domenica 1 aprile 2012
Assunzioni 2012 per il settore turismo
Il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali nella nota n. 4269 del 2012 ha precisato che possono effettuare la comunicazione obbligatoria «Co» semplificata tutte le aziende che svolgono una attività propria del settore turismo e pubblici esercizi, applicando i relativi contratti collettivi. Non è vincolante, invece, lo svolgimento di una delle attività di cui ai codici Ateco 2007 individuati dal ministero del lavoro nella nota protocollo n. 2369 2012.
I chiarimenti riguardano la facilitazione delle comunicazioni di assunzione prevista dal dl n. 5/2012 (decreto semplificazioni) a favore dei datori di lavoro del settore turismo e pubblici esercizi. Con questa facilitazione, in sostanza, le assunzioni possono essere comunicate anche incomplete di tutti i dati del lavoratore e del datore di lavoro, a prescindere dall'esistenza di un motivo di urgenza, salvo provvedere all'integrazione entro tre giorni.
Con nota protocollo n. 2369 2012 (si veda Italia Oggi 18 febbraio) il Ministero ha spiegato che, nelle more dell'adeguamento della modulistica, i datori di lavoro interessati alla semplificazione possono usare il modello Uniurg per effettuare la Co preventiva di assunzione, esclusivamente in via telematica, da completare entro il terzo giorno seguente l'instaurazione del rapporto di lavoro con la trasmissione del modello Unilav completo. Con l'occasione, il ministero ha fornito i codici attività Ateco 2007 per i quali dovesse ritenersi operante la semplificazione. Ma «comunque svolgono attività proprie del settore turismo e pubblici esercizi applicando i relativi contratti collettivi».
Conseguentemente, ha aggiunto il Ministero, restano esclusi dall'ambito operativo della Co semplificata quei rapporti di lavoro che, pur regolati dai contratti collettivi del turismo e dei pubblici esercizi, non siano evidentemente riconducibili alle attività proprie del settore.
sabato 31 marzo 2012
Lavoratori dipendenti guadagno più dei datori di lavoro. E le imprese falliscono
Nel 2011 11.615 aziende hanno chiuso i battenti per fallimento, un dato mai toccato in questi ultimi 4 anni di crisi. Lo afferma la Cgia di Mestre, precisando che "questo dramma non è stato vissuto solo dai datori di lavoro, ma anche dai dipendenti: secondo una prima stima, in almeno 50.000 hanno perso il posto di lavoro".
Un record che ci segnala quanto siano in difficoltà le imprese italiane, soprattutto quelle di piccole dimensioni che, come ricorda la Cgia di Mestre, continuano a rimanere il motore occupazionale ed economico del Paese. "La stretta creditizia, i ritardi nei pagamenti e il forte calo della domanda interna - segnala il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi - sono le principali cause che hanno costretto molti piccoli a portare i libri in Tribunale.
Purtroppo, questo dramma non è stato vissuto solo da questi datori di lavoro, ma anche dai loro dipendenti che, secondo una nostra prima stima, in almeno 50.000 hanno perso il posto di lavoro". Ma, ricorda la Cgia, il fallimento di un imprenditore non è solo economico, spesso viene vissuto da queste persone come un fallimento personale che, in casi estremi, ha portato decine e decine di piccoli imprenditori a togliersi la vita. "La sequenza di suicidi e di tentativi di suicidio avvenuta tra i piccoli imprenditori in questi ultimi mesi - prosegue Bortolussi - sembra non sia destinata a fermarsi. Solo in questa settimana, due artigiani, a Bologna e a Novara, hanno tentato di farla finita per ragioni economiche. Bisogna intervenire subito e dare una risposta emergenziale a questa situazione che rischia di esplodere. Per questo invitiamo il Governo ad istituire un fondo di solidarietà che corra in aiuto a chi si trova a corto di liquidità".
Il segretario commenta poi i dati sui redditi resi noti ieri dal dipartimento delle Finanze del Tesoro. "Attenti - dice - a dare queste chiavi interpretative fuorvianti e non corrispondenti alla realtà. Le comparazioni vanno fatte tra soggetti omogenei, ad esempio tra artigiani e i loro dipendenti. Ebbene, se confrontiamo il reddito di un dipendente metalmeccanico con quello del suo titolare artigiano, quest'ultimo dichiara oltre il 40% in più, con buona pace di chi vuole etichettare gli imprenditori come un popolo di evasori".
I lavoratori dipendenti superano per guadagno gli imprenditori: se i primi dichiarano infatti un reddito medio di 19.810 euro, i loro datori di lavoro, gli imprenditori, hanno invece, un reddito medio di 18.170 euro. E' quanto risulta dalle ultime dichiarazioni diffuse dal ministero dell'Economia. Solo l'1% dei contribuenti dichiara più di 100.000 euro, mentre circa la metà ha un reddito che non supera i 15mila euro, e un terzo non supera i 10.000 euro. Inflazione stabile a marzo al 3,3% annuo, +0,5% mensile. Si porta ai massimi dal 1995 la forbice fra prezzi e retribuzioni. E' quanto risulta dalle ultime dichiarazioni Irpef, presentate nel 2011, rese note dal Dipartimento delle Finanze del ministero dell'Economia.
Reddito medio è pari a 19.250 euro, +1,2%. Il reddito medio degli italiani è pari a 19.250 euro. E' quanto risulta dalle ultime dichiarazioni dei redditi Irpef (dichiarazioni 2011 su anno di imposta 2010). In un anno il reddito è cresciuto dell'1,2%. La distribuzione per classi di reddito - rimarca il Dipartimento -è in linea con l'anno precedente. Dall'analisi per tipologia di reddito, si legge ancora nel comunicato, "emerge che i lavoratori autonomi hanno il reddito medio più elevato, pari a 41.320 euro, mentre il reddito medio dichiarato dagli imprenditori è pari a 18.170 euro. Il reddito medio dichiarato dai lavoratori dipendenti è pari a 19.810 euro, quello dei pensionati pari a 14.980 euro e, infine, il reddito medio da partecipazione è stato pari a 16.500 euro".
Un record che ci segnala quanto siano in difficoltà le imprese italiane, soprattutto quelle di piccole dimensioni che, come ricorda la Cgia di Mestre, continuano a rimanere il motore occupazionale ed economico del Paese. "La stretta creditizia, i ritardi nei pagamenti e il forte calo della domanda interna - segnala il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi - sono le principali cause che hanno costretto molti piccoli a portare i libri in Tribunale.
Purtroppo, questo dramma non è stato vissuto solo da questi datori di lavoro, ma anche dai loro dipendenti che, secondo una nostra prima stima, in almeno 50.000 hanno perso il posto di lavoro". Ma, ricorda la Cgia, il fallimento di un imprenditore non è solo economico, spesso viene vissuto da queste persone come un fallimento personale che, in casi estremi, ha portato decine e decine di piccoli imprenditori a togliersi la vita. "La sequenza di suicidi e di tentativi di suicidio avvenuta tra i piccoli imprenditori in questi ultimi mesi - prosegue Bortolussi - sembra non sia destinata a fermarsi. Solo in questa settimana, due artigiani, a Bologna e a Novara, hanno tentato di farla finita per ragioni economiche. Bisogna intervenire subito e dare una risposta emergenziale a questa situazione che rischia di esplodere. Per questo invitiamo il Governo ad istituire un fondo di solidarietà che corra in aiuto a chi si trova a corto di liquidità".
Il segretario commenta poi i dati sui redditi resi noti ieri dal dipartimento delle Finanze del Tesoro. "Attenti - dice - a dare queste chiavi interpretative fuorvianti e non corrispondenti alla realtà. Le comparazioni vanno fatte tra soggetti omogenei, ad esempio tra artigiani e i loro dipendenti. Ebbene, se confrontiamo il reddito di un dipendente metalmeccanico con quello del suo titolare artigiano, quest'ultimo dichiara oltre il 40% in più, con buona pace di chi vuole etichettare gli imprenditori come un popolo di evasori".
I lavoratori dipendenti superano per guadagno gli imprenditori: se i primi dichiarano infatti un reddito medio di 19.810 euro, i loro datori di lavoro, gli imprenditori, hanno invece, un reddito medio di 18.170 euro. E' quanto risulta dalle ultime dichiarazioni diffuse dal ministero dell'Economia. Solo l'1% dei contribuenti dichiara più di 100.000 euro, mentre circa la metà ha un reddito che non supera i 15mila euro, e un terzo non supera i 10.000 euro. Inflazione stabile a marzo al 3,3% annuo, +0,5% mensile. Si porta ai massimi dal 1995 la forbice fra prezzi e retribuzioni. E' quanto risulta dalle ultime dichiarazioni Irpef, presentate nel 2011, rese note dal Dipartimento delle Finanze del ministero dell'Economia.
Reddito medio è pari a 19.250 euro, +1,2%. Il reddito medio degli italiani è pari a 19.250 euro. E' quanto risulta dalle ultime dichiarazioni dei redditi Irpef (dichiarazioni 2011 su anno di imposta 2010). In un anno il reddito è cresciuto dell'1,2%. La distribuzione per classi di reddito - rimarca il Dipartimento -è in linea con l'anno precedente. Dall'analisi per tipologia di reddito, si legge ancora nel comunicato, "emerge che i lavoratori autonomi hanno il reddito medio più elevato, pari a 41.320 euro, mentre il reddito medio dichiarato dagli imprenditori è pari a 18.170 euro. Il reddito medio dichiarato dai lavoratori dipendenti è pari a 19.810 euro, quello dei pensionati pari a 14.980 euro e, infine, il reddito medio da partecipazione è stato pari a 16.500 euro".
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Riforma del mercato del lavoro ed ipotesi di licenziamento
Licenziamento per motivi discriminatori vediamo quando scatta.
Causa di nullità
Il licenziamento per ragioni discriminatorie si riscontra ogni qualvolta un lavoratore viene allontanato dall’azienda a causa delle sue idee o della sua attività svolta all’interno o al di fuori del luogo di lavoro. Tra i motivi di nullità del licenziamento esplicitamente indicati dall’articolo 15 dello Statuto dei lavoratori spiccano l’affiliazione sindacale oppure la sua partecipazione a uno sciopero. Al tempo stesso sono considerati discriminatori gli allontanamenti per ragioni legate a posizioni politiche,religione,razza, lingua o sesso.
Reintegro senza giusta casa, punto di vista delle parti sociali.
È la fattispecie su cui si è registrato da subito il consenso più ampio delle parti sociali. Anche Confindustria -che ha più volte chiesto una profonda revisione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non si è mai espressa per una modifica della norma che prevede la riassunzione in caso di licenziamenti discriminatori. Dal canto loro anche i sindacati hanno sempre ribadito di volere lasciare il sistema previsto per i licenziamenti discriminatori così com’è attualmente
Reintegro senza giusta causa, punto di vista del governo.
La risoluzione del contratto decisa dall’impresa per motivi discriminatori è e resterà nullo:il lavoratore è reintegrato sul posto di lavoro, a meno che non opti per un indennizzo. È questa la posizione manifestata dall’Esecutivo che è intenzionato a lasciare la norma così come è adesso. Fermare stando la precisazione che, in caso di licenziamento per motivi discriminatori, il giudice potrà ordinare sempre il reintegro in qualsiasi caso e dimensione di impresa. Quindi anche al disotto dei15 dipendenti.
Licenziamento per motivi disciplinari
Giustificato motivo soggettivo
Il licenziamento per motivi disciplinari indica quello disposto per giusta causa o giustificato motivo soggettivo dovuti alla violazione di obblighi contrattuali contenuti nel codice disciplinare. Per arrivare al licenziamento la violazione deve essere di una certa entità poiché l’allontanamento del lavoratore è la sanzione più pesante tra tutte quelle che il datore di lavoro può disporre. Il licenziamento disciplinare scatta anche in presenza di un illecito penalmente perseguibile compiuto dal lavoratore.
Al giudice la scelta, punto di vista del governo.
Se il giudice accerta la mancanza di una giusta causa, scatta l’applicazione del «modello tedesco»: se il motivo è inesistente, per non aver commesso il fatto, o è riconducibile alle ipotesi punibili ai sensi dei contratti collettivi di lavoro (Ccnl), il giudice ordina il reintegro. Negli altri casi residui, sei motivi addotti dai datori di lavoro sono inesistenti, il magistrato può indennizzare il lavoratore illegittimamente licenziato con un numero di mensilità compreso tra le 15 e 27.
Al giudice la scelta, punto di vista delle parti sociali
È una delle due fattispecie su cui si sono registrate divisioni tra le parti sociali. Non tanto tra le imprese, se si eccettuano le perplessità sui 27 mesi di indennizzo giudicati eccessivi, quanto tra le sigle sindacali confederali. D’accordo con la soluzione proposta dal Governo si sono dette sia la Cisl (senza dubitare) sia la Uil (dopo aver ottenuto la garanzia che verranno fissate delle causali tali da ridurre la discrezionalità del giudice). Laddove la Cgil continua a dichiararsi contraria.
Licenziamento per motivi economici
Uscita individuale e condizioni.
Alla base del licenziamento economico individuale ci deve essere un giustificato motivo oggettivo inteso come le «esigenze tecniche, organizzative o produttive» che portano l’impresa alla soppressione di uno o più posti di lavoro, ma comunque entro il limite di 4. Oltre questa soglia di 4 uscite di lavoratori scatta infatti il licenziamento economico collettivo,che è regolato con una propria procedura ed è determinato dalla riduzione dell’attività di impresa o anche della sola attività di lavoro.
Solo un indennizzo economico, punto di vista del governo
Quando il giudice accerta che un licenziamento di un dipendente è stato stabilito senza giusta causa «oggettiva»–«oggettiva» nel senso di motivi economici legati a ragioni organizzative e produttive dell’azienda, come l’introduzione di macchinari ch necessitano di minori risorse umane –è previsto solo un indennizzo economico compreso tra 15 e 27mensilità. Questa è una delle proposte governative che più si discosta dalla norma attuale, che prevede il reintegro nel caso in cui il magistrato accerti l’assenza di una ragione economica del licenziamento.
Solo un indennizzo economico punto di vista delle parti sociali
Il panorama delle posizioni è simile a quello che è stato offerto sui licenziamenti disciplinari. La soluzione proposta dal Governo trova d’accordo innanzitutto Confindustria e le altre associazioni imprenditoriali (ferme restando le perplessità sui 27 mesi di indennizzo perché giudicati eccessivi). Ma anche gran parte dei sindacati. L’ipotesi di prevedere un semplice indennizzo ha ottenuto il consenso sia della Cisl, sia, con più sforzo, della Uil. Contraria si è invece continuata a dichiarare la Cgil.
Causa di nullità
Il licenziamento per ragioni discriminatorie si riscontra ogni qualvolta un lavoratore viene allontanato dall’azienda a causa delle sue idee o della sua attività svolta all’interno o al di fuori del luogo di lavoro. Tra i motivi di nullità del licenziamento esplicitamente indicati dall’articolo 15 dello Statuto dei lavoratori spiccano l’affiliazione sindacale oppure la sua partecipazione a uno sciopero. Al tempo stesso sono considerati discriminatori gli allontanamenti per ragioni legate a posizioni politiche,religione,razza, lingua o sesso.
Reintegro senza giusta casa, punto di vista delle parti sociali.
È la fattispecie su cui si è registrato da subito il consenso più ampio delle parti sociali. Anche Confindustria -che ha più volte chiesto una profonda revisione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non si è mai espressa per una modifica della norma che prevede la riassunzione in caso di licenziamenti discriminatori. Dal canto loro anche i sindacati hanno sempre ribadito di volere lasciare il sistema previsto per i licenziamenti discriminatori così com’è attualmente
Reintegro senza giusta causa, punto di vista del governo.
La risoluzione del contratto decisa dall’impresa per motivi discriminatori è e resterà nullo:il lavoratore è reintegrato sul posto di lavoro, a meno che non opti per un indennizzo. È questa la posizione manifestata dall’Esecutivo che è intenzionato a lasciare la norma così come è adesso. Fermare stando la precisazione che, in caso di licenziamento per motivi discriminatori, il giudice potrà ordinare sempre il reintegro in qualsiasi caso e dimensione di impresa. Quindi anche al disotto dei15 dipendenti.
Licenziamento per motivi disciplinari
Giustificato motivo soggettivo
Il licenziamento per motivi disciplinari indica quello disposto per giusta causa o giustificato motivo soggettivo dovuti alla violazione di obblighi contrattuali contenuti nel codice disciplinare. Per arrivare al licenziamento la violazione deve essere di una certa entità poiché l’allontanamento del lavoratore è la sanzione più pesante tra tutte quelle che il datore di lavoro può disporre. Il licenziamento disciplinare scatta anche in presenza di un illecito penalmente perseguibile compiuto dal lavoratore.
Al giudice la scelta, punto di vista del governo.
Se il giudice accerta la mancanza di una giusta causa, scatta l’applicazione del «modello tedesco»: se il motivo è inesistente, per non aver commesso il fatto, o è riconducibile alle ipotesi punibili ai sensi dei contratti collettivi di lavoro (Ccnl), il giudice ordina il reintegro. Negli altri casi residui, sei motivi addotti dai datori di lavoro sono inesistenti, il magistrato può indennizzare il lavoratore illegittimamente licenziato con un numero di mensilità compreso tra le 15 e 27.
Al giudice la scelta, punto di vista delle parti sociali
È una delle due fattispecie su cui si sono registrate divisioni tra le parti sociali. Non tanto tra le imprese, se si eccettuano le perplessità sui 27 mesi di indennizzo giudicati eccessivi, quanto tra le sigle sindacali confederali. D’accordo con la soluzione proposta dal Governo si sono dette sia la Cisl (senza dubitare) sia la Uil (dopo aver ottenuto la garanzia che verranno fissate delle causali tali da ridurre la discrezionalità del giudice). Laddove la Cgil continua a dichiararsi contraria.
Licenziamento per motivi economici
Uscita individuale e condizioni.
Alla base del licenziamento economico individuale ci deve essere un giustificato motivo oggettivo inteso come le «esigenze tecniche, organizzative o produttive» che portano l’impresa alla soppressione di uno o più posti di lavoro, ma comunque entro il limite di 4. Oltre questa soglia di 4 uscite di lavoratori scatta infatti il licenziamento economico collettivo,che è regolato con una propria procedura ed è determinato dalla riduzione dell’attività di impresa o anche della sola attività di lavoro.
Solo un indennizzo economico, punto di vista del governo
Quando il giudice accerta che un licenziamento di un dipendente è stato stabilito senza giusta causa «oggettiva»–«oggettiva» nel senso di motivi economici legati a ragioni organizzative e produttive dell’azienda, come l’introduzione di macchinari ch necessitano di minori risorse umane –è previsto solo un indennizzo economico compreso tra 15 e 27mensilità. Questa è una delle proposte governative che più si discosta dalla norma attuale, che prevede il reintegro nel caso in cui il magistrato accerti l’assenza di una ragione economica del licenziamento.
Solo un indennizzo economico punto di vista delle parti sociali
Il panorama delle posizioni è simile a quello che è stato offerto sui licenziamenti disciplinari. La soluzione proposta dal Governo trova d’accordo innanzitutto Confindustria e le altre associazioni imprenditoriali (ferme restando le perplessità sui 27 mesi di indennizzo perché giudicati eccessivi). Ma anche gran parte dei sindacati. L’ipotesi di prevedere un semplice indennizzo ha ottenuto il consenso sia della Cisl, sia, con più sforzo, della Uil. Contraria si è invece continuata a dichiarare la Cgil.
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