sabato 26 dicembre 2015

Jobs Act, collaborazioni: requisiti per la stabilizzazione e contratto di lavoro


Nel decreto di riforma dei contratti di lavoro, attuativo del Jobs Act, è prevista per il datore di lavoro la possibilità di stabilizzazione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa e di persone titolari di partita IVA.

Al fine di promuovere il consolidamento di contratti flessibili (o precari, a seconda del punto di vista) il legislatore del Jobs Act ha previsto, nel decreto di riforma dei contratti di lavoro (decreto legislativo n. 81/2015), la possibilità, per il datore di lavoro, di stabilizzare contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, e di persone titolari di partita IVA.

Estesa dal 1° gennaio 2016 l’area della subordinazione, introducendo un nuovo regime per le collaborazioni personali e continuative che siano eterorganizzate dal committente. La norma contempera delle eccezioni all’applicazione della disciplina del lavoro subordinato e investe sulla certificazione dei contratti. Si affaccia anche una nuova procedura di stabilizzazione con estinzione di illeciti e sanzioni a seguito di assunzione a tempo indeterminato e conciliazione individuale. Vengono abrogate le norme sul lavoro a progetto.

Questa forma di stabilizzazione di un contratto a tempo, qual è un contratto di collaborazione, potrà avvenire a decorrere dal 1° gennaio 2016 e soltanto per i datori di lavoro privati.

La stabilizzazione non rappresenterà una “sanatoria” esclusivamente per i contratti di collaborazione poco reali, ma può essere considerata una opportunità per le parti per consolidare un rapporto di lavoro con la tipologia contrattuale che lo stesso legislatore definisce “la forma comune di rapporto di lavoro” e cioè il contratto per antonomasia, che può essere solo eccezionalmente sostituito da altre forme contrattuali disciplinate dallo stesso decreto legislativo 81/2015.

Vediamo quali sono i requisiti perché si realizzi una stabilizzazione del rapporto e soprattutto perché questa procedura possa essere realmente valida contro un eventuale contenzioso proposto dal lavoratore o, soprattutto, dagli organi di vigilanza avverso i rapporti di collaborazione intercorsi precedentemente l’assunzione a tempo indeterminato.

Innanzitutto non si tratta di trasformazione del rapporto di lavoro, in quanto le due tipologie
contrattuali non possono prevedere una continuità logica. In pratica, vi dovrà essere una risoluzione anticipata del rapporto di collaborazione, qualora sia ancora in essere, e la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Quindi, il primo atto, sempreché la collaborazione sia ancora attiva in virtù di un contratto con scadenza più avanti nel tempo, è la risoluzione consensuale della collaborazione attraverso un atto di conciliazione. Conciliazione che dovrà contenere anche la convalida della risoluzione consensuale, al fine di rispettare il disposto normativo previsto dall’art. 4, della legge n. 92/2012 la Riforma Fornero.

Una volta risolto il rapporto di collaborazione, si passa a realizzare uno dei punti strategici della procedura. Infatti, il legislatore condiziona la stabilizzazione a due presupposti in capo alle parti, che dovranno essere inseriti in un atto di conciliazione sottoscritto in una delle sedi previste dagli articoli 410 e ss. del codice di procedura civile o dinanzi ad una Commissione di certificazione, ove:
a) il lavoratore sottoscriva, con riferimento a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro, un atto tombale di “nulla più dovuto”.
b) il datore di lavoro dichiari che nei dodici mesi successivi alla assunzione non intenda recedere dal rapporto di lavoro, con un licenziamento per giustificato motivo oggettivo. È fatto salvo il licenziamento per giusta causa ovvero per giustificato motivo soggettivo.

Nulla vieta che anche la risoluzione consensuale del pregresso rapporto di collaborazione possa essere incardinata nell’accordo conciliativo sopraindicato.

Infine, la procedura definisce gli effetti dell’assunzione a tempo indeterminato effettuata alle condizioni suindicate: la stipula del contratto subordinato comporterà l'estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all'erronea qualificazione del rapporto di lavoro.

In pratica, si realizza una blindatura del pregresso rapporto di collaborazione con la quale gli organi ispettivi dovranno fare i conti. Questi ultimi non potranno entrare nel merito della collaborazione al fine di verificarne la genuinità.

La chiusura a verifiche ispettive non potrà avvenire qualora siano già stati accertati illeciti comportamenti sul contratto di collaborazione a seguito di accessi ispettivi effettuati in data antecedente alla assunzione.

Una volta provveduto a stabilizzare il collaboratore con un rapporto a tempo indeterminato, la domanda sorge spontanea: il datore di lavoro (ex committente) potrà usufruire dell’esonero contributivo previsto nella nuova legge di Stabilità per l’anno 2016? Quello sgravio del 40%dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, nel limite massimo di 3.250 euro su base annua, per un periodo massimo di ventiquattro mesi?

Secondo la Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro, la risposta è affermativa, in quanto “la
procedura di stabilizzazione si attiva su espressa volontà delle parti, e solo dopo la legge regola quale forma contrattuale adottare per l’ex collaboratore.”

Il dubbio comunque resta, in quanto, l’assunzione avviene all’interno di una procedura più ampia che stabilisce la non applicazione di eventuali illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all'erronea qualificazione del rapporto di lavoro, qualora si proceda attraverso un iter ben disciplinato dall’art. 54 del decreto legislativo n. 81/2015; e visto che l’art. 4, comma 12, lettera a), della legge n. 92/2012 prescrive che “gli incentivi non spettano se l'assunzione costituisce attuazione di un obbligo preesistente, stabilito da norme di legge o della contrattazione collettiva”, sembrerebbe non applicabile l’incentivo in questione.

E' bene sottolineare che non tutte le collaborazioni eterorganizzate sono ricondotte alla disciplina del lavoro subordinato. È prevista una serie di eccezioni, che in parte, ma solo in parte, ricordano quelle già previste dall’art.61, co.1 e 3, D.Lgs. n.276/03, con riferimento al lavoro a progetto.

Ai sensi dell’art.2, co.2, la disposizione di cui al co.1 non trova applicazione in relazione:

alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive e organizzative del relativo settore. Tale disposizione rimette all’autonomia collettiva la possibilità di sottrarre alla disciplina del lavoro subordinato rapporti di lavoro autonomo eterorganizzato con riferimento anche ai tempi e al luogo di lavoro. Come si è già detto, se si ammette che le collaborazioni, pur eteroganizzate, conservino formalmente carattere di autonomia, allora non viene in questione il principio di indisponibilità del tipo contrattuale, che vieta al Legislatore e alle parti, individuali e collettive, di escludere l’applicazione delle discipline del lavoro subordinato a rapporti che di fatto hanno le caratteristiche del lavoro subordinato. La disposizione, piuttosto, potrebbe forse alimentare qualche dubbio di conformità rispetto al principio di cui all’art.3 Cost.. Le particolari esigenze produttive e organizzative di un certo settore possono giustificare il fatto che due collaboratori eterorganizzati nelle modalità di esecuzione della propria prestazione, anche con riferimento ai tempi e al luogo della prestazione, siano destinatari, l’uno della disciplina del lavoro subordinato, l’altro del trattamento economico e normativo definito dall’accordo collettivo? Se le “esigenze produttive e organizzative” si riducessero alla mera necessità di contenere il costo del lavoro in un certo settore qualche dubbio si porrebbe;

alle collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali;
alle attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;

alle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal Coni, come individuati e disciplinati dall’art.90, L. n.289/02.

Le tre eccezioni richiamate riproducono, al netto di alcuni minimi aggiustamenti lessicali, altrettante ipotesi già escluse dall’applicazione della disciplina del lavoro a progetto.

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