venerdì 31 ottobre 2014

Il comportamento antisindacale del datore di lavoro



La condotta antisindacale è quella tenuta dal datore di lavoro o dai soggetti che in suo nome hanno agito per l’esercizio dell’impresa; il comportamento è illegittimo in quanto idoneo a ledere beni protetti ed è molto offensivo in quanto gli interessi lesi possono essere anche individuali e non solo del sindacato. Il soggetto giuridico che può presentare ricorso deve essere l’articolazione più periferica di un’organizzazione sindacale nazionale e non rappresentare un’unica categoria di lavoratori; i singoli prestatori di lavoro sono quindi esclusi. Possono presentare ricorso le organizzazioni sindacali che vi abbiano interesse; l’interesse tutelato è quello sindacale indipendentemente dal fatto che il sindacato sia in azienda o che il lavoratore sia iscritto.

Il comportamento antisindacale del datore di lavoro, in relazione a uno sciopero indetto dai lavoratori, è configurabile allorché il contingente affidamento delle mansioni svolte dai lavoratori in sciopero al personale rimasto in servizio, nell’intento di limitarne le conseguenze dannose, avvenga in violazione di una norma di legge o del contratto collettivo, in particolare dovendosi accertare che, da parte del giudice di merito, ove la sostituzione avvenga con lavoratori di qualifica superiore, se l’impiego dei primi a mansioni inferiori avvenga eccezionalmente, marginalmente e per specifiche e obiettive esigenze aziendali.

E' antisindacale il comportamento aziendale consistito nel licenziamento di tre attivisti e militanti sindacali per fatti successi durante uno sciopero, risultati diversi in giudizio rispetto a quelli contestati nei procedimenti disciplinari, in quanto i comportamenti addebitati sono risultati oggettivamente insussistenti e comunque, anche dal punto di vista soggettivo, è risultato assente il deliberato intento di arrestare la produzione aziendale, contestato invece da parte aziendale; per l'antisindacalità, invece, è stato ordinato al datore di lavoro il reintegro immediato dei lavoratori licenziati e la pubblicazione del dispositivo del decreto sui giornali.

La condotta antisindacale è attuale e persiste sino a che la prestazione dovuta in favore delle organizzazioni sindacali non sia eseguita.

Costituisce comportamento antisindacale il rifiuto datoriale di effettuare le trattenute dei contributi sindacali richieste dai lavoratori sulla propria retribuzione a titolo di cessione del credito. E' antisindacale la condotta tenuta in violazione degli obblighi di informazione, di concertazione e del divieto di assunzione di iniziative unilaterali su materie oggetto di confronto in pendenza dello stesso, previsti dai CCNL di riferimento succedutisi nel tempo, in quanto le norme di cui al d.lgs. n. 150/2009 si applicano a far data dalla tornata successiva a quella in corso e dunque i contratti collettivi nazionali restano in vigore sino alla prevista scadenza.

Integra gli estremi della condotta antisindacale il comportamento del datore di lavoro consistente nel licenziamento, per asserita soppressione del datore di lavoro, di due lavoratori durante il periodo di sospensione in Cig ordinaria, in violazione di precedente accordo sindacale con cui l'azienda si era impegnata a domandare l'intervento della Cig (nella fattispecie, il giudice ha conseguentemente ordinato la reintegrazione dei lavoratori e il pagamento delle retribuzioni perdute dal licenziamento alla effettiva reintegrazione).

L'esaurirsi della condotta antisindacale non è di ostacolo alla pronuncia di antisincalità, nel caso in cui quel comportamento produca effetti durevoli o abbia una portata intimidatoria o ancora crei una situazione di incertezza.

All'accertamento del carattere antigiuridico di un comportamento antisindacale ex art. 28 dello Statuto dei lavoratori, segue la possibilità, da parte delle organizzazioni sindacali e dei singoli dipendenti, di esperire azione risarcitoria fondata su tale antigiuridicità.

E' antisindacale il comportamento del datore di lavoro che abbia disposto modifiche dell'articolazione dell'orario di lavoro senza rispettare le procedure di concertazione previste dal Ccnl.

La definizione della condotta antisindacale di cui all'art. 28 dello Statuto dei lavoratori (Legge n. 300 del 1970) non è analitica ma teleologica poiché individua il comportamento illegittimo non in base a caratteristiche strutturali, bensì alla sua idoneità a ledere i "beni" protetti. Pertanto per integrare gli estremi della condotta antisindacale di cui all'art. 28 (legge n. 300 del 1970) è sufficiente che tale comportamento leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatori le organizzazioni sindacali, non essendo necessario (ma neppure sufficiente) uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro, potendo sorgere l'esigenza di una tutela della libertà sindacale anche in relazione a un'errata valutazione del datore di lavoro circa la portata della sua condotta, così come l'intento lesivo del datore di lavoro non può di per sé far considerare antisindacale una condotta che non abbia rilievo obbiettivamente tale da limitare la libertà sindacale.

E' legittimata a esperire l'azione di repressione della condotta antisindacale l'associazione sindacale che abbia carattere nazionale, per l'accertamento del quale assume rilievo, più che la diffusione dell'articolazione territoriale delle strutture dell'associazione, la capacità di contrarre con la parte datoriale accordi o contratti collettivi che trovano applicazione in tutto il territorio nazionale e che non possono che essere, a loro volta, espressione di una forte capacità negoziale comprovante un generale e diffuso collegamento del sindacato con il contesto socio-economico dell'intero paese, di cui la concreta ed effettiva organizzazione territoriale può configurarsi come elemento di riscontro del suo carattere nazionale e non certo come elemento condizionante il detto requisito della nazionalità.



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