martedì 13 novembre 2018

Pensioni, «quota 100» penalità fino al 30%



La pensione con la quota 100 non prevede penalizzazione, ma i minori contributi per ogni anno di anticipo abbassano l'assegno, fino al 30% per chi si ritira sei anni prima: audizione Upb sulla Legge di Bilancio.

"Chi optasse per quota 100 subirebbe una riduzione della pensione lorda rispetto a quella corrispondente alla prima uscita utile con il regime attuale da circa il 5 per cento in caso di anticipo solo di un anno a oltre il 30 per cento se l'anticipo è di oltre 4 anni". E' il calcolo dell'Upb, illustrato dal presidente Giuseppe Pisauro in audizione sulla manovra, in cui ha sottolineato anche che la platea potenziale per il 2019 sarebbe di "437.000 contribuenti attivi". Se uscissero tutti ci sarebbe un "aumento di spesa lorda per 13 miliardi".

Se «quota 100» equivalesse alla somma di un’età di almeno 62 anni e un'anzianità contributiva di almeno 38 anni, la misura potrebbe potenzialmente riguardare nel 2019 una platea fino a 437mila contribuenti. Lo ha stimato l’Ufficio parlamentare di bilancio nel corso di una audizione dinanzi alle commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato.

«Qualora l'intera platea utilizzasse il canale di uscita appena soddisfatti i requisiti potrebbe comportare un aumento della spesa pensionistica lorda stimabile in quasi 13 miliardi nel 2019 sostanzialmente stabile negli anni successivi». Una stima, spiega ancora la relazione, che «non è ovviamente direttamente confrontabile con le risorse stanziate nel Fondo per la revisione del sistema pensionistico per vari fattori: dal tasso di sostituzione dei potenziali pensionati con nuovi lavoratori attivi a valutazioni di carattere soggettivo (condizione di salute o penosità del lavoro) o oggettivo (tasso di sostituzione tra reddito e pensione, divieto di cumulo tra pensione e altri redditi, altre forme di penalizzazione).

Secondo le stime dell’Ufficio parlamentare di bilancio, chi optasse per quota 100 subirebbe una riduzione della pensione lorda rispetto a quella corrispondente alla prima uscita utile con il regime attuale da circa il 5% in caso di anticipo solo di un anno a oltre il 30% se l'anticipo è di oltre 4 anni.

La manovra, spiega ancora l’intervento, peggiora il disavanzo pubblico, sia rispetto al deficit tendenziale sia, per il biennio 2019-2020, rispetto al risultato atteso per il 2018, che verrebbe nuovamente raggiunto solo nel 2021. «La riduzione del disavanzo nel 2020 e nel 2021 si otterrebbe peraltro unicamente grazie al mantenimento di una quota di clausole di salvaguardia su Iva e accise, pari rispettivamente allo 0,7 (13,7 miliardi) e allo 0,8 per cento (15,6 miliardi) del Pil». Le grandezze della finanza pubblica programmate dal Governo appaiono soggette a rischi (indebolimento del quadro macroeconomico e impatto dell'evoluzione recente dei tassi di interesse) e incertezze (l'efficacia delle misure di razionalizzazione della spesa, i tempi di attuazione delle norme sul “reddito di cittadinanza” e sulla riforma del sistema pensionistico, l'effettiva realizzazione dei valori programmatici della spesa per investimenti).

La pace contributiva che accompagna il debutto di “quota 100”, previsto ad aprile per i primi dipendenti privati, avrà una doppia destinazione: la prima per i quotisti che devono raggiungere i 38 anni necessari per l’uscita a 62, la seconda per i più giovani con carriere discontinue alle spalle cui viene data la possibilità di ricostruire la propria carriera contributiva per evitare, in prospettiva, una pensione di vecchiaia a 70 anni e traguardare invece l’anticipo a 41 o più.

C’è poi la proroga fino al 2021 di “opzione donna”: con 58 anni di età e 35 di contributi le lavoratrici (59 se autonome) potranno avere una pensione ricalcolata con il solo criterio contributivo e decorrenza posticipata di 12 mesi (18 per le autonome). Insomma il sistema delle finestre di uscita arriverebbe a totalizzare nove soluzioni diverse per tutte le future pensioni di anzianità, sette delle quali per la sola “quota 100” (4 per i privati, 2 per gli statali e 1 per la scuola). Non potranno invece utilizzare la quota i lavoratori coinvolti in piani di isopensione (articolo 4 legge 92) che prevedono la possibilità di accordi per uscita a carico totale del datore di lavoro. Mentre i fondi di solidarietà aziendali potranno finanziare volontariamente fino a tre anni di assegno straordinario fino a tre anni prima di “quota 100”.

Fra l’altro, bisogna attendere di capire come saranno disegnati i futuri provvedimenti, in particolare, se verranno previste limitazioni (divieto di cumulo con quello da lavoro, finestre di uscita, perdita contributi figurativi, ricalcolo contributivo). Infine, bisogna considerare che l’assegno si riduce con l’anticipo di uscita. A ogni anno di anticipo, in ragione dei minori versamenti contributivi realizzati, corrisponde un minore importo della pensione.



domenica 11 novembre 2018

Stipendio basso, come rinegoziare l'aumento



La busta paga è il documento necessario per tutti i dipendenti, che attesta la retribuzione netta e lorda del lavoratore e serve per verificare lo stipendio percepito e la sua congruità con quanto stabilito nel CCNL. Sulla busta paga si possono inoltre verificare i contributi pensionistici versati dal datore di lavoro a vantaggio del dipendente.

 Cinque mosse per rinegoziare lo stipendio. Michael Page, specializzato nella selezione di professionisti, middle e top manager, consiglia di verificare prima se la propria retribuzione è il linea con la media nazionale.

In primo luogo avere in mente la situazione aziendale. Per poter fare una richiesta in linea con le possibilità dell'azienda è necessario conoscere la situazione finanziaria della società. Inoltre, è bene sapere se il proprio stipendio, o quello desiderato, è in linea con la retribuzione del mercato.

Riflettere sulle esigenze personali. Prima di effettuare una richiesta bisogna capire quale livello salariale minimo potrebbe essere soddisfacente e quale è invece la retribuzione ideale, in modo da iniziare a negoziare sempre dal valore più alto e lasciare spazio alle proposte. Per identificare nel modo più fattuale possibile queste cifre bisogna pensare al costo della vita attuale, alle tendenze del mercato e alla propria istruzione ed esperienza, senza tralasciare i desideri collegati al proprio percorso professionale per il breve, medio e lungo termine.

Non solo stipendio, le altre proposte da valutare. Quando ci si trova a negoziare bisogna sempre ricordarsi che il pacchetto retributivo non si limita solo al salario. L’offerta aziendale può comprendere formazione, orari flessibili, smart working, benefit etc. Inoltre, è molto importante valutare l'esistenza di un percorso di crescita e promozione chiaro e ben delineato.

Il tempismo è importante. L’ideale è che sia sempre il datore di lavoro ad affrontare per primo il tema del salario. Se un intervistatore cerca di cogliere le aspettative retributive durante un colloquio è bene chiedere più dettagli legati alla potenziale posizione prima di esporsi in tal senso, in modo da poterne discutere una volta conclusa la selezione e già ricevuta un’offerta.

Negoziare in modo deciso ma giusto. All’interno di una negoziazione è fondamentale essere preparati e non perdere di vista i punti sostanziali della propria richiesta. Entrambe le parti auspicano alla situazione più vantaggiosa per loro e, per questo motivo, bisogna sempre rispettare l’interlocutore senza però mostrare indecisioni o insicurezze.

"Negoziare lo stipendio - commenta Adriano Giudici, executive manager divisione engineering & manufacturing - è un momento sfidante, che mette in discussione non solo gli aspetti legati alla propria carriera ma anche quelli più vicini alla vita personale. Per questo motivo, consigliamo sempre di prepararsi seriamente in vista del confronto con il proprio datore di lavoro. Bisogna essere pronti a parlare di aspettative specifiche e realistiche basate sulle proprie capacità, esperienze e tendenze del mercato attuale, senza farsi prendere dall'emotività".




mercoledì 7 novembre 2018

Lavoratori a tempo determinato, come funziona dal 1° novembre 2018



Dal 1° novembre, per prorogare o rinnovare un contratto a termine già avviato tra le parti, bisognerà seguire in tutto e per tutto le nuove regole stabilite dal Dl 87/2018, cioè:

1) durata massima del primo contratto a termine senza causale di 12 mesi;

2) oltre i primi 12 mesi, proroga con causale: il datore deve cioè precisare che la prosecuzione del rapporto avviene a tempo determinato per esigenze temporanee e oggettive, estranee all’attività ordinaria (come ad esempio una produzione nuova, mai sperimentata prima), oppure per sostituire altri lavoratori, oppure ancora per esigenze legate a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria (ad esempio la necessità di vendere tutto lo stock di merce in magazzino per poi ristrutturare il capannone); la causale, come precisa la circolare 17 del ministero del lavoro pubblicata il 31 ottobre è sempre necessaria quando si supera il periodo di 12 mesi, anche se il superamento avviene a seguito di proroga di un contratto originariamente inferiore ai 12 mesi.

3) le proroghe possono essere al massimo quattro nell’arco di 24 mesi (e non più cinque nell’arco di 36 mesi);

4) la durata massima dei rapporti a termine fra lo stesso datore e lo stesso lavoratore è di 24 mesi, salvo previsioni diverse del contratto collettivo applicato dall’azienda.

Restano fuori dalle restrizioni sui limiti di durata massima e sulla disciplina delle proroghe e dei rinnovi i contratti stagionali.

A chi si applica il periodo transitorio
Il 14 luglio 2018 è dunque la data chiave per capire se al contratto a termine si applica il regime transitorio, oppure no. Facciamo l’esempio del rinnovo di un contratto scaduto il 1° ottobre dopo 15 mesi: con un tetto complessivo di 36 mesi, potrà avere una durata massima di altri 21 mesi, senza necessità della causale, solo se siglato entro oggi 31 ottobre.

Se, invece, datore di lavoro e dipendente decidono di rinnovare da domani 1° novembre in poi, si applicano le nuove regole, per cui, con il nuovo tetto di 24 mesi, sarà indispensabile indicare la causale e la durata massima sarà di altri 9 mesi.

I nuovi contratti
Non esiste, invece, regime transitorio se il primo contratto tra le parti è stato stipulato dal 14 luglio in poi: in questo caso le nuove regole sono scattate subito. Quindi, un accordo siglato per la prima volta il 15 luglio può essere prorogato alla scadenza solo fino a un massimo di 4 volte, e richiederà la causale se saranno superati i 12 mesi; allo stesso modo, in caso di rinnovo, dovrà sempre essere accompagnato dalla causale.

Rinnovi sempre più costosi
Va precisato che le regole transitorie riguardano soltanto la durata massima e la disciplina delle proroghe e i rinnovi, mentre non si applicano alla maggiorazione dello 0,5%, che dal 14 luglio vale per tutti i rinnovi (in via cumulativa, quindi al secondo rinnovo la maggiorazione è dell'1%).

È già entrato in vigore (in questo caso dal 12 agosto, in quanto è stato introdotto dalla legge di conversione) anche il nuovo limite del 30% di lavoratori flessibili, intesa come “somma” di lavoratori a tempo determinato e somministrati rispetto al totale di quelli in forza con contratto a tempo indeterminato.

Sul fronte dei nuovi contratti a tempo determinato l’osservatorio sul precariato dell’Inps ha registrato - tra luglio e agosto 2018 - un calo delle attivazioni che risultano essere dimezzate. A luglio sono stati sottoscritti 310.838 contratti a tempo determinato, ad agosto si è invece scesi a 165.998. Un trend influenzato anche dalla stagionalità, visto che anche nel 2017 si era registrata uno andamento analogo, anche se di dimensioni più contenute, con 312mila assunzioni a termine a luglio e 190mila ad agosto.

L’Istat ha registrato che la diminuzione degli occupati nel mese di settembre si è concentrata tra i dipendenti permanenti (-0,5%, pari a -77 mila), mentre quelli a termine hanno proseguito la loro tendenza positiva (+0,8%, +27 mila), anche per beneficiare della possibilità di proroghe e rinnovi durante il periodo transitorio che si chiude oggi 31 ottobre. Nei dodici mesi la crescita occupazionale si è concentra fortemente tra i lavoratori a termine (+13,1%, +368 mila), in lieve ripresa anche gli indipendenti (+0,4%, +22 mila), mentre risultano in calo i dipendenti a tempo indeterminato (-1,2%, -184 mila).



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