martedì 22 luglio 2014

Taglio pensioni oltre 3mila euro grazie alla riforma targata Renzi, Poletti e Padovan



Nuovo contributo di solidarietà su pensioni d’oro che superano i 3 mila euro: si sperava in uscite flessibili e anticipati invece interventi negativi più probabili.

Torna l’ipotesi di prelievo sulle pensioni più alte sopra i 3 mila e si riaffaccia il timore che i tanto annunciati interventi sulle pensioni siano solo negativi, piuttosto che acconsentire l’entusiasmo scatenato dall’annuncio di interventi orientati alla flessibilità, come dichiarato dal ministro Poletti, e alla possibilità di uscita anticipata.

Lo stesso decreto Irpef lascia in eredità alla prossima "stabilità" i 2,7 miliardi confluiti per il 2015 nel fondo taglia-cuneo. Che potrebbero essere utilizzati per estendere la platea dei beneficiari del bonus Irpef ad esempio ai nuclei monoreddito con più figli, pensionati e incapienti. Un'operazione nel complesso difficile da realizzare anche alla luce dei ristretti margini con cui potrebbe fare i conti il Governo se l'andamento del Pil continuasse a risultare al di sotto delle stime originarie dell'esecutivo. In alternativa le risorse del Fondo taglia-cuneo potrebbero essere utilizzate per rafforzare la copertura che dovrà essere trovata per continuare a tagliare l'Irap a carico delle imprese.

I circa 14 miliardi, da aggiungere ai 3 già tradotti in misure, da recuperare con la fase 2 delle fasi per contenere la spesa pubblica, arriveranno prevalentemente da cinque versanti: tagli alle partecipate (cessioni anche delle sole quote di controllo ai privati, fusioni o chiusure); potenziamento dell'operazione già avviata sul terreno degli acquisti di beni e servizi della Pa; razionalizzazione delle uscite per gli immobili (dagli affitti fino alle dismissioni); fabbisogni standard a tappeto per gli enti locali; dimagrimento della macchina burocratica con la chiusura di enti e sedi periferiche già in gran parte prevista dalla riforma della Pa.

Per la composizione della "stabilità" i tecnici si starebbero muovendo avendo come riferimento grezzo un perimetro da 25-28 miliardi (14-16 di dinamica "interna" e 10-12 miliardi legati agli impegni con la Ue). Un perimetro che dovrebbe scendere quanto meno a poco più di 20 miliardi grazie alla "riserva" da 2,5-3 miliardi garantita dalla minor spesa per interessi sul debito rispetto a quella prevista. E alla maggiore flessibilità che l'esecutivo conta di ottenere dalla Ue. Le risorse necessarie per far camminare la "stabilità" dovrebbero arrivare, oltre che dalla spending, dall'attuazione della delega fiscale (compresa la potatura delle tax expenditures) dalla lotta all'evasione e dalla maggiore Iva per il pagamento dei debiti Pa.

«Sul fronte interno, stiamo agendo su due assi, legge di Stabilità e decreti attuativi della delega fiscale, mentre sul fronte europeo sui negoziati per scorporare alcuni investimenti dal computo del deficit», afferma Baretta. Che annuncia che il via libera al Dl sblocca-cantieri potrebbe arrivare il prossimo Consiglio dei ministri, anche se la data più gettonata resta il 31 luglio. Quanto alla copertura per rendere strutturale il bonus Irpef, Baretta conferma che arriverà dalla spending. E aggiunge che il Mef si attende un impatto «interessante» dalle entrate Iva e dal bonus per le ristrutturazioni energetiche, oltre che dall'operazione pagamenti Pa.

Ebbene, ora, secondo le indiscrezioni, allo studio dell'esecutivo vi sarebbero manovre per far quadrare i conti e per garantire le coperture per il bonus da 80 euro facendolo diventare strutturale. Al momento, si sa, che la copertura deriverà da metà dei 14 miliardi che arriveranno dalla fase 2 della spending review e si sommeranno ai 3 miliardi già previsti dal decreto Irpef.

Il contributo sulle pensioni d’oro appare anche nel dossier Cottarelli, che prevede una redistribuzione di tale contributo di solidarietà su pensioni che superano i 3 mila euro all'interno dello stesso sistema previdenziale proprio per favorire, probabilmente, misure per rendere più flessibili i pensionamenti. Si tratta al momento solo di un progetto che potrebbe, tra l’altro, cambiare nel giro di pochi giorni esattamente come accaduto finora per tutte le proposte avanzate.


domenica 20 luglio 2014

Scuola per il prossimo settembre almeno 32.500 assunzioni. Secondo il piano MIUR



Il Miur ha pubblicato il piano di immissioni in ruolo 2014 per 15 mila professori “su posti comuni” per coprire il turn over, altri 13 mila per il sostegno, la seconda tranche del piano triennale di stabilizzazioni varato lo scorso anno dal decreto Carrozza. Più 4.500 Ata (il personale tecnico amministrativo) per un totale di 32.500 assunzioni che potrebbero scattare a settembre. In questo modo il Miur preme per far scattare almeno 28 mila assunzioni di docenti (oltre ai 4.500 Ata) e il loro reclutamento avverrà secondo il criterio introdotto 15 anni fa: il 50% dei posti sarà attribuito sulla base delle graduatorie a esaurimento (dove stazionano ancora circa 155 mila precari “storici”). Il ministero dell'Istruzione ha inviato a Mef e Funzione pubblica il piano di immissioni in ruolo 2014.

Sintetizzando le assunzioni dei nuovi docenti avverrà secondo regole ormai più che decennali: il 50 per cento dei posti sarà attribuito sulla base delle graduatorie a esaurimento e il restante 50 per cento attraverso i concorsi: tramite l’ultimo, bandito nel 2012 dall’ex ministro Profumo, dovrebbero entrare in ruolo già a settembre una buona parte degli oltre 8 mila idonei ancora in attesa di assunzione.

Le stabilizzazioni sul sostegno sono finanziate direttamente dalla legge 104 (sono previsti stanziamenti ad hoc per circa 108 milioni di euro l'anno). Gli altri 15mila docenti previsti copriranno i pensionamenti che «quest'anno hanno risentito meno degli effetti della legge Monti-Fornero», ha spiegato il capo dipartimento per l'Istruzione del Miur, Luciano Chiappetta in un colloquio con "Il Sole 24 Ore". Le prime stime di gennaio sul turn over indicavano cifre minori (poco più di 8mila posti) ma poi sono cresciute. Una possibile spiegazione, ha detto Chiappetta, «è che nella scuola, in passato, si entrava dopo aver svolto altri impieghi e quindi l'eventuale ricongiungimento, a fini pensionistici, dei questi periodi contributivi può aver agevolato le fuoriuscite. Negli anni 70 e 80, per esempio, sono stati assorbiti molti lavoratori che provenivano dalle Poste o dalle Ferrovie dello Stato».

I criteri per le assunzioni e il nodo Quota 96. Per settembre, quindi, il Miur preme per far scattare almeno 28mila assunzioni di docenti (oltre ai 4.500 Ata) e il loro reclutamento avverrà secondo il criterio introdotto 15 anni fa: il 50% dei posti sarà attribuito sulla base delle graduatorie a esaurimento (dove stazionano ancora circa 155mila precari "storici") e il restante 50% sulla base dei concorsi. In primis, quello bandito nel 2012 dall'ex ministro, Francesco Profumo. Degli 11.542 posti messi a selezione sono stati assunti 3.527 docenti nel corso dell'anno scolastico in corso, mentre a settembre si procederà quindi all'immissione degli ulteriori vincitori, probabilmente una buona fetta dei restanti 8.015 (in ogni caso le graduatorie concorsuali sono valide tre anni). Questi numeri non tengono conto dei circa 4mila docenti (cosiddetti "Quota 96") che potrebbero andare in pensione con i requisiti pre-Fornero, la cui discussione è legata alle sorti del decreto-legge Pa (e soprattutto all'onerosità della misura, su cui in passato c'è sempre stato il veto del Mef).

Ma la partita sulle immissioni in ruolo del prossimo settembre potrebbe comunque portare a un bottino di posti più cospicuo. Il Miur infatti, ha annunciato Chiappetta, vuole dar seguito al piano triennale di assunzioni su tutti i posti oggi liberi e disponibili previsto dal decreto Carrozza: «Parliamo, per gli insegnamenti, di 14mila posti vacanti, ma a cui il ministero dell'Economia sottrae i circa 6mila soprannumerari non riassorbibili perché titolari di classi di concorso desuete o comunque superate dalla riforma degli ordinamenti». Insomma, si potrebbero liberare altri 8mila posti. Per gli Ata si parla di altri 4.500 posti. La strada «è in salita - ha ammesso Chiappetta - ma puntiamo a convincere Mef e Funzione pubblica». Dopo di che si dovrà aprire una sessione negoziale all'Aran con i sindacati perché il piano triennale è «a invarianza finanziaria» per lo Stato. L'atto d'indirizzo è pronto. La strada per garantire i saldi di bilancio dovrebbe essere quella già sperimentata con il precedente piano triennale di assunzioni Tremonti-Gelmini, ovvero l'allungamento della maturazione dello scatto d'anzianità (il cosiddetto "gradone") per tutti i neo-assunti. Tutto ciò ovviamente previo assenso delle organizzazioni sindacali.

Per quanto riguarda il restante 50% delle assunzioni verrà reclutato sulla base dei concorsi. In primis, quello bandito nel 2012 dall’ex Ministro, Francesco Profumo. Degli 11.542 posti messi a selezione sono stati assunti 3.527 docenti nel corso dell’anno scolastico in corso, mentre a settembre si procederà quindi all’immissione degli ulteriori vincitori, probabilmente una buona fetta dei restanti 8.015 (in ogni caso le graduatorie concorsuali sono valide tre anni). Questi numeri non tengono conto dei circa 4 mila docenti (cosiddetti “Quota 96″) che potrebbero andare in pensione con i requisiti pre-Fornero, la cui discussione è legata alle sorti del decreto-legge Pa (e soprattutto all’onerosità della misura, su cui in passato c’è sempre stato il veto del Mef).

Quindi per la scuola, sono in vista assunzioni, argomento già trattato, soprattutto dopo il piano triennale varato lo scorso anno grazie al cosiddetto “Decreto Carrozza” Le prospettive, però, potrebbero essere più rosee di quanto previsto, almeno nel breve periodo, con una massiccia infornata di nuove assunzioni già a partire dal prossimo mese di settembre.

Pensione, effetto crisi sul calcolo dell'assegno




Per conseguire un assegno previdenziale più consistente un lavoratore può ritardare l'età del pensionamento, può trarre beneficio da un incremento dello stipendio o del reddito e conseguentemente dei contributi versati, può in alcuni casi effettuare versamenti aggiuntivi e può ricorrere al secondo pilastro.

Pensioni, importi in picchiata: ecco quanti soldi si possono perdere.

Professionisti, statali: ecco chi ci perde e chi ci guadagna La pensione? Non dipende solo dal lavoratore, dall'età fino a cui lavora e dalla sua retribuzione. L'assegno che un lavoratore percepirà dipende anche dalle condizioni economiche del Paese perché il Pil può incidere fino al 20-25% sulla misura del trattamento previdenziale. La rivalutazione dei contributi versati è legata alla variazione annua del Pil. Con il sistema contributivo, infatti, il montante individuale viene rivalutato su base composta a un tasso di capitalizzazione che è pari alla variazione media quinquiennale del Pil nominale calcolata dall'Istat. Ne consegue che se il Pil cresce poco o per nulla, dopo 20 o 30 anni gli importi messi da parte varranno meno rispetto a una situazione economica di crescita. E il valore del primo assegno pensionistico si ridurrà rispetto all'ultima retribuzione.

Chi andrà in pensione dopo il 2020, dovrà "pagare il conto" delle riforme previdenziali che hanno introdotto la revisione prima triennale poi biennale dei coefficienti di trasformazione: il Sole 24 Ore ricorda che la Ragioneria generale dello Stato ha calcolato che dal 2020 in poi il tasso di sostituzione netto passerà dall'84% al 77% e che dopo il 2035 si ridurrà fino al 71% e questo accade per il passaggio dal pensionamento di vecchiaia del regime misto a quello anticipato del regime contributivo. Andrà peggio per gli autonomi: per loro il salto avverrà prima dal momento che dal 94% di inizio decennio si arriverà al 734% nel 2020. Tradotto significa che per assicurarsi una retribuzione pari al 70% dell'ultima retribuzione si dovranno accumulare 40 anni di contributi e avvicinarsi ai settant'anni di età.

Il Sole 24 Ore ha citato il caso di un 42enne che ha iniziato a versare i contributi a 25 anni, se andrà in pensione a 68 anni percepirà un assegno pari al 65,6% dell'ultima retribuzione. Ma questo solo la variazione media del Pil durante la sua vita lavorativa sarà stata pari all'uno per cento. Con una variazione del 2% può contare sull'80,5%.  Ma se il Pil dovesse rimanere inviarato il tasso di sostituzione scenderebbe al 54%.  Se dunque la difficile situazione economica che sta attraversando l'Italia dovesse prolungarsi, l'effetto sulle pensioni sarà deflagrante e a pagarne saranno i più giovani perché chi adesso è vicino alla pensione non sarà danneggiato dal punto di vista pensionistico.

Per conseguire un assegno previdenziale più consistente un lavoratore può ritardare l'età del pensionamento, può trarre beneficio da un incremento dello stipendio o del reddito e conseguentemente dei contributi versati, può in alcuni casi effettuare versamenti aggiuntivi e può ricorrere al secondo pilastro.

Ma c'è una variabile a lui esterna su cui non può intervenire e che, da sola, incide in modo consistente sull'importo della pensione e, più in generale, sulla tenuta dell'intero sistema: la variazione annua del prodotto interno lordo a cui è collegata la rivalutazione dei contributi versati. Con il sistema contributivo, infatti, il montante individuale alla fine di ogni anno viene rivalutato su base composta a un tasso di capitalizzazione pari alla variazione media quinquennale del Pil nominale calcolata dall'Istat.
Ne consegue che, tenendo immutate le altre variabili, se il Pil cresce poco o per nulla, dopo 20-30 anni gli importi accantonati varranno di meno di quanto accadrebbe con un'economia in fase espansiva. Dal punto di vista pratico, il tasso di sostituzione (cioè quanto varrà il primo assegno pensionistico rispetto all'ultima retribuzione) si ridurrà.

I lavoratori dipendenti che andranno in pensione dopo il 2020 dovranno innanzitutto fare i conti con gli effetti delle ultime riforme previdenziali, che hanno alzato i requisiti e introdotto la revisione triennale e poi biennale dei coefficienti di trasformazione. Come calcolato dalla Ragioneria generale dello Stato dal 2020 in poi il tasso di sostituzione netto passerà dall'84 al 77 per cento. Dopo il 2035 si scenderà al 71% quale effetto principalmente del passaggio dal pensionamento di vecchiaia del regime misto a quello anticipato del regime contributivo. Per gli autonomi, invece, il salto avverrà prima, dato che dal 94% di inizio decennio si arriverà al 74% del 2020. Dagli esempi riportati a inizio pagina si vede che per garantirsi una pensione pari almeno al 70% dell'ultima retribuzione in molti casi si dovranno accumulare più di 40 anni di contributi e avvicinarsi alla soglia dei 70 anni di età.

Tra i fattori da considerare c'è pure l'andamento della retribuzione, anche se questa risulta decisamente più determinante con il sistema retributivo che collega direttamente l'assegno allo stipendio degli ultimi anni, per cui un'accelerazione di carriere nel finale garantiva effetti positivi. Rispetto a quest'ultimo il sistema contributivo "avvantaggia" le carriere piatte e discontinue perché prende in considerazione tutto quanto è stato versato.

Comunque i più giovani, assoggettati interamente al sistema contributivo, dovranno contare sui contributi versati nel corso della carriera lavorativa, sperando che sia il più possibile continuativa, in modo da non perdere anni e ritrovarsi a 70 anni con un montante ridotto.

Il punto è che molte elaborazioni, tra cui quella della Ragioneria dello Stato, ipotizzano proprio un tasso di variazione medio del Pil all'1,5% nel lungo periodo (fino al 2060). A fonte dell'andamento dell'economia italiana negli ultimi anni queste ipotesi rischiano di essere ottimistiche. Non va dimenticato, infatti, che per esempio nel 2013 la variazione del Pil è stata pari a -1,9 per cento. Se il quadro di contrarietà dovesse protrarsi a lungo a pagarne le conseguenze saranno ovviamente le generazioni più giovani perché per chi è prossimo alla pensione un'economia bloccata negli ultimi anni di lavoro incide poco sul tasso di sostituzione.


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