro non sia da sommare al normale orario di lavoro perché l’indennità di trasferta è volta anche a compensare il disagio psico-fisico degli spostamenti; qualora, invece, l’indennità di trasferta abbia una funzione di rimborso delle spese sostenute dal prestatore di lavoro, se il tempo di viaggio avviene al di fuori dell’orario di lavoro va assimilato all’orario di lavoro.



martedì 7 novembre 2017

Busta paga: cos'è la retribuzione imponibile



La busta paga è il documento necessario per tutti i dipendenti, che attesta la retribuzione netta e lorda del lavoratore e serve per verificare lo stipendio percepito e la sua congruità con quanto stabilito nel CCNL. Sulla busta paga si possono inoltre verificare i contributi pensionistici versati dal datore di lavoro a vantaggio del dipendente.

La retribuzione imponibile è per definizione la base per il calcolo delle trattenute che il datore di lavoro è tenuto ad operare periodicamente sulla busta paga dei lavoratori. Le tipologie principali di imponibile sono quello contributivo o previdenziale e quello fiscale o imponibile IRPEF, ma esistono molti altri imponibili, come per esempio l'imponibile cassa edile, l'imponibile INAIL, ecc.

Imponibile previdenziale

La retribuzione imponibile ai fini contributivi non può essere inferiore alla retribuzione contrattualmente dovuta e comunque ad un valore minimo calcolato annualmente per settore, detto minimale contributivo.

Gli importi dei minimali contributivi vengono calcolati e pubblicati dall'INPS ogni anno sulla base del trattamento minimo di pensione.

In pratica questo significa che se per caso la busta paga di un dipendente che lavora a tempo pieno fosse di € 1.000 (Mille Euro) per un mese intero, i contributi previdenziali (9,19%) devono essere calcolati su € 1.224 ( 47,07 x 26) anziché su € 1.000 perché scatta appunto il minimale. Può capitare che in un dato mese il dipendente sia assente per motivi vari e che i 1000 euro si riferiscano ad indennità o a integrazioni carico datore di lavoro in misura inferiore al 100% della normale retribuzione e non a retribuzione diretta per ore effettivamente lavorate.

Per verificare il rispetto della condizione richiesta occorre quindi riportare a giornata la retribuzione corrisposta nel periodo di paga dividendo il suo ammontare complessivo per le giornate retribuite nel periodo. Se il lavoratore è retribuito in misura fissa mensile ovvero ha ricevuto la retribuzione per tutte le giornate lavorative del mese, il divisore è 26. Non sono soggette ad applicazione del minimale le giornate di assenza per malattia, maternità o infortunio per le quali il datore di lavoro ha corrisposto a proprio carico ai lavoratori solo indennità integrative delle prestazioni previdenziali dovute a carico degli Enti previdenziali (in questo caso infatti il numero giorni minimale del mese in busta paga sarà inferiore a 26).

Il minimale per i lavoratori assunti con contratto a tempo parziale è calcolato in misura unica per tutti i settori; si ottiene moltiplicando l'importo stabilito in misura giornaliera per il numero di giornate di lavoro settimanali (6 giornate anche in caso di settimana corta) e dividendo il risultato per il numero di ore settimanali contrattualmente previste per i lavoratori a tempo pieno.

Per un settore con orario normale di 40 ore il minimale orario sarà quindi pari a € 47,07 X 6 : 40 = € 7,06

Per alcune categorie di lavoratori la retribuzione imponibile è determinata in misura convenzionale; non vengono quindi prese in considerazione le retribuzioni effettivamente corrisposte.

Rientrano in questa casistica le retribuzioni relative:

ai soci delle cooperative di produzione e lavoro;

ai lavoratori italiani o comunque appartenenti a Paesi comunitari, assunti sul territorio nazionale con contratto avente come oggetto esclusivo la prestazione in Paesi extracomunitari non convenzionati o parzialmente convenzionati. Le disposizioni trovano applicazione anche ai lavoratori italiani trasferiti o assunti direttamente nel Paese extracomunitario;

ai lavoratori che prestano attività all'estero per un periodo superiore a 183 giorni nell'arco di 12 mesi;

agli operai agricoli a tempo determinato; per questi lavoratori viene applicato il salario convenzionale determinato con decreto ministeriale, se superiore a quello spettante in applicazione della contrattazione collettiva a livello provinciale.

Imponibile contributivo nel settore edile

Nel settore edile la contribuzione è riferita ad una retribuzione convenzionale commisurata ad un numero di ore settimana non inferiore all'orario di lavoro normale stabilito dalla contrattazione collettiva di categoria e territoriale, con esclusione delle assenze per malattia, infortunio sciopero, cassa integrazione ed altri eventi indennizzati (maternità, congedo matrimoniale, donatori di sangue, ecc.), eventi per i quali il trattamento economico è assolto attraverso accantonamento presso le casse edili (ferie, riposi annui).

Nel caso di rapporto di lavoro iniziato o concluso nella settimana si fa riferimento all'orario di lavoro relativo alle giornate nelle quali il rapporto si è svolto.

Imponibile fiscale

L'imponibile fiscale è la base di calcolo dell'IRPEF, Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche, ottenuta applicando aliquote diverse a scaglioni progressivi di reddito (o imponibile)

Un esempio di calcolo dell'IRPEF in busta paga lo trovate a questo indirizzo:

Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori (intendendo con tale espressione la quantificazione dei beni e dei servizi) che il dipendente percepisce nel periodo di riferimento, a qualunque titolo, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.

Costituiscono reddito da lavoro dipendente, dunque, tutti gli elementi reddituali che siano in qualunque modo riconducibili al rapporto di lavoro, le voci imponibili della retribuzione concorrono alla determinazione della base di calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali, dei premi per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e delle ritenute fiscali.

Sono esclusi dall'imponibile fiscale e contributivo:

le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, nonché quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi;

le prestazioni di servizi di trasporto collettivo alla generalità o a categorie di dipendenti, anche se affidate a terzi, ivi compresi gli esercenti servizi pubblici (ad esempio, la società che gestisce il servizio pubblico urbano o extra-urbano del luogo in cui si trova l'azienda oppure il servizio taxi);

i compensi e le indennità che il lavoratore percepisce da terzi e che per clausola contrattuale devono essere riversati al datore di lavoro o che per legge devono essere riversati allo Stato;

le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni per l'esercizio di pubbliche funzioni, nonché i compensi corrisposti ai membri delle commissioni tributarie, ai giudici di pace e agli esperti del Tribunale di sorveglianza che per legge debbono essere riversati allo Stato;

le somme erogate dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la frequenza di asili nido, colonie climatiche da parte dei familiari, nonché per borse di studio a favore dei medesimi familiari; il corrispettivo dell'utilizzo delle opere e servizi per le finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, da parte dei dipendenti;

le indennità percepite per le trasferte o le missioni fuori del territorio comunale, nei limiti indicati;

i rimborsi di spese di trasporto comprovate da documenti provenienti dal vettore per le trasferte nell'ambito comunale;

le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per contratto all'espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, anche se corrisposte con carattere di continuità, nella misura del 50% del loro ammontare;

le indennità di navigazione e di volo previste dalla legge o dal contratto collettivo, nella misura del 50% del loro ammontare;

le indennità di trasferimento, di prima sistemazione e equipollenti, nella misura del 50% del loro ammontare. L'importo escluso da tassazione non può tuttavia superare un valore massimo.

Non costituiscono reddito imponibile le seguenti spese rimborsate:

spese di viaggio, anche per i familiari fiscalmente a carico, e di trasporto delle cose, strettamente collegate al trasferimenti (non vi rientrano i successivi viaggi che il dipendente nel corso dell'anno faccia, esempio, per visitare la famiglia che non si è trasferita con lui);

spese ed oneri sostenuti dal dipendente in qualità di conduttore, per recesso del contratto di locazione in dipendenza dell'avvenuto trasferimento della sede di lavoro;

le spese di viaggio, di trasporto e di recesso dal contratto di locazione sostenute dal dipendente in occasione dell'avvenuto trasferimento della sede di lavoro, rimborsate dal datore di lavoro e analiticamente documentate;

gli assegni di sede e di altre indennità percepite per servizi prestati all'estero, nella misura del 50%;

gli assegni familiari e l'assegno per il nucleo familiare, nonché, con gli stessi limiti e alle medesime condizioni, gli emolumenti per carichi di famiglia comunque denominati, erogati nei casi consentiti dalla legge.

Riguardo i contributi, ossia parte dei soldi che vengono versati ogni mese dal dipendente e dal datore di lavoro per finanziare l'INPS, nei casi di dipendenti privati l’istituto di riferimento è l’INPS, mentre per i dipendenti pubblici è l’INPDAP. La differenza è che i contributi versati dal datore di lavoro non sono visibili sulla busta; al contrario, i contributi versati dal lavoratore sono indicati nell’apposita casella.

I contributi costituiscono il finanziamento delle prestazioni previdenziali e assistenziali, finanziamento che viene attuato mediante l'applicazione di una percentuale sulla retribuzione che il lavoratore percepisce. L’imponibile contributivo sia contributivo che fiscale, è un vero e proprio contenitore di valori che servono esclusivamente allo scopo di poter attuare una corretta tassazione da parte del datore di lavoro.



lunedì 15 maggio 2017

Quattordicesima mensilità: come si calcola



Nel mese di giugno per i contratti che lo prevedono, verrà erogata la quattordicesima mensilità quale retribuzione differita, perché erogata in periodi prestabiliti dell'anno, e maturata da parte del dipendente nel corso dell'anno e percepita una sola volta nell'arco dei dodici mesi. Si tratta in sostanza di un istituto di origine contrattuale che ne stabilisce le modalità di pagamento nonché individua gli elementi retributivi che incidono nel calcolo dell’importo dovuto,  e non legale, dal momento che non è prevista in tutti i settori di attività ma può essere inserita anche in sede di contrattazione aziendale: è quindi il contratto stesso che va a definire i termini e i tempi dell'erogazione, nonché gli elementi su cui andare a calcolare l'importo.

Come si calcola la quattordicesima e quali sono le caratteristiche di questo istituto?

Le sue modalità di calcolo sono simili a quelle della tredicesima. Qui spieghiamo come si calcola questa mensilità.

La quattordicesima, al pari della tredicesima, si calcola sulla base della retribuzione lorda annuale. Per le frazioni di mese si parte da una parte di 15 giorni. Ovviamente, nel caso in cui una persona abbia lavorato per meno di 12 mesi, bisogna basare il calcolo sul numero di mesi effettivamente lavorati.

Facciamo anche in questo caso un esempio di calcolo della quattordicesima. Il conteggio avviene sulla base di questa formula:
retribuzione lorda mensile X numero di mesi lavorati / totale mensilità

Per esaminare la composizione della quattordicesima mensilità occorre considerare che nel nostro ordinamento non vige un principio di universale, da utilizzare ogni qualvolta la legge faccia riferimento al concetto di retribuzione di modo da poter conoscere già in anticipo quali elementi la compongono.

Nella maggior parte dei casi comunque la contrattazione collettiva, nella retribuzione da prendere a base di calcolo , ricomprende la paga base, l'indennità di contingenza, i terzi elementi nazionali o provinciali, eventuali scatti di anzianità, e altri elementi retributivi erogati con continuità, e quindi superminimo, assegno ad personam, straordinari forfetizzati.

La quattordicesima mensilità viene definita calcolando un dodicesimo per ogni mese intero di servizio prendendo come riferimento il periodo che va dal 1° luglio al 30 giugno dell'anno successivo.

Nel calcolo della  quattordicesima mensilità , in quanto retribuzione differita, è necessario tenere in considerazione tutti gli elementi che hanno caratterizzato la retribuzione, soprattutto sotto il profilo delle assenze dal lavoro; a seconda della tipologia dell'assenza, pertanto, la quattordicesima viene erogata per intero ovvero parzialmente.

L'erogazione avviene per intero nelle assenze dovute a:

Congedo matrimoniale

Ferie

Festività

Permessi

Malattia a totale carico del datore di lavoro

Avviene invece in misura ridotta per le assenze dovute a:
Congedo parentale
Malattia e infortunio oltre il periodo gestibile da contratto

Servizio di leva

Aspettativa non retribuita

Sciopero

Permessi non retribuiti

E' da rilevare che in quasi in tutti i casi in cui l'assenza del lavoratore è tutelata e coperta dall'intervento degli Istituti previdenziali e assistenziali, la maturazione della quattordicesima mensilità è garantita e pagata dagli istituti stessi i quali la calcolano direttamente sulla base dei dati forniti dal datore di lavoro all'ente.

La maggior parte dei contratti collettivi prevede una integrazione a carico del datore di lavoro in tutti quei casi in cui le  assenze comportino il pagamento dei trattamenti economici a carico degli Istituti previdenziali fino a garantire la retribuzione netta che sarebbe spettata in caso di effettiva prestazione. Si rende necessario, quindi, determinare l'importo che il datore di lavoro deve aggiungere all'indennità riconosciuta dall'Istituto tenendo presente che tale indennità non è soggetta a contributi previdenziali.

Per evitare che il dipendente possa subire una imposizione fiscale troppo elevata con il picco delle aliquote fiscali, l'imposta viene calcolata separatamente dalle altre competenze del mese.



giovedì 27 aprile 2017

A chi spetta individuare il periodo di ferie



Il lavoratore dipendente è libero di scegliere le modalità e le località per usufruire di un periodo di ferie che ritenga più utili. E la sua reperibilità può essere oggetto di specifico obbligo disciplinato dal contratto individuale o collettivo del lavoratore in servizio, ma non già del lavoratore in ferie.


Il Codice Civile, all’art. 2109: “Il prestatore di lavoro ha … anche diritto … ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. La durata di tale periodo è stabilita dalla legge, dagli usi o secondo equità”, contempla i seguenti tre principi:

le modalità di fruizione delle ferie sono stabilite dall’imprenditore, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro;

la durata delle ferie è stabilita dai contratti collettivi;

l'imprenditore deve preventivamente comunicare al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento delle ferie;

il periodo di preavviso non può essere computato nelle ferie;

i contratti collettivi possono prevedere periodi di ferie ulteriori a quello legale. Questi periodi possono essere fruiti in base a quanto esplicitato dal contratto collettivo e, quindi, in astratto, anche successivamente al 18° mese dalla maturazione;

il mancato riconoscimento del periodo di ferie, nei limiti della previsione legale, comporta una sanzione amministrativa pecuniaria, in capo al datore di lavoro, da Euro 100 ad Euro 600; se, invece, la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero si è verificata in almeno due anni, la sanzione è da Euro 400 ad Euro 1.500; infine, se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori ovvero si è verificata in almeno quattro anni, la sanzione amministrativa pecuniaria è da Euro 800 ad Euro 4.500 e non è ammesso il pagamento della sanzione in misura ridotta.

Secondo la giurisprudenza, l’individuazione del periodo feriale deve tener conto dei due interessi contrapposti, quello del lavoratore a fruire di un periodo di riposo sufficiente a reintegrare le energie perdute lavorando, e quello del datore di lavoro al buon funzionamento dell’azienda. Più precisamente, si ritiene che la scelta del periodo feriale sia idonea a salvaguardare l’indicato interesse dal lavoratore alla sola condizione che il numero delle giornate di ferie sia congruo: pertanto, mentre – per esempio – non sarebbe idoneo allo scopo imporre al lavoratore di fruire di una o di due giornate di ferie, il datore di lavoro potrebbe anche unilateralmente imporre al proprio dipendente la fruizione di una settimana di ferie, a condizione di provare che ciò è coerente con il buon funzionamento dell’azienda.

Sulla scorta di tali principi, una sentenza della Corte di Cassazione ha ritenuto irrilevante addirittura la circostanza che il periodo di ferie già fosse stato concordato, e che il lavoratore già avesse prenotato le proprie ferie. Più precisamente, in quel caso il lavoratore, dopo che le ferie erano state concordate e dopo aver prenotato un albergo in coincidenza del periodo feriale, a seguito del rinvio del periodo feriale disposto unilateralmente dal datore di lavoro, per sopravvenute urgenti necessità organizzative, si era ugualmente assentato dal lavoro per qualche giorno, durante il periodo feriale originariamente pattuito, per recarsi nella località turistica dove aveva effettuato la prenotazione, per disdirla.

Conseguentemente, il datore di lavoro, dopo aver contestato la circostanza sopra illustrata e aver sentito il lavoratore a sua difesa, lo aveva licenziato, considerando ingiustificata l’assenza dal posto di lavoro. La domanda giudiziaria presentata dal lavoratore, che aveva impugnato tale licenziamento sotto il profilo della carenza di alcuna valida giustificazione, era stata rigettata dai Giudici di merito, con pronunce confermate dalla Suprema corte: infatti, è stato ritenuto che il datore di lavoro, avendo provato l’effettiva sussistenza della necessità organizzativa che rendeva necessario spostare il periodo feriale originariamente concordato, legittimamente aveva modificato, sia pure unilateralmente, il periodo delle ferie.

La suprema Corte ha sottolineato come il lavoratore, una volta messo a conoscenza della distribuzione delle ferie nell’arco dell’anno, abbia un vero e proprio onere di comunicare tempestivamente all’azienda eventuali esigenze personali che giustifichino una richiesta di modifica del periodo fissato. In mancanza, ha osservato la Suprema Corte, è possibile ritenere che il silenzio del lavoratore sia qualificabile alla stregua di un vero e proprio assenso tacito alla scelta della società. Con l’ulteriore conseguenza che un eventuale spostamento delle ferie potrebbe in seguito essere giustificato e richiesto solo adducendo motivi sopravvenuti ed originariamente imprevedibili.

Il diritto alle ferie è irrinunciabile e, pertanto, tale periodo non è monettizabile diversamente, ossia non è sostituibile con una indennità per ferie. Solo se il rapporto termini prima del godimento della pausa feriale, il lavoratore avrà diritto a percepire una indennità proporzionale alle ferie non godute. E’ in vigore il principio della insostituibilità del periodo minimo di ferie (fissato in quattro settimane) con il pagamento di un’indennità in denaro, e ciò ad eccezione dell’ultimo anno del rapporto di lavoro.

Il periodo minimo di ferie annue è pari a quattro settimane per ogni lavoratore. Il diritto alle ferie è irrinunciabile e non può essere sostituito da indennità economiche eccetto nei casi di cessazione di rapporto di lavoro: solo in tali casi le ferie non godute vengono monetizzate e convertite in quote di retribuzione giornaliera.

La metà delle ferie deve essere fruito obbligatoriamente entro l'anno, la restante parte di ferie non godute nei successivi 18 mesi successivi al termine dell'anno di maturazione. In caso contrario il datore di lavoro è passibile di sanzioni.

Il lavoratore può richiedere le ferie in qualunque momento dell'anno. La richiesta di ferie, ancorché soggetta a valutazione del datore di lavoro in merito alle esigenze di aziendali, deve essere presentata con congruo anticipo.





mercoledì 19 aprile 2017

Lavoro: licenziamento senza preavviso



I Contratti Collettivi Nazionali di categoria (Ccnl) definiscono, per ogni livello di inquadramento, un periodo di preavviso, variabile anche in base all'anzianità di servizio, che sia datore di lavoro che dipendente devono osservare prima di recedere unilateralmente dal contratto. Il periodo da osservare è indicato nel contratto e può essere modificato dalla trattativa individuale in sede di assunzione. Se ciò non avviene o non viene specificato nel contratto, il riferimento è il Ccnl. Un licenziamento senza preavviso raramente può essere giustificato.

Sono rari i casi in cui un licenziamento senza preavviso avviene per giusta causa; ad esempio, se si verifica un evento o comportamento che non consente la prosecuzione del rapporto lavorativo. I contratti collettivi prevedono alcuni fatti che rendono legittimo un licenziamento senza preavviso, come il rifiuto ingiustificato di svolgere l'attività lavorativa richiesta o il rifiuto di riprendere a lavorare anche dopo una visita medica che constati l'abilità al lavoro. Un altro caso è quello in cui ci si è comportati, durante il periodo di malattia, in maniera tale da pregiudicare la pronta guarigione. Il furto di beni dell'azienda durante lo svolgimento dell'attività lavorativa, una condotta penalmente rilevante tale da far venire meno la fiducia del datore di lavoro, o comportamenti violenti sul posto di lavoro, sono tutti motivi che possono portare al licenziamento senza preavviso.

Nel caso di un licenziamento per giusta causa, il datore di lavoro avrà l'onere di giustificare la sua decisione. Si deve trattare comunque di una circostanza talmente grave da non consentire, nemmeno provvisoriamente, la continuazione del rapporto di lavoro, soprattutto nel caso di contratti a tempo indeterminato. Se, invece, il contratto è a tempo determinato, ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, o senza preavviso.

Il lavoratore può essere licenziato senza preavviso sia durante o al termine del periodo di prova che nel caso di comportamenti particolarmente gravi, da quest’ultimo commessi e tali da integrare una giusta causa. In tutti gli altri casi, ivi compreso quello del fallimento dell’azienda, ben è possibile il licenziamento senza preavviso, ma al dipendente sarà dovuta, nell’ultima busta paga, l’indennità sostitutiva del preavviso.

Quando un lavoratore intende dare le proprie dimissioni, deve presentare al datore di lavoro una lettera (detta appunto di dimissioni) e dare il preavviso, perchè chiaramente non può venire a mancare da un momento all’altro e causare disagio nell’azienda per aver lasciato la sua posizione scoperta.

Il lavoratore dovrà quindi continuare a lavorare regolarmente per un periodo di tempo e dare un congruo preavviso prima di licenziarsi. Il tempo di preavviso varia seconda del contratto collettivo nazionale e della volontà delle parti. In particolari casi, tuttavia, il lavoratore può licenziarsi senza preavviso.

Questo accade sostanzialmente in tre casi, vediamoli insieme.

È possibile licenziarsi senza preavviso in questi tre casi:

1. durante il periodo di prova, perchè appunto si tratta di un lavoro di prova, possiamo ritenerlo in qualsiasi momento inadatto a noi e dimetterci.

2. Quando la parti (datore di lavoro e lavoratore) si accordano e stabiliscono che non è necessario il periodo di preavviso.

3. Per giusta causa (grave inadempimento del datore di lavoro, mancato versamento dei contributi previdenziali, comportamento scorretto a danno del lavoratore, variazioni delle condizioni aziendali).

Cosa succede se non si verifica una di queste tre circostanze ma intendiamo comunque dare le nostre dimissioni senza preavviso? Se il lavoratore intende licenziarsi senza preavviso, il datore di lavoro ha diritto alla cosiddetta “indennità di mancato preavviso“, ovvero dovrà ricevere da noi una somma pari alle retribuzioni che ci sarebbero spettate durante il periodo di preavviso in cui avremmo dovuto lavorare (solitamente trattiene questa somma sull’ultima busta paga che ci darà). Stessa cosa se é il lavoratore a essere licenziato senza preavviso: sarà il datore di lavoro a corrispondere l’indennità di mancato preavviso.



domenica 5 febbraio 2017

Nuove regole per i Call Center dal 2017



Per call center si intende l'insieme dei dispositivi, dei sistemi informatici e delle risorse umane in grado di gestire le chiamate telefoniche da e verso un'azienda.

Per effetto dell’entrata in vigore della Legge di Stabilità 2017, sono cambiate dal 1 gennaio 2017 le regole per i call center che, a partire da quest’anno, devono obbligatoriamente informare l’utente sul luogo in cui si trova l’operatore che sta chiamando.

Con un comunicato stampa del 1° febbraio 2017, il Ministero dello Sviluppo Economico sottolinea le principali novità in favore dell’utente che in particolare, deve essere informato del Paese in cui è fisicamente collocato l’operatore avendo la possibilità di richiedere il servizio da un operatore differente. Una importante novità riguarda inoltre, la responsabilità solidale tra committente e gestore del call center.

Con un comunicato stampa del 1° febbraio 2017, il Ministero dello Sviluppo Economico, chiarisce che nell'ambito dell’ultima legge di bilancio sono state approvate nuove regole per il funzionamento dei call center.

Nuovi obblighi per l’operatore, infatti egli deve:

- a partire dal 1° gennaio 2017 informare l’utente riguardo al Paese in cui è fisicamente collocato l’operatore;

- a partire dal 1° aprile 2017, se l’operatore del call center collocato in un Paese extra UE, deve inoltre offrire subito la possibilità di richiedere che il servizio sia reso da un operatore collocato nel territorio nazionale o nella UE, con immediato trasferimento nel corso della medesima chiamata.

Inoltre per tutti gli operatori economici che svolgono attività di call center diventa obbligatorio iscriversi al Registro degli operatori di comunicazione tenuto dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, alla quale dovranno essere fornite tutte le numerazioni telefoniche messe a disposizioni del pubblico e utilizzate per i servizi di call center.

Per chi decide di localizzare, anche mediante affidamento a terzi, l’attività di call center in un Paese extra UE, diventa obbligatorio darne comunicazione almeno trenta giorni prima del trasferimento alle seguenti amministrazioni:

- Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché Ispettorato nazionale del lavoro;

- Ministero dello Sviluppo Economico;

- Garante per la protezione dei dati personali.

Se la localizzazione dell’attività di call center al di fuori del territorio nazionale e dell’Unione europea è avvenuta prima del 1° gennaio 2017 le comunicazioni devono essere effettuate entro il 2 marzo 2017.

Importante novità riguarda la responsabilità solidale tra committente e gestore del call center, in pratica, chi affida il servizio ad un call center esterno è responsabile in solido con il soggetto gestore, e le sanzioni previste arrivano fino a 50 mila euro per ogni giornata di violazione e a 150 mila per ciascuna comunicazione omessa o tardiva.

Dal 1° marzo 2017 diventa inoltre obbligatoria l’iscrizione per gli operatori economici che svolgono attività di call center al Registro degli Operatori di Comunicazione (R.O.C.) tenuto dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, indicando tutte le numerazioni utilizzate per l’attività di call center. Adempimento valido anche per i soggetti terzi affidatari dei servizi di call center. La sanzione in caso di inadempienza, in questi casi, è pari a 50 mila euro.

Chi delocalizza fuori dall’UE dovrà darne comunicazione almeno 30 giorni prima del trasferimento (entro il 2 marzo per i call center che hanno delocalizzato in Paesi extra UE prima del 1° gennaio 2017) al Ministero del Lavoro, all’Ispettorato nazionale del lavoro, al Ministero dello Sviluppo Economico e al Garante privacy. In questo caso è prevista una sanzione di 150 mila euro per ciascuna comunicazione omessa o tardiva (10mila euro per le delocalizzazioni antecedenti al 2017).

Le grandi e piccole aziende di call center outbound, possono assumere ancora collaboratori con contratti parasubordinati sotto forma di prestazione continuativa e coordinata, qualora sia stato stipulato un Accordo Collettivo Nazionale. La stipula di tale accordo, rende quindi possibile alle aziende, di evitare la tagliola della presunzione di lavoro subordinato, e quindi quello di stipulare ancora il contratto di co.co.co.

Per le figure professionali rientranti nell’ambito del rapporto di lavoro co.co.co si consiglia di visitare la pagina dedicata al nuovo contratto di lavoro.




sabato 21 gennaio 2017

Licenziamento per il dirigente di imprese commerciali



Le nuove norme si applicheranno dal 1° settembre 2016:

Salva l’ipotesi di licenziamento per giusta causa, in caso di recesso, comunicato a far data dall’1/9/2016, da parte del datore di lavoro dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, superato il periodo di prova, è dovuto al dirigente un preavviso, in relazione all’anzianità di servizio globalmente prestato nell’azienda, in qualsiasi qualifica, pari a:
– 6 mesi: fino a quattro anni di servizio;
– 8 mesi: da quattro fino a dieci anni di servizio;
– 10 mesi: da dieci fino a quindici anni di servizio;
– 12 mesi: oltre i quindici anni di servizio.

Per giustificato motivo, al dirigente deve essere concessa una aspettativa fino a 6 mesi, con facoltà del datore di lavoro di non corrispondere, in tutto o in parte, la retribuzione. In caso di malattia, il dirigente ha diritto alla conservazione del posto e alla retribuzione, per 12 mesi ; successivamente, può essere chiesta l'aspettativa di cui si è detto. In caso di infortunio per causa di servizio, il posto di lavoro deve essere conservato fino all'accertata guarigione, e la retribuzione deve essere corrisposta per non più di 30 mesi. Inoltre, il datore di lavoro deve stipulare una polizza contro gli infortuni e deve contribuire, insieme al lavoratore, a forme di previdenza e assistenza sanitaria integrative.

Il licenziamento e le dimissioni devono essere comunicate per iscritto. Mancando una giusta causa, chi recede deve rispettare i termini di preavviso (da 2 a 4 mesi, a seconda dell'anzianità, in caso di dimissioni ; da 6 a 12 mesi in caso di licenziamento). Il licenziamento deve essere contestualmente motivato: in caso contrario, al dirigente spetta l'indennità supplementare (da un minimo corrispondente all'indennità sostitutiva del preavviso dovuto in caso di licenziamento ad un massimo pari ad una somma corrispondente a 18 mesi di preavviso). Come a tutti i dirigenti, anche a quelli che lavorano presso un’impresa commerciale, è ora esplicitamente applicabile la tutela che prevede il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, nonché l’integrale risarcimento del danno) prevista dal nuovo art. 18 S.L., qualora si tratti di un licenziamento discriminatorio.

Dimettendosi per giusta causa, il dirigente ha diritto all'indennità sostitutiva del preavviso che gli sarebbe dovuta in caso di licenziamento, nonché ad un'indennità supplementare pari a 1/3 del preavviso. Sono previste alcune ipotesi esemplificative di dimissioni per giusta causa : la mancata accettazione del trasferimento da un'unità produttiva ad un'altra ; la mancata accettazione del trasferimento di proprietà dell'azienda ; la dequalificazione; le dimissioni dovute a maternità o a matrimonio. Solo nel primo tra i casi citati spetta, oltre all'indennità sostitutiva del preavviso, anche l'indennità supplementare. Inoltre, il dirigente ha l'onere di richiamare espressamente la causa delle dimissioni e di rassegnarle entro un termine perentoriamente stabilito.

In linea generale, il dirigente d'azienda non è tutelato dalla legislazione che limita il potere di licenziamento: il datore di lavoro che intenda licenziare un dirigente può omettere di addurre alcuna motivazione, nel qual caso il dirigente potrà rivendicare esclusivamente l'indennità sostitutiva del preavviso. Se invece il datore di lavoro adducesse una giusta causa di licenziamento, il dirigente licenziato perderebbe anche il diritto a tale indennità. In ogni caso, il licenziamento deve avvenire per iscritto: in questo senso dispone la L. 108/90 che ha modificato, anche sul punto, la previgente legislazione sui licenziamenti.

Tuttavia, la lacuna legislativa è, di regola, colmata dalla contrattazione collettiva, che impone al datore di lavoro l'obbligo di giustificare il licenziamento del dirigente. Tuttavia, la conseguenza del licenziamento ingiustificato non è la reintegrazione nel posto di lavoro, come avviene per gli altri lavoratori delle imprese medio - grandi, ma solo la corresponsione di una somma di denaro (cosiddetta indennità supplementare). Questa è l'ipotesi prevista per esempio dal contratto dei dirigenti industriali e dei dirigenti commerciali, che quantificano l'indennità tra un minimo e un massimo (per i dirigenti industriali, il minimo è pari al preavviso maggiorato di due mensilità, mentre il massimo corrisponde a ventidue mensilità di preavviso).

Nel caso in cui il dirigente intenda contestare il licenziamento, deve senz'altro ricorrere al tribunale del lavoro nel caso di licenziamento per pretesa giusta causa: in altre parole, il tribunale è sicuramente competente in ordine all'eventuale diritto all'indennità sostitutiva del preavviso. Invece, con riguardo al diritto all'indennità supplementare, sono stati sollevati dubbi circa la competenza del tribunale, poiché i contratti collettivi sopra citati riservano ad un apposito collegio di conciliazione e arbitrato il compito di quantificare la somma di denaro dovuta per il caso di licenziamento ingiustificato. Conseguentemente, era stata affacciata l'ipotesi che il diritto alla indennità in questione potesse essere riconosciuta solo da tale collegio.

Fermo restando tale risarcimento, il lavoratore ha, comunque, la possibilità- entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza- di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro.



I diritti di un dirigente di imprese commerciali


In forza del CCNL dei dirigenti commerciali, il dirigente ha diritto ad una retribuzione composta dal minimo contrattuale (per il neo-assunto, € 3.000,00), dagli scatti di anzianità (€ 129.11 mensili al compimento di ogni biennio di anzianità, con un massimo di 11 bienni) e, per i dirigenti assunti o nominati fino alla data del 30/6/95 dall'elemento di maggiorazione (12% degli elementi della retribuzione utili per il calcolo del TFR).

Nei mesi di dicembre e di giugno di ogni anno il dirigente ha diritto a mensilità supplementari. Al dirigente spettano 4 giorni di permesso retribuito in sostituzione delle festività abolite, e 30 giorni di ferie (nel periodo di ferie non vanno computate le domeniche e le festività).

E’ stata sottoscritta il 21 luglio del 2016, tra Confcommercio e Manageritalia, l’ipotesi di accordo per il rinnovo del CCNL 31/7/2013 e successive modificazioni, per i dirigenti di aziende commerciali, della distribuzione e dei servizi- - L’accordo che decorre dall’1/1/2015 e scadrà il 31/12/2018, avrà piena vigenza a seguito dell’approvazione da parte degli Organismi Direttivi delle parti contraenti.

Aumento retributivo
Fermo restando il minimo contrattuale previsto all’art. 5 del CCNL e pari a Euro 3.890,00, ai dirigenti compete, sulla retribuzione di fatto, un aumento pari a euro 80,00 mensili lordi dall’1/1/2017, un aumento pari a euro 100,00 mensili lordi dall’1/1/2018 e un aumento pari a euro 170,00 mensili lordi dall’1/12/2018.

Malattia
Il periodo di comporto per i dirigenti non in prova con il nuovo accordo passa da 12 mesi a 240 giorni in un anno solare, mentre viene introdotto l’art. 188/Bis che al contrario, prevede un prolungamento del periodo di comporto nei confronti dei dirigenti ammalati in caso di patologia grave e continuativa che comporti terapie salvavita, periodicamente documentata da specialisti del Servizio Sanitario Nazionale, a richiesta del dirigente, per un ulteriore periodo non superiore a complessivi 180 giorni e alla condizione che siano esibiti dal dirigente i predetti certificati medici.

Durante il periodo di cui al comma precedente al dirigente verrà corrisposta l’intera retribuzione ed in caso di risoluzione del rapporto alla scadenza del termine allo stesso sarà dovuta . oltre al trattamento di fine rapporto, anche l’indennità sostitutiva del preavviso di cui al successivo art. 39. comma 5.

Le citate previsioni entrano in vigore dalla data di sottoscrizione del presente accordo ma per i dirigenti che alla data di sottoscrizione del presente accordo abbiano in corso un evento di malattia le nuove previsioni contenute negli artt. 18 e 18 bis troveranno applicazione dal 15/9/2016.

Previdenza complementare
Il contributo dovuto per ogni dirigente iscritto al Fondo, composto da un contributo ordinario ed un contributo integrativo, viene così stabilito:

– il contributo ordinario è dato dalla somma del contributo a carico del datore di lavoro e del contributo a carico del dirigente pari rispettivamente al 11,65% e 1% della retribuzione convenzionale annua(Euro 59.224,54). Il contributo a carico del datore di lavoro è fissato all’11,88% a decorrere dall’1/1/2016, al 12,11% a decorrere dall’1/1/2017 e al 12,35% a decorrere dall’1/1/2018;

– il contributo integrativo, comprensivo della quota di cui all’accordo specifico a titolo di contributo sindacale, a carico del datore di lavoro, è pari all’1,99% della retribuzione convenzionale annua (Euro 59.224,54) e confluisce nel conto generale. Ferma restando la retribuzione convenzionale, il contributo integrativo è pari al 2,03% a decorrere dall’1/1/2016, al 2,07% a decorrere dall’1/1/2017 e al 2,11% a decorrere dall’1/1/2018.

Fermo restando il contributo ordinario a carico del dirigente indicato al comma 5, il contributo ordinario a carico del datore di lavoro per i dirigenti definiti all’art. 28, commi da 1 a 3, dell’ipotesi di accordo 21/7/2016 (assunti o nominati proprio dalla data di stipula) d’anno 2016 è pari al 3,97%, della retribuzione convenzionale annua. A decorrere dall’anno 2017 è pari al 4,05%, a decorrere dall’anno 2018 è pari al 4,13%.

Assistenza sanitaria integrativa
Il contributo da versare al Fondo di Assistenza Sanitaria Integrativa “Mario Besusso” è:

a) 5,50% a carico dell’azienda per ciascun dirigente in servizio, comprensivo della quota di cui all’accordo specifico a titolo di contributo sindacale o della quota di servizio;

b) 2,51% a carico dell’azienda e a favore della gestione dirigenti pensionati, dovuto per ciascun dirigente alle dipendenze della stessa a decorrere dall’1/1/2016 in ragione d’anno, e elevato al 2,56% in ragione d’anno a decorrere dall’1/1/2018;

c) 1,87% a carico del dirigente in servizio.

La contribuzione annua a carico dei dirigenti pensionati è fissata in euro 2.032,00 euro a decorrere dall’1/1/2016 ed in 2.054,00 euro a decorrere dall’1/1/2018. Tale importo è soggetto a rivalutazione tenendo conto anche delle esigenze di equilibrio tecnico del Fondo.



martedì 10 gennaio 2017

Lavoro: assenze e retribuzione causa neve e maltempo




Nei giorni di maltempo, con mezza Italia stretta nella morsa del gelo, sono molti gli Italiani bloccati in casa costretti ad assenze dal lavoro causa neve e maltempo. Ma come bisogna comportarsi in questi casi? Cosa dice la legge?

In linea generale nel caso in cui il lavoratore sia bloccato da eventi meteorologici straordinari, l’impossibilità sopravvenuta esonererebbe il lavoratore dall'obbligo di effettuare la prestazione e allo stesso tempo libererebbe il datore di lavoro dall'obbligo di pagare la retribuzione.

In linea di principio questa dovrebbe essere la conclusione, tuttavia i contratti collettivi di lavoro, generalmente disciplinano proprio questi casi specifici, evitando quindi che i lavoratori rimangano senza paga, andando quindi a prevedere un monte ore di congedi e/o di permessi straordinari, da cui attingere proprio in caso di eventi meteorologici eccezionali.

La paga non sarà dunque sospesa, a condizione comunque che il lavoratore comunichi tempestivamente all’azienda l’assenza dal lavoro e le motivazioni. Inoltre il lavoratore costretto all’assenza dal lavoro causa neve e maltempo, dovrà in qualche modo provare al proprio datore di lavoro che ad esempio è rimasto bloccato dalla neve o dal ghiaccio. E’ importante quindi che chi è rimasto intrappolato in casa in questi giorni presti massima attenzione a quanto prevede il proprio contratto collettivo di riferimento.

Il lavoratore deve comunicare tempestivamente al datore di lavoro che non riesce ad arrivare al lavoro causa maltempo, e può usare il monte permessi, o monte ore per scalare l’assenza improvvisa: sono le regole generali da applicare per le assenze da lavoro causate da eventi metereologici, come la neve e il freddo.

I riferimenti normativi per regolarsi in questi casi sono fondamentalmente due: il codice civile, e i CCNL. Tutti i contratti prevedono, oltre alla ferie, un monte ore per permessi.

A differenza delle ferie che devono essere concordate prima, si tratta di ore che il lavoratore può prendersi se ha l’esigenza di assentarsi dal lavoro, ma non obbligatoriamente (le ferie vanno smaltite entro fine anno, e nel caso contrarie vanno pagate, mentre i permessi se non vengono utilizzati si azzerano a fine anno). Un evento come il maltempo è motivo valido per chiedere un permesso. Il dipendente ha sempre l’obbligo di comunicare tempestivamente all’azienda il motivo dell’impossibilità a recarsi al lavoro, perché non presentarsi al lavoro senza motivazione può invece essere causa di licenziamento.

Come detto, si tratta in genere di regole disciplinate da contratti di lavoro, che devono sempre rappresentare in questi casi il primo riferimento a cui attenersi. I riferimenti del codice civile da tener presente sono invece gli articoli 1218 e 2104. Il primo stabilisce l’obbligo di motivare ritardi o danni derivanti da responsabilità contrattuale (riguarda quindi specificamente l’onere della prova, che in questo caso è del lavoratore, e consiste appunto nella comunicazione tempestiva dell’impossibilità di recarsi al lavoro), il secondo comporta l’obbligo da parte del lavoratore alla diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta.

Un interessante riferimento di prassi è rappresentato dal Ministero del Lavoro che riguarda proprio il mancato svolgimento della prestazione lavorativa causa neve. Innanzitutto, il ministero fa una distinzione fra settore pubblico e privato. Nel caso concreto esaminato (gennaio e febbraio 2012), le autorità pubbliche avevano emanato specifiche disposizioni contro il maltempo (chiusura uffici pubblici, obbligo catene per la circolazione dei mezzi private).

Ebbene, in questo caso, il dipendente pubblico non lavora per una causa che non è imputabile al lavoratore, visto che è disposta la chiusura degli uffici pubblici. Il datore di lavoro ha l’obbligo di retribuire comunque le giornate perse, utilizzando i permessi. nel settore privati, invece, l’obbligo di catene alle auto non è un impedimento, quindi per il lavoratore resta l’obbligo di recarsi in ufficio. Ma comunque, la mancata  esecuzione della prestazione contrattuale, in presenza di tempestiva comunicazione del lavoratore all'azienda, supportata da idonea motivazione non è qualificabile come inadempimento a lui imputabile.

La legge prevede i casi in cui sia il datore di lavoro a non adempiere alla prestazione lavorativa nonostante il lavoratore ha raggiunto il luogo di lavoro. Nel caso in cui la prestazione, pur offerta dal lavoratore, non può svolgersi per impossibilità del datore di lavora bisogna capire le cause effettive da cui scaturisce questa mancanza. Si potrà infatti parlare di impossibilità sopravvenuta solo quando la causa è in tutta evidenza estranea alla volontà del datore di lavoro ed è allo stesso tempo estranea a ragioni produttive e all'organizzazione del lavoro.

In questo caso la legislazione sociale prevede forme di ammortizzatori sociali quali, ad esempio, la cassa integrazione per eventi non evitabili. Sarà l’INPS quindi a pagare la giornata di lavoro e a corrispondere la contribuzione nei casi in cui a causa della neve ad esempio il cantiere edile dovrà rimanere fermo.

Non c’è quindi inadempimento da parte del datore di lavoro quando la prestazione è impossibile per un evento eccezionale, esterno, imprevedibile e indipendente dalla sua volontà, anche se il lavoratore ha messo a disposizione la propria prestazione.


sabato 24 dicembre 2016

CCNL studi professionali: regole per il lavoro a tempo parziale, ferie e retribuzione




Il contratto di lavoro a tempo parziale, meglio conosciuto come contratto part time, indica un rapporto di lavoro subordinato caratterizzato da una riduzione dell'orario di lavoro rispetto a quello a tempo pieno.

Come ogni contratto di lavoro, anche quello part time può essere sia a tempo determinato che indeterminato. Un contratto part time per essere in regola deve essere sottoscritto da entrambe le parti e deve contenere informazioni precise sulla durata della prestazione lavorativa e sull'orario di lavoro con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno.

Tale riduzione può assumere diverse forme: in un primo caso, può essere prevista in relazione all’orario normale giornaliero; in una seconda ipotesi, l’attività lavorativa può invece essere svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana del mese o dell’anno; infine, le parti possono concordare combinazioni delle tipologie precedenti.

Il contratto a tempo parziale e la regolamentazione della durata della prestazione di lavoro costituiscono i punti focali del CCNL degli studi professionali che disciplina nel dettaglio la materia anche sotto il profilo dei margini di flessibilità esigibili dal datore di lavoro.

La regolamentazione contrattuale integra per numerosi aspetti la disciplina legale recata dal decreto legislativo di riordino dei contratti, attuativo del Jobs Act,. prevedendo, in alcuni casi, una disciplina più favorevole al lavoratore. Un esempio è rappresentato dalle prestazioni supplementari per le quali è richiesto, in ogni caso, il consenso del lavoratore.

Il CCNL 17 aprile 2015 dedicato al lavoro negli studi professionali disciplina ampiamente il contratto di lavoro a tempo parziale cui è dedicato il Titolo X della Parte terza.

La regolamentazione contrattuale integra per numerosi aspetti la disciplina legale recata dal D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 attuativo del Jobs Act, che costituisce il quadro normativo di riferimento.

La legge richiede che il contratto di lavoro a tempo parziale, da stipularsi in forma scritta ai fini della prova, contenga l’indicazione puntuale della durata della prestazione e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno, ma non stabilisce alcun limite minimo per tale durata (il limite massimo deriva indirettamente dall’orario corrispondente al tempo pieno).

In consonanza con l’art. 8 del d.lgs. n. 81/2015, l’art. 39, comma 1, Ccnl studi professionali prevede che i lavoratori affetti da patologie oncologiche e altre patologie invalidanti, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso la ASL territorialmente competente, hanno diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale. A richiesta del lavoratore, il rapporto di lavoro a tempo parziale deve essere trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno.

In mancanza di regole precise fissate dai contratti collettivi, vengono stabilite per legge le modalità applicative: il datore di lavoro può chiedere al lavoratore lo svolgimento di lavoro supplementare, le parti possono pattuire clausole elastiche e flessibili in materia ad esempio di orario di lavoro. Le parti possono pattuire clausole elastiche (che consentono lo spostamento della collocazione dell’orario di lavoro) o flessibili (consentono la variazione in aumento dell’orario di lavoro nel part time verticale o misto).

Si definiscono le aree di applicazione del contratto come segue:
1) Area professionale Economico-Amministrativa: Consulenti del Lavoro, Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, Revisori Contabili, altre professioni di valore equivalente ed omogenee all'area professionale non espressamente comprese;

2) Area Professionale Giuridica: Avvocati, Notai, altre professioni di valore equivalente.

3) Area professionale Tecnica: Ingegneri, Architetti, Geometri, Periti Industriali, Geologi, Agronomi e Forestali, Periti agrari, Agrotecnici, altre professioni di valore equivalente ed omogenee all’area professionale.

4) Area professionale Medico Sanitaria e Odontoiatrica: Medici, Medici Specialisti, Medici Dentisti, Odontoiatri, Medici Veterinari e Psicologici, Operatori Sanitari, abilitati all’esercizio autonomo delta professione di cui alla specifica Decretazione Ministeriale, ad esclusione dei Laboratori Odontotecnici, altre professioni di valore equivalente ed omogenee all’area.

5) Altre attività professionali intellettuali: Si tratta di quelle attività non rientranti nelle prime quattro aree, con o senza Albo professionale.

E' facoltà del datore di lavoro stabilire il periodo delle ferie di norma da maggio a ottobre, in funzione delle esigenze della struttura lavorativa e sentiti i lavoratori, e secondo i principi del D.lgs. 66/2003 in materia.

A decorrere dal 1° Luglio 1992 il personale di cui al presente contratto avrà diritto ad un periodo di ferie annue nella misura di 26 (ventisei) giorni lavorativi, comprensivi delle giornate di sabato se l'orario è distribuito su 6 (sei) giorni. In caso di regime di "settimana corta", dal lunedì al venerdì. Il periodo di ferie annuali è pari a 22 (ventidue) giorni lavorativi.

2. Il decorso delle ferie resta interrotto nel caso di sopravvenienza, durante il periodo stesso, di malattia regolarmente denunciata e riconosciuta dalle strutture sanitarie pubbliche competenti per territorio.

Eccettuate le prestazioni occasionali o saltuarie, la retribuzione mensile è in misura fissa e cioè non variabile in relazione alle festività, ai permessi retribuiti, alle giornate di riposo settimanale di legge, cadenti nel periodo di paga e, fatte salva le condizioni di miglior favore, alla distribuzione dell'orario settimanale.

Essa si riferisce pertanto a tutte le giornate del mese di calendario.

La retribuzione corrisposta al lavoratore dovrà risultare dal libro unico del lavoro nel quale dovrà essere specificato il periodo di lavoro a cui la retribuzione si riferisce, l'importo della retribuzione, la misura e l'importo dell'eventuale lavoro straordinario e/o supplementare e di tutti gli altri elementi che concorrono a formare l'importo corrisposto nonché tutte le ritenute effettuate.

La quota giornaliera della retribuzione ed il computo dell'indennità sostitutiva delle ferie, si ottiene dividendo l'importo mensile per il divisore convenzionale 26 (ventisei).

La quota oraria della retribuzione si ottiene dividendo l'importo mensile per il divisore convenzionale 170 (centosettanta).

Quando si debba determinare la retribuzione spettante per frazione di mese (inizio o cessazione del lavoro nel corso del mese o assenza non retribuita), si procede alla corresponsione delle quote giornaliere (ventiseiesimi) corrispondente alle presenze effettive.
Le frazioni di anno saranno computate, a tutti gli effetti contrattuali per dodicesimi, computandosi come mese intero le frazioni di mese pari o superiori a quindici giorni.

Gli relativi aumenti applicabili a ciascun livello  da gennaio 2016 sono i seguenti :

Quadri 21,17 €

I LIVELLO  18,74 €
 
2 LIV     16,32 €
 
3  S LIV   15,14 €
 
3  LIV   15,00
 
4 S LIV   14,55
 
4 LIV   14,02
 
5 LIV 13,05



sabato 17 dicembre 2016

CCNL cooperative taxi: aumenti da dicembre 2016



È stato rinnovato il CCNL del settore cooperative taxi. L’accordo, siglato dai sindacati dei trasporti di Cgil, Cisl e Uiltrasporti con  Legacoop, Confcooperative e Agci, prevede un aumento medio economico, a regime, di 65 euro e vengono introdotti sistemi di previdenza e sanità integrative.

L’accordo ha decorre dal febbraio 2015 e scade a febbraio 2019. Vengono, inoltre, introdotte: l’assistenza sanitaria integrativa e la pensione integrativa complementare con adesione generalizzata, valorizzata la contrattazione di secondo livello.

Il 29 novembre 2016 è stato rinnovato il CCNL dei lavoratori delle cooperative esercenti attività nel settore taxi. Nell'accordo tra latro è prevista  con la retribuzione di  dicembre 2016 vengano erogati a titolo di "una tantum" i seguenti importi:

Livello Par. 31 dic. 2016
A1 100 61,54
B1 114 70,15
C1 120 73,85
C2 125 76,92
C3 130 80,00
D1 136 83,69
E1 144 88,62
F1 152 93,54

L'Una Tantum non è utile ai fini del calcolo del TFR e degli istituti di retribuzione diretta e indiretta, sia legali che contrattuali, ed è proporzionalmente ridotta sulla base dei mesi di effettivo servizio, non considerando le frazioni di mese inferiori a 15 giorni e considerando come mese intero le frazioni pari o superiori a 15 giorni. Per i rapporti di lavoro a tempo parziale l'importo dell'Una Tantum verrà riproporzionato sulla base dell'effettiva prestazione.


Pertanto queste sono le nuove tabelle retributive
livello minimo 1/12/2016 minimo 1/1/2018

A1 1.193,07 1.212,30
B1 1.360,08 1.382,00
C1 1.431,67 1.454,75
C2 1.514,41 1.538,45
C3 1.575,00 1.600,00
D1 1.622,60 1.648,75
E1 1.718,01 1.745,70
F1 1.813,47 1.842,70

Nel contratto si specifica che l'Una Tantum non è utile ai fini del calcolo del TFR e degli istituti di retribuzione diretta e indiretta, sia legali che contrattuali, ed è proporzionalmente ridotta sulla base dei mesi di effettivo servizio, non considerando le frazioni di mese inferiori a 15 giorni e considerando come mese intero le frazioni pari o superiori a 15 giorni. Per i rapporti di lavoro a tempo parziale l'importo dell'Una Tantum verrà riproporzionato sulla base dell'effettiva prestazione.

Contratto a termine
Il numero complessivo di contratti a termine stipulati non potrà eccedere il limite del 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato (con arrotondamento all’unità superiore) in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione in ciascuna impresa o se impresa pluri-localizzata nelle singole Sedi o Unità Operative presso le quali si intende effettuare l’assunzione a termine. Tale limite numerico va verificato tempo per tempo nel corso dell’anno così che, ad ogni avvio di contratto a termine, va rispettata la percentuale di rapporto rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato esistenti al 1° gennaio, talché durante il corso dell’anno non potranno essere contemporaneamente presenti un numero complessivo di contratti a termine superiore a tale limite.

Apprendistato professionalizzante
La durata massima del periodo di apprendistato per i profili professionali previsti dal presente contratto sono stabiliti in:
– 24 mesi: per gli apprendisti destinati ad essere inseriti nel livello B/1;
– 36 mesi: per gli apprendisti destinati ad essere inseriti nei livelli C/1, C/2 e D/1;
– 48 mesi: per gli apprendisti destinati ad essere inseriti nei livelli E/1 e F/1.

Agli apprendisti spettano gli istituti previsti dal presente contratto, in quanto applicabili, e, per quanto concerne la retribuzione, la stessa è determinata come segue:
– 24 mesi: 85% 1° anno – 95% 2° anno;
– 36 mesi: 85% 1° anno – 90% 2° anno – 95% 3° anno;
– 48 mesi: 80% 1° anno – 85% 2° anno – 90% 3° anno – 95% 4° anno;

Somministrazione di lavoro a tempo determinato
I lavoratori con contratto di lavoro somministrato, impiegati anche a tempo parziale, per temporanea utilizzazione in qualifiche previste dai normali assetti produttivi aziendali, ma temporaneamente scoperti per il periodo necessario al reperimento sul mercato del lavoro del personale occorrente, non potranno superare la media semestrale del 10% dei contratti a tempo indeterminato in atto nell’impresa.

L’accordo per il premio avrà durata triennale, cercando di evitare la sovrapposizione delle trattative con quelle del CCNL.

Permessi
Al personale conducente taxi potranno essere riconosciuti fino a 8 ore mensili non retribuite per lo svolgimento di attività di manutenzione automezzi.

Indennità domenicale
Viene istituita una indennità domenicale da riconoscere ai lavoratori (con esclusione dei conducenti taxi) pari ad euro 10 giornaliere.

Maneggio denaro
A far data dall’1/1/2017 al personale non conducente taxi che normalmente ha maneggio di denaro con oneri per errore sarà corrisposta mensilmente una indennità nella misura del 3% della retribuzione. L'indennità compete anche nell'ipotesi che la continuità del maneggio sia interrotta dalle alternanze di turni e ha carattere esclusivamente risarcitorio, per cui non è utile ai fini della incidenza di tutti gli istituti contrattuali e non entra a far parte del T.F.R.



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