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domenica 7 gennaio 2018

INPS: cassetto previdenziale per il lavoro domestico



Il Cassetto nasce dall’esigenza di facilitare i soggetti contribuenti nella consultazione dei dati contenuti negli archivi dell’INPS, fornendo una situazione riassuntiva delle informazioni inerenti la propria posizione previdenziale.

Una volta entrati nella servizio dedicato al lavoro domestico le nuove funzioni sono disponibili sotto la voce “Cassetto previdenziale lavoro domestico”. 

Il nuovo servizio è rivolto ai datori di lavoro domestico che possono consultare i dati relativi ai contratti in essere o passati, ai pagamenti versati o da versare, effettuando eventuali versamenti dovuti attraverso il portale dei pagamenti. Si tratta del Cassetto Previdenziale LD, che consente di visualizzare le informazioni presenti nell’archivio dell’INPS, proposti in modo organico e semplice da consultare, sia al datore di lavoro sia all’intermediario.

Il servizio è ottimizzato sia per la consultazione da pc sia per i dispositivi mobile, smartphone e tablet. A seconda della profilazione dell’utente, sono rese disponibili solo le funzionalità ad esso accessibili. Il percorso di accesso è il seguente:

Home page sito INPS > prestazioni e servizi > naviga per utente > Aziende, enti e datori di lavoro > Datori di lavoro domestico > PIN e codice fiscale > Cassetto previdenziale LD.

Una volta entrati nella sezione dedicata al lavoro domestico le nuove funzioni sono disponibili sotto la voce “Cassetto previdenziale LD”.

Attraverso questo nuovo applicativo, gli utenti possono utilizzare le varie attività di consultazione previste per:

visualizzare la posizione anagrafica del datore di lavoro, compresi i dati del soggetto delegato;

visualizzare la lista dei rapporti di lavoro domestico instaurati dal datore di lavoro e i dati di dettaglio;

visualizzare, per ogni rapporto di lavoro, il riepilogo di tutti i pagamenti effettuati negli ultimi cinque anni e dei pagamenti ancora da effettuare, con indicazione della data di scadenza.

Nei primi mesi del 2018 il Cassetto Previdenziale del Lavoro Domestico verrà implementato con la funzionalità della “Comunicazione Bidirezionale” e sarà resa disponibile la procedura che consente di prendere un appuntamento con un esperto di Sede e poter risolvere eventuali anomalie nella posizione previdenziale.

Nella fase di transizione al nuovo strumento quale unico canale di accesso, continuano a rimanere attive tutte le funzionalità a favore dei datori di lavoro domestico già presenti sul sito internet dell’Istituto.

Una volta effettuato l’accesso, il datore di lavoro avrà la possibilità di:

consultare i dati anagrafici del datore che sono registrati negli archivi centrali dell’INPS,

consultare i dati anagrafici dell’intermediario delegato dal datore. Se il datore di lavoro ha conferito delega ad un consulente/commercialista o associazione datoriale il Cassetto Previdenziale per il Lavoro Domestico ne esporrà la relativa anagrafica;

cercare e consultare il dettaglio dei rapporti di lavoro in stato Attivo,  Cessato, In verifica presso la sede, Respinto, Annullato presenti negli archivi dell’Istituto relativi agli ultimi cinque anni;
consultare i pagamenti versati o da versare dal datore negli ultimi cinque anni contributivi. Saranno consultabili i pagamenti in stato: incassato, incassato in lavorazione, da effettuare, da Recupero Crediti o di cui è stata richiesta sospensione;

accedere direttamente alla home page del sito per la gestione dei pagamenti (portale dei pagamenti);

accedere direttamente alla home page del sito per la gestione del lavoro domestico;

consultare le comunicazioni inviate o da inviare all’INPS (Funzionalità per ora non attiva);

gestire la comunicazione e gli appuntamenti verso la sede INPS(Funzionalità per ora non attiva).




mercoledì 3 gennaio 2018

Incentivi assunzioni over 50


Resta in piedi, nel 2018, l’esonero contributivo introdotto dalla legge Fornero di riforma del mercato del lavoro  per l’assunzione di:

donne disoccupate da almeno 6 mesi, residenti in regioni svantaggiate o occupate in settori lavorativi caratterizzati da una forte disparità occupazionale di genere;

donne disoccupate da almeno 24 mesi;

lavoratori che abbiano compiuto almeno 50 anni di età, disoccupati da almeno 12 mesi.

L’esonero è pari al 50% dei contributi dovuti all’Inps e dei premi dovuti all’Inail ed ha una durata:

sino a 12 mesi, in caso di assunzione a tempo determinato;

sino a 18 mesi, in caso di assunzione a tempo indeterminato o di trasformazione del contratto a termine in tempo indeterminato.

Vediamo come applicare gli sgravi contributivi del 50% per chi assume disoccupati ultracinquantenni.

Contribuzione al 50% per i datori di lavoro che assumono disoccupati ultracinquantenni: si tratta dell’incentivo introdotto dalla Riforma Lavoro 2012, che continua ad essere applicabile dalle imprese anche nel 2018.

Vediamo una breve guida al beneficio contributivo assunzioni over 50, il cui riferimento normativo sono i commi da 8 a 11 dell’articolo 4 della legge 92/2012, mentre le regole applicative sono contenute nella circolare INPS 111/2013.

Dal 1° gennaio 2013, per effetto della Riforma del Lavoro Fornero, sono previsti i nuovi bonus fiscali per le aziende che assumono lavoratori con oltre 50 anni, disoccupati da almeno un anno.

Per questi nuovi contratti – a tempo determinato (anche in somministrazione) o a tempo indeterminato – sono previste assunzioni agevolate sotto forma di sconti contributivi.
Lo sconto sul costo del lavoro – previsto dall’articolo 4, commi 8-10, della Legge 92/2012 (Riforma Fornero) – consiste in una riduzione del 50% dei contributi a carico del datore di lavoro.

Con un contratto a tempo determinato l’agevolazione avrà durata di 12 mesi, con un indeterminato (anche con trasformazione da assunzione a termine) l’agevolazione durerà per 18 mesi.

Tuttavia, come chiarito dalla circolare INPS n. 13 del 28 gennaio 2013,  mancano ancora le regole operative per far partire tali agevolazioni: “le misure agevolate verranno illustrate con apposita circolare, dopo gli opportuni chiarimenti e le necessarie determinazioni del  Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Contratti intermittenti
Un’altra novità interessante per le aziende che intendono assumere lavoratori con età superiore ai 55 anni è quella di poter stipulare contratti di lavoro intermittenti, nella stessa modalità con la quale vengono regolate le prestazioni di lavoro di tipo discontinuo e occasionale con chi ha meno di 24 anni di età.

Ecco come si fa il calcolo nel caso della trasformazione. La regola è che la trasformazione debba avvenire entro la scadenza del precedente beneficio. Quindi, ad esempio, nel caso di trasformazione di un contratto a termine incentivato, con trasformazione al termine del precedente contratto, non spetta nessun incentivo. Se invece la trasformazione è effettuata prima della fine del contratto, allora si applica l’incentivo. Supponiamo che il precedente rapporto fosse di 15 mesi e la trasformazione sia avvenuta nel decimo mese, l’incentivo si applica fino al 18 mese del complessivo rapporto (ovvero calcolando anche i dieci mesi del contratto a termine).

L’incentivo spetta anche nel caso in cui la stessa azienda riassuma un disoccupato che precedentemente era stato un proprio dipendente, purché sussista il requisito dei 12 mesi di disoccupazione.

E’ invece escluso nel caso in cui sia effettuata in attuazione di un obbligo preesistente, derivante dalla legge o dalla contrattazione collettiva.

L’incentivo è subordinato a una serie di prerequisiti da parte dell’azienda: degli obblighi contributivi, osservanza delle norme poste a tutela delle condizioni di lavoro, rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali, condizioni generali di compatibilità con il mercato interno.




martedì 28 novembre 2017

Lavoro: categorie protette, assunzioni obbligatorie e nominative per i disabili



La legge obbliga i datori di lavoro ad assumere una determinata quota di lavoratori iscritti alle categorie protette. Con questa legge lo Stato italiano ha voluto promuovere l'inserimento nel mondo lavorativo delle persone disabili e delle altre persone a cui la legge riconosce una condizione di svantaggio (es. cechi e sordi, invalidi di guerra, orfani ecc.).

La definizione “categorie protette” si riferisce in particolar modo a soggetti svantaggiati quali orfani, vedove e profughi. Quando invece ci si riferisce alle assunzioni obbligatorie, non è corretto fare riferimento esclusivamente alle categorie protette, poiché a queste si somma la categoria degli invalidi che, chiaramente, riguarda la maggior parte dei destinatari delle leggi a sostegno del lavoro dei disabili.

Quindi, alla luce della normativa vigente, i soggetti beneficiari delle disposizioni relative alle assunzioni obbligatorie sono le persone disoccupate e:

affette da minorazioni fisiche, psichiche e portatori di handicap intellettivo con una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%;

invalide del lavoro con grado di invalidità superiore al 33%;

cechi assoluti o con residuo visivo non superiore ad un decimo ad entrambi gli occhi, con even-tuale correzione (vedi la scheda su cecità e sordità civile);

sorde (vedi la scheda su cecità e sordità civile);

invalide di guerra, invalide civili di guerra e di servizio;

vedove/i di deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio, orfani, profughi e vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.

Le aziende potranno assumere tramite richiesta nominativa o convenzione. Vi è maggiore libertà nella scelta delle persone da avviare al collocamento obbligatorio.

Per i disabili esistono le assunzioni nominative. L'obiettivo legislativo è razionalizzare e semplificare la normativa sul collocamento dei disabili e di potenziare l'accompagnamento e il supporto della persona con disabilità al fine di facilitarne l'inserimento lavorativo.

I datori di lavoro potranno assolvere l'obbligo di avviamento al lavoro scegliendo tra la chiamata nominativa o la stipula di apposite convenzioni con i centri per l'impiego aventi ad oggetto la determinazione di un programma mirante al conseguimento degli obiettivi occupazionali.

Al datore viene anche riconosciuta la possibilità di far precedere la richiesta nominativa dalla richiesta agli uffici competenti di effettuare la preselezione delle persone con disabilità iscritte negli speciali elenchi tenuti dai centri per l’impiego che aderiscano alla specifica occasione di lavoro (sulla base delle qualifiche e secondo le modalità concordate dagli uffici con il datore di lavoro).

Oltre alla chiamata nominativa o per convenzione i datori potranno effettuare l'assunzione diretta di lavoratori in specifiche condizioni di difficoltà, riconoscendo altresì per tali datori di lavoro il diritto a fruire degli incentivi previsti. Nello specifico la chiamata diretta potrà essere effettuata nei confronti di persone con disabilità che abbiano una riduzione della capacità lavorativa superiore al 79% o minorazioni annoverate dalla prima alla terza categoria di cui alle tabelle annesse al D.P.R. 915/1978 o che abbiano una riduzione della capacità lavorativa compresa tra il 67% ed il 79% o minorazioni elencate dalla quarta alla sesta categoria di cui alle tabelle citate, oppure lavoratori con disabilità intellettiva e psicofisica e con riduzione della capacità lavorativa superiore al 45% per un periodo di 60 mesi.

Solo in caso di mancata assunzione secondo le richiamate modalità entro 60 giorni dal momento in cui sorge l’obbligo di assunzione, scatta l’obbligo, per gli uffici competenti, di avviare o i lavoratori secondo l'ordine di graduatoria per la qualifica richiesta o altra specificamente concordata con il datore di lavoro sulla base delle qualifiche disponibili. Gli uffici possono altresì procedere anche previa chiamata con avviso pubblico e con graduatoria limitata a coloro che aderiscono alla specifica occasione di lavoro).

Lo scopo del legge è quello di semplificare la normativa che regola il collocamento dei disabili per facilitarne l’inserimento lavorativo. Il decreto, dal punto di vista delle aziende, lascia una maggior libertà ai datori di lavoro nella scelta dei dipendenti da avviare all’attività. Essi potranno, infatti, scegliere tra la chiamata nominativa e la stipula di convenzioni con i centri dell’impiego mirate al raggiungimento degli obiettivi occupazionali.

Alla richiesta nominativa il datore di lavoro può far precedere la richiesta agli uffici competenti di effettuare la preselezione delle persone con disabilità che aderiscano a quella specifica richiesta di lavoro. Ai datori di lavoro resta anche la scelta dell’assunzione diretta dei lavoratori con disabilità usufruendo comunque degli incentivi previsti.

L’assunzione diretta si potrà effettuare nei confronti di persone con una disabilità fisica superiore al 79% o una ridotta capacità lavorativa compresa tra il 67 e il 79%, oppure, ancora, lavoratori con disabilità psicofisica superiore al 45%.

I datori di lavoro, sia pubblici e sia privati, sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori appartenenti alle categorie descritte nel precedente paragrafo nella misura di:

sette per cento dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 dipendenti;

due lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti;

un lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti.

Per la definizione della base di calcolo, bisogna includere nel computo tutti i lavoratori assunti con vincolo di subordinazione (tranne quelli già assunti con collocamento obbligatorio), i soci di cooperative di produzione e lavoro, i dirigenti, i contratti di inserimento, i lavoratori sommini-strati presso l’utilizzatore, i lavoratori assunti per attività all’estero, i lavoratori socialmente utili (LSU), i lavoratori a domicilio e gli apprendisti.  Bisogna conteggiare anche gli assunti con contratto a tempo determinato fino a 9 mesi.

I datori di lavoro privati che hanno diverse unità produttive sul territorio, possono essere autorizzati dal Servizio provinciale del lavoro (della provincia in cui si ha la sede legale), ad assumere in una unità un numero di lavoratori aventi diritto al collocamento obbligatorio superiore a quello prescritto, portando le eccedenze a compenso del minor numero di lavoratori assunti in altre unità. La richiesta deve essere motivata, e se le unità sono ubicate in regioni diverse, l’autorizzazione deve essere rilasciata dal Ministero del Lavoro.


giovedì 6 aprile 2017

Contratto a tutele crescenti e licenziamento




 Tra le principali novità normative realizzate dalla riforma del lavoro Jobs Act, che  ha introdotto il nuovo contratto di lavoro a tempo indeterminato detto "a tutele crescenti"

Il D.LGS 23/2015 di fatto limita l'applicazione dell'art. 18  dello Statuto dei lavoratori. Si esclude infatti  per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l'impugnazione del licenziamento”.

Il regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo:
a) si applica ai lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto;

b) vale anche nei casi di conversione, successiva all'entrata in vigore del decreto, del contratto a tempo determinato o dell’ apprendistato in contratto a tempo indeterminato;

c) nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all’entrata in vigore del decreto, integri il requisito occupazionale di cui all’articolo 18, ottavo e nono comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (il riferimento è al superamento della soglia dei 15 dipendenti).

Nei confronti del datore di lavoro imprenditore o non imprenditore trova applicazione quanto segue:

a) reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto se il lavoratore non riprende servizio entro 30 giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennità di 15 mensilità

b) risarcimento del danno così calcolato: indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR (dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione) dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso minimo 5 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR. Il datore di lavoro è condannato, altresì, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali

c) in luogo della reintegrazione, fermo restando il diritto al risarcimento del danno, il lavoratore ha facoltà di chiedere al datore di lavoro:
- un'indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione previdenziale;
entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia o dall'invito del datore di lavoro di riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione.

E’ prevista una indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità.

La misura è dimezzata nelle piccole imprese e non può superare le sei mensilità.

Esclusa l'applicazione dell'art. 7, l. n. 604/66, che introduce una procedura di conciliazione davanti alla Commissione provinciale di conciliazione presso la Dtl, che il datore di lavoro, avente i requisiti dimensionali previsti dalla legge n. 300/70, deve obbligatoriamente esperire prima di intimare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (si tratta di una condizione di procedibilità).

Annullamento del licenziamento e condanna del datore di lavoro:
a) alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro;

b) al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro; massimo 12 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR;

c) al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, senza applicazione di sanzioni per omissione contributiva.
Il lavoratore può optare per le 15 mensilità.

E’ prevista una indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a 1 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 12 mensilità, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle tutele previste per i casi di licenziamento per i quali sia ancora prevista la reintegrazione.
L'importo è dimezzato nelle piccole imprese entro massimo 6 mensilità.

In caso di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal decreto in esame.

Al fine di evitare il giudizio e ferma restando la possibilità per le parti di addivenire a ogni altra modalità di conciliazione prevista dalla legge, il datore di lavoro può offrire al lavoratore licenziato, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, in una delle sedi protette (articolo 2113, comma 4, c.c. e articolo 76 del D.Lgs. n. 276/2003), un importo - che non costituisce reddito imponibile ai fini dell’IRPEF e non assoggettato a contribuzione previdenziale- di ammontare pari a 1 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio; importo minimo 2 e massimo 18 mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare.

L’accettazione dell’assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta. Le eventuali ulteriori somme pattuite nella stessa sede conciliativa a chiusura di ogni altra pendenza derivante dal rapporto di lavoro sono soggette al regime fiscale ordinario.

Attenzione: la comunicazione obbligatoria telematica di cessazione del rapporto è integrata da una ulteriore comunicazione, da effettuarsi da parte del datore di lavoro entro 65 giorni dalla cessazione del rapporto, nella quale deve essere indicata l’avvenuta ovvero la non avvenuta conciliazione; ove omessa si applica la medesima sanzione prevista per l’omissione della comunicazione COB. Il modello di trasmissione della comunicazione obbligatoria è conseguentemente riformulato.

Il decreto contiene, infine, alcune regole di "computo" la cui applicazione viene richiamata anche in tabella.

L'art. 7 specifica che l’anzianità di servizio del lavoratore che passa alle dipendenze dell’impresa subentrante nell’appalto si computa tenendosi conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell’attività appaltata.

L'art. 8 dispone che per le frazioni di anno d’anzianità di servizio, le indennità e gli importi previsti nei seguenti casi
- licenziamento per giustificato motivo oggettivo/soggettivo o giusta causa privo degli estremi (art. 3, comma 1)
- licenziamento affetto da vizi formali/procedurali (art. 4)
- importo offerto in sede di conciliazione (art. 6)
sono riproporzionati e le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni si computano come mese intero.

Ove il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali dei 15/60 dipendenti :
- non si applica la norma sul licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale;
l'ammontare di indennità/importi previsti è dimezzato e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità.

In caso di licenziamento collettivo ai sensi ex legge n. 223/91 intimato senza l’osservanza della forma scritta, si applica il regime sanzionatorio della reintegrazione; in caso di violazione delle procedure o dei criteri di scelta si applica il regime indennitario.

Ai licenziamenti oggetto del decreto non si applica il rito Fornero (commi da 48 a 68 dell’articolo 1 della legge n. 92 del 2012) identificabile  in una disciplina processuale speciale per le controversie derivanti dai licenziamenti di cui all'articolo 18 della legge n. 300 del 1970.

La legge Fornero, infatti, definisce un rito speciale per le controversie relative all’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi previste dal  citato art. 18, nonché alle questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro.

Le uniche fattispecie che possono portare alla reintegra del lavoratore riguardano:

il licenziamento discriminatorio (determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall’appartenenza ad un sindacato, dalla partecipazione ad attività sindacali o ad uno sciopero, nonché discriminazione razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali);

il licenziamento intimato durante i periodi di tutela (primo anno di matrimonio, durante la maternità e fino al compimento di un anno di età del bambino, per fruizione dei congedi parentali);

il licenziamento per motivo illecito ( ex art. 1345 c.c.);

il licenziamento intimato in forma orale.

la misura del risarcimento non potrà essere inferiore ad un minimo di 5 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR.




Benefit aziendale si punta al benessere



Nuovo approccio aziendale ai fringe benefit: più attenzione all'equilibrio psicofisico dei dipendenti con servizi calibrati sulle singole esigenze.

I fringe benefits sono la principale risorsa dei datori di lavoro per creare welfare aziendale e incentivare la produttività, strettamente connessa al benessere dei lavoratori. Nel 2017 con l’approvazione della Legge di Bilancio 2016 entrano in vigore nuove regole di detassazione sulla busta paga dei lavoratori.

Asili, borse di studio, assistenza ai familiari anziani: sono esempi di welfare aziendale incentivato dalla Legge di Stabilità 2016 con nuove forme di fiscalizzazione, contribuzione e campo di applicazione. I Consulenti del Lavoro hanno messo a punto una circolare che riassume il nuovo quadro normativo utile come guida per imprese e lavoratori.

Il  benessere aziendale si fa sempre più strada nella cultura delle aziende italiane, che oggi offrono nuove tipologie di benefici accessori. A divulgarlo è una ricerca di Top Employers Institute, l’ente certificatore delle eccellenze aziendali in ambito HR che ha preso in considerazione non solo i fringe benefit più adottati dalle aziende, ma anche quelli maggiormente scelti e graditi dai dipendenti. Il mondo dei "fringe benefit" mostra secondo gli esperti "un'attenzione spiccata alle soluzioni antistress e alla sostenibilità.

Questi i risultati emersi:
il 76% delle aziende si preoccupa del benessere psicofisico, dello stato di stress e dei carichi di lavoro dei propri dipendenti, tramite questionari mirati e domande specifiche inserite nelle survey periodiche;

il 71% propone e attua un’ampia serie di programmi di benessere, accanto alle più tradizionali ma molto apprezzate polizze integrative di assicurazione sanitaria;

il 66% offre e attua corsi di gestione del tempo, per imparare a lavorare in maniera più efficace e con minore sforzo;

il 66% provvede a un parcheggio aziendale, e talune aziende mettono a disposizione un servizio di bike sharing per il tragitto casa-lavoro;

il 59% incentiva permessi speciali per attività di volontariato;

il 56% offre la possibilità di un intero anno sabbatico per motivi di studio, aggiornamento professionale, assistenza e cura parentale o anche per una pausa di riflessione personale, per “staccare la spina” e poi rientrare più motivati e proattivi sul posto di lavoro;

il 41% provvede a contributi economici per l’accudimento dei figli;

il 18% propone incontri e programmi per aiutare a smettere di fumare

In generale, sembra cambiato l’approccio delle aziende ai fringe benefit.

I datori di lavoro offrono sempre meno spesso benefici omologati e uguali per tutti e puntano sempre di più a servizi personalizzati e calibrati sulle esigenze dei singoli dipendenti pensati anche in chiave competitiva in un’ottica di attrazione e fidelizzazione dei talenti.

Per David Plink, CEO di Top Employers Institute, offrire un ambiente di lavoro ottimale, in grado di favorire la crescita non solo professionale, ma anche personale e umana delle persone si traduce, a sua volta, in potenzialità di sviluppo e crescita anche a livello aziendale.

«I fringe benefit giocano un ruolo sempre più competitivo nelle motivazioni di chi cerca o vuole cambiare posto di lavoro.
Il mercato è cambiato e la motivazione per cui si cambia lavoro non è più solo quella economica, ma entrano in gioco anche altri fattori, come l’ambiente di lavoro, le prospettive di carriera, la flessibilità e – perché no? – anche i fringe benefit “su misura”.

Motivo per cui le aziende più innovative, come le aziende certificate Top Employers, li utilizzano in chiave sempre più personalizzata e come strumento di attrazione e fidelizzazione dei talenti».

Oggi, infatti, sempre più aziende non si limitano più ad offrire solo a smartphone, laptop e auto in leasing, ma puntano diretti al benessere dei dipendenti in chiave antistress e alla sostenibilità offrendo palestre, nutrizionisti, counselling, contributi per l’asilo nido, corsi per la gestione del tempo, bonus volontariato, programmi per smettere di fumare, yoga, massaggi, consulenze nutrizionali e così via.

I fringe benefit, tradotto in italiano come “benefici accessori, marginali”, fanno parte di una particolare tipologia di retribuzione prevista dall’articolo 2099 comma 3 del codice civile secondo il quale “… il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazione agli utili o ai prodotti, con provvigione o con prestazioni in natura”.

Fanno parte di questi benefici una serie di servizi dedicati al lavoratore, come buoni pasto, assistenza sanitaria, polizze assicurative, finanziamenti agevolati, acquisto di prodotti a prezzo scontato, acquisto di azione societarie e infine veri e propri beni mobili e immobili, come autovetture, ad uso esclusivamente aziendale, personale o promiscuo e alloggi per il singolo dipendente o per la famiglia.

Questo particolare tipo di reddito viene posto in busta paga del dipendente, con regole variabili per quanto riguarda la tassazione: alcuni fringe benefit sono esenti da tassazioni, come i contribuiti INPS e INAIL, assistenza sanitaria fino a 3.615,20 € all’anno e i buoni pasto commisurati in 5,29 € al giorno.

Con il nuovo anno, inoltre, ci sono nuovi privilegi per i dipendenti premiati: dal 2017, infatti,  l’importo del premio di produttività detassato è raddoppiato. Si passa dai 2000 € ai 4000 € , con un’ aliquota del 10% con un aumento del tetto di reddito di riferimento di 30.000 €: rispetto all'anno scorso si passa quindi da 50.000 € a 80.000 €. In più, i lavoratori potranno convertire la somma di denaro percepita in servizi di welfare aziendale, il tutto esente da tassazione.


martedì 14 febbraio 2017

Trasformazione contratto di lavoro e tutele crescenti



Per i lavoratori assunti, trasformati o qualificati dal 7 marzo 2015, il legislatore ha introdotto un nuovo regime di tutela per i licenziamenti illegittimi togliendo ogni discrezionalità al giudice e prevedendo un’indennità risarcitoria crescente in ragione dell’anzianità di servizio in azienda.

La legge specifica che qualunque contratto a tempo indeterminato che si stipula dopo la data di entrata in vigore del decreto è a tutele crescenti, anche se trasformato.

L’unica alternativa è firmare un accordo per applicare la vecchia normativa, ma deve essere stabilito tra le parti.

In assenza di accordi di questo tipo il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti si applica a tutti:

i lavoratori assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015;

i lavoratori che dal 7 marzo 2015 hanno avuto trasformato il contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato;

gli apprendistati che sono stati qualificati dal 7 marzo 2015.

Ai rapporti di lavoro già in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo continuerà ad essere applicata la disciplina precedente a meno che i lavoratori non prestino la propria attività presso un datore di lavoro, che dopo il 7 marzo 2015, attraverso successive assunzioni a tempo indeterminato, superi i 15 dipendenti: in questo caso, il contratto a tutele crescenti sarà obbligatoriamente applicabile a tutti i lavoratori presenti in azienda, indipendentemente dalla data di assunzione.

Per quanto riguarda la dicitura esente per l. 190/2014 presente in busta paga, questa fa riferimento all’agevolazione sulle assunzioni contenuta nella Legge di Stabilità 2015 (Legge 190/2014, art. 1, c. 118 e seguenti), che ha introdotto un esonero contributivo (per i datori di lavoro) sui nuovi rapporti a tempo indeterminato dal 1° gennaio al 31 dicembre 2015, per un periodo massimo di 36 mesi e nel limite di 8.060 euro su base annua.

Questo nuovo contratto di lavoro unico, è riservato solo ai lavoratori neoassunti contrattualizzati a seguito della Riforma del Lavoro Jobs Act. Tale contratto, sostituisce quindi tutte le forme di contratto di lavoro attualmente vigenti, per cui un'azienda che vuole assumere deve farlo utilizzando o il contratto a tutele crescenti oppure a tempo determinato o con il nuovo apprendistato. In questa prospettiva, i lavoratori saranno quindi solo dipendenti, a tempo indeterminato o a tempo determinato, apprendisti, somministrati, cococo oppure, autonomi con partita IVA che svolgeranno la propria attività autonomamente.

Il datore di lavoro assume neo lavoratori con questo contratto e ottiene degli sconti fiscali. L'azienda quindi è legittimata a licenziare a causa dell'abolizione dell'articolo 18, a patto però che il licenziamento non avvenga per motivi discriminatori, perché in questo caso sarebbe obbligata al reintegro del lavoratore.

In questo contesto, l'azienda che si trova per esempio in difficoltà economica a causa della crisi, non richiederà l'intervento della cassa integrazione o della mobilità come ammortizzatore sociale per superare la crisi occupazionale, ma utilizzerà il licenziamento per disfarsi dei lavoratori in esubero, pagando loro l'indennità di licenziamento.

A tali lavoratori, andrebbe poi l'indennità di disoccupazione. In questo modo, gli altri ammortizzatori sociali come la cassa integrazione in deroga o la mobilità sparirebbero lasciando solo la CIG ordinaria per temporanei cali di produzione e quella straordinaria in caso di ristrutturazioni aziendali, da attivare solo dopo la riduzioni dell’orario lavorativo.

In questo nuovo regime di tutela per i casi di licenziamento illegittimo che, oltre a rendere più snello il percorso di uscita del lavoratore dall’azienda, toglie la discrezionalità al giudice riconoscendo un indennizzo economico di importo prevedibile (due mensilità) e crescente in funzione dell’anzianità di servizio (due mensilità per ogni anno di lavoro, ma con un minimo di quattro e un massimo di ventiquattro).

Le uniche fattispecie che possono portare alla reintegra del lavoratore riguardano:

il licenziamento discriminatorio (determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall’appartenenza ad un sindacato, dalla partecipazione ad attività sindacali o ad uno sciopero, nonché discriminazione razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali);

il licenziamento intimato durante i periodi di tutela (primo anno di matrimonio, durante la maternità e fino al compimento di un anno di età del bambino, per fruizione dei congedi parentali);

il licenziamento per motivo illecito ( ex art. 1345 c.c.);

il licenziamento intimato in forma orale.

la misura del risarcimento non potrà essere inferiore ad un minimo di 5 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR.

Si evidenzia come in tale tipologia di illegittimità del licenziamento, la disciplina applicabile è la stessa della Legge Fornero, quindi, in questo caso, non ci saranno differenze fra i lavoratori assunti prima della vigenza del presente decreto legislativo e quelli assunti dopo, né tanto meno in funzione dei limiti dimensionali dell’azienda.

Fermo restando il diritto al risarcimento del danno di cui sopra, il lavoratore ha facoltà di richiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, una indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, non soggetta a contribuzione previdenziale. Tale richiesta deve essere effettuata entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia o dell’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se precedente.

Il licenziamento per giustificato motivo o giusta causa è disciplinato come segue:

in presenza del fatto materiale ed indipendentemente dalla sua gravità, il licenziamento non comporterà la reintegra, ma il riconoscimento di un’indennità, non soggetta a contribuzione previdenziale, pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 mensilità e non superiore a 24.

Si evidenzia che la procedura obbligatoria presso la Direzione territoriale del Lavoro introdotta dalla Legge Fornero per il licenziamento per GMO (giustificato motivo oggettivo) nelle aziende con più di 15 dipendenti, continuerà ad applicarsi solo per gli assunti prima del 7 marzo 2015.

Per i soli licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore o per difetto di giustificazione consistente nell’inidoneità fisica o psichica, determina l’annullamento del licenziamento e la condanna per il datore di lavoro alla reintegra con le stesse modalità previste per il licenziamento discriminatorio (cioè pagamento delle mensilità dalla data del licenziamento alla data della reintegra effettiva, comprensiva dei contributi, ecc.) con il limite massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR.

Anche in questo caso il lavoratore ha facoltà di richiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, una indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, non soggetta a contribuzione previdenziale.

Per i datori di lavoro che occupano fino a 15 dipendenti, nelle ipotesi di cui sopra, è previsto esclusivamente il pagamento di un’indennità risarcitoria pari ad 1 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di anzianità aziendale, con un minimo di 2 mensilità ed un massimo di 6.

Nell’ipotesi di licenziamento intimato senza l’indicazione dei motivi, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità, non assoggettata a contributi previdenziali, pari ad 1 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, in misura non inferiore a 2 e non superiore a 12, salvo che su domanda del lavoratore il giudice non accerti la sussistenza dei presupposti per le tutele previste per il licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale o per il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo.

domenica 12 febbraio 2017

Agevolazioni assunzioni per il 2017: donne, apprendisti, garanzia giovani e disabili



Le agevolazioni sugli sgravi contributivi che le imprese e i datori di lavoro possono richiedere nel 2017 sono molteplici e di varia natura.

In base a quanto previsto dalla nuova Legge di Bilancio 2017, per i datori di lavoro ed imprese private che decidono di assumere personale 2017, possono fruire di alcune importanti agevolazioni fiscali.

Bonus assunzioni donne
Il bonus assunzioni donne e over 50, che prevede la riduzione del 50% dei contributi per 12 mesi, ossia, quello per le assunzioni a tempo determinato, può essere prolungato di 6 mesi in caso di stabilizzazione e di 18 mesi in caso di assunzione a tempo indeterminato.

Hanno diritto all'agevolazione inoltre, i contratti subordinati, di somministrazione e part time, sono invece esclusi il lavoro domestico, accessorio, intermittente e ripartito.

Tra gli incentivi all’assunzione previsti dalla Legge di Stabilità 2017 è stato confermato e prorogato anche il bonus per i datori di lavoro del settore privato che diano occupazione a donne di qualsiasi età disoccupate, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno ventiquattro mesi.

Requisito che scende a sei mesi nel caso in cui l’assunzione riguardi donne disoccupate residenti in aree svantaggiate individuate dalla Carta degli aiuti di Stato a finalità regionale per il periodo 2014-2020 (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e alcune zone specifiche di Emilia Romagna, Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Molise, Piemonte, Sardegna, Toscana, Valle d’Aosta, Veneto, Abruzzo, Molise, Lazio, Liguria, Lombardia), oppure se l’assunzione avviene in particolari settori economici caratterizzati da un’accentuata disparità occupazionale di genere.

L’agevolazione spettante al datore di lavoro del settore privato si traduce in uno sgravio contributivo pari al 50%:

per 12 mesi in caso di contratto tempo determinato;

per 18 mesi in caso di assunzioni a tempo indeterminato;

fino al 18° mese dalla data di assunzione in caso di trasformazione del contratto da tempo determinato a indeterminato.

Per fruire del beneficio è necessario presentare apposita domanda di ammissione compilando ed inviando per via telematica, prima della denuncia contributiva, il modulo disponibile nel “Cassetto previdenziale aziendale” presente sul sito INPS. L’Istituto, una volta ricevuta la domanda, verificherà la presenza dei requisiti e quindi concederà il bonus

Bonus assunzioni Sud
E’ è un'agevolazione che prevede per i datori di lavoro e le imprese aventi sede in una delle Regioni del Mezzogiorno, uno sgravio contributivo per chi assume a tempo indeterminato giovani tra i 15 e i 24 anni e over 25 disoccupati da almeno 6 mesi.

I datori di lavoro per fruire degli sgravi contributivi fino ad 8.060 euro, devono avere la sede lavorativa ubicata in una delle regioni meno sviluppate del Sud: Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, oppure in quelle definite in transizione, Sardegna, Abruzzo e Molise.

Inoltre, l'assunzione del giovane o del disoccupato a tempo indeterminato o in apprendistato, deve avvenire tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2017.

Bonus assunzioni apprendisti
Ai datori di lavoro che nel corso dell'anno 2017 assumono apprendisti con qualsiasi contratto di apprendistato possono usufruire delle seguenti agevolazioni:

la possibilità di usufruire di in un’aliquota contributiva agevolata pari al 10% che può essere mantenuta per un altro anno, in caso di trasformazione dell’apprendistato in contratto a tempo indeterminato.

per i contratti di apprendistato per la qualifica, il diploma o la specializzazione tecnica superiore, stipulati tra il 24 settembre 2015 e il 31 dicembre 2017, il bonus è ancora più conveniente, dal momento che gli è stata riconosciuta un’ulteriore riduzione dell’aliquota, pari al 5% + l'esenzione dai contributi di finanziamento dell'ASpI e da quello per il licenziamento.

per i contratti di apprendistato stipulati tra il 1° gennaio 2012 e il 31 dicembre 2017, se il datore di lavoro ha al massimo 9 dipendenti, lo sgravio contributivo è pari al 100% nei primi 3 anni di contratto, e deve solo l’aliquota NASPI all’1,6%.

gli apprendisti assunti, non rientrano nel computo del numero di disabili da assumere obbligatoriamente.

l'apprendista può essere inquadrato con un una posizione retributiva più bassa di 2 livelli rispetto a quella prevista per la stessa mansione.

Oltre a tutti questi vantaggi, il datore di lavoro che assume apprendisti, ha diritto anche ad ulteriori incentivi, come ad esempio la Garanzia Giovani o la partecipazione a bandi ad hoc, quali il programma FIxO di ANPAL, che eroga ai datori di lavoro privati che assumono full time, a tempo indeterminato o a termine per almeno 12 mesi, dottori di ricerca tra i 30 e 35 anni non compiuti, un contributo economico per ciascun lavoratore assunto + l'attività di assistenza didattica, o per chi assume apprendisti di alta formazione e ricerca, in quest'ultimo caso le imprese ricevono un contributo economico variabile a seconda del tipo di contratto se full time o part time per almeno 24 ore a settimana.

Bonus assunzioni Garanzia Giovani
Questo è un pacchetto di incentivi e vantaggi rivolto sia alle aziende che ai giovani in cerca di occupazione comulabili con quelli previsti per l'apprendistato e per i contratti part-time, a patto che l'orario sia superiore al 60%.

Nello specifico i datori di lavoro che assumono giovani iscritti al programma Garanzia Giovani spetta:

Bonus assunzioni da 1.500 a 6.000 euro per le assunzioni a tempo indeterminato;

Bonus assunzione da 1.500 a 4.000 euro Assunzioni a tempo determinato o in somministrazione;

Bonus assunzioni tra 2.000 e 3.000 euro per le aziende che assumono giovani con contratto di Apprendistato per la qualifica e il diploma professionale (I livello);

Bonus fino a 6.000 euro per l'Apprendistato per l'Alta formazione e la Ricerca (III livello);

Bonus Tirocinio garanzia Giovani: riconosciuto contributo economico di un minimo di 300 euro pagati dalle Regioni o eventualmente rimborsato all'azienda. Nel caso in cui poi, il tirocinio dovesse essere trasformato in un contratto di lavoro, all'azienda spetta un bonus da 1.500 a 6.000 euro erogato dall'INPS.

Autoimprenditorialità o Autoimpiego: incentivi per  giovani che vogliono fare e creare un'impresa. Il beneficio, è sotto forma di microcredito.

Bonus assunzioni disabili
Questo è un incentivo che spetta ai datori di lavoro che assumono disabili nel corso del 2017. Tale agevolazione spetta un:

bonus assunzioni pari al 35% della retribuzione lorda mensile per 36 mesi se l'assunzione riguarda un disabile con capacità lavorativa ridotta tra il 67 e 79%

bonus assunzione pari al 70% per 36 mesi se la ridotta capacità lavorativa è superiore al 79%;

bonus assunzioni pari al 70% per 60 mesi in caso di disabilità psichica o intellettiva superiore al 45% se l'assunzione è a tempo indeterminato o superiore a 12 mesi in caso di contratto a tempo.




martedì 7 febbraio 2017

Busta paga:i nuovi obblighi ai datori di lavoro



La busta paga è il documento necessario per tutti i dipendenti, che attesta la retribuzione netta e lorda del lavoratore e serve per verificare lo stipendio percepito e la sua congruità con quanto stabilito nel CCNL. Sulla busta paga si possono inoltre verificare i contributi pensionistici versati dal datore di lavoro a vantaggio del dipendente. Il pagamento dello stipendio potrà essere effettuato solo con versamento in banca o alle Poste e la firma sulla busta paga non costituirà più una prova dell’avvenuto pagamento.

Stipendi versati solo in banca o in posta e la firma sulla busta paga non costituirà prova dell'avvenuto pagamento. Sono queste le principali novità introdotte dal disegno di legge (c1041) recante "disposizioni in materia di modalità di pagamento delle retribuzioni ai lavoratori".

In arrivo cambiamenti in tema di busta paga con il disegno di legge C1041 recante “Disposizioni in materia di modalità di pagamento delle retribuzioni ai lavoratori” che vede come prima firmataria la Titti Di Salvo (Dem) e relatrice Valentina Paris (Pd) ed è attualmente all’esame della Commissione Lavoro della Camera in sede referente.

L’obiettivo principale del provvedimento è quello di evitare brogli sulle retribuzioni, andando a contrastare il fenomeno che affligge molti lavoratori ai quali i datori di lavoro corrispondono una retribuzione inferiore ai minimi fissati dalla contrattazione collettiva, pur facendo firmare loro una busta paga nella quale risulti una retribuzione regolare, dietro minaccia di licenziamento o dimissioni in bianco.

Il Ddl prevede quindi che il versamento dello stipendio possa avvenire solo in banca o alla posta, eliminando al contempo la validità probatoria della firma apposta sulla busta paga per l’avvenuto pagamento della retribuzione. Il tutto senza caricare di nuovi oneri imprese e/o lavoratori, allo scopo è prevista, entro tre mesi dall’entrata in vigore della norma, la stipula di una convenzione tra il Governo, Associazione bancaria italiana e Poste italiane Spa per individuare gli strumenti bancari e postali idonei per consentire ai datori di lavoro di eseguire il pagamento della retribuzione ai propri lavoratori.

Sarà il lavoratore, al momento della firma del contratto, a decidere per il pagamento mediante:

accredito diretto sul proprio conto corrente;

emissione di un assegno da parte dell’istituto bancario o dell’ufficio postale, consegnato direttamente al lavoratore (o ad un delegato in caso di comprovato impedimento);

pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale.

I datori di lavoro o committenti non potranno più corrispondere la retribuzione per mezzo di assegni o di somme contanti di denaro, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato.

In fase di assunzione il datore di lavoro dovrà comunicare, al Centro per l’Impiego competente per territorio gli estremi dell’istituto bancario o dell’ufficio postale che provvederà al pagamento delle retribuzioni al lavoratore, nel rispetto delle norme sulla privacy. La comunicazione, per evitare di attribuire nuovi carichi burocratici ai datori di lavoro, sarà inserita nello stesso modulo che i datori di lavoro inviano obbligatoriamente al Centro per l’impiego in caso di nuove assunzioni. Per annullare l’ordine di pagamento il datore di lavoro dovrà trasmettere alla banca o alle Poste copia della lettera di licenziamento/dimissioni del lavoratore.

In caso di inadempimento sono previste sanzioni amministrative pecuniarie da 5mila a 50mila euro. Per la mancata comunicazione al Centro per l’Impiego è prevista una sanzione di 500 euro seguita da un accertamento della direzione provinciale del lavoro.

Sono esclusi da tali obblighi i datori di lavoro non titolari di partita IVA, i rapporti di lavoro domestico e familiare e i rapporti instaurati dai piccoli o piccolissimi condomini.

l provvedimento che si compone di 5 articoli introduce un semplice meccanismo che consiste nel rendere obbligatorio il pagamento delle retribuzioni ai lavoratori (nonché ogni anticipo), attraverso gli istituti bancari o gli uffici postali.

La scelta del sistema di pagamento è rimessa direttamente al lavoratore, il quale potrà optare per l'accredito diretto sul proprio conto corrente, per l'emissione di un assegno (consegnato direttamente al lavoratore o in caso di comprovato impedimento a un suo delegato) oppure per il pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale.

Viene vietato in sostanza ai datori di lavoro il pagamento della retribuzione a mezzo di assegni o contante qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato.

Si stabilisce, inoltre, che la firma della busta paga non costituisce prova dell'avvenuto pagamento della retribuzione.

Il provvedimento fissa l'obbligo per il datore di lavoro, al momento dell'assunzione, di comunicare al centro per l'impiego competente gli estremi dell'istituto bancario o dell'ufficio postale che provvederà al pagamento delle retribuzioni al lavoratore, nel rispetto delle norme sulla privacy.

La comunicazione, per evitare di attribuire nuovi oneri burocratici ai datori, sarà inserita nello stesso modulo che gli stessi inviano obbligatoriamente al centro per l'impiego quando effettuano nuove assunzioni. La modulistica, quindi, dovrà essere opportunamente modificata (dai centri per l'impiego) entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge per permettere l'invio corretto della comunicazione anche in modalità telematica.

Allo stesso modo, l'ordine di pagamento potrà essere annullato soltanto trasmettendo alla banca o alle poste copia della lettera di licenziamento o delle dimissioni del lavoratore, rese secondo le modalità di legge, fermo restando l'obbligo di effettuare tutti i pagamenti dovuti al lavoratore dopo la risoluzione del rapporto di lavoro.

La convenzione - La proposta di legge prevede, inoltre, la stipula di una convenzione (entro tre mesi dall'entrata in vigore) tra il Governo e l'Associazione bancaria italiana e la società Poste italiane Spa che individua gli strumenti bancari e postali idonei per consentire ai datori di lavoro di eseguire il pagamento della retribuzione ai propri lavoratori, con l'importante previsione che ciò non deve determinare nuovi oneri né per le imprese nè per i lavoratori.

Le esclusioni - Il ddl esclude dagli obblighi introdotti i datori di lavoro che non sono titolari di partita Iva, i quali spesso non sono neanche titolari di un conto corrente. In ogni caso sono esclusi dalla pdl, i rapporti di lavoro domestico e familiare (nei quali i datori spesso sono persone anziane o disabili), così come i rapporti instaurati dai piccoli o piccolissimi condomini (ad es. per pulizia scale o manutenzione verde condominiale).

Le sanzioni - Sono, infine, previste pesanti sanzioni pecuniarie (da 5mila a 50mila euro) per i datori di lavoro che non ottemperano agli obblighi introdotti dalla legge. Chi non comunica al centro per l'impiego competente per territorio gli estremi dell'istituto bancario o dell'ufficio postale che effettuerà il pagamento delle retribuzioni è soggetto al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria di 500 euro e al successivo accertamento della direzione provinciale del lavoro, che procederà alle conseguenti verifiche.





giovedì 29 settembre 2016

Jobs Act: obbligo assunzione categorie protette



La legge obbliga i datori di lavoro ad assumere una determinata quota di lavoratori iscritti alle categorie protette. Con questa legge lo Stato italiano ha voluto promuovere l'inserimento nel mondo lavorativo delle persone disabili e delle altre persone a cui la legge riconosce una condizione di svantaggio.

A partire dal 1° gennaio 2017, per effetto del Jobs Act che ha di fatto modificato la Legge 68/99 al fine di favorire l'inserimento di persone con disabilità fisica o psichica che rischiano di essere escluse dal mondo del lavoro, è stato disposto per le aziende l'obbligo di assumere una certa quota di lavoratori disabili.

Chiamata nominativa

Un’altra novità riguarda la c.d. chiamata nominativa, ovvero il datore di lavoro che individua ed assume autonomamente la persona disabile non può ricorrere all’assunzione diretta, dovendo accedere sempre dalle apposite liste di collocamento mirato. Anche le aziende che hanno alle proprie dipendenze un numero di lavoratori compreso tra 36 e 50 potranno procedere alle nuove assunzioni mediante chiamata nominativa.

Datori di lavoro esonerati

Sono esonerati dall'obbligo di assumere un lavoratore disabile le aziende con addetti impegnati in lavorazioni che comportino un’esposizione al rischio con tasso di premio INAIL pari o superiore al 60 per mille.

Incentivi

Semplificato invece il procedimento per il riconoscimento degli incentivi previsti per i datori di lavoro che assumono persone con disabilità che consistono nell’erogazione del 70% o del 35% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, a seconda del grado di riduzione della capacità lavorativa, per un periodo di 36 mesi se l’assunzione è a tempo indeterminato, 60 mesi, in caso di assunzioni di persone con disabilità intellettiva e psichica (sia a tempo indeterminato, sia determinato ma superiore a 12 mesi). L’incentivo, viene corrisposto al datore di lavoro unicamente mediante conguaglio nelle denunce UNIEMENS ed è riconosciuto dall’INPS sulla base delle effettive disponibilità di risorse e secondo l’ordine di presentazione delle domande.

Nello specifico, tutte le aziende che occupano più di 14 dipendenti, sono obbligate a riservare una quota destinata agli invalidi civili con percentuale di invalidità dal 46 al 100%, invalidi del lavoro con percentuale di invalidità superiore al 33%, gli invalidi per servizio, invalidi di guerra e civili di guerra con minorazioni dalla prima all’ottava categoria, i non vedenti e i sordomuti; categorie protette: profughi italiani, orfani e vedove/i di deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio ed equiparati (sono equiparati alle vedove/i e agli orfani i coniugi e i figli di grandi invalidi del lavoro dichiarati incollocabili, dei grandi invalidi per servizio o di guerra con pensione di prima categoria), vittime del dovere, del terrorismo e della criminalità organizzata.

Nel dettaglio i datori di lavoro che impiegano un numero di dipendenti:

dai 15 ai 35, sono obbligati ad assumere un disabile. L'obbligo si applica solo in caso di nuove assunzioni fino al 31 dicembre 2016;

dai 36 ai 50, devono assumere 2 disabili;

oltre i 50, devono riservare il 7% dei posti a favore dei disabili più l’1% a favore dei familiari degli invalidi e dei profughi rimpatriati.

Nella quota disabili rientrano anche i dipendenti che hanno una ridotta capacità lavorativa pari al 60%.

I datori di lavoro presentano la richiesta di assunzione entro sessanta giorni dal momento in cui sono obbligati all’assunzione. I lavoratori già disabili prima della costituzione del rapporto di lavoro, anche se non assunti tramite il collocamento obbligatorio, sono computati nella quota di riserva ma devono avere una riduzione della capacità lavorativa superiore al 60 per cento oppure superiore al 45 per cento nel caso di disabilità intellettiva e psichica.

La determinazione del numero dei soggetti disabili da assumere è data dal computo, tra i dipendenti, di tutti i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato.

Con l’entrata in vigore delle norme decreto legislativo correttivo del Jobs Act, con riferimento al collocamento obbligatorio, in caso di mancata assunzione di disabili quelle che rischiano le aziende sono delle sanzioni molto salate.

In particolare, il datore di lavoro che non abbia coperto, per cause imputabili all’azienda, le quote di assunzione obbligatorie sarà soggetto ad una sanzione amministrativa pari a cinque volte la misura del contributo esonerativo, equivalente ad euro 153,20 per ogni giorno lavorativo di mancata copertura della quota d’obbligo e per ciascun disabile non assunto.

Il datore di lavoro è tenuto al versamento di tale sanzione amministrativa trascorsi sessanta giorni dalla data in cui insorge l’obbligo di assumere soggetti appartenenti alle categorie protette.

In caso di violazione relativa alla mancata copertura della quota d’obbligo, si applica inoltre una procedura di diffida che prevede la presentazione di una richiesta di assunzione o la stipula di un contratto di lavoro con persona avviata dagli uffici competenti. Ottemperando alla diffida il datore di lavoro potrà sanare la propria posizione mediante versamento di una sanzione pari ad euro 38,30.

Le aziende per calcolare il numero di disabili da assumere obbligatoriamente devono fare il computo tra i dipendenti, di tutti i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato.

Nel suddetto calcolo non vanno ricompresi: i lavoratori a tempo determinato con durata inferiore a 6 mesi, i disabili, i soci di cooperative di produzione e lavoro, dirigenti, lavoratori con contratto di inserimento e con somministrazione presso l'utilizzatore, fatta eccezione di quanto disposto dall'articolo 34, comma 3 del Decreto Legislativo n.81/2015, lavoratori che svolgono l'attività all'estero, lavoratori socialmente utili, a domicilio, aderenti al programma di emersione, apprendisti, con contratto formazione-lavoro e di reinserimento. Possono invece essere calcolati nella quota di riserva, invece, i lavoratori già disabili prima dell'assunzione ed assunti anche senza collocamento obbligatorio, ma solo se la loro riduzione della capacità lavorativa, è superiore al 60%, oppure, superiore al 45% in caso di disabilità intellettiva e psichica.





giovedì 8 ottobre 2015

Assunzioni nominative per i disabili


Il decreto legislativo n. 151/2015, in vigore dal 24 settembre 2015, introduce diverse novità in materia di collocamento obbligatorio. La nuova normativa modifica la legge n. 68/1999 nella prospettiva di una maggiore semplificazione per l’inserimento lavorativo degli appartenenti alle categorie protette. Le aziende potranno assumere tramite richiesta nominativa o convenzione. Arriva maggiore libertà nella scelta delle persone da avviare al collocamento obbligatorio.

Dal punto di vista delle aziende il decreto intende attribuire maggiore libertà per le aziende nella scelta dei lavoratori da avviare al lavoro. I datori di lavoro infatti potranno assolvere l'obbligo di avviamento al lavoro scegliendo tra la chiamata nominativa o la stipula di apposite convenzioni con i centri per l'impiego aventi ad oggetto la determinazione di un programma mirante al conseguimento degli obiettivi occupazionali.

All'azienda viene anche riconosciuta la possibilità di far anticipare la richiesta nominativa dalla richiesta agli uffici competenti di effettuare la preselezione delle persone con disabilità iscritte negli speciali elenchi tenuti dai centri per l’impiego che aderiscano alla specifica occasione di lavoro (sulla base delle qualifiche e secondo le modalità concordate dagli uffici con il datore di lavoro).

Oltre alla chiamata nominativa o per convenzione i datori di lavoro potranno effettuare l'assunzione diretta di lavoratori in specifiche condizioni di difficoltà, riconoscendo altresì per tali datori di lavoro il diritto a fruire degli incentivi all’uopo previsti. Nello specifico la chiamata diretta potrà essere effettuata nei confronti di persone con disabilità che abbiano una riduzione della capacità lavorativa superiore al 79% o minorazioni ascritte dalla prima alla terza categoria di cui alle tabelle annesse al D.P.R. 915/1978 o che abbiano una riduzione della capacità lavorativa compresa tra il 67% ed il 79% o minorazioni ascritte dalla quarta alla sesta categoria di cui alle tabelle citate, oppure lavoratori con disabilità intellettiva e psicofisica e con riduzione della capacità lavorativa superiore al 45% per un periodo di 60 mesi.

Solo in caso di mancata assunzione secondo le richiamate modalità entro 60 giorni dal momento in cui sorge l’obbligo di assunzione, scatta l’obbligo, per gli uffici competenti, di avviare o i lavoratori secondo l'ordine di graduatoria per la qualifica richiesta o altra specificamente concordata con il datore di lavoro sulla base delle qualifiche disponibili. Gli uffici possono altresì procedere anche previa chiamata con avviso pubblico e con graduatoria limitata a coloro che aderiscono alla specifica occasione di lavoro).

Un’altra novità riguarda la modulazione variabile degli obblighi quantitativi di assunzione (cosiddette quote di riserva) che, a decorrere dal 1 gennaio 2017, non saranno subordinati alle nuove assunzioni.

Questo significa che, per i datori di lavoro che impiegano tra 15 e 35 dipendenti, l’obbligo sussisterà
a prescindere da una nuova assunzione, purché ovviamente ricorrano i requisiti previsti dalla legge.

Un ulteriore obbligo introdotto dal decreto legislativo n. 151/2015 è quello di inserire nella quota di riserva i lavoratori dipendenti che risultavano disabili prima dell’instaurazione del rapporto lavorativo, con capacità lavorativa ridotta al 60% o con disabilità psichica maggiore del 45%.

In conclusione il decreto, dal punto di vista delle aziende, lascia una maggior libertà nella scelta dei dipendenti da avviare all’attività. Essi potranno, infatti, scegliere tra la chiamata nominativa e la stipula di convenzioni con i centri dell’impiego mirate al raggiungimento degli obiettivi occupazionali. Allo scopo di agevolare l’inserimento lavorativo dei disabili gravi, si prevedono incentivi economici per un periodo di 36 mesi. L’incentivo, che si applica dal 1 gennaio 2016, è pari al:  70% se si assumono disabili con riduzione della capacità lavorativa di almeno l’80%; 35% se si assumono disabili con riduzione della capacità lavorativa tra il 67% ed il 79%; 70%, per un periodo di 60 mesi, in caso di assunzione di disabili psichici con riduzione superiore al 45%.

martedì 6 ottobre 2015

Sono 4 le università italiane nella classifica top 200 delle aziende mondiali


Sono 26 gli atenei italiani presenti nel QS World University Rankings 2015, la classifica che da anni individua le migliori università del mondo.

Niente di nuovo nella top 10, se si esclude l'ingresso della svizzera Eth Zurich in un vertice dominato dai abituali college anglo-americani. Nell'ordine: Mit, Harvard, Cambridge, Stanford, Caltech, Oxford, University College London, Imperial College, la stessa Eth e Chicago. Qualcosa di diverso si intravede nel resto della classifica, perché il cambio di alcuni parametri ha spinto al ribasso i nostri atenei ma reso più concorrenziali i laureati italiani.

A soffrire di più è stata la ricerca. Per la prima volta in 12 edizioni, il peso delle citazioni scientifiche (citation per faculty, uno dei sei parametri, valido per il 20% del totale) è stato standardizzato tra i dipartimenti. Cioè: redistribuito in maniera uguale tra cinque macro-aree di studio, secondo un criterio che assegna ad ogni gruppo di discipline un'incidenza percentuale identica sul punteggio conclusivo (il 20%).

Il livellamento ha ridimensionato l'influenza di atenei incentrati sui settori come la ricerca medica - più rilevanti nella quantità di pubblicazioni, ma con una popolazione più ristretta di studenti - e restituito peso a quelli improntati a scienze sociali o di area umanistica: atenei come la London School of Economics hanno guadagnato decine di posizioni, dopo essere rimasti schiacciati per anni da un meccanismo che non teneva in considerazione i propri criteri di pubblicazione. «Non è stata una scelta semplice, ma ha contribuito a creare dei ranking più equi in senso generale – come ha sostenuto Simona Bizzozero, responsabile relazioni pubbliche di Qs Quacquarelli Symonds – Anche se precisiamo che si tratta di una classifica per sua natura arbitraria e fondata su nostri criteri».

I dipartimenti italiani, già penalizzati da scarsa presenza internazionale e rapporto numerico docenti-allievi (troppo pochi docenti rispetto agli allievi, ndr), hanno perso per strada fino a 50-100 posizioni tra 2014 e 2015. Tra le prime 200 si salva il solo Politecnico di Milano (187esimo, in crescita dalla 229esima posizione di un anno fa), seguito poco più giù da Università di Bologna (204esima: era 182esima l'anno scorso).

Le buone notizie vengono da uno criteri più sensibili per gli studenti: la reputazione delle università tra le aziende, cioè i datori di lavoro. Quattro italiane compaiono tra le prime 200 e 13 hanno fatto un salto in avanti rispetto alle precedenti rilevazioni. La Bocconi di Milano, neppure classificata nel ranking generale, compare addirittura al 32esimo posto, seguita di nuovo dal Politecnico di Milano (74), Università Cattolica del Sacro Cuore (143) e il Politecnico di Torino (199), mentre resta fuori di pochissimo l'Università di Bologna (207). In questo caso, a far pendere in positivo la bilancia sono due fattori. Il primo è matematico: l'allargamento del pool di datori di lavoro intervistati, passati da meno di 30mila a più di 44mila unità. Il secondo, dice Bizzozero, è «culturale» e testimonia una delle esportazioni italiane: i laureati.

«I nostri laureati e i nostri ricercatori si fanno apprezzare nel mondo, dimostrando un livello di preparazione elevatissimo, se non maggiore della media. E questo testimonia l'ottimo livello delle nostre università». Il calo nella “pagella” generale, comunque, non pregiudica le eccellenze della ricerca italiana anche agli occhi del ranking: nella top 400 compaiono 17 atenei per medicina e scienze della vita (Università di Milano alla posizione 79), 16 nelle scienze naturali (Sapienza 80esima, Politecnico 86esimo), 14 in ingegneria e tecnologia (il Politecnico è 24esimo) e altrettante negli studi umanistici (Università di Bologna, 76esima, e ancora Sapienza, 84esima) e 13 nelle scienze sociali (22esima la Bocconi, 97esima l'Università di Bologna).

Per la quarta volta consecutiva è il Massachusetts Institute of Technology (Mit) il migliore ateneo al mondo. Dopo il Mit c’è Harvard University al secondo posto, Cambridge University e Stanford in terza posizione pari merito. È quanto emerge dalla dodicesima edizione del QS World University Rankings 2015/16, la classifica internazionale delle università più popolare al mondo. Tra le prime 200 università migliori al mondo in questa classifica troviamo solo una italiana: è il Politecnico di Milano che si piazza al 187esimo posto ed entra per la prima volta tra le migliori duecento (nel 2014 si trovava al 229esimo posto). La salita nel ranking mondiale è avvenuta nonostante il Politecnico di Milano non sia di fatto presente in alcune aree disciplinari che pesano sulla valutazione complessiva: tradizioni, scienze della vita e alcune discipline sociali come ad esempio giurisprudenza.
Le novità italiane – Al 204esimo posto troviamo l'Università di Bologna e al 213esimo posto l’Università degli Studi di Roma – La Sapienza. Tra le prime 400 al mondo ci sono poi, tra le italiane, anche l'Università degli Studi di Milano (306), l'Università degli Studi di Padova (309), il Politecnico di Torino (314) e l'Università degli Studi di Pisa (367). Per quanto riguarda la top ten delle migliori università al mondo per la prima volta entra l'elvetica Eth Zurich, che si piazza al nono posto. Da segnalare anche le due principali università di Singapore che scalano la classifica e si posizionano entrambe tra le prime 15.


giovedì 21 maggio 2015

Nuovo contratto di lavoro per gli studi professionali



Ecco le principali novità del CCNL per i dipendenti degli Studi. Il contratto riguarda 1,5 milioni di lavoratori fra titolari, dipendenti e collaboratori, ha effetto dal primo aprile 2015 e dura fino al 31 marzo 2018. L’aumento è di 85 euro per il terzo livello, con conseguente parametrazione per gli altri livelli. Sul fronte del welfare, come detto ne prevede l’estensione ai professionisti e ai collaboratori degli studi, che sino ad ora ne erano esclusi. Novità anche in materia di telelavoro, congedo parentale a ore, possibilità di introdurre ulteriori elementi di flessibilità attraverso la contrattazione di secondo livello.

Riguardo all'apprendistato è stata fissata la percentuale di conferma per gli apprendisti, che dovrà essere pari almeno al 20% per le strutture fino a 50 dipendenti e del 50% per quelle più grandi. Per la prima volta  poi viene  fissato  il rapporto tra numero di lavoratori a tempo indeterminato e determinato. Questi ultimi potranno contare su un diritto di precedenza  in caso di  assunzioni stabili.

Si definiscono le aree di applicazione del contratto come segue:

1) Area professionale Economico-Amministrativa: Consulenti del Lavoro, Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, Revisori Contabili, altre professioni di valore equivalente ed omogenee all'area professionale non espressamente comprese;

2) Area Professionale Giuridica: Avvocati, Notai, altre professioni di valore equivalente.

3) Area professionale Tecnica: Ingegneri, Architetti, Geometri, Periti Industriali, Geologi, Agronomi e Forestali, Periti agrari, Agrotecnici, altre professioni di valore equivalente ed omogenee all'area professionale.

4) Area professionale Medico Sanitaria e Odontoiatrica: Medici, Medici Specialisti, Medici Dentisti, Odontoiatri, Medici Veterinari e Psicologici, Operatori Sanitari, abilitati all'esercizio autonomo delta professione di cui alla specifica Decretazione Ministeriale, ad esclusione dei Laboratori Odontotecnici, altre professioni di valore equivalente ed omogenee all'area.

5) Altre attività professionali intellettuali: Si tratta di quelle attività non rientranti nelle prime quattro aree, con o senza Albo professionale.

Le agevolazioni per le assunzioni prevedono un contratto di reimpiego per chi ha oltre 50 anni e per i disoccupati da oltre 12 mesi, con la possibilità di sotto-inquadramento ma un’assunzione a tempo indeterminato. Vengono fissati rapporti da rispettare fra i contratti a tempo indeterminato e determinato, con diritto per precedenza di questi ultimi per assunzioni stabili. Gli apprendisti devono essere almeno il 20% per gli studi fino a 50 dipendenti e il 50% per le strutture più grandi.

Una delle novità più rilevanti introdotte nel nuovo Ccnl riguarda l'estensione delle tutele di welfare ai professionisti-datori di lavoro, che potranno beneficiare di una copertura di assistenza (sanitaria e antinfortunistica) che verrà gestita dalla bilateralità di settore, sotto la direzione e la vigilanza di Confprofessioni. Inoltre, sulla scia delle tendenze del mercato del lavoro e delle diverse forme di collaborazione che si instaurano all'interno di uno studio professionale, le tutele di welfare contrattuale verranno estese anche ai collaboratori e praticanti.

Ecco le novità più rilevanti:

Rappresentanza contrattuale: il nuovo Ccnl degli studi professionali è stipulato da Confprofessioni come unica rappresentanza datoriale.

Decorrenza e durata: il periodo di vigenza contrattuale decorre dal 1° aprile 2015, sino al 31 marzo 2018.

Trattamento economico: aumento retributivo complessivo a regime, 31 marzo 2018, di 85 euro per il III livello diviso in cinque fasi, con l’esclusione di qualsiasi erogazione una tantum.

Welfare per i professionisti datori di lavoro: introdotta la copertura di assistenza (sanitaria/antinfortunistica) del datore di lavoro. La gestione di tali prestazioni, sotto la direzione di Confprofessioni, è affidata alla bilateralità.

Potenziamento e valorizzazione della bilateralità: Attivazione di un fondo per il sostegno al reddito dei lavoratori di studi professionali che attraversano un periodo di crisi. Rimborso al datore di lavoro del 50% della retribuzione derivante dalla concessione del permesso studio ai lavoratori. Incentivata la costituzione di articolazioni territoriali dell’ente bilaterale nazionale, denominati sportelli, per la gestione del mercato del lavoro.

Rilancio del II livello di contrattazione: possibilità di realizzare a livello territoriale intese per una regolazione dell’attività lavorativa più rispondente alle esigenze dei datori di lavoro; maggiore coinvolgimento delle delegazioni territoriali nella disciplina del rapporto di lavoro.

Contratti e modalità di lavoro: lavoro a tempo determinato: elevato il numero di contratti a termine che potranno essere attivati da ciascun datore di lavoro ed è stato abolito l’obbligo di rispettare gli intervalli di tempo tra differenti contratti a termine.

Apprendistato: semplificazione degli obblighi formativi, riducendo complessivamente le ore di formazione. Possibilità di effettuare la formazione in tutte le modalità possibili. - Lavoro intermittente: regolamentazione del lavoro a chiamata. Il Ccnl degli studi professionali è tra i pochi a disciplinare tale tipologia contrattuale, di fondamentale importanza per garantire flessibilità.

Contratto di reimpiego: Per un periodo di 30 mesi sarà possibile retribuire soggetti over 50 e disoccupati di lunga durata con un salario di ingresso più basso rispetto a quello di base previsto dal Ccnl.

Rilancio del telelavoro per garantire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Rivisto il regime dei permessi per lo studio e per le nuove assunzioni, con un intervento dell’ente bilaterale a coprire parte dei costi retributivi.

Profili professionali: sono state concordate con le aree di Confprofessioni le modifiche relative alla classificazione del personale ed ai relativi profili.



martedì 19 maggio 2015

Datori di lavoro e privacy: nuove linee guida



I datori di lavoro possono trattare i dati personali dei lavoratori dipendenti solo se strettamente indispensabili all'esecuzione del rapporto di lavoro, così come il trattamento degli stessi può avvenire solo a cura del personale incaricato assicurando idonee misure di sicurezza per proteggerli da intrusioni o divulgazioni illecite: queste alcune delle indicazioni fornite dal Garante per la privacy nel vademecum che traccia le linee guida in materia di trattamento dei dati dei lavoratori. Il vademecum riepiloga anche le norme in materia di privacy in ambito lavorativo emanate nel tempo dall'Autorità garante.

l Garante della Privacy pubblica un nuovo vademecum con le linee guida da rispettare da parte del datore di lavoro nei confronti dei dipendenti: regole generali e casi specifici.

Ci sono disposizioni di carattere generale e altre invece relative a strumenti precisi (cartellino presenze, bacheche aziendali e via dicendo) nel Vademecum su Privacy e lavoro messo a punto dal Garante per la protezione dei dati personali. Innanzitutto, è stabilito che il datore di lavoro possa trattare informazioni personali solo se strettamente indispensabili all’esecuzione del rapporto di lavoro.

Non solo: i dati possono essere trattati solo da personale incaricato e devono essere rispettate idonee misure di sicurezza. Sul luogo di lavoro vanno assicurate la tutela di diritti, libertà fondamentali, dignità delle persone, garantendo la sfera della riservatezza nelle relazioni personali e professionali. In generale, il trattamento dei dati personali deve rispettare il principio di necessità, per cui sistemi e programmi devono essere configurati riducendo la minimo le informazioni personali e i dati identificativi. Vanno poi rispettati i principi di correttezza, per cui le caratteristiche generali del trattamento vanno rese note ai collaboratori, di pertinenza e non eccedenza (le finalità devono essere esplicite e legittime).

Da sottolineare che il trattamento dei dati sensibili è lecito se finalizzato a obblighi di legge, o derivanti dal regolamento o dal contratto. Entrando nello specifico delle regole:

cartellino identificativo: è lecito utilizzarlo, senza necessariamente riportare tutti i dati anagrafici e le generalità complete del dipendente. Possono bastare codice identificativo, nome, ruolo professionale;

comunicazioni: nel privato per comunicare informazioni sul lavoratore ad associazioni di datori di lavoro, ex dipendenti o conoscenti è necessario il consenso dell’interessato. Nel pubblico, ci vuole un’apposita norma di legge;

bacheche aziendali: si possono affiggere ordini di servizio e turni, non si possono invece inserire documenti relativi a emolumenti, sanzioni disciplinari, motivazioni assenze, adesione a sindacati;

pubblicazione dati: qualsiasi dato personale del lavoratore (foto, curriculum) non può essere pubblicato su siti o intranet aziendali senza il consenso del lavoratore. E’ sempre vietato pubblicare qualsiasi informazione da cui si possa desumere patologie, o uno stato di malattia, disabilità, invalidità. Nel pubblico, per pubblico dati personali è necessaria apposita normativa di settore;

dati sanitari: vanno sempre conservati in fascicoli separati. In caso di assenza per malattia, il certificato riporta solo la data di inizio e fine, non l’indicazione della patologia. Il datore di lavoro non può mai accedere alle cartelle sanitarie, nemmeno in caso di accertamento del medico del lavoro. In caso di denuncia di malattie professionali, il datore di lavoro deve limitarsi a comunicare all’INAIL le informazioni connesse alla patologia. Anche qui, il vademecum sottolinea l’assoluto divieto di diffondere dati idonei a rivelare lo stato di salute del lavoratore;

dati biometrici: sono previste una serie di limitazioni, su cui il Garante ha pubblicato documenti specifici. Ad esempio, le impronte digitali o altre caratteristiche possono essere utilizzate solo per l’accesso a particolari aree sensibili o a macchinari pericolosi. Non sono ammesse banche dati centralizzate, vanno preferibilmente utilizzati altri strumenti, come le smart card ad esclusivo utilizzo del dipendente;

posta elettronica: il datore di lavoro garantisce sicurezza e integrità dei dati, e informa dettagliatamente il dipendente su modalità di utilizzo degli strumenti, controlli, e via dicendo, ad esempio con un disciplinare interno;

controllo a distanza: è vietato.

Sul luogo di lavoro va assicurata la tutela dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità delle persone garantendo la sfera della riservatezza nelle relazioni personali e professionali. Le informazioni personali trattate possono riguardare, oltre all’attività lavorativa, la sfera personale e la vita privata dei lavoratori (ad esempio i dati sulla residenza e i recapiti telefonici) e dei terzi (ad esempio dati relativi al nucleo familiare per garantire determinate provvidenze).

I trattamenti di dati personali devono rispettare il principio di necessità, secondo cui i sistemi informativi e i programmi informatici devono essere configurati riducendo al minimo l’utilizzo di informazioni personali e identificative.
Si deve inoltre rispettare il principio di correttezza, secondo cui le caratteristiche essenziali dei trattamenti devono essere rese note ai lavoratori. I trattamenti devono essere effettuati per finalità determinate, esplicite e legittime in base ai principi di pertinenza e non eccedenza.

Nella bacheca aziendale possono essere affissi ordini di servizio, turni lavorativi o feriali. Non si possono invece affiggere documenti contenenti gli emolumenti percepiti, le sanzioni disciplinari, le motivazioni delle assenze (malattie, permessi ecc.), l’eventuale adesione a sindacati o altre associazioni.

Uso di internet/intranet e della posta elettronica aziendale. Spetta al datore di lavoro adottare idonee misure di sicurezza per assicurare la disponibilità e l’integrità dei sistemi informativi e dei dati, anche per prevenire utilizzi indebiti. I controlli per motivi organizzativi o di sicurezza sono leciti solo se sono rispettati i principi di pertinenza e non eccedenza.

I sistemi software devono essere programmati e configurati in modo da cancellare periodicamente ed automaticamente i dati personali relativi agli accessi ad internet e al traffico telematico, la cui conservazione non sia necessaria.

Va specificato con chiarezza se la navigazione in Internet o la gestione di file nella rete interna autorizzi o meno specifici comportamenti come il download di software o di file musicali o l’uso dei servizi di rete con finalità ludiche o estranee all’attività lavorativa.



domenica 15 febbraio 2015

Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro aspetti da conoscere e norme



Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) è il contratto che viene stipulato a livello nazionale tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le associazioni rappresentanti i datori di lavoro, le quali predeterminano in maniera congiunta la disciplina dei rapporti individuali di lavoro e parte dei rapporti reciproci.

Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro è un accordo collettivo siglato dalle organizzazioni sindacali e dalle associazioni dei datori di lavoro che disciplina i trattamenti economici e normativi dei rapporti di lavoro nei diversi settori produttivi.

Il CCNL disciplina i trattamenti economici e normativi minimi comuni per tutti i lavoratori impiegati in un specifico settore. Esso inoltre definisce modalità e ambito di applicazione della contrattazione di secondo livello e regola il sistema di relazioni industriali a livello nazionale, territoriale ed aziendale. Si tratta di un contratto atipico e come tale è disciplinato dalle norme del codice civile sui contratti in generale.

Il contratto collettivo ha forza di legge tra le parti (datori di lavoro e organizzazioni sindacali) e produce i suoi effetti solo nei confronti delle parti collettive direttamente stipulanti, nonché dei soggetti individuali appartenenti alle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro (o di un singolo datore di lavoro) che lo hanno stipulato.

Può accadere però che alla delegazione dei lavoratori siano rimaste estranee una o più organizzazioni non ritenute rappresentative.

Il CCNL è costituito essenzialmente da una parte normativa ed una obbligatoria.

La parte normativa contiene disposizioni volte a disciplinare ogni singolo rapporto di lavoro in merito al trattamento economico e normativo (minimi retributivi, trattamenti di anzianità, maggiorazioni, durata del periodo di prova, di preavviso o di comporto; disciplina del lavoro straordinario, festivo o notturno; trattamenti di malattia, maternità e infortunio; particolari tipologie di contratti come l'apprendistato, il contratto a termine, la somministrazione di lavoro, ecc.

La parte obbligatoria contiene invece disposizioni volte a disciplinare i rapporti tra le parti collettive, sindacati e organizzazioni degli imprenditori o i singoli imprenditori.

Adesione

Il datore di lavoro può scegliere liberamente l'organizzazione sindacale a cui iscriversi, ed una volta iscritto deve obbligatoriamente applicare il CCNL relativo all'organizzazione a cui ha aderito.

In tal caso il CCNL si applica a tutti i dipendenti, a prescindere dalla mansione concretamente svolta dai medesimi.

In assenza di iscrizione ad una organizzazione sindacale, il datore di lavoro non ha l'obbligo di applicare un CCNL. Pertanto si possono verificare due ipotesi:

il datore di lavoro può decidere di applicare un determinato CCNL, aderendovi esplicitamente, ad esempio indicandone gli estremi nel contratto individuale o nella lettera di assunzione

l'adesione può anche essere implicita, quando il datore di lavoro applica spontaneamente e costantemente un determinato CCNL o almeno le sue clausole più rilevanti e significative

Forma

La legge lascia alle parti libertà di forma, tuttavia, nella prassi, per consentire la certezza del diritto, è utilizzata la forma scritta.

Durata

Il CCNL ha una durata triennale. Alla scadenza, il contratto cessa di produrre i suoi effetti e non è più vincolante per le parti.

Le clausole concernenti il trattamento economico conservano, però, la loro efficacia, anche scaduto il contratto.

Rinnovo

Ciascun CCNL deve definire i tempi e le procedure per la presentazione della piattaforma contrattuale e i tempi per l'apertura e lo svolgimento dei negoziati.

In ogni caso le proposte per il rinnovo del contratto devono essere presentate in tempo utile per consentire l'apertura della trattativa sei mesi prima della scadenza.
Le trattative sfociano in un accordo sulle modifiche da apportare al testo contrattuale (la c.d. ipotesi di accordo), che è condizionato, nelle aziende, all'approvazione dei lavoratori mediante assemblea o referendum.

Ciascun CCNL stabilisce inoltre un meccanismo che, alla data di scadenza del contratto precedente, riconosca ai lavoratori in forza una copertura economica per il periodo di vacanza contrattuale.

Recesso

Il recesso del datore di lavoro dal CCNL prima della sua scadenza integra un inadempimento contrattuale, oltre che una condotta antisindacale.

Il datore di lavoro può recedere unilateralmente da un Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, per applicare uno di altra categoria più vicina alla propria, purché sia sempre rispettato il principio dell'irriducibilità della retribuzione.

Gli scopi del CCNL sono sostanzialmente i seguenti:

determinare il contenuto dei contratti individuali di lavoro nei vari settori, sia per ciò che concerne l’aspetto economico, sia per quel che riguarda l’aspetto normativo;
 
disciplinare i rapporti tra i soggetti collettivi.



lunedì 27 ottobre 2014

Assunzioni agevolate solo nel 2015 e sgravi per i datori di lavoro



La Legge di Stabilità da una parte introduce nuove assunzioni agevolate, con uno sgravio triennale per le assunzioni effettuate nel 2015, dall’altra prevederà una rimodulazione degli sgravi contributivi già previsti in materia di assunzioni a tempo indeterminato. L’articolo 1 comma 4 del disegno di legge delega sul Jobs Act affida infatti al Governo anche la razionalizzazione degli incentivi all’assunzione esistenti.

Il testo ufficiale della Legge di Stabilità 2015 conferma, all’articolo 12 “Sgravi contributivi per assunzioni a tempo indeterminato” la soppressione dal prossimo anno delle assunzioni agevolate previste dalla Legge 407/1990 e la definizione di nuove agevolazioni volte a promuovere forme di occupazione stabile.

Più in particolare ai datori di lavoro privati, con esclusione del settore agricolo, che avvieranno nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato, con esclusione dei contratti di apprendistato e dei contratti di lavoro domestico, a partire dal 1° gennaio 2015 verrà riconosciuto l’esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali per un massimo di 36 mesi. Confermata l’esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL e il limite massimo di un importo di esonero pari a 8.060 euro su base annua. La novità è che tale beneficio spetta solo con riferimento a contratti stipulati non oltre il 31 dicembre 2015.

L’esonero spetta ai datori di lavoro a patto che si tratti di nuove assunzioni di lavoratori:

che nei sei mesi precedenti non siano stati occupati a tempo indeterminato presso qualsiasi datore di lavoro;

per i quali tale beneficio non sia già stato usufruito in relazione a una precedente assunzione a tempo indeterminato.

L’esonero non può inoltre essere cumulato con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente. Nessun vincolo invece per quanto riguarda eventuali riduzioni di organici, anche le imprese che lo abbiano fatto negli ultimi anni o mesi potranno accedere all’incentivo.

Ogni mese l’INPS consegnerà al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nonché al Ministero dell’Economia e delle Finanze, un report contenente il monitoraggio del numero dei contratti incentivati attivati e il calcolo delle conseguenti minori entrate contributive.

Per il finanziamento delle nuove assunzioni agevolate la Legge di Stabilità 2015 stanzia 1 miliardo di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e 500 milioni per il 2018, a valer e sulla corrispondente riprogrammazione delle risorse del Fondo di rotazione di cui alla legge 16 aprile 1987, n. 183, già destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione, ai sensi dell’articolo 23, comma 4, della legge 12 novembre 2011, n. 183, che , dal sistema di monitoraggio del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, risultano non ancora impegnate alla data del 30 settembre 2014.

Invero l’articolo 12, comma 1, della Legge di Stabilità 2015 prevede uno sgravio triennale (36 mesi) dei contributi per i datori di lavoro del settore privato, con esclusione di quello agricolo e del lavoro domestico, relativamente alle sole assunzioni effettuate nel 2015 a beneficio di soggetti che risultino inoccupati a tempo indeterminato presso qualsiasi altro datore di lavoro.

L’inoccupabilità dovrà essere verificata anche considerando società controllate o collegate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile o facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto.

Le assunzioni dovranno avvenire esclusivamente con contratto a tempo indeterminato, quindi niente incentivi per i contratti di apprendistato, e gli sgravi riguardano esclusivamente i contributi previdenziali, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL. Il limite annuo è fissato inoltre a 6.200 euro. L’incentivo potrà essere fruito una sola volta per ciascun lavoratore, ovvero se un soggetto è già stato assunto con lo sgravio, nel caso in cui un datore di lavoro lo voglia riassumere non potrà usufruire dell’agevolazione neanche nel caso in cui il lavoratore sia sta licenziato per non aver superato il periodo di prova. Lo sgravio contributivo non potrà inoltre essere cumulato con altre agevolazioni, esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente.

I commi 2 e 3 dello stesso articolo 12 della Legge di Stabilità vanno invece ad eliminare due incentivi operativi da ormai oltre 20 anni: gli incentivi per le assunzioni di lavoratori disoccupati di lunga durata e quelli per la stabilizzazione degli apprendisti.

I benefici contributivi per le assunzioni di lavoratori disoccupati da almeno ventiquattro mesi o sospesi dal lavoro e beneficiari di trattamento straordinario di integrazione salariale da un analogo periodo sono attualmente regolati dall’articolo 8, comma 9 della legge 29 dicembre 1990, n. 407. Dal 2015 è prevista l’abrogazione dell’agevolazione che prevede uno sconto per i datori di lavoro pari al 50% (100% per le imprese residenti nelle aree svantaggiate e per le imprese artigiane ovunque ubicate) dei contributi previdenziali, assistenziali e dei premi assicurativi dovuti all’INAIL, per un periodo di 36 mesi.

L’incentivo per la stabilizzazione degli apprendisti è regolato dall’articolo 7, comma 9, ultimo periodo, del decreto legislativo 4 settembre 2011, n. 167. Anche in questo caso l’abrogazione del beneficio opererà a partire dal 2015, quando i datori di lavoro non potranno più mantenere i benefici in materia di previdenza ed assistenza sociale per un anno dopo la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato.

Per la decontribuzione delle assunzioni a tempo indeterminato effettuate nel 2015 il Governo stima di spendere un miliardo nel triennio 2015-2017 (e 500 milioni nel 2018). Lo prevede il comma 3, articolo 12 della Legge di Stabilità 2015. Ma dal momento che l’agevolazione sul contratto a tempo indeterminato fa decadere altre due misure di incentivi (stabilizzazione apprendisti e assunzione di disoccupati di lunga durata), di fatto se ne accaparra altri 900 milioni.



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