venerdì 31 ottobre 2014

Condotta antisindacale legittimazione passiva




Sussiste la legittimazione passiva dell'istituzione scolastica statale, mentre va esclusa quella del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, in ordine a una controversia avente a oggetto la legittimità del diniego opposto da un dirigente scolastico alla richiesta di indizione di assemblea formata dai membri della RSU, posto che a seguito della riforma di cui alla l. n. 59/1997 e al d.p.r. n. 275/1999 le istituzioni scolastiche sono diventate soggetti giuridici autonomi.

La pacifica attribuzione alle "istituzioni scolastiche" di personalità giuridica comporta necessariamente, alla luce del dispositivo ex art. 24 Cost. (precetto che rende del tutto superflua una specifica previsione normativa volta ad attribuire il diritto di azione a colui che è titolare del diritto sostanziale), la loro legittimazione a stare in termini a tutela dei propri diritti.

E' inammissibile il giudizio ex art. 28 Statuto dei lavoratori proposto contro una società cooperativa per fatti attinenti al rapporto tra questa e un socio lavoratore, se il sindacato ricorrente non deduca e provi la natura simulatoria del rapporto associativo.

A seguito dell’introduzione del lavoro notturno in azienda in assenza di una previa consultazione con la rappresentanza sindacale unitaria, quest’ultima lamenta la violazione della procedura prevista dall’art. 12 del Dlgs. 8 aprile 2003, n.66 e presenta ricorso al giudice ex art. 28 della L. 300/1970 per far dichiarare antisindacale tale condotta.

L’art. 28 attribuisce la legittimazione ad agire per la repressione della condotta antisindacale esclusivamente agli “organismi locali delle organizzazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse”; tuttavia la norma non specifica come individuare in concreto gli organismi locali di un sindacato di dimensione nazionale ma rinvia implicitamente all’interno della sua struttura organizzativa.

Il significato dell’espressione “organismo locale” è da riferire alle articolazioni più periferiche dei sindacati nazionali, più vicine alle situazioni che si devono difendere con la speciale azione ex art. 28.

La transizione dalle r.s.a. alle r.s.u. operata dall’Accordo Interconfederale del 1993 ha riaperto una questione che in precedenza era stata chiusa con un’elaborazione giurisprudenziale che negava la legittimazione ad agire nel procedimento di repressione della condotta antisindacale alle r.s.a. previste all’art. 19, in quanto strutture autonome non organicamente inserite nell’ambito delle associazioni sindacali in cui si costituiscono.

L’art. 28 è stato riesaminato dalla giurisprudenza di merito che si è divisa sulla configurabilità o meno della r.s.u. come organismo locale del sindacato: infatti mentre la Pretura di Brescia nel 1997 afferma che le attuali r.s.u. hanno una composizione ibrida (2/3 dei seggi sono ripartiti tra tutte le organizzazioni; 1/3 tra le associazioni sindacali firmatarie del C.C.N.L.) e una genesi che consente di considerare le stesse quale espressione locale delle organizzazioni sindacali nazionali; il Tribunale di Civitavecchia nel 2000 sostiene invece che perché un siffatto organismo possa essere considerato organo periferico del sindacato, è pur sempre necessario che esso presenti un legame con le strutture centrali del sindacato nazionale e quindi le stesse modalità di costituzione delle r.s.u., inducono a dubitare fondatamente delle possibilità di riconoscere alle stesse la natura di organismi locali dei sindacati, apparendo, piuttosto, come organismi di natura mista ed ibrida, organi sindacali aziendali rappresentativi della generalità dei lavoratori a carattere prevalentemente elettivo, come sono stati definiti in dottrina.

La Corte di Cassazione n. 1307/2006 ha sviluppato la questione precisando che il carattere “nazionale” dell’associazione sindacale è un dato attinente non solo alla mera dimensione territoriale, ma anche all’attività in concreto svolta dalla stessa.

Come è noto l’art. 28 non riconosce la legittimazione ad agire a tutte le associazioni sindacali, ma la limita ad organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse; la ragione giustificatrice sottesa alla limitazione della legittimazione dell’art. 28 è anche sostanziale (legata all’attività del sindacato e agli interessi collettivi tutelati) e non già solo formale (in base al criterio territoriale).

Ciò significa che lo Statuto dei lavoratori pensava ad un sindacato “nazionale” che, avendo una visione ampia degli interessi dei lavoratori associati, ne perseguisse la tutela non già in un’area limitata, ma in tutto il paese e quindi con un’attività sindacale svolta anche su tutto il territorio nazionale e non già solo localmente.



Il comportamento antisindacale del datore di lavoro



La condotta antisindacale è quella tenuta dal datore di lavoro o dai soggetti che in suo nome hanno agito per l’esercizio dell’impresa; il comportamento è illegittimo in quanto idoneo a ledere beni protetti ed è molto offensivo in quanto gli interessi lesi possono essere anche individuali e non solo del sindacato. Il soggetto giuridico che può presentare ricorso deve essere l’articolazione più periferica di un’organizzazione sindacale nazionale e non rappresentare un’unica categoria di lavoratori; i singoli prestatori di lavoro sono quindi esclusi. Possono presentare ricorso le organizzazioni sindacali che vi abbiano interesse; l’interesse tutelato è quello sindacale indipendentemente dal fatto che il sindacato sia in azienda o che il lavoratore sia iscritto.

Il comportamento antisindacale del datore di lavoro, in relazione a uno sciopero indetto dai lavoratori, è configurabile allorché il contingente affidamento delle mansioni svolte dai lavoratori in sciopero al personale rimasto in servizio, nell’intento di limitarne le conseguenze dannose, avvenga in violazione di una norma di legge o del contratto collettivo, in particolare dovendosi accertare che, da parte del giudice di merito, ove la sostituzione avvenga con lavoratori di qualifica superiore, se l’impiego dei primi a mansioni inferiori avvenga eccezionalmente, marginalmente e per specifiche e obiettive esigenze aziendali.

E' antisindacale il comportamento aziendale consistito nel licenziamento di tre attivisti e militanti sindacali per fatti successi durante uno sciopero, risultati diversi in giudizio rispetto a quelli contestati nei procedimenti disciplinari, in quanto i comportamenti addebitati sono risultati oggettivamente insussistenti e comunque, anche dal punto di vista soggettivo, è risultato assente il deliberato intento di arrestare la produzione aziendale, contestato invece da parte aziendale; per l'antisindacalità, invece, è stato ordinato al datore di lavoro il reintegro immediato dei lavoratori licenziati e la pubblicazione del dispositivo del decreto sui giornali.

La condotta antisindacale è attuale e persiste sino a che la prestazione dovuta in favore delle organizzazioni sindacali non sia eseguita.

Costituisce comportamento antisindacale il rifiuto datoriale di effettuare le trattenute dei contributi sindacali richieste dai lavoratori sulla propria retribuzione a titolo di cessione del credito. E' antisindacale la condotta tenuta in violazione degli obblighi di informazione, di concertazione e del divieto di assunzione di iniziative unilaterali su materie oggetto di confronto in pendenza dello stesso, previsti dai CCNL di riferimento succedutisi nel tempo, in quanto le norme di cui al d.lgs. n. 150/2009 si applicano a far data dalla tornata successiva a quella in corso e dunque i contratti collettivi nazionali restano in vigore sino alla prevista scadenza.

Integra gli estremi della condotta antisindacale il comportamento del datore di lavoro consistente nel licenziamento, per asserita soppressione del datore di lavoro, di due lavoratori durante il periodo di sospensione in Cig ordinaria, in violazione di precedente accordo sindacale con cui l'azienda si era impegnata a domandare l'intervento della Cig (nella fattispecie, il giudice ha conseguentemente ordinato la reintegrazione dei lavoratori e il pagamento delle retribuzioni perdute dal licenziamento alla effettiva reintegrazione).

L'esaurirsi della condotta antisindacale non è di ostacolo alla pronuncia di antisincalità, nel caso in cui quel comportamento produca effetti durevoli o abbia una portata intimidatoria o ancora crei una situazione di incertezza.

All'accertamento del carattere antigiuridico di un comportamento antisindacale ex art. 28 dello Statuto dei lavoratori, segue la possibilità, da parte delle organizzazioni sindacali e dei singoli dipendenti, di esperire azione risarcitoria fondata su tale antigiuridicità.

E' antisindacale il comportamento del datore di lavoro che abbia disposto modifiche dell'articolazione dell'orario di lavoro senza rispettare le procedure di concertazione previste dal Ccnl.

La definizione della condotta antisindacale di cui all'art. 28 dello Statuto dei lavoratori (Legge n. 300 del 1970) non è analitica ma teleologica poiché individua il comportamento illegittimo non in base a caratteristiche strutturali, bensì alla sua idoneità a ledere i "beni" protetti. Pertanto per integrare gli estremi della condotta antisindacale di cui all'art. 28 (legge n. 300 del 1970) è sufficiente che tale comportamento leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatori le organizzazioni sindacali, non essendo necessario (ma neppure sufficiente) uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro, potendo sorgere l'esigenza di una tutela della libertà sindacale anche in relazione a un'errata valutazione del datore di lavoro circa la portata della sua condotta, così come l'intento lesivo del datore di lavoro non può di per sé far considerare antisindacale una condotta che non abbia rilievo obbiettivamente tale da limitare la libertà sindacale.

E' legittimata a esperire l'azione di repressione della condotta antisindacale l'associazione sindacale che abbia carattere nazionale, per l'accertamento del quale assume rilievo, più che la diffusione dell'articolazione territoriale delle strutture dell'associazione, la capacità di contrarre con la parte datoriale accordi o contratti collettivi che trovano applicazione in tutto il territorio nazionale e che non possono che essere, a loro volta, espressione di una forte capacità negoziale comprovante un generale e diffuso collegamento del sindacato con il contesto socio-economico dell'intero paese, di cui la concreta ed effettiva organizzazione territoriale può configurarsi come elemento di riscontro del suo carattere nazionale e non certo come elemento condizionante il detto requisito della nazionalità.



Condotta antisindacale del datore di lavoro



Se il datore di lavoro adotta comportamenti che impediscono o limitano l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale o del diritto di sciopero, gli organismi locali delle organizzazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, possono presentare ricorso davanti al tribunale monocratico.

Nei due giorni successivi, il giudice del lavoro, convocate le parti e acquisite le informazioni necessarie, se dovesse accertare tale violazione, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato e immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.

Contro il decreto, il datore di lavoro può, entro 15 giorni dalla comunicazione, proporre opposizione davanti al tribunale monocratico che decide con sentenza immediatamente esecutiva.

Il datore di lavoro che non osserva il decreto o la sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione, è punito dall’art. 650 c.p. (“Inosservanza di un provvedimento emesso da una pubblica autorità”) secondo il quale “chiunque non osserva un provvedimento emesso da una pubblica autorità è punito con l’arresto fino a tre mesi o con un’ammenda fino ad euro 206.

Ai fini della legittimazione attiva a promuovere l’azione prevista dall’art. 28 della l. n. 300/1970, per “associazioni sindacali nazionali” devono intendersi associazioni che abbiano una struttura organizzativa articolata a livello nazionale e che svolgano attività sindacale su tutto o su ampia parte del territorio nazionale, ma non è necessario che tale azione comporti anche la sottoscrizione di contratti collettivi nazionali.

Anche nell'ambito del pubblico impiego la legittimazione ad agire per la repressione della condotta antisindacale del datore di lavoro, deve essere determinata secondo i criteri delineati dall'art. 28; non è infatti consentito il rinvio ai differenti criteri, delineati ai fini della contrattazione collettiva, previsti dall'art. 43 del Testo Unico pubblico impiego.

In tema di rappresentatività sindacale il criterio legale dell'effettività dell'azione sindacale equivale al riconoscimento della capacità del sindacato di imporsi come controparte contrattuale nella regolamentazione dei rapporti lavorativi. Ne consegue che, ai fini del riconoscimento del carattere "nazionale" dell'associazione sindacale assume rilievo, più che la diffusione delle articolazioni territoriali, la capacità di contrarre con la parte datoriale accordi o contratti collettivi, anche gestionali, che trovano applicazione in tutto il territorio nazionale e attestano un generale e diffuso collegamento del sindacato con il contesto socio-economico del paese, di cui la concreta ed effettiva organizzazione territoriale si configura quale elemento di riscontro del suo carattere nazionale piuttosto che come elemento condizionante.

Il sindacato nazionale il cui organismo locale è legittimato a proporre ricorso ex art. 28 è quello che non solo ha effettiva diffusione su tutto il territorio nazionale ma che svolge un'effettiva attività sindacale a livello nazionale.

Sussiste la legittimazione attiva del sindacato che abbia una diffusione apprezzabile in aree territoriali diverse, così da escludere il carattere meramente regionale o locale di quel sindacato.

Poiché l'esercizio del diritto di riunione previsto dall'art. 20 può essere esercitato in piena libertà di luogo sia all'interno che all'esterno del luogo di lavoro, con i soli limiti prescritti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, costituisce condotta antisindacale il comportamento tenuto dal datore di lavoro consistito nell'aver avviato procedimenti disciplinari a carico dei lavoratori che avevano preso parte a un'assemblea itinerante (nella fattispecie, era stata indetta un'assemblea che si sarebbe dovuta svolgere presso la zona pubblica antistante la cancellata di ingresso).

Il sindacato è legittimato ad agire ex art. 28 per la tutela dei diritti propri delle Rsu, in quanto tale norma tutela non solo i diritti sindacali dei membri dell'organizzazione, bensì la libertà e i diritti di tutti i lavoratori e di tutti i sindacati.

Il sindacato nazionale il cui organismo locale è legittimato a proporre ricorso per la repressione della condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 della legge n. 300 del 1970 è quello che non solo ha effettiva diffusione su tutto il territorio nazionale ma che svolge, altresì, in concreto un’attività sindacale (anche con riferimento al momento contrattuale) a livello nazionale; le rappresentanze sindacali unitarie, costituite in virtù dell’art. 19 della stessa legge n. 300 del 1970, non sono invece legittimate, esclusivamente in quanto tali, a proporre il ricorso disciplinato dal citato art. 28.

Il requisito della nazionalità che, ai sensi dell’art. 28 Stat. Lav., attribuisce a un’associazione sindacale la legittimazione ad agire in giudizio per la denuncia dell’antisindacalità della condotta del datore di lavoro deve essere stabilito attraverso un criterio di effettività, non essendo sufficiente che sia soddisfatto il requisito formale dell’affermazione statutaria dello scopo nazionale dell’associazione.

Sussiste la legittimazione ad agire ai sensi dell'art. 28 SL in capo ad un'organizzazione sindacale che operi tramite diverse articolazioni territoriali in ambito diverso da quello locale.

Il ricorso per la repressione della condotta antisindacale del datore di lavoro non può essere proposto dagli organismi locali delle confederazioni sindacali o, come nel caso di specie, del "dipartimento" ricorrente, trattandosi di soggetti che rappresentano organizzazioni sindacali complesse formate da una pluralità di sindacati di categoria.

Il requisito della "nazionalità" del sindacato previsto per la legittimazione ad agire ex art. 28, l. n. 300/70, non è soddisfatto, di per sé, dalla autodefinizione di nazionale operata dallo stesso sindacato, essendo necessaria per conferire detta legittimazione l'effettività di una presenza forte dell'associazione sindacale sul territorio nazionale, tale da farne appunto un soggetto rappresentativo di larghi strati di lavoratori, così da essere razionalmente funzionale e non controproducente rispetto all'obiettivo di un reale rafforzamento della loro posizione nel conflitto industriale. Se per essere "nazionale" un'associazione sindacale non deve necessariamente essere presente in tutte le regioni italiane, occorre però, quanto meno, che sia diffusa in un numero significativo di regioni e non molto distante dal totale.

La legittimazione ad intraprendere l'azione giudiziale per la repressione della condotta antisindacale compete anche alle associazioni sindacali che non abbiano stipulato contratti collettivi nazionali; ai fini della sussistenza del requisito della dimensione nazionale è sufficiente accertare che dalle disposizioni statutarie emerga lo scopo dell'organizzazione sindacale di proporsi stabilmente quale punto di aggregazione di strutture e di attività sindacali su tutto il territorio nazionale e si comporti coerentemente con tale previsione. Al fine di riconoscere la sussistenza del requisito della nazionalità, è necessario che il sindacato abbia una significativa e omogenea presenza nelle varie parti del territorio nazionale.


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