sabato 20 giugno 2015

Il datore di lavoro potrà cambiare le mansioni del lavoratore



Il datore di lavoro potrà variare in modo parziale le mansioni del lavoratore in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali (che incide sulla posizione del lavoratore). In questa ipotesi, si potrà assegnare la persona a una nuova mansione riconducibile al livello di inquadramento contrattuale immediatamente inferiore, fermo restando il livello retributivo in godimento, con la sola eccezione delle voci stipendiali legate a particolari modalità della precedente prestazione che non sono più presenti nella nuova mansione (ad esempio, lavoro notturno e trasferte). L’assegnazione a una mansione inferiore potrà essere fatta «soltanto nell’ambito della categoria legale (operaio, impiegato, quadro) di inquadramento del dipendente (si tratta di un limite che prescinde dall’inquadramento unico).

Nella versione ancora (per poco) in vigore, la norma prevede tra l’altro che: “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione.” In buona sostanza le mansioni devono essere quelle previste nel contratto di lavoro ovvero quelle superiori conseguite nel corso del tempo.

Era prevista altresì la possibilità, per il datore di lavoro, di variare le mansioni del proprio dipendente, tuttavia, senza possibilità alcuna di diminuzione della retribuzione e fermo restando l’equivalenza delle stesse, vale a dire il mantenimento del medesimo livello di inquadramento.

Oggi il datore può assegnare al lavoratore diverse mansioni, purché equivalenti alle ultime effettivamente svolte. Evidenzia il giuslavorista Riccardo Del Punta: “per stabilire se una mansione è equivalente ad un’altra, il giudice guarda di solito a due circostanze: il fatto che la nuova mansione sia ricompresa nello stesso livello di inquadramento contrattuale attribuito al lavoratore, e il fatto che non sia penalizzante in rapporto alla personale carriera dello stesso. Il primo profilo di giudizio è abbastanza prevedibile e gestibile, ma il secondo assai meno. Può succedere, insomma, che le nuove mansioni siano ritenute non equivalenti pur rientrando nel medesimo livello». Invece, sulla base del Jobs act, per stabilire se a un lavoratore possono essere assegnate determinate mansioni, «è sufficiente che esse siano riconducibili al precedente livello di appartenenza come disegnato dai contratti collettivi».

Un’altra novità, come detto, è la possibilità di modificare in pejus le mansioni in caso di modifiche organizzative o in altre ipotesi che possono essere previste dai contratti collettivi, quindi anche a livello aziendale.

Inoltre, è ufficializzata per legge la possibilità di un mutamento consensuale delle mansioni e qui anche del livello e della retribuzione, purché, ha sottolineato Del Punta, «il patto sia giustificato da un rilevante interesse del lavoratore (come quando il demansionamento è concordato in alternativa a un licenziamento economico), e purché sia concluso in sede assistita. Anche questo aspetto, che vede un’apertura all’autonomia individuale assistita, costituisce una significativa novità». E poi, mentre oggi, in caso di assegnazione di fatto di mansioni superiori, il lavoratore acquisisce il livello superiore dopo tre mesi, con l’entrata in vigore delle nuove norme il termine sarà quello fissato dai contratti collettivi, o in mancanza sarà di sei mesi. Per le imprese la nuova disciplina sulle mansioni «è molto positiva – commenta Arturo Maresca, ordinario di diritto del Lavoro alla Sapienza di Roma -. Si garantisce un’ampia flessibilità professionale e ci sarà una forte riduzione delle cause da demansionamento, che solitamente sono fonte di risarcimenti del danno anche cospicui»

Il decreto attuativo (Jobs act) separa le carte e ridisegna profondamente la norma. Viene previsto, infatti, che il lavoratore possa essere assegnato a qualunque mansione inerente il medesimo livello di inquadramento, analogamente a quanto già avviene nel pubblico impiego, tanto è vero che il decreto attuativo richiama espressamente l’art. 52 del D.Lgs. n. 165/2011 “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Disciplina delle mansioni”.

Sostanzialmente viene eliminato il principio dell’equivalenza delle mansioni, pertanto, sparisce il riferimento alla competenza professionale specifica acquisita dal dipendente e al suo accrescimento.

L’unico limite rimasto è quello per cui le nuove mansioni dovranno rientrare nella medesima categoria di inquadramento.




Quattordicesima mensilità, gli adempimenti del datore di lavoro e i beneficiari



La quattordicesima o gratifica feriale è riconosciuta al lavoratore una volta all'anno (nel periodo tra giugno e fine luglio). Quando è disciplinato dal CCNL, è prevista l'erogazione di compensi, denominati quattordicesima o gratifica feriale, erogati, evidentemente, con periodicità diversa dal normale periodo di paga. Questi compensi, che maturano con periodicità plurimensile, rappresentano insieme alla retribuzione diretta e a quella in natura, ove prevista, il compenso normalmente dovuto al lavoratore nell'ambito del rapporto di lavoro dipendente.

Il calcolo della quattordicesima si basa sulla retribuzione mensile fissa qualora il contratto di lavoro duri da almeno 12 mesi.

La quattordicesima mensilità è il pagamento di uno stipendio in più che il lavoratore riceve con l’inizio dell’estate, quindi molto spesso proprio prima di andare in vacanza. Solitamente si riceve da metà giugno a fine luglio, ma la data esatta è decisa dal contratto collettivo del lavoro a cui si fa riferimento.

Il calcolo della quattordicesima non differisce da quello della tredicesima: basta, infatti, fare riferimento ad una mensilità ordinaria epurandola da tutte le voci extra (indennità mensili, buoni pasto, ticket vari e così via).Visto che si tratta di una mensilità vera e propria, occorre considerare anche i giorni d'assenza giustificata del lavoratore. Se, come si diceva, il periodo di lavoro è pari ad almeno un anno, allora il calcolo è semplice; se, invece, il periodo del contratto è inferiore, si deve calcolare una media relativa al periodo di occupazione in proporzione ai mesi di lavoro.

Per tutto quello che riguarda contributi e profilo fiscale, la quattordicesima non differisce dalle altre mensilità: prevede infatti gli imponibili come tutti gli altri stipendi.

Inoltre, occorre sottolineare che in caso di lavoratori retribuiti con provvigioni o a percentuale, il calcolo quattordicesima viene effettuato sulla base della media degli elementi fissi e variabili della retribuzione percepita nei 12 mesi precedenti.

Alla quattordicesima sono interessati anche i pensionati. Alcuni di loro, infatti, possono aspirare a ricevere questa mensilità aggiuntiva.

Possono beneficiarne i pensionati con un'età pari o superiore a 64 anni titolari di una pensione erogata da:
assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti;

gestione pensioni per coltivatori diretti, mezzadri, coloni, artigiani, esercenti attività commerciali; appartenenti al clero; chi ha un assegno di invalidità.

Per quello che riguarda i requisiti, oltre a quello anagrafico, vi è quello reddituale. Il reddito dell'interessato non può superare di 1,5 volte il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti.

Beneficiari

Possono ricevere la quattordicesima mensilità i pensionanti che siano a carico di:

assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti;

gestione speciale per i lavoratori delle miniere, cave e torbiere;

gestioni dei contributi e delle prestazioni previdenziali dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni, degli artigiani e degli esercenti attività commerciali;

gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n.335;

fondo di previdenza del clero secolare e dei ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica;

forme esclusive, sostitutive ed esonerative dell’assicurazione generale obbligatoria gestite da enti pubblici di previdenza obbligatoria.

Non possono ricevere l’importo aggiuntivo i titolari di:

invalidità civile, pensione sociale, assegno sociale, rendita facoltativa di vecchiaia o di invalidità
pensione di vecchiaia o di invalidità a favore delle casalinghe;

pensione di vecchiaia, di invalidità o ai superstiti a carico della gestione speciale per il personale degli Enti pubblici creditizi;

assegno straordinario di sostegno al reddito per i dipendenti delle aziende di credito ordinario;

assegno straordinario di sostegno al reddito per i dipendenti delle aziende di credito cooperativo;

assegno straordinario di sostegno al reddito per i dipendenti delle aziende di credito delle esattorie
indennizzo per attività commerciale;

pensioni ordinarie, di invalidità o ai superstiti già a carico del soppresso Fondo Previdenziale e Assistenziale degli Spedizionieri Doganali.

I pensionati pubblici per ricevere la 14esima mensilità devono avere un reddito complessivo individuale pari o inferiore ad una volta e mezzo il trattamento minimo Inps, che per l’anno 2015 è pari ad 9.786,92 euro annui a cui corrisponde un importo mensile di 752,84 euro, hanno diritto a ricevere, nel mese di luglio, ovvero nell’ultima mensilità corrisposta nell’anno, una somma aggiuntiva al trattamento pensionistico il cui importo è differenziato in funzione dell’anzianità contributiva posseduta.

Con il messaggio n. 3082 del 6 maggio 2015, l’INPS informa che i pensionati interessati alla corresponsione della c.d. quattordicesima mensilità, riceveranno una comunicazione con la quale saranno invitati a presentare alla sede competente la dichiarazione dei redditi individuali presunti, diversi da pensione, riferiti all'anno 2014, in particolare:

- i pensionati che compiono i 64 anni entro il 30 giugno 2015 e coloro che hanno ricevuto nel 2014 la somma aggiuntiva, dovranno comunicare entro il 18 maggio 2015 i redditi individuali presunti, diversi da pensione, relativi all'anno 2014 al fine di percepire, con il rateo di pensione relativo al mese di luglio 2015 l’importo corrispondente;

- I pensionati che maturano il requisito anagrafico nel corso del secondo semestre del 2015 dovranno presentare l’autodichiarazione reddituale, con l’indicazione dei redditi presunti, diversi da pensione, per l’anno 2014 in data successiva al compimento del sessantaquattresimo anno di età al fine di ottenere il pagamento della prestazione con la mensilità di dicembre 2015 in misura proporzionale al periodo temporale successivo al compimento del sessantaquattresimo anno di età.

L’ammontare della quattordicesima si calcola in base ai mesi di lavoro effettuati nella ditta nei 365 giorni precedenti. Nel caso che si abbia lavorato per almeno un anno intero, si prende come punto di riferimento l’ammontare dello stipendio di un mese di retribuzione fissa. Nel caso che, invece, il rapporto di lavoro fino alla data di erogazione sia durato meno di un anno, essa si calcola in proporzione al numero di mesi di lavoro, compresi i giorni di assenze giustificate. Essa non deve mai essere usata come un mezzo sostitutivo di pagamento di altre mansioni lavorative.

Nel caso che il lavoratore si trovi in cassa integrazione a orario ridotto, la quattordicesima, se ne ha diritto in base al proprio contratto nazionale di categoria, matura regolarmente. Se invece la cassa integrazione è a zero ore, il rateo mensile della quattordicesima matura solo se la sospensione del rapporto lavorativo è inferiore ai 15 giorni nel mese, fermo restando che il contratto di riferimento deve prevedere che scatti il mese intero con il superamento del quindicesimo giorno di lavoro.



giovedì 18 giugno 2015

Lavoratori dipendenti: il datore di lavoro li potrà controllare con pc e telefoni aziendali



I dipendenti comunque devono essere avvisati: multa per chi viola le regole. Leggere posta elettronica e Sms continua a essere vietato, e la telecamera si usa solo per ragioni di sicurezza. Ma si possono tracciare gli spostamenti.

Si apre ai controlli a distanza attraverso gli strumenti di lavoro, cioè pc, tablet, telefoni aziendali (senza più passare per accordi sindacali o ispettorato del lavoro). Ma si chiede all'azienda un preciso documento di policy da consegnare ai dipendenti.

I dati che ne derivano possono essere «utilizzati ad ogni fine connesso al rapporto di lavoro, purché sia data al lavoratore adeguata informazione circa le modalità d’uso degli strumenti e l’effettuazione dei controlli, sempre, comunque, nel rispetto del Codice privacy». Nel dettaglio, l’articolo al primo comma prevede che «gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali.

Resterebbe, a livello di principio generale, il divieto di controllo tramite impianti direttamente «finalizzati» alla vigilanza sulla prestazione di lavoro (le cosiddette telecamere che riprendono il lavoratore). Qui si ammetterebbe una deroga: nei casi in cui c’è un’autorizzazione sindacale o amministrativa all’impianto delle apparecchiature purché legate a esigenze di sicurezza e prevenzione. L’attuale articolo 4 dello Statuto dei lavoratori vieta, o limita tantissimo, l’uso di impianti audiovisivi o di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori (possono essere installati solo per ragioni di sicurezza o in rare altre eccezioni, sempre comunque previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o, in assenza, con l’ok dell’ispettorato del lavoro). Un freno considerato come le nuove tecnologie siano ormai parte integrante dell’organizzazione del lavoro. E anche il Garante della privacy ha dettato specifiche disposizioni a tutela della riservatezza dei lavoratori.

L’ipotesi su cui sta lavorando il governo è aggiornare l’articolo 4 distinguendo i controlli sugli impianti da quelli sugli strumenti di lavoro. I controlli sui primi, finalizzati alla vigilanza sulla prestazioni di lavoro, sarebbero vietati. Tranne il caso in cui, con un’autorizzazione sindacale o amministrativa, le telecamere servano per garantire la sicurezza. Si “sdoganerebbero” del tutto invece i controlli sugli strumenti di lavoro, per i quali non sarebbero più richieste autorizzazioni di sorta.

«Qui però sarebbe opportuno liberalizzare anche i controlli sulle apparecchiature, come badge e rilevatori di presenza, che non rientrano nell’articolo 4 dello Statuto - sottolinea Arturo Maresca (ordinario di diritto del Lavoro, Sapienza, Roma) -. Inoltre, è positivo aver chiarito l’utilizzabilità degli esiti dei controlli anche ai fini disciplinari. Ma la disposizione deve essere inderogabile, e quindi non modificabile dai contratti collettivi». Anche per Sandro Mainardi (ordinario di diritto del Lavoro, università di Bologna) l’apertura sui controlli attraverso pc, telefonini e tablet «sarebbe una vera novità. Da un lato, perché la strumentazione deve essere destinata allo svolgimento della prestazione e non ad altri fini illeciti; dall’altro perché essendo la proprietà di tali beni/strumenti di matrice aziendale deve pur essere concesso un controllo sull’utilizzo della stessa». Certo, resta il tema della privacy e della informazione preventiva: «Qui il legislatore - aggiunge Mainardi - se la potrebbe cavare traducendo in precetto le buone pratiche da tempo suggerite in termini di policy aziendali dal Garante». Per gli esperti è positivo anche il chiarimento sull'utilizzo degli esiti delle verifiche: «Si potrebbe superare il dibattito giurisprudenziale sui “controlli difensivi”, e soprattutto circa la liceità della prova “elettronica” offerta in giudizio da parte del datore, laddove essa sia davvero significativa di inadempimento certo da parte del lavoratore».

Con l’entrata in vigore delle nuove norme le aziende potranno controllare computer, smartphone e telefoni cellulari assegnati per ragioni di lavoro ai dipendenti senza il via libera delle organizzazioni sindacali. E’ fatto obbligo alle imprese di informare dettagliatamente i propri dipendenti delle caratteristiche dei vari apparecchi, la possibilità di effettuare controlli anche a distanza, compresa la geolocalizzazione, e di fissare eventuali limiti al loro utilizzo.

I datori di lavoro non possono controllare la posta elettronica e la navigazione in Internet dei dipendenti, se non in casi eccezionali. In base alle disposizione del Garante della privacy che risalgono al 2007 spetta al datore di lavoro definire le modalità d’uso di tali strumenti sempre tenendo conto dei diritti dei lavoratori e della disciplina in tema di relazioni sindacali. L’Autorità prescrive innanzitutto di informare in modo dettagliato i lavoratori sulle modalità di utilizzo di Internet e della posta elettronica e sulla possibilità che vengano effettuati controlli. E vieta la lettura e la registrazione sistematica delle e-mail così come il monitoraggio sistematico delle pagine web visualizzate suggerendo di individuare preventivamente i siti considerati correlati o meno con la prestazione lavorativa e l’utilizzo di filtri che prevengano l’accesso a determinati siti o il download di file video o musicali.

In mancanza di accordo possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali». E prosegue: «La disposizione di cui al primo comma non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze».

"Sui controlli a distanza siamo al colpo di mano", dice la Cgil sottolineando che le novità del Jobs act "pongono un punto di arretramento pesante" rispetto allo Statuto. "Non solo daremo battaglia in Parlamento", aggiunge la segretaria nazionale Serena Sorrentino, "Ma verificheremo con il garante della privacy se ciò si può consentire anche alla luce della raccomandazione del comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, che mira a proteggere la privacy dei lavoratori di fronte ai progressi tecnologici che permettono ai datori di lavoro di raccogliere e conservare ogni tipo di informazione".



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