lunedì 24 novembre 2014

Lavoro: i soggetti che hanno diritto all’avviamento obbligatorio



Hanno diritto all’avviamento obbligatorio gli invalidi civili ai quali sia stata riconosciuta un’invalidità superiore al 45% da parte delle Commissioni mediche istituite presso le Aziende Sanitarie Locali a norma dell’articolo 4 della legge n. 104/1992.

L’accertamento viene condotto secondo i criteri omogenei e non è limitato alla sola constatazione della sussistenza e gravità della menomazione, ma è volto anche a formulare una valutazione complessiva della residua capacità lavorativa del disabile e ad indicare, se necessario, le specifiche tipologie di collocamento mirato e le eventuali forme di sostegno utili all’inserimento lavorativo.

Pertanto anche se può apparire una contraddizione, che possa essere iscritto negli elenchi del collocamento obbligatorio anche un disabile affetto da un’invalidità del 100%, al quale comunque la  Commissione medica abbia riconosciuto una sia pur ridotta capacità lavorativa residua, magari solamente in determinate attività lavorative o con particolari ausili o altre forme di sostegno.

La relazione conclusiva della Commissione medica dev’essere trasmessa entro quattro mesi dalla prima visita all’Azienda Sanitaria Locale ed, a cura di quest’ultima, alle apposite commissioni mediche del Ministero del Tesoro, nonché alla Commissione provinciale per le politiche del lavoro e, tramite questa, al Comitato tecnico istituito al suo interno.

Si osserva che i quattro passaggi burocratici potrebbero essere evitati con la semplice trasmissione della relazione conclusiva in quattro esemplari direttamente dalla Commissione medica a tutti gli altri organi interessati e soprattutto al Comitato tecnico, che sulla base della relazione medica deve definire gli opportuni strumenti di collocamento mirato.

La Commissione medica, su indicazione del Comitato, effettua anche le visite di controllo della permanenza dello stato invalidante, seguendo gli stessi criteri, con la frequenza stabilita dalla commissione stessa sulla base del profilo socio-lavorativo del disabile ovvero con immediatezza se vi sia una richiesta in tal senso da parte del lavoratore disabile o del suo datore di lavoro, come si vedrà meglio in seguito, al fine di verificare la compatibilità delle mansioni svolte.

L’art. 22 della legge 68/99 ha abrogato la legge 482/68 che disciplinava l’avviamento obbligatorio degli invalidi. La nuova normativa ha come finalità la promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 e 3 della norma citata, hanno diritto ad usufruire dell’avviamento obbligatorio, le seguenti categorie di soggetti:

le persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e i portatori di handicap intellettivo, che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%;

le persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superiore al 33%;

le persone non vedenti (cecità assoluta o che presentano un residuo visivo non superiore ad un decimo ad entrambi gli occhi) o sordomute (sordità dalla nascita o prima dell’apprendimento della lingua parlata);

le persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide per servizio con minorazioni ascritte dalla prima all’ottava categoria di cui alle tabelle annesse al testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra;

Ai sensi dell’art. 3 legge 68/99, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori disabili nella seguente misura: 7% dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 dipendenti; 2 lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti; 1 lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti.

La legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro (cd. riforma Fornero) ha precisato che per determinare il numero dei soggetti disabili da assumere, di norma bisogna tenere conto di tutti i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato (compresi, quindi i lavoratori a termine). Non sono invece da computare:

I lavoratori disabili assunti obbligatoriamente;

I soci di cooperative di produzione e lavoro;

I dirigenti;

I lavoratori assunti con contratto di inserimento;

I lavoratori impiegati con contratto di somministrazione;

I lavoratori che svolgono attività all’estero;

I lavoratori impegnati in attività socialmente utili;

I lavoratori a domicilio;

I lavoratori che aderiscono al programma di emersione.



Forma scritta del contratto di lavoro



Per principio generale la forma del contratto di lavoro è libera, non essendo previste particolari modalità di manifestazione del consenso. In particolari ipotesi, però, la legge richiede la forma scritta del contratto di lavoro o di alcune clausole dello stesso.

E’ richiesta la forma scritti a fini effettivi per:
a) l’apposizione di un termine finale al rapporto di lavoro: la mancanza determina la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato;

b) il contratto di lavoro con un’agenzia di somministrazione: la mancanza determina l’instaurazione di un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con l’impresa utilizzatrice;

c) il contratto di apprendistato: la mancanza determina la conversione del rapporto in un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;

d) il contratto di inserimento: la mancanza determina la conversione del rapporto in un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;

e) la determinazione del periodo di prova: la mancanza determina la non sussistenza del periodo di prova.

Al contratto di lavoro, in linea di massima, si applicano le disposizioni dettate per i contratti in generale, nell’apposito titolo del libro quarto del codice civile; da ciò deriva che, non essendo, di regola, prevista una particolare forma, il contratto può essere anche stipulato in forma orale o per atti concludenti, anche se la sottoscrizione di un documento scritto è assai diffusa nella prassi.

Per alcuni tipi di contratto, tuttavia, l’ordinamento italiano ha introdotto nel tempo delle normative di settore che impongono la forma scritta ai fini della validità del contratto: tra queste meritano di essere menzionati i contratti di lavoro subordinato sportivo, di arruolamento del personale navigante, di formazione e lavoro e di lavoro temporaneo. Sono soggette a tale rigoroso requisito formale anche alcune clausole accessorie che, tendenzialmente, risultano peggiorative delle condizioni del lavoratore; in proposito, si pensi, a titolo esemplificativo, al periodo di prova, al patto di non concorrenza e, come stiamo per vedere, all’apposizione di un termine di durata.

E’ invece richiesta la forma scritta a fini probatori:

a) per tutte le tipologie di lavoro flessibile, quali il lavoro ripartito, il lavoro intermittente ed il lavoro a progetto;

b) per il lavoro a tempo parziale.

La mancanza della forma scritta a fini probatori, non determina automaticamente la conversione del rapporto in un ordinario rapporto di lavoro subordinato; la reale natura del rapporto potrà essere dimostrata con altri mezzi di prova ad esclusione della prova testimoniale, che potrà essere richiesta solo se l’interessato dimostri che il documento scritto sia andato perduto non per propria colpa.

Obbligatorietà: l'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono altresì specificate le ragioni, salvi i casi eccezionali in cui tale specificazione non è richiesta. Dal 21.3.2014, è invece stato abolito l’obbligo di specificare le ragioni che giustificavano il ricorso al contratto a termine (art. 1, co. 1 e 2, D.Lgs. 6.9.2001, n. 368). L’obbligo della forma scritta per la stipulazione del contratto (firmato, primo, al più tardi, contestualmente all'inizio dell'attività lavorativa), dal quale deve emergere l'apposizione del termine è un obbligo previsto ai fini della sostanza dell’atto.

Mancanza della forma scritta: fatto salvo quanto appena sopra, la violazione di tali obblighi comporta l'inesistenza del termine, con la conseguenza che le parti, mancando la forma scritta, avranno stipulato un contratto a tempo indeterminato, con quel che ne deriva in tema di insussistenza del termine finale, disciplina del recesso, computo nell'organico aziendale, maturazione degli scatti di anzianità, percorsi automatici di carriera eventualmente previsti dal CCNL. Ne consegue che la forma scritta è sempre obbligatoria, per contro l'indicazione (specifica) delle ragioni non lo è più a partire dal 21.3.2014.

La Corte di Cassazione, con sentenza del 14 luglio 2011, n. 1549, ha affermato che “l'apposizione del termine al contratto di lavoro postula, a pena di nullità, un patto di forma scritta essenziale, che deve essere anteriore o, quanto meno, contestuale all'inizio del rapporto e non può essere surrogato, in ipotesi di assunzione attraverso l'ufficio di collocamento, dagli atti costituiti dalla richiesta del datore di lavoro o dal provvedimento di avviamento del lavoratore da parte dell'ufficio predetto”.

Presenza di più documenti: sempre secondo la Cassazione, “l'apposizione del termine al contratto di lavoro, oltre che risultare da atto scritto, deve essere coeva o anteriore all'inizio del rapporto lavorativo, anche se non è richiesto che la dichiarazione di volontà e l'apposizione del termine siano contenuti in un unico documento, in quanto il requisito della forma scritta deve ritenersi osservato anche allorquando la sottoscrizione del lavoratore sia contenuta in un documento a sé, costituente accettazione di una proposta, anch'essa scritta, di contratto a termine formulata dal datore di lavoro e il contratto sia concluso, ai sensi dell'art. 1326 del codice civile, prima o contemporaneamente all'inizio della prestazione. Nella specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto illegittima l'apposizione del termine contenuto in una lettera di assunzione non sottoscritta dal lavoratore, il quale ne aveva solo preso conoscenza a seguito di consegna effettuata per conto del datore di lavoro.

Consegna del contratto al lavoratore: sfornita di specifica sanzione appare, invece, la previsione secondo la quale una copia del contratto deve essere consegnata al lavoratore entro 5 giorni lavorativi dall'inizio della prestazione (art. 1, comma 3, D.Lgs. 368/2001). Tale interpretazione, pur in vigenza della più restrittiva legge n. 230/1962, aveva già ricevuto l'avallo della Suprema Corte, la quale ha affermato che “il mancato rispetto della norma, posta dall'art. 1, comma 4, legge n. 230/1962, che prescrive la consegna al lavoratore di una copia dell'atto scritto in caso di assunzione con contratto a termine, non determina la nullità dell'apposizione del termine, perché tale sanzione non è prevista dalla legge (diversamente che per la mancata redazione dell'atto scritto) e, d'altra parte, tale adempimento costituisce un elemento del tutto estrinseco ai requisiti essenziali del contratto”. A tal proposito è bene notare che i 5 giorni decorrono non già dalla sottoscrizione del contratto ma dall'effettivo inizio della prestazione e che si computano unicamente i giorni lavorativi.



Lavoro: la lettera di assunzione cosa deve contenere



La lettera di assunzione è il documento che consente di individuare con certezza gli elementi essenziali che caratterizzano il rapporto di lavoro.

Tale lettera, che ai sensi dell’art. 4bis comma 2 D.Lgs. n. 181/00 deve essere consegnata al lavoratore al momento dell’assunzione, deve contenere le condizioni di lavoro applicate al rapporto, di cui all’art. 1 comma 1 D.Lgs. n. 152/97, ovvero:

a) l’identità delle parti;

b) il luogo di lavoro;

c) la data di inizio del rapporto di lavoro;

d) la durata del rapporto di lavoro, precisando se si tratta di rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato;

e) la durata del periodo di prova se previsto;

f) l’inquadramento, il livello e la qualifica attribuiti al lavoratore, oppure le caratteristiche o la descrizione sommaria del lavoro;

g) l’importo iniziale della retribuzione e i relativi elementi costitutivi, con l’indicazione del periodo di pagamento;

h) la durata delle ferie retribuite cui ha diritto il lavoratore o le modalità dei determinazione e di fruizione delle ferie;

i) l’orario di lavoro;

l) i termini di preavviso in caso di recesso.

L’informazione circa le indicazioni di cui alle lettere e), g), h), i) ed l) può essere effettuata mediante il rinvio alle norme del contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro.

La lettera di assunzione in quanto tale non è un documento obbligatorio per l’instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente, il cui contratto che ne sta alla base, può essere concluso anche oralmente o per atti concludenti.

La lettera di assunzione ha solo una funzione probatoria e la sua assenza non inficia la validità del contratto stipulato tra le parti. Ora, posto che la lettera di assunzione non è un elemento fondamentale per l’instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente, la sua obbligatorietà può essere prevista in determinati specifici casi dalla lette (personale marittimo personale dell’aria, contratto a tempo determinato, eccetera) o dalla contrattazione collettiva.

La prassi comune vuole che sempre venga redatta, sia al fine di rendere valide particolari clausole come - ad esempio - il patto di prova, sia al fine di ottemperare ad altri obblighi di legge quali quelli previsti dal decreto legislativo 152/1997, articolo 4bis, comma 2, decreto legislativo 181/2000, articolo 40, comma 2 del decreto legge 112/2008 convertito in legge 133/2008, i quali stabiliscono che all’atto dell’instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente, e prima dell’inizio dell’attività, i datori di lavoro sono tenuti ad informare i dipendenti in merito al contenuto del loro contratto individuale.

Sebbene tale obbligo si può dar seguito mediante la consegna al lavoratore della copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro effettuata al centro per l’impiego, tuttavia è sempre consigliabile la consegna di copia del contratto al lavoratore in quanto strumento più completo a garanzia delle parti.

Con l’esplicitazione del contratto collettivo applicato al lavoratore non sarà necessario specificate altri elementi nel contratto individuale, quali - ad esempio - durata delle ferie oppure ore di riduzione orario di lavoro, in quanto avrà valore quanto previsto dal contratto collettivo nazionale, fatte salve condizioni di miglior favore contrattate dalle parti.



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