Il Garante della Privacy ha detto no ai sistemi di videosorveglianza che controllano i lavoratori in assenza delle garanzie di legge. L'Autorità ha dato lo stop ai sistemi di videosorveglianza a diverse società, tra cui un'amministrazione pubblica, perché erano state installate in violazione dello Statuto dei lavoratori, che vieta il controllo a distanza dei dipendenti, e della normativa in materia di protezione dei dati personali. Il Garante, è intervenuto a seguito di alcune segnalazioni, ha dichiarato illecito il trattamento di dati effettuato e di conseguenza inutilizzabili le immagini riprese in violazione di legge. L'Autorità della Privacy ha vietato definitivamente l'uso delle telecamere installate nell'area dove sono collocati i cartellini di presenza dei dipendenti e gli orologi marcatempo.
Il divieto è scattato per l'uso delle telecamere collocate presso gli accessi ai luoghi di lavoro o in altre aree interne, in corrispondenza degli ascensori e dei corridoi, in attesa dell'eventuale attuazione delle procedure previste dallo Statuto dei lavoratori (accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, o autorizzazione della Direzione provinciale del Lavoro).
Nel motivare i divieti il Garante, ha ribadito che il controllo a distanza dell'attività lavorativa si configura anche nel caso in cui la sorveglianza non sia a carattere continuativo o le telecamere siano segnalate da cartelli: per essere in regola nell'installazione di telecamere occorre comunque e sempre rispettare le procedure stabilite dallo Statuto a tutela dei lavoratori.
sabato 24 dicembre 2011
domenica 18 dicembre 2011
Politica del Lavoro: basta precariato e servono contratti veri
Sono le parole del ministro del Welfare Elsa Fornero che ha anticipato al Corriere della Sera le prossime mosse del governo Monti: "Sull'articolo 18 non ci sono totem".
Ha sostenuto il ministro, alla domanda su come uscire da questa situazione tanto difficile del mercato del lavoro: "Penso che un ciclo di vita che funzioni è quello che permette ai giovani di entrare nel mercato del lavoro con un contratto vero, non precario. Ma un contratto che riconosca che sei all'inizio della vita lavorativa e quindi hai bisogno di formazione, e dove parti con una retribuzione bassa che poi salirà in relazione alla produttività. Insomma io vedrei bene un contratto unico, che includa le persone oggi escluse e che però forse non tuteli più al 100% il solito segmento iperprotetto".
Quindi dopo la manovra finanziaria la nuova sfida del governo Monti è la riforma del lavoro e in modo più incisivo del mercato del lavoro. Con un anno alle porte in cui è prevista una pericolosa recessione l'esecutivo dei tecnici vuole imprimere una forte sterzata per favorire l'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Il problema è molto rilevante, visto che in Italia il tasso di disoccupazione giovanile è al 27,9%, ben superiore alla media considerata dell'area Ocse (16,7%).
E si è rivolta ai sindacati il ministro quando ha parlato dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori "Ora non voglio dire che non ci sia una ricetta precostituita, ma anche che non ci sono totem. E quindi invito i sindacati a fare discussioni intellettualmente oneste e aperte".
Un approccio che secondo il ministro non può scontrarsi contro posizioni precostituite, ovvero senza toccare l’articolo 18. “Sono abbastanza anziana per ricordare quello che disse una volta il leader della Cgil, Luciano Lama: "Non voglio vincere contro mia figlia”. Noi purtroppo, in un certo senso abbiamo vinto contro i nostri figli. Ora non voglio dire che ci sia una ricetta unica precostituita, ma anche che non ci sono totem e quindi invito i sindacati a dare discussioni intellettualmente oneste e aperte”.
Indubbiamente tra i fattori che compromettono la competitività dell'economia dell'Italia c’è sicuramente la scarsa flessibilità del mercato del lavoro. Ed è evidente che bisogna attuare una politica del lavoro che dia lavoro ai giovani e assuma garanzie per la flessibilità nel mercato del lavoro.
Ha sostenuto il ministro, alla domanda su come uscire da questa situazione tanto difficile del mercato del lavoro: "Penso che un ciclo di vita che funzioni è quello che permette ai giovani di entrare nel mercato del lavoro con un contratto vero, non precario. Ma un contratto che riconosca che sei all'inizio della vita lavorativa e quindi hai bisogno di formazione, e dove parti con una retribuzione bassa che poi salirà in relazione alla produttività. Insomma io vedrei bene un contratto unico, che includa le persone oggi escluse e che però forse non tuteli più al 100% il solito segmento iperprotetto".
Quindi dopo la manovra finanziaria la nuova sfida del governo Monti è la riforma del lavoro e in modo più incisivo del mercato del lavoro. Con un anno alle porte in cui è prevista una pericolosa recessione l'esecutivo dei tecnici vuole imprimere una forte sterzata per favorire l'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Il problema è molto rilevante, visto che in Italia il tasso di disoccupazione giovanile è al 27,9%, ben superiore alla media considerata dell'area Ocse (16,7%).
E si è rivolta ai sindacati il ministro quando ha parlato dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori "Ora non voglio dire che non ci sia una ricetta precostituita, ma anche che non ci sono totem. E quindi invito i sindacati a fare discussioni intellettualmente oneste e aperte".
Un approccio che secondo il ministro non può scontrarsi contro posizioni precostituite, ovvero senza toccare l’articolo 18. “Sono abbastanza anziana per ricordare quello che disse una volta il leader della Cgil, Luciano Lama: "Non voglio vincere contro mia figlia”. Noi purtroppo, in un certo senso abbiamo vinto contro i nostri figli. Ora non voglio dire che ci sia una ricetta unica precostituita, ma anche che non ci sono totem e quindi invito i sindacati a dare discussioni intellettualmente oneste e aperte”.
Indubbiamente tra i fattori che compromettono la competitività dell'economia dell'Italia c’è sicuramente la scarsa flessibilità del mercato del lavoro. Ed è evidente che bisogna attuare una politica del lavoro che dia lavoro ai giovani e assuma garanzie per la flessibilità nel mercato del lavoro.
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sabato 17 dicembre 2011
Pensioni 2012 e manovra di fine anno
Vediamo alcune notizie pubblicate da Sole 24 ore e dal Corriere della Sera sul tema delle pensioni.
«Attualmente sono ritirate in contanti 2,2 milioni circa di pensioni. Un anno fa erano 3,5 milioni perché già l'anno scorso abbiamo fatto una campagna di sensibilizzazione sull'abbandono del contante e devo dire che abbiamo avuto una risposta molto forte».
Lo ha detto a Radio 24 , nel corso della trasmissione Salvadanaio, il presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua, commentando la questione sollevata dalla misura del governo che impedisce alla pubblica amministrazione pagamenti in contanti per cifre superiori ai 500 euro, soglia che sarebbe alzata a 980 per le pensioni, a seguito di un emendamento correttivo alla manovra.
A prescindere dalla soglia che verrà individuata – si va verso i 980 euro per i pagamenti in contanti delle pensioni - nel migliore dei mondi possibili in cui tutti i pensionati decidessero di bancarizzarsi e di far transitare la propria pensione su un conto corrente o un libretto postale, in quel momento la pensione viene erogata immediatamente da parte dell'Inps o ci sono problemi organizzativi? "Assolutamente no" - conclude il presidente dell'Inps - ancora meglio: oggi noi abbiamo i pagamenti, ad esempio presso le poste, dei contanti in scadenza fisse nell'arco del mese, domani - in questo modo – tutti potrebbero avere la pensione il primo giorno del mese, quindi potrebbero avere i soldi in anticipo rispetto a quelle che sono le scadenze date dal carattere organizzativo delle Poste.
Quindi ci sarebbe non solo un vantaggio in termini di sicurezza, ma un potrebbero avere la pensione il primo giorno del mese, quindi potrebbero avere i soldi in anticipo rispetto a quelle che sono le scadenze date dal carattere organizzativo delle Poste. Quindi ci sarebbe non solo un vantaggio in termini di sicurezza, ma un vantaggio dato dal fatto di avere i soldi prima disponibili".
Vediamo alcuni quesiti sulle pensioni pubblicati dal Corriere della Sera.
Raggiunti i 42 anni di contributi si dovrà aspettare un anno per la finestra dei 43?
No, non dovrà più aspettare: la pensione decorrerà dal mese successivo alla cessazione dell'attività. L'inasprimento dei requisiti per ottenere la pensione anticipata (42 anni e un mese gli uomini e 41 e un mese le donne) è stato in parte mitigato dalla soppressione della famosa «finestra mobile» introdotta dalla manovra economica dell'estate 2010. Meccanismo che richiedeva un periodo di attesa, tra la data di perfezionamento del requisito e la decorrenza effettiva della pensione, pari a 12 mesi (18 mesi per i lavoratori autonomi). L'abolizione della finestra, consente quindi di percepire l'assegno a partire dal mese successivo alla domanda.
Quanto si perderà con il sistema contributivo pro rata?
Un interrogativo cui non si può dare una risposta precisa, in quanto tutto dipende dall'anzianità accumulata alla fine del 2011 e dalla retribuzione dell'ultimo periodo di lavoro. È bene intanto ribadire che il passaggio al contributivo per tutti riguarderà la sola contribuzione versata a partire dall'anno prossimo. Secondo le stime, la riduzione dell'assegno finale dovrebbe aggirarsi intorno ad un punto percentuale per ogni anno di contributivo. In linea di massima si può dire che tanto più è vicina la pensione e tanto più alto è lo stipendio, meno si perderà. Il vantaggio del conteggio retributivo, infatti, si attenua man mano che sale lo stipendio, visto che al di sopra del cosiddetto «tetto» (pari a circa 44 mila euro) l'aliquota di rendimento del 2%, per ogni anno di contributi, si assottiglia sino a raggiungere l'1%, per la parte di retribuzione pensionabile eccedente gli 82 mila euro
Raggiunta la quota «96» nel 2012 quando si potrà andare in pensione?
Nel 2012, se non fossero intervenute novità, si poteva ancora andare in pensione con la quota «96». Ora le cose sono completamente cambiate. Secondo il decreto legge della scorsa settimana, per lasciare il lavoro il nostro lettore avrebbe dovuto aspettare circa 5 anni e mezzo, per arrivare a 66 anni e mezzo e uscire con l'età di vecchiaia (66 anni dal 2012, soglia che poi salirà di 3 mesi ogni due anni a partire dal 2013). A temperare questo rigore, è però giunto il maxiemendamento, che nel testo definitivo, approvato ieri dalla Camera, ha aperto una chance alternativa proprio per chi ha iniziato a lavorare regolarmente entro il 1977, raggiungendo quindi nel prossimo anno i 35 anni di contributi. In questi casi, infatti, sarà possibile lasciare il lavoro a 64 anni, senza attendere i 66: un sconto di due anni.
Per gli artigiani aumentano pure i contributi da versare all'Inps?
È proprio così. Per compensare i minori risparmi dovuti alla rivista deindicizzazione delle pensioni più modeste, il governo ha scelto di rendere più drastico l'aumento dei contributi previdenziali per artigiani e commercianti. L'aliquota, infatti, passerà gradualmente dal 20 al 24% (invece che al 22%), con uno scatto dell'1,3% nel 2012 e successivi scalini di 0,45% l'anno. In sostanza, i nostri artigiani che nel 2011 avevano versato un contributo minimo di 2.930 euro, l'anno prossimo, a parità di incassi, dovranno sborsare come minimo 3.195 euro.
Una donna del 1952 quanto deve aspettare per prendere la pensione?
Dopo le correzioni apportate in Parlamento, le donne potranno andare in pensione a 64 anni, se entro il 2012 raggiungono i 60 anni di età e un'anzianità contributiva di almeno 20 anni. Le ultime correzioni, definite «eccezionali» dal testo di legge, nascono per attenuare gli effetti del cambio di regole su coloro che nel vecchio sistema sarebbero stati alla vigilia del pensionamento, come gli appartenenti alla classe 1952. Nel caso delle lavoratrici, che nel 2012 avrebbero raggiunto i 60 anni previsti fino a ieri per la vecchiaia e nel 2013 sarebbero andate in pensione all'apertura della finestra «mobile», l'impatto è però modesto. Il nuovo canale permette il pensionamento a 64 anni, nel 2016, ma per le nate nella prima metà dell'anno non cambia nulla: l'innalzamento dell'età di vecchiaia previsto dal decreto porta il parametro a 63 anni e 6 mesi nel 2015, e dunque le donne nate fino a giugno del 1952 possono sfruttare questo canale, con un «ritardo» di due anni rispetto alla vecchia uscita messa in calendario per il 2013.
«Attualmente sono ritirate in contanti 2,2 milioni circa di pensioni. Un anno fa erano 3,5 milioni perché già l'anno scorso abbiamo fatto una campagna di sensibilizzazione sull'abbandono del contante e devo dire che abbiamo avuto una risposta molto forte».
Lo ha detto a Radio 24 , nel corso della trasmissione Salvadanaio, il presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua, commentando la questione sollevata dalla misura del governo che impedisce alla pubblica amministrazione pagamenti in contanti per cifre superiori ai 500 euro, soglia che sarebbe alzata a 980 per le pensioni, a seguito di un emendamento correttivo alla manovra.
A prescindere dalla soglia che verrà individuata – si va verso i 980 euro per i pagamenti in contanti delle pensioni - nel migliore dei mondi possibili in cui tutti i pensionati decidessero di bancarizzarsi e di far transitare la propria pensione su un conto corrente o un libretto postale, in quel momento la pensione viene erogata immediatamente da parte dell'Inps o ci sono problemi organizzativi? "Assolutamente no" - conclude il presidente dell'Inps - ancora meglio: oggi noi abbiamo i pagamenti, ad esempio presso le poste, dei contanti in scadenza fisse nell'arco del mese, domani - in questo modo – tutti potrebbero avere la pensione il primo giorno del mese, quindi potrebbero avere i soldi in anticipo rispetto a quelle che sono le scadenze date dal carattere organizzativo delle Poste.
Quindi ci sarebbe non solo un vantaggio in termini di sicurezza, ma un potrebbero avere la pensione il primo giorno del mese, quindi potrebbero avere i soldi in anticipo rispetto a quelle che sono le scadenze date dal carattere organizzativo delle Poste. Quindi ci sarebbe non solo un vantaggio in termini di sicurezza, ma un vantaggio dato dal fatto di avere i soldi prima disponibili".
Vediamo alcuni quesiti sulle pensioni pubblicati dal Corriere della Sera.
Raggiunti i 42 anni di contributi si dovrà aspettare un anno per la finestra dei 43?
No, non dovrà più aspettare: la pensione decorrerà dal mese successivo alla cessazione dell'attività. L'inasprimento dei requisiti per ottenere la pensione anticipata (42 anni e un mese gli uomini e 41 e un mese le donne) è stato in parte mitigato dalla soppressione della famosa «finestra mobile» introdotta dalla manovra economica dell'estate 2010. Meccanismo che richiedeva un periodo di attesa, tra la data di perfezionamento del requisito e la decorrenza effettiva della pensione, pari a 12 mesi (18 mesi per i lavoratori autonomi). L'abolizione della finestra, consente quindi di percepire l'assegno a partire dal mese successivo alla domanda.
Quanto si perderà con il sistema contributivo pro rata?
Un interrogativo cui non si può dare una risposta precisa, in quanto tutto dipende dall'anzianità accumulata alla fine del 2011 e dalla retribuzione dell'ultimo periodo di lavoro. È bene intanto ribadire che il passaggio al contributivo per tutti riguarderà la sola contribuzione versata a partire dall'anno prossimo. Secondo le stime, la riduzione dell'assegno finale dovrebbe aggirarsi intorno ad un punto percentuale per ogni anno di contributivo. In linea di massima si può dire che tanto più è vicina la pensione e tanto più alto è lo stipendio, meno si perderà. Il vantaggio del conteggio retributivo, infatti, si attenua man mano che sale lo stipendio, visto che al di sopra del cosiddetto «tetto» (pari a circa 44 mila euro) l'aliquota di rendimento del 2%, per ogni anno di contributi, si assottiglia sino a raggiungere l'1%, per la parte di retribuzione pensionabile eccedente gli 82 mila euro
Raggiunta la quota «96» nel 2012 quando si potrà andare in pensione?
Nel 2012, se non fossero intervenute novità, si poteva ancora andare in pensione con la quota «96». Ora le cose sono completamente cambiate. Secondo il decreto legge della scorsa settimana, per lasciare il lavoro il nostro lettore avrebbe dovuto aspettare circa 5 anni e mezzo, per arrivare a 66 anni e mezzo e uscire con l'età di vecchiaia (66 anni dal 2012, soglia che poi salirà di 3 mesi ogni due anni a partire dal 2013). A temperare questo rigore, è però giunto il maxiemendamento, che nel testo definitivo, approvato ieri dalla Camera, ha aperto una chance alternativa proprio per chi ha iniziato a lavorare regolarmente entro il 1977, raggiungendo quindi nel prossimo anno i 35 anni di contributi. In questi casi, infatti, sarà possibile lasciare il lavoro a 64 anni, senza attendere i 66: un sconto di due anni.
Per gli artigiani aumentano pure i contributi da versare all'Inps?
È proprio così. Per compensare i minori risparmi dovuti alla rivista deindicizzazione delle pensioni più modeste, il governo ha scelto di rendere più drastico l'aumento dei contributi previdenziali per artigiani e commercianti. L'aliquota, infatti, passerà gradualmente dal 20 al 24% (invece che al 22%), con uno scatto dell'1,3% nel 2012 e successivi scalini di 0,45% l'anno. In sostanza, i nostri artigiani che nel 2011 avevano versato un contributo minimo di 2.930 euro, l'anno prossimo, a parità di incassi, dovranno sborsare come minimo 3.195 euro.
Una donna del 1952 quanto deve aspettare per prendere la pensione?
Dopo le correzioni apportate in Parlamento, le donne potranno andare in pensione a 64 anni, se entro il 2012 raggiungono i 60 anni di età e un'anzianità contributiva di almeno 20 anni. Le ultime correzioni, definite «eccezionali» dal testo di legge, nascono per attenuare gli effetti del cambio di regole su coloro che nel vecchio sistema sarebbero stati alla vigilia del pensionamento, come gli appartenenti alla classe 1952. Nel caso delle lavoratrici, che nel 2012 avrebbero raggiunto i 60 anni previsti fino a ieri per la vecchiaia e nel 2013 sarebbero andate in pensione all'apertura della finestra «mobile», l'impatto è però modesto. Il nuovo canale permette il pensionamento a 64 anni, nel 2016, ma per le nate nella prima metà dell'anno non cambia nulla: l'innalzamento dell'età di vecchiaia previsto dal decreto porta il parametro a 63 anni e 6 mesi nel 2015, e dunque le donne nate fino a giugno del 1952 possono sfruttare questo canale, con un «ritardo» di due anni rispetto alla vecchia uscita messa in calendario per il 2013.
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