domenica 27 ottobre 2013
Temporary manager per gestire i risanamenti aziendali
Per Temporary Management si intende l’affidamento della gestione di un’impresa o di un progetto a manager "esterni", al fine di garantire continuità all’organizzazione, accrescendone le competenze manageriali esistenti. L’obiettivo del temporary manager è quello di ricoprire una responsabilità precisa in azienda, per un periodo di tempo limitato.
E’ anche detto "manager a tempo", che interviene, nei momenti critici della vita di un'azienda, sia negativi (fasi di difficoltà e di crisi che richiedono interventi di riequilibrio), sia positivi (crescita, sviluppo di nuovi business e di nuovi progetti), per gestire l’accelerazione del cambiamento e dell’innovazione necessari per competere.
A fronte degli obiettivi di risanamento o di crescita, concordati con la Proprietà, il temporary manager progetta, propone e realizza interventi operativi, per migliorare le performance aziendali e le capacità di gestione.
Il temporary manager non si limita ad analizzare la situazione e a prescrivere soluzioni. Egli, al contrario si fa carico di realizzare "sul campo" gli obiettivi concordati.
Negli ultimi anni è emersa in modo significativo questa figura capace di aiutare le imprese a far fronte alla crisi. L'attuale situazione di crisi, unita da una parte alle difficoltà oggettive da parte delle aziende di accedere al credito tradizionale, e dall'altra alle nuove opportunità di gestione delle crisi introdotte dalla recentemente riformata legge fallimentare, ha favorito la crescita del numero di temporary manager, che sono manager specializzati nella gestione di progetti di risanamento aziendale.
E’ credibile, adesso salvare e recuperare aziende che prima era troppo complicato e venivano spesso abbandonate al loro destino, grazie soprattutto all'orientamento al recupero dell'impresa in difficoltà e al mantenimento della sua continuità e al grande spazio attribuito all'autonomia negoziale privata. In termini operativi, tre sono i nuovi strumenti a disposizione: i piani di risanamento attestati, il nuovo concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti.
"I temporary manager –ha analizzato- Maurizio Quarta, Managing Partner-Temporary Management & Capital Advisors - tendono ancora a preferire gli interventi di temporary legati in qualche modo alla crisi e alle differenti situazioni di forte discontinuità che essa genera. Possono pertanto essere diverse le modalità di intervento a seconda delle differenti situazioni di discontinuità in cui l'impresa si trova o può venire a trovarsi".
Se l'intervento ha lo scopo anti-ciclico e preventivo, sarà sufficiente un processo di ristrutturazione e di risanamento funzionale in una o più delle aree maggiormente soggette a pressione; se l'impresa è già in una situazione di declino, l'intervento sarà certamente più ampio e guidato da un nuovo amministratore delegato, tendenzialmente con il solo coinvolgimento di risorse interne e di portatori di interessi sempre interni. In simili situazioni non è infrequente l'intervento di un team di manager funzionali a supporto della direzione d'azienda, tipicamente uomini di operations e di finanza". Altrimenti se l'azienda è già in fase di crisi, ma reversibile, alle azioni di cui sopra si accompagnerà molto verosimilmente un'operazione di ristrutturazione del debito e un rilevante sacrificio verrà richiesto alle parti in causa. Se invece la crisi è irreversibile, ad esempio in una situazione patrimoniale negativa, è necessario avviare e realizzare un vero e proprio cambiamento di rotta, che spesso porta a una discontinuità tra società e azienda".
Sempre più spesso gli imprenditori si accorgono che la "formula" adottata per creare e portare la loro azienda al successo potrebbe non essere più adatta nelle nuove condizioni di mercato e di concorrenza.
Infine, ci sono momenti, o fasi della vita di ogni azienda in cui si rende necessario cambiare, innovare e sviluppare nuovi progetti ossia, per l'apertura di nuovi mercati; accelerazione dello sviluppo; ristrutturazione della rete di vendita; ristrutturazione dell'organizzazione e dei processi produttivi; lancio di nuove iniziative, nuovi progetti, prodotti o servizi.
In questi casi, il temporary management rappresenta valida soluzione per introdurre in azienda nuova cultura d'impresa ed accelerare i cambiamenti necessari per competere.
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sabato 26 ottobre 2013
Lavoro: disoccupati e sfiduciati, 6 mln senza lavoro
Sono oltre 6 milioni le persone impiegabili nel processo produttivo. Di queste 3,07 milioni sono disoccupate e 2,99 milioni, di cui fanno parte gli scoraggiati, non cercano ma sono disponibili a lavorare, oppure cercano lavoro ma non sono disponibili immediatamente. Così le tabelle Istat sul 2° trimestre 2013. Su 3.075.000 disoccupati quasi la metà sono al Sud (1.458.000) e più della metà sono giovani (1.538.000 tra i 15 e i 34 anni, 935.000 se invece si considera la fascia d'età 25-34 anni).
Oltre ai disoccupati e agli sfiduciati si aggiungono ben sette italiani su dieci (70 per cento) che si sentono minacciati dal pericolo di perdere il lavoro in questo autunno di crisi. Lo afferma un'indagine Coldiretti/Ixe' a commento dei dati Istat sul fatto che le persone potenzialmente impiegabili nel processo produttivo sono oltre 6 milioni, se ai 3,07 milioni di disoccupati si sommano i 2,99 milioni del secondo trimestre dell'anno. Dallo studio si prevede che una famiglia su quattro si troverà a fare sacrifici economici.
Nel secondo trimestre 2013 - secondo la tabella sulle 'forze lavoro potenziali' - c'erano 2.899.000 persone tra i 15 e i 74 anni che pur non cercando attivamente lavoro sarebbero state disponibili a lavorare (con una percentuale dell'11,4% più che tripla rispetto alla media europea pari al 3,6% nel secondo trimestre 2013). A queste si aggiungono circa 99.000 persone che pur cercando non erano disponibili immediatamente a lavorare. Nel primo gruppo, ovvero gli inattivi che non cercano pur essendo disponibili a lavorare, ci sono quasi 1,3 milioni di persone 'scoraggiate', ovvero che non si sono attivate nella ricerca di un lavoro pensando di non poter trovare impiego. Trovare un lavoro resta una chimera soprattutto al Sud e tra i giovani: su 3.075.000 disoccupati segnati nel secondo trimestre 2013 quasi la metà sono al Sud (1.458.000) mentre oltre la metà sono giovani (1.538.000 tra i 15 e i 34 anni, 935.000 se si considera la fascia 25-34 anni). Se si guarda alle forze lavoro potenziali il Sud fa la parte del leone con 1.888.000 persone sui 2.998.000 inattivi potenzialmente occupabili. Se si guarda alla fascia dei più giovani sono potenzialmente occupabili nel complesso (ma inattivi) 538.000 persone tra i 15 e i 24 anni e 720.000 tra i 25 e i 34 anni con una grandissima prevalenza di coloro che non cercano pur essendo disponibili a lavorare. L'Istat infine individua nell'area della ''sotto-occupazione'' nel secondo trimestre 2013 circa 650.000 persone mentre oltre 2,5 milioni di persone sono occupati con un 'part time involontario', in crescita di oltre 200.000 unità rispetto allo stesso periodo del 2012.
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Federconsumatori quanto costa un figlio? da 0 a 18 anni 171 mila euro
Crescere e mantenere un figlio fino alla maggiore età sta diventando un lusso, con una spesa media che si aggira attorno ai 171 mila euro dalla nascita ai 18 anni, senza considerare che anche dopo la maturità in senso anagrafico le spese spesso ampliano. E' quanto ha rilevato uno studio dell'osservatorio nazionale Federconsumatori, che in questi anni ha effettuato numerose rilevazioni i cui risultati sono tutti concordi nel dimostrare quanto sia oneroso per una famiglia mantenere ed educare un figlio.
Come primo elemento si segnala che per un famiglia i costi diretti di mantenimento e crescita di un figlio fino a 18 anni comportano tra il 25% ed il 35% di spese in più rispetto ad una coppia senza figli. Chiaramente la spesa varia molto in base al reddito familiare. Per una famiglia con reddito disponibile netto di 34.000 euro annui crescere un figlio fino alla maggiore età costa mediamente 171.000 euro. Sempre prendendo come riferimento tale reddito familiare, inoltre, la spesa differisce a seconda della zona di residenza: in un'area urbana, ad esempio, il costo medio annuo può variare da 8.900 Euro al Sud e nelle Isole a 12.325 nel Nord Est. Le spese più consistenti riguardano i costi di abitazione, alimentazione e trasporti, rispettivamente pari al 29%, al 16% ed ancora al 16% del totale.
Un costo che, complessivamente, risulta invariato rispetto alla ricerca effettuata lo scorso anno: "E' interessante notare, però, il vero e proprio slalom messo in atto dalle famiglie per contenere il budget anche a fronte dell'aumento dei costi (nel periodo di riferimento vi è stato un incremento dell'Iva)". Aumenta, infatti, la spesa per i trasporti (energia, carburanti, assicurazioni) e quella per l'educazione, mentre i genitori tagliano sempre più quella per l'abbigliamento, per il tempo libero, per i servizi per la casa, intaccando persino la spesa per la salute. "Questo dimostra come oggi - dichiara Rosario Trefiletti, Presidente Federconsumatori - fare un figlio stia diventando un lusso riservato a pochi. Per questo rivendichiamo la necessità di politiche a sostegno della famiglia e della natalità".
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