sabato 13 settembre 2014

Piano Garanzia per i giovani: borse di tirocinio



“Il Piano italiano di attuazione della Garanzia per i Giovani”, con il quale il Ministero del Lavoro è impegnato a recepire la Raccomandazione dell’UE per assicurare a tutti i giovani di età inferiore ai 25 anni un’offerta di lavoro, di proseguimento degli studi, di apprendistato o tirocinio, entro 4 mesi dall’inizio della disoccupazione o dall’uscita dal sistema di istruzione formale, individua tra le azioni finanziabili anche le “borse di tirocinio”, destinate a contribuire alle spese di giovani che devono maturare un’esperienza professionale per accrescere le loro possibilità di inserimento nel mercato del lavoro.

Il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali ha riconosciuto tra le attività istituzionali dell’Inps l’erogazione delle indennità di tirocinio suddette, in quanto l’Istituto partecipa alla “Struttura di missione” istituita presso il Ministero, che coinvolge rappresentanti del Ministero del Lavoro e delle sue agenzie tecniche (ISFOL e Italia Lavoro) del MIUR, del MISE, del MEF, delle Regioni e Province autonome e di Unioncamere.

L’Inps ha approvato con Schema di Convenzione tra Ministero del Lavoro, Inps, Regioni e Province autonome, che definisce le modalità con le quali l’Istituto erogherà per conto degli enti locali aderenti alla Convenzione le indennità ai giovani tirocinanti. Nel messaggio n. 6789 del 3/9/2014 è riportato l’elenco delle 17 Regioni che hanno manifestato interesse ad affidare all’Inps la gestione dei pagamenti, con ulteriori dettagli in merito alla disponibilità dei fondi e alle modalità di erogazione dell’indennità di tirocinio.

Con il Messaggio n. 6789/2014 l’INPS ha comunicato l’elenco delle Regioni che hanno richiesto la gestione dell’erogazione dell’indennità di tirocinio nell’ambito del Piano italiano di attuazione della Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 22 aprile 2013, che ha chiesto agli Stati membri di:

“garantire che tutti i giovani di età inferiore ai 25 anni ricevano un’offerta qualitativamente valida di lavoro, di proseguimento degli studi, di apprendistato o tirocinio entro un periodo di 4 mesi dall’inizio della disoccupazione o dall’uscita dal sistema di istruzione formale”.

Con il Piano Garanzia per i Giovani il governo ha individuato azioni finanziabili, tra le quali l’erogazione di borse di tirocinio a favore dei giovani che intendano maturare un’esperienza professionale. L’obiettivo è quello di favorire l’occupazione giovanile, velocizzando e rendendo più efficace il percorso di transizione tra scuola e lavoro, nonché il reinserimento nel mondo produttivo. Per dare attuazione alla Garanzia Giovani è stato istituito presso il Ministero del Lavoro una “Struttura di missione” (art. 5 del decreto legge 28 giugno 2013 n. 76 convertito con modificazioni con la legge 9 agosto 2013 n. 99), composta dai rappresentanti del Ministero e sue agenzie tecniche – ISFOL e Italia Lavoro – MIUR, MISE, MEF, Dipartimento della Gioventù, INPS, Regioni e Province Autonome, Province e Unioncamere.

In questo ambito il ruolo dell’INPS è quello di soggetto coinvolto nell’attuazione degli interventi, mentre le Regioni/Province autonome sono gli organismi intermedi che hanno il compito di attivare le azioni di politica attiva. Alcune Regioni hanno deciso di affidare all’INPS anche il servizio di erogazione dell’indennità di tirocinio nell’ambito della Garanzia Giovani. Lo schema di Convenzione tra Ministero, INPS e Regioni/Province autonome, approvato con Determinazione commissariale n. 185 del 7 agosto 2014 e allegato al Messaggio INPS, ha definito le modalità di erogazione delle borse ai giovani tirocinanti, per conto delle Regioni/Province autonome convenzionate, secondo criteri e parametri individuati dalle Regioni e Province autonome. Tale convezione avrà validità fino al 30 novembre 2018, data entro la quale dovrà essere effettuato l’ultimo pagamento a favore dei beneficiari. I pagamenti successivi non verranno rimborsati.



Lavoro: il modello tedesco come funziona



Nel dibattito pubblico l’espressione “modello tedesco”, in riferimento alla riforma del mercato del lavoro, ha assunto il significato di concedere al giudice la possibilità (non l’obbligo, come è oggi, salvo diversa scelta del lavoratore) di reintegrare la persona licenziata ingiustamente nel posto di lavoro.

In Germania è presente il tasso di disoccupazione più basso d'Europa secondo gli ultimi dati Eurostat riferiti a luglio: la Germania grazie alla riforma Hartz del mercato del lavoro varata tra il 2003 e il 2005, ha affrontato meglio degli altri Paesi la crisi economica riuscendo a ampliare la base occupazionale.

In Italia il tasso di disoccupazione è aumentato tra il 2007 e il 2013 dal 6,1% al 12,2% (dati Eurostat) mentre in Germania e' diminuito nello stesso periodo dall'8,7% al 5,3% (ma era al 10,5% nel 2004). A luglio 2014 il tasso dei senza lavoro in Germania era al 4,9%, il più basso in Europa. La diminuzione della disoccupazione tedesca è stata possibile grazie alla riforma Hartz, dal nome dell'ex consigliere d'amministrazione di Volkswagen che, sotto il governo Schroeder, diede vita fra il 2003 e il 2005 a una serie di provvedimenti sul mercato del lavoro nella Germania post-unificazione alle prese con circa cinque milioni di disoccupati. In quattro provvedimenti, la Germania ha rilanciato il suo welfare attraverso sussidi di disoccupazione universali, estesi cioè a tutti, purché si dimostri di essere in ricerca attiva di lavoro: i disoccupati vengono sollecitati con proposte di lavoro che, se non accettate, decurtano progressivamente l'indennità.

Oltre a buoni per la formazione, job center e agenzie interinali, Hartz ha introdotto i famosi mini-job, sono nuovi contratti di lavoro a basso salario e con orario ridotto, che prevedono una paga di appena 450 euro al mese e sono soggetti a tasse e contributi modestissimi, quasi nulli. Secondo le stime, più di 7 milioni di tedeschi oggi svolgono un mini job. Per 2 milioni di persone è un secondo lavoro, mentre per altri 5 milioni è l'unica fonte di reddito. L'obiettivo che ha portato alla nascita di questi contratti era di far entrare nel mondo del lavoro regolare molte fasce di popolazione prima escluse (per esempio gli studenti o gli immigrati).

Sono stati riformati gli uffici di collocamento pubblici, unificati nell'Agenzia Federale del Lavoro (con un modello di organizzazione che somiglia a quello di una struttura privata). Gli uffici dell'Agenzia Federale gestiscono direttamente i sussidi di disoccupazione mentre le aziende che inviano un preavviso di licenziamento al dipendente, con qualche mese in anticipo, devono darne immediata notizia alla stessa agenzia, in modo che il lavoratore inizi subito un percorso di reinserimento professionale, ancor prima di diventare disoccupato.

Nel mercato quindi convivono l'alta flessibilità del lavoro (su modello americano) con il modello di welfare nord-europeo (sostegno a chi dimostra di non trovare lavoro) ma con regole molto stringenti (come i lavori socialmente utili pagati un euro o un euro e mezzo l'ora per non perdere il sussidio di disoccupazione). Un mix che ha facilitato le assunzioni portando il costo del lavoro, che era cronicamente alto, a livelli così competitivi da rendere la Germania il secondo esportatore mondiale dopo la Cina (a volte superando Pechino). Ma che hanno anche indebolito i consumi, al punto da spingere i partner Ue e persino gli Usa, con l'amministrazione Obama, a chiedere a Berlino di sostenere la domanda interna pagando di più il lavoro.

È stato posto un limite alla durata dei sussidi di disoccupazione ordinaria, che non vengono erogati per più di 12 mesi (18 mesi per i lavoratori anziani over 55). È stato inoltre reso più severo il criterio per l'erogazione dell'indennità (che di solito arriva sino al 67% dell'ultimo stipendio). Chi rifiuta un'offerta di lavoro che proviene dall'ufficio di collocamento, infatti, in Germania perde il diritto all'assistenza statale. Si tratta di un sistema che in teoria è già in vigore anche in Italia, anche se spesso i nostri centri per l'impiego pubblici non riescono a gestire la domanda di lavoro dei disoccupati e a presentare delle offerte di impiego credibili.

Sono stati introdotti dei criteri più stringenti per il sussidio sociale riservato ai disoccupati di lunga durata, cioè quelli che hanno perso il lavoro da molto tempo e che ricevono una sorta di reddito minimo garantito (già esistente da tempo nel sistema di welfare tedesco). È stato escluso dall'erogazione di questa indennità chi possiede dei risparmi personali superiori a una certa soglia (fissata inizialmente a 13mila euro circa) mentre è stato stabilito un tetto massimo (attorno a 330-350 euro al mese) per l'importo assegno, a cui però si aggiungono altri contributi per i figli o per gli affitti.

Tra il 2004 e il 2006, per abbassare il costo del lavoro, è stato messa in cantiere una riduzione di oltre 2 punti della quota di contributi sui salari destinati al sistema sanitario nazionale. Il taglio è stato finanziato con una riduzione delle prestazioni mediche gratuite, imponendo ai pazienti un sistema di compartecipazione alle spese per le visite e per la prescrizione delle cure. Inoltre, sono state escluse dai benefit pubblici alcune prestazioni mediche non urgenti ma costose come alcuni tipi di cure odontoiatriche. A partire dal 2004, il governo di Berlino ha attuato anche un consistente taglio delle imposte personali, con l'obiettivo di rimettere in tasca ai consumatori quasi 22 miliardi di euro di risorse. La manovra fiscale ha portato a una riduzione dal 48,5 al 42% dell'aliquota fiscale sui redditi più elevati e dal 19,9 al 15% dell'aliquota sulle retribuzioni più basse. Il programma è stato finanziato con un piano di privatizzazioni e di tagli ai sussidi statali.

Si parla molto del “modello tedesco come riferimento di successo ed esemplare per uscire dalla crisi: lo si richiama perfino per modificare l’articolo 18. Ma si nasconde quasi sempre che uno degli elementi fondativi di questo modello è la contemporanea partecipazione: infatti in Germania i rappresentanti dei lavoratori – eletti da tutti i lavoratori, iscritti o meno al sindacato – partecipano al board delle grandi e medie imprese, in posizione, quasi, paritetica con gli azionisti

Deleghe sul lavoro: contratti di solidarietà, contratto di ricollocazione e dimissioni in bianco



C’è l’intenzione di ampliare la platea di imprese che possono far ricorso ai contratti di solidarietà e rimuovere gli ostacoli che sinora hanno azzoppato il contratto di solidarietà espansivo, quello cioè che favorisce nuove assunzioni attraverso una contestuale riduzione dell'orario di lavoro e della retribuzione.

Il primo obiettivo è estendere la facoltà di usarli alle imprese che finora non possono accedervi (perché l'ambito di applicazione adesso è lo stesso di quello della cassa integrazione straordinaria). Il secondo scopo è semplificare sia il ricorso al contratto di solidarietà difensivo (che prevede tagli di stipendio in caso di crisi aziendale per evitare la riduzione del personale) sia al contratto di solidarietà "espansivo", usato cioè per favorire nuove assunzioni attraverso una riduzione dell'orario di lavoro e della retribuzione dei lavoratori in organico. Quasi l'applicazione pratica del vecchio slogan "lavorare meno, lavorare tutti". Proprio all'insegna di quel modello tedesco, infatti in Germania le ore mediamente lavorate dal singolo lavoratore sono nettamente inferiori a quelle lavorate in Italia. Tenendo immutato il numero totale delle ore di lavoro, e invece riducendo quelle lavorate da ciascuno, l'occupazione aumenta.

E’ stato approvato un emendamento che vede primo firmatario Pietro Ichino, che introduce il "contratto di ricollocazione" il quale prevede la "promozione di un collegamento tra misure di sostegno al reddito della persona inoccupata o disoccupata e misure volte al suo inserimento nel tessuto produttivo". Si tratta, in sostanza, di un contratto trilaterale tra lavoratore disoccupato, centri per l'impiego e agenzia per il lavoro in cui, in cambio di una riconversione e una effettiva ricollocazione del lavoratore, all'agenzia viene corrisposta una remunerazione. I disoccupati potranno scegliere un'agenzia specializzata tra quelle accreditate dalla Regione, che a sua volta potrà stipulare il contratto con la persona rimasta senza lavoro e con il centro per l'impiego, impegnandosi ad assisterla e a indirizzarla in un percorso di riqualificazione mirata. L'agenzia sarà remunerata con un voucher regionale liquidabile in gran parte soltanto a risultato ottenuto. Una via per escludere gli operatori meno capaci. «Si tratta di uno strumento utile – ha commentato Ichino - anche per collegare il sostegno del reddito del disoccupato e le iniziative per il suo reinserimento e per condizionare effettivamente il sostegno del reddito all'attivazione e disponibilità del beneficiario nel percorso verso la nuova occupazione».

Previste misure anche per combattere le dimissioni in bianco assicurando "l'autenticità" delle scelte del lavoratore. Un emendamento che indirizza il governo, nei decreti di attuazione, a stabilire "modalità semplificate per garantire la data certa nonché l'autenticità della manifestazione di volontà del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anche tenuto conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso del lavoratore". Una delega ampia, quindi, volta ad arginare la pratica di far firmare ai neoassunti, e spesso alle donne che potrebbero restare incinte, una lettera di dimissioni "in bianco" per poterli licenziare con facilità.

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