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martedì 29 gennaio 2019

Quota 100 si può presentare la domanda all’INPS


Da oggi è possibile presentare la domanda o telematicamente, se si ha il pin dell’INPS, o attraverso il call center o ai patronati e agli altri soggetti abilitati «alla intermediazione delle istanze di servizio. In attesa della pubblicazione della circolare illustrativa delle nuove disposizioni - si legge - con il presente messaggio si comunicano le modalità di presentazione delle relative domande di pensione».

Nuovi requisiti

Quota 100: prevista dall’articolo 14 del decreto, richiede almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi;

Pensione anticipata con 42 anni e dieci mesi di contributi (un anno in meno per le donne): l’articolo 15 del decreto ha bloccato fino al 2026 gli scatti di adeguamento alle aspettative di vita per le pensioni anticipata, che quindi nel 2019 si raggiungono con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, e con 41 anni e dieci mesi di contributi per le donne.

Opzione Donna: l’articolo 16 del decreto la estende alle lavoratrici dipendenti con almeno 58 anni e alle autonome con almeno 59 anni al 31 dicembre 2019. Resta pari a 35 anni il requisito contributivo.

Il cittadino in possesso delle credenziali di accesso (PIN rilasciato dall'Istituto, SPID o Carta nazionale dei servizi) - spiega l'Istituto - può compilare e inviare la domanda telematica di accesso alla pensione disponibile fra i servizi on line, sul sito www.inps.it, nella sezione “Domanda Pensione, Ricostituzione, Ratei, ECOCERT, APE Sociale e Beneficio precoci”. Una volta effettuato l'accesso e scelta l'opzione “Nuova domanda” nel menù di sinistra, occorre selezionare in sequenza: per la pensione c.d. quota 100: “Pensione di anzianità/vecchiaia” > “Pensione di anzianità/anticipata” > “Requisito quota 100”; per la pensione anticipata: “Pensione di anzianità/vecchiaia” > “Pensione di anzianità/anticipata” > “Ordinaria”; per la pensione anticipata c.d. opzione donna: “Pensione di anzianità/vecchiaia” > “Pensione di anzianità/anticipata” > “Contributivo sperimentale lavoratrici”.

Chi può utilizzare la procedura
La modalità di presentazione delle domande, sopra illustrata, scrive l'Istituto - è utilizzabile da parte dei lavoratori iscritti alle Gestioni private, alla Gestione pubblica e alla Gestione spettacolo e sport, anche al fine di chiedere, per la pensione quota 100, il cumulo dei periodi assicurativi. La domanda può essere presentata anche per il tramite dei Patronati e degli altri soggetti abilitati alla intermediazione delle istanze di servizio all’Inps ovvero, in alternativa, può essere presentata utilizzando i servizi del Contact center.

28 febbraio 2019: si parte con il comparto scuola
Entro il 28 febbraio 2019, il personale a tempo indeterminato della scuola può presentare domanda di cessazione dal servizio, con effetti dall'inizio dell’anno scolastico o accademico.

1° aprile 2019: diritto alla pensione per i privati
Nel comparto privato, chi ha maturato quota 100 entro il 31 dicembre 2018 ottiene il diritto alla decorrenza del trattamento dal 1° aprile 2019. Per chi matura il requisito dopo il 1° gennaio 2019 ed entro il 31 dicembre 2021 (quota 100 è al momento una misura sperimentale per il triennio 2019-2021), avrà il diritto alla pensione dopo tre mesi dalla data di raggiungimento dei requisiti. Per esempio, chi ha raggiunto quota 100 oggi, 29 gennaio, matura la pensione dal 29 aprile.

1° agosto 2019: pensione per i dipendenti pubblici
Per evitare malfunzionamenti nella macchina statale, per i dipendenti pubblici è stato previsto un diverso regime: per quelli che entro il 30 gennaio 2019 hanno maturato quota cento, conseguono il diritto al trattamento pensionistico dal 1° agosto. E la domanda di collocamento a riposo deve essere presentata alla amministrazione appartenente con un preavviso di 6 mesi. Per i dipendenti pubblici che maturano quota cento da oggi in poi e fino al 31 dicembre 2021, hanno diritto al trattamento dopo sei mesi: per esempio, chi raggiunge quota 100 il 10 marzo, matura la pensione dal 10 settembre.

Come fare domanda INPS
La domanda si può presentare utilizzando i servizi INPS online, oppure rivolgendosi a patronati e centri di assistenza fiscale (CAF), oppure chiamando il contact center INPS (803164 da telefono fisso, 06164164 da mobile).

Per chi sceglie la modalità telematica sono necessarie le credenziali di accesso (PIN  INPS, oppure SPID o carta nazionale dei servizi). Bisogna andare sulla pagina dedicata a “Domanda Pensione, Ricostituzione, Ratei, ECOCERT, APE Sociale e Beneficio precoci”, scegliere l’opzione “nuova domanda” dal menù di sinistra e poi selezionare la voce relativa alla tipologia di domanda che si presenta.

Ecco il percorso per le tre nuove opzioni.

Quota 100: “Pensione di anzianità/vecchiaia” > “Pensione di anzianità/anticipata” > “Requisito quota 100”;

Pensione anticipata: Pensione di anzianità/vecchiaia” > “Pensione di anzianità/anticipata” > “Ordinaria”;

Opzione Donna: Pensione di anzianità/vecchiaia” > “Pensione di anzianità/anticipata” > “Contributivo sperimentale lavoratrici”.

In tutti e tre i casi, bisogna selezionare il fondo e la gestione INPS di appartenenza (gestioni private, gestione pubblica e gestione spettacolo e sport).
La procedura consente anche di chiedere la quota 100 utilizzando il cumulo gratuito dei periodi assicurativi in diverse gestioni INPS.

Decorrenza pensione
Ricordiamo che in tutti e tre i casi di pensione agevolata per i quali sono aperte le procedure di domanda, sono previste finestre temporali fra la maturazione del requisito e la decorrenza della pensione.

Quota 100: ci vogliono tre mesi. Coloro che avevano già maturato il requisito allo scorso 31 dicembre, prenderanno la pensione con la quota 100 dal primo aprile 2019. Dal primo gennaio, invece, si calcolano tre mesi dal momento in cui è maturato il requisito.

Pensione anticipata: anche qui la finestra è di tre mesi. Coloro che hanno maturato il requisito dal primo gennaio al 29 gennaio (entrata in vigore del decreto), potranno avere la pensione il primo aprile 2019.

Opzione Donna: qui le finestre temporali sono più lunghe, 12 mesi dalla maturazione del requisito per le lavoratrici dipendenti e 18 mesi per le autonome.



domenica 13 gennaio 2019

Requisiti per la pensione 2019: le novità



Adeguamento alla speranza di vita solo per alcune categorie di lavoratori da 2019. Modalità per la domanda nella circolare INPS n. 126 del 28.12.2018.

La forma di pensionamento anticipato che consente di cessare il rapporto di lavoro una volta raggiunti i 38 anni di contributi.

Allo stesso tempo, però, bisogna aver compiuto almeno 62 anni per poter andare in pensione.

Una volta maturati questi requisiti (non c’è alcun limite temporale per farlo) bisogna però attendere l’apertura della prima finestra di accesso utile; nel dettaglio, le finestre di accesso saranno quattro ogni anno (ad eccezione del 2019 quando ce ne saranno solamente tre) e saranno previste a gennaio (ma non nel 2019) aprile, agosto e ottobre.

In pensione con Opzione Donna: dai 58 ai 59 anni di età
Per le donne che accettano che il loro assegno venga calcolato esclusivamente con il sistema contributivo, si applica invece l’Opzione Donna. Grazie alla proroga di Opzione Donna le lavoratrici subordinate potranno andare in pensione all’età di 58 anni, mentre le autonome a 59 anni. Il requisito contributivo richiesto è pari a 35 anni (contribuzione effettiva, non sono ammessi contributi figurativi). Anche per questa misura, però, c’è un arco temporale ben definito che separa la maturazione dei suddetti requisiti al collocamento in quiescenza. Opzione Donna, infatti, prevede una finestra mobile di 12 mesi per le subordinate, che quindi andranno effettivamente in pensione a 59 anni, e di 18 mesi per le autonome.

Pensione di vecchiaia: si sale a 67 anni, 71 per l’opzione contributiva
Cresce a 67 anni l’età pensionabile per la pensione di vecchiaia; complice l’adeguamento con le aspettative di vita, infatti, l’età pensionabile è stata incrementata di 5 mesi passando quindi dai 66 anni e 7 mesi ai 67 anni.

Ricordiamo che per la pensione di vecchiaia sono richiesti 20 anni di contribuzione.

Vi è poi l’opzione contributiva della pensione di vecchiaia per la quale sono sufficienti 5 anni di contribuzione effettiva, purché l’intera quota rientri nel sistema contributivo per il calcolo della pensione. In questo caso, per effetto dell’adeguamento, l’età anagrafica per andare in pensione nel 2019 sarà pari a 71 anni.

Ci sono però quattro categorie di lavoratori per le quali non si applica- su richiesta dell’interessato - l’adeguamento con le aspettative di vita. Nel dettaglio, la pensione di vecchiaia resta di 66 anni e 7 mesi per coloro che svolgono mansioni usuranti, gravose, oppure dei lavori notturni; in questo caso, però, il requisito contributivo è pari a 30 anni.

Nella circolare n. 126 del 28 dicembre 2018 l'INPS ha comunicato che  dal 1° gennaio 2019, ai requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia e anticipata per i lavoratori dipendenti che svolgono le attività cosiddette gravose e gli addetti a lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, entrambi con un’anzianità contributiva pari ad almeno 30 anni, non si applicano gli adeguamenti alla speranza di vita. Viene specificato che il requisito contributivo dei 30 anni deve essere maturato in base alle disposizioni vigenti nella gestione a carico della quale è liquidato il trattamento pensionistico.

La circolare fornisce i dettagli sulle categorie di lavoratori esclusi dall'innalzamento dei requisiti:

Lavoratori c.d. gravosi ai sensi dell’articolo 1, comma 148, lettera a), della legge n. 205/2017 ;

Addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti ai sensi dell' articolo 1, comma 148, lettera b), della legge n. 205/2017;

Non sono compresi nel blocco, invece:

i lavoratori precoci di cui all’articolo 1, commi da 199 a 201, della legge n. 232/2016. Ad essi pertanto, a decorrere dal 1° gennaio 2019, il requisito ridotto dei 41 anni è incrementato di ulteriori 5 mesi;

i titolari dell’indennità di Ape sociale

Il documento precisa che per il trattamento pensionistico dei lavoratori cd. gravosi è prevista  la verifica della conformità delle dichiarazioni del lavoratore e del datore di lavoro con i dati presenti nelle comunicazioni obbligatorie del rapporto di lavoro, e preannuncia un ulteriore messaggio di  istruzioni procedurali.

L'INPS fornisce anche informazioni sui termini di pagamento delle indennità di fine servizio  per i dipendenti pubblici  , che accedono al trattamento pensionistico beneficiando dell’esclusione dall’adeguamento alla speranza di vita stabilito per il 2019, e potranno percepire il trattamento di fine servizio o di fine rapporto non prima di 24 mesi o di 12 mesi dalla data di conseguimento del primo requisito pensionistico teorico utile . "Oltre il periodo temporale appena indicato, l’Istituto deve provvedere al pagamento della prestazione al massimo entro tre mesi, decorsi i quali saranno dovuti gli interessi per ritardato pagamento della stessa.

L’età per la pensione di vecchiaia nel 2019 salirà a 67 anni, mentre per la pensione anticipata saranno necessari 43 anni e tre mesi per gli uomini e 42 anni e tre mesi per le donne: è la conseguenza dell’innalzamento dell’aspettativa di vita di cinque mesi confermata dall’ISTAT. A 65 anni, si legge nel report ISTAT arriva a 20,7 anni per il totale dei residenti, allungandosi di cinque mesi rispetto a quella registrata nel 2013. Risultato, ci sarà il conseguente scatto di aumento dei requisiti per andare in pensione, previsto per il 2019, pari appunto a cinque mesi. In realtà, per l’ufficialità, bisogna attendere il decreto con cui il Governo recepisce il dato misurato dall’istituto di statistica, che arriverà entro al fine dell’anno.



mercoledì 26 dicembre 2018

Incentivi e bonus assunzioni donne: settori e professioni



Il bonus donne consiste in un incentivo per le imprese finalizzato all'assunzione di donne (ma anche di uomini) in possesso di determinati requisiti oppure residenti in aree svantaggiate o assunte in settori con un alto tasso di disparità uomo-donna.

Imprenditori e dirigenti, di grandi aziende, professioni tecniche, vertici della pubblica amministrazione, persino esponenti degli organi legislativi: sono tutte professioni caratterizzate da un tasso di disparità di genere superiore al 25% della media, per cui spettano incentivi alle assunzioni femminili.

L’elenco di settori e mansioni caratterizzate da questo tasso di disparità è pubblicato con decreto interministeriale del 28 novembre, che rende utilizzabile l’agevolazione prevista dall‘articolo 4 della legge 92/2012. Si tratta di uno sgravio contributivo al 50% per 12 o 18 mesi, a seconda che il contratto sia a tempo determinato o indeterminato.

L’agevolazione spetta per le assunzioni di disoccupati da almeno 12 mesi che abbiano più di 50 anni, oppure donne di qualsiasi età prive di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi residenti in zone ammissibili ai fondi strutturali Ue oppure occupare in settori o professioni caratterizzate da un tasso di disparità superiore al 25% rispetto alla media.

Per quanto riguarda i settori, il più “maschile” sono le costruzioni (disparità superiore all’80%), seguito da acqua e gestione rifiuti (intorno al 75%). Gap superiore al 50% anche per industria estrattiva, trasporto e magazzinaggio, energia.

E veniamo alle professioni. Alcuni dati non stupiscono, ad esempio l’altissima preponderanza di uomini nelle forze armate. In realtà, la differenza più marcata riguarda artigiani e operai specializzati dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici. Fra i dati rilevanti, il gap superiore al 70% nelle professioni tecniche in campo scientifico, ingegneristico e della produzione (85% di uomini contro il 15% di donne), ingegneri, architetti e professioni assimilate (il differenziale è intorno al 60%).

Fra gli imprenditori, si può spezzare una lancia a favore delle piccole e medie imprese: in generale, la professione è a forte preponderanza maschile, ma il gap è decisamente meno vistoso fra le piccole imprese. Nel dettaglio, nella grandi imprese ci sono l’82% di imprenditori, amministratori e direttori uomini contro il 18% di donne, nelle realtà di minori dimensioni, uomini al 65% e imprenditrici donne al 35%.

Da segnalare, infine, la presenza in questa poco edificante classifica dei dipendenti con qualifiche elevate delle pubbliche amministrazioni, ovvero: membri dei corpi legislativi e di governo, dirigenti ed equiparati dell’amministrazione pubblica, nella magistratura, nei servizi di sanità, istruzione e ricerca e nelle organizzazioni di interesse nazionale e sovranazionale.

Le assunzioni incentivate possono essere sia a tempo determinato che indeterminato e anche in somministrazione. Per le assunzioni termine il bonus spetta per dodici mesi ed è pari al 50% dei contributi INPS a carico del datore di lavoro. Se l’assunzione a termine viene trasformata a tempo indeterminato lo sgravio spetta fino a 18 mesi.

Requisiti
Ma vediamo in breve quali sono i requisiti che il lavoratore deve possedere al momento dell’assunzione per poter richiedere lo sgravio.

Il bonus in realtà si applica sia a uomini che donne over 50 disoccupati da oltre dodici mesi (c. 8 art. 4 L. 92/2012).

Inoltre il bonus può essere applicato anche alle assunzioni di donne di qualsiasi età disoccupate da almeno 24 mesi in qualsiasi settore e in tutte le regioni d’Italia.

Infine l’incentivo può essere fruito per:

l’assunzione di donne di qualsiasi età residenti nelle aree svantaggiate e prive d’impiego da almeno 6 mesi, oppure per l’assunzione nei settori e nelle professioni caratterizzate da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25% il valore medio annuo. I settori e le professioni individuati sono individuati annualmente con Decreto del Ministero del Lavoro di concerto con il MEF.

Bonus donne e over 50 disoccupati 2019: settori e professioni individuati
Con il Decreto interministeriale 09/11/2018, che trovate allegato a fondo pagina, vengono individuati:

i settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25 per cento la disparità media uomo-donna.

le professioni caratterizzate da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25 per cento la disparità media uomo-donna.



lunedì 25 giugno 2018

Pensione dal 2019 domanda e calcolo



L’età per la pensione di vecchiaia nel 2019 salirà a 67 anni, mentre per la pensione anticipata saranno necessari 43 anni e tre mesi per gli uomini e 42 anni e tre mesi per le donne: è la conseguenza dell’innalzamento dell’aspettativa di vita di cinque mesi confermata dall’ISTAT, ci sarà il conseguente scatto di aumento dei requisiti per andare in pensione, previsto per il 2019, pari appunto a cinque mesi.

Ecco come cambia l’età pensionabile dal 2019:

pensione di vecchiaia: 67 anni per tutti (dipendenti, autonomi, uomini e donne). Attualmente il requisito è pari a 66 anni e sette mesi;

pensione anticipata: 43 anni e tre mesi per gli uomini (che attualmente vanno in pensione a 42 anni e dieci mesi), e 42 anni e tre mesi per le donne (che al momento si ritirano con 41 anni e dieci mesi);

pensione anticipata precoci: passa a 41 anni e cinque mesi. Attualmente il requisito è pari a 41 anni. Ricordiamo che è necessario possedere tutti gli altri requisiti per essere considerati lavoratori precoci, in base a quanto previsto dalla finanziaria dell’anno scorso;

assegno sociale: 67 anni (attualmente il requisito è a 65 anni e sette mesi, ma salirà di un anno nel 2018);

pensione lavoratori usuranti: requisito invariato, la finanziaria 2017 congela gli scatti alle aspettative di vita fino al 2026. Quindi, quota 97,6 per i lavoratori dipendenti, 98,6 per i lavoratori autonomi, da 98,6 a 100,6 per i lavoratori notturni.

Si avvicina per i lavoratori addetti a mansioni gravose o usuranti la domanda di pensione senza applicare i cinque mesi di scatto dell’età pensionabile 2019: le procedure sono definite dal decreto del ministero del Lavoro del 18 aprile 2018. Regolamenta la possibilità di pensione prevista dal comma 147 della legge 205/2017 (Bilancio 2018). Ora, si attendono i documenti di prassi dell’INPS.

Possono andare in pensione senza far scattare i cinque mesi di aspettative di vita i lavoratori dipendenti con un’anzianità contributiva di almeno 30 anni che svolgono da almeno sette anni nei dieci precedenti il pensionamento una delle 15 professioni gravose di cui all’allegato B della manovra, ovvero:

operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici;

conduttori di gru o di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni;

conciatori di pelli e di pellicce;

conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante;

conduttori di mezzi pesanti e camion;

personale delle professioni sanitarie infermieristiche ed ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni;

addetti all’assistenza personale di persone in condizioni di non autosufficienza;

insegnanti della scuola dell’infanzia e educatori degli asili nido;

facchini, addetti allo spostamento merci e assimilati;

personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia;

operatori ecologici e altri raccoglitori e separatori di rifiuti;

operai dell’agricoltura, della zootecnia e della pesca;

pescatori della pesca costiera, in acque interne, in alto mare, dipendenti o soci di cooperative;

lavoratori del settore siderurgico di prima e seconda fusione e lavoratori del vetro addetti a lavori ad alte temperature non già ricompresi nella normativa del decreto legislativo n. 67 del 2011 Q.

marittimi imbarcati a bordo e personale viaggiante dei trasporti.

Gli addetti a lavori usuranti previsti da dlgs 67/2011 (catena di montaggio, turni notturni, conducenti di veicoli pesanti), anche in questo caso con almeno 30 anni di contributi.

Attenzione: applicano invece i cinque mesi di aumento delle aspettative di vita coloro che decidono di utilizzare nel 2019 la pensione precoci per svolgimento di mansioni gravose.

La domanda si presenta all’INPS in via telematica, utilizzando apposito modello, insieme alla dichiarazione del datore di lavoro sui periodi di svolgimento delle professioni gravose, contratto collettivo applicato, livello di inquadramento attribuito, mansioni svolte, codice professionale ISTAT.

In mancanza delle comunicazioni obbligatorie del datore di lavoro e della dichiarazione di attività svolta, ad esempio per cessazione dell’attività, il lavoratore presenta una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà attestante i periodi di svolgimento delle professioni gravose, il contratto collettivo applicato, le mansioni svolte, il livello di inquadramento, il codice professionale ISTAT ove previsto. L’INPS trasmette la pratica all’Ispettorato nazionale del lavoro, che effettua le verifiche. La domanda viene comunque istruita se entro 30 giorni non ci sono rilievi da parte dell’INL.

La pratica rappresenta automaticamente domanda di pensionamento, che l’INPS concede previo accertamento della conformità delle dichiarazioni del lavoratore e del datore di lavoro, con i dati dei propri archivi.

Ribasso in vista, dal 2019, dei coefficienti per il calcolo dell’assegno previdenziale: con lo scatto dell’età pensionabile viene adeguato anche il coefficiente di trasformazione  sulla parte contributiva della pensione, per incamerare il fatto che, a parità di uscita dal lavoro, si percepirà l’assegno per più tempo. In soldoni l’assegno sarà di importo inferiore.

I nuovi moltiplicatori saranno applicati ai trattamenti previdenziale con decorrenza dal primo gennaio 2019 e sono individuati dal Decreto 15 maggio 2018 del Ministero del Lavoro (“Revisione triennale dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo”) pubblicato in Gazzetta Ufficiale, che in pratica stabilisce pensioni più basse a parità di età e contributi versati.

I nuovi coefficienti di trasformazione per il triennio 2019-2021 riguardano coloro che maturano i requisiti per la pensione nei tre anni indicati e non hanno effetto su chi è già pensione.

Il coefficiente di trasformazione del montante contributivo della pensione scenderà di una percentuale fra l’1 e il 2,5%. Il calcolo riguarda solo la parte contributiva della pensione, quindi penalizza maggiormente coloro che hanno l’assegno completamente calcolato con il metodo contributivo. I lavoratori che avevano già 18 anni di contributi alla fine del 1995 hanno la pensione calcolata con il retributivo fino alla fine del 2012, e solo per la parte maturata successivamente al primo gennaio 2012 il calcolo contributivo (sul quale incide quindi il coefficiente di trasformazione).

Il meccanismo prevede che il coefficiente salga con l’allungarsi della permanenza al lavoro, quindi favorisce chi va in pensione più tardi. Di fatto, quindi, per controbilanciare l’impatto della revisione sull’assegno previdenziale, conviene restare per più tempo al lavoro.

Coefficienti 2019-2021
57 anni: divisore 23,812 e coefficiente 4,2%
58 anni: divisore 23,236 e coefficiente 4,304%
59 anni: divisore 22,654 e coefficiente 4,414%
60 anni: divisore 22,067 e coefficiente 4,532%
61 anni: divisore 21,475 e coefficiente 4,657%
62 anni: divisore 20,878 e coefficiente 4,79%
63 anni: divisore 20,276 e coefficiente 4,932%
64 anni: divisore 19,672 e coefficiente 5,083%
65 anni: divisore 19,064 e coefficiente 5,245%
66 anni: divisore 18,455 e coefficiente 5,419%
67 anni: divisore 17,844 e coefficiente 5,604%
68 anni: divisore 17,231 e coefficiente 5,804%
69 anni: divisore 16,609 e coefficiente 6,021%
70 anni: divisore 15,982 e coefficiente 6,257%
71 anni: divisore 15,353 e coefficiente 6,513%

Questo innalzamento dei coefficienti va tenuto presente in particolare da coloro che maturano un diritto a pensione entro il 31 dicembre 2018: nel momento in cui si fermano di più al lavoro, rischiano di avere una pensione più bassa perché il coefficiente per calcolare l’assegno è più basso.




mercoledì 20 giugno 2018

Pensione: percorso e calcolo



Il criterio di calcolo della pensione varia a seconda dell'anzianità contributiva maturata dal lavoratore al 31 dicembre 1995. La pensione è calcolata con il sistema di calcolo contributivo per i lavoratori privi di anzianità al 31/12/1995 (e per coloro che esercitano la facoltà di opzione al sistema di calcolo contributivo). I sistemi retributivo e misto continuano a convivere per i soggetti iscritti al 31/12/1995.
Dal 1° gennaio 2012, anche ai lavoratori in possesso di un'anzianità contributiva di  almeno 18 anni al 31/12/1995 verrà applicato il sistema di calcolo contributivo sulla quota  di pensione corrispondente alle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1° gennaio 2012.

IL SISTEMA CONTRIBUTIVO
La pensione è calcolata esclusivamente con il sistema di calcolo contributivo per i lavoratori privi di anzianità contributiva al 1° gennaio 1996 e per i lavoratori che esercitano la facoltà di opzione al sistema di calcolo contributivo.

Per esercitare la facoltà di opzione è necessario che i lavoratori abbiano un'anzianità contributiva inferiore a 18 anni al 31/12/1995 e possano far valere, al momento dell'opzione, una anzianità contributiva di almeno 15 anni, di cui 5 successivi al 1995.
Tale facoltà non può essere esercitata da chi ha maturato un'anzianità contributiva  pari o superiore a 18 anni al 31/12/1995.

Ai fini del calcolo occorre:

individuare la retribuzione annua dei lavoratori dipendenti o i redditi conseguiti dai lavoratori autonomi o parasubordinati;

calcolare i contributi di ogni anno sulla base dell'aliquota di computo (33% per i dipendenti; 20% per gli autonomi; vigente anno per anno per gli iscritti alla gestione separata);

determinare il montante individuale che si ottiene sommando i contributi di ciascun anno opportunamente rivalutati sulla base del tasso annuo di capitalizzazione derivante dalla variazione media quinquennale del PIL (prodotto interno lordo) determinata dall'Istat;

applicare al montante contributivo il coefficiente di trasformazione, che varia in funzione dell'età del lavoratore, al momento della pensione, così come riportato nella tabella:

IL SISTEMA RETRIBUTIVO
Si applica alle anzianità contributive maturate fino al 31/12/2011 dai lavoratori con almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995.

Secondo tale sistema, la pensione è rapportata alla media delle retribuzioni (o redditi per i lavoratori autonomi) degli ultimi anni lavorativi.

Si basa su tre elementi:

l'anzianità contributiva, è data dal totale dei contributi fino ad un massimo di 40 anni che il lavoratore può far valere al momento del pensionamento e che risultano accreditati sul suo conto assicurativo, siano essi obbligatori, volontari, figurativi, riscattati o ricongiunti;

la retribuzione/reddito pensionabile, è data dalla media delle retribuzioni o redditi percepiti negli ultimi anni di attività lavorativa, opportunamente rivalutate sulla base degli indici Istat fissati ogni anno;

l'aliquota di rendimento, è pari al 2% annuo della retribuzione/reddito percepiti entro il limite (per le pensioni con decorrenza nel 2012 di 44.161 euro annui) per poi decrescere per fasce di importo superiore. Ciò vuol dire che se la retribuzione pensionabile non supera tale limite, con 35 anni di anzianità contributiva la pensione è pari al 70% della retribuzione, con 40 anni è pari all'80%.

L'importo della pensione con il sistema retributivo si compone di due quote:
Quota A determinata sulla base dell'anzianità contributiva maturata al 31 dicembre 1992 e sulla media delle retribuzioni  degli ultimi 5 anni, o meglio, delle 260 settimane di contribuzione immediatamente precedenti la data di pensionamento per i lavoratori dipendenti, e dei 10 anni (520 settimane di contribuzione) immediatamente precedenti la data di pensionamento per i lavoratori autonomi

Quota B determinata sulla base dell'anzianità contributiva maturata dal 1° gennaio 1993 alla data di decorrenza della pensione e sulla media delle retribuzioni/redditi degli ultimi 10 anni per i lavoratori dipendenti e degli ultimi 15 anni per gli autonomi.

IL SISTEMA MISTO

Si applica ai lavoratori con meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 e a decorrere dal 1° gennaio 2012 anche ai lavoratori  con un'anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni al 31 dicembre 1995.

Per i lavoratori con un'anzianità contributiva inferiore a 18 anni al 31/12/1995 la pensione viene calcolata in parte secondo il sistema retributivo, per l'anzianità maturata fino al 31 dicembre 1995, in parte con il sistema contributivo, per l'anzianità maturata dal 1° gennaio 1996.

Per i lavoratori con un'anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni al 31/12/1995  la pensione viene calcolata in parte secondo il sistema retributivo, per l'anzianità maturata fino al 31 dicembre 2011 secondo le modalità descritte  nel paragrafo relativo al sistema retributivo, e in parte con il sistema contributivo, per l'anzianità contributiva maturata dal 1° gennaio 2012.

Dovrebbe essere ampiamente noto che la pensione è frutto:
a) della contribuzione che il lavoratore versa autonomamente o tramite il suo datore di lavoro, al proprio ente previdenziale e
b) della cura prestata a raccogliere i contributi di primo pilastro integrandoli con quelli di secondo pilastro, scegliendo la tipologia del fondo pensione, i comparti più indicati in base alla propria fase professionale e, infine, la tipologia di rendita. Il primo punto risente del rischio di non avere un'occupazione stabile nel corso del proprio percorso professionale; il che rappresenta un problema solo in parte, purtroppo, rimediabile dal singolo lavoratore. Il secondo punto è nell'80% dei casi in capo al singolo lavoratore, che ha la responsabilità di costruire la propria rendita pensionistica attraverso una serie di decisioni. Innanzitutto scegliere di aderire e poi di farlo nella maniera più coerente con le proprie esigenze. La pensione “si costruisce”, non è qualcosa che “spetta”, che, cioè, ci cade in mano al raggiungimento dei requisiti.

Che, peraltro, negli ultimi anni sono quanto mai in movimento. Un bricolage previdenziale che si arricchisce, a partire dal 2018, di due elementi importati: l'anticipo pensionistico e la rendita integrativa temporanea anticipata. Ape e Rita, questi gli acronomi, sono di fatto due ammortizzatori sociali di natura privata, che i lavoratori devono imparare a conoscere, per poterli utilizzare al meglio: evitando distorsioni, forzature ed errori. Per fare questo occorre quella che si potrebbe chiamare un'«alfabetizzazione previdenziale», che renda comprensibile la materia. Questo fascicolo conta di fare la sua parte, per accompagnare per mano i singoli in questo articolato processo decisionale.

C’è uno nuovo strumento INPS online per calcolare la quota della pensione in base al proprio regime contributivo, che consente anche di effettuare simulazioni relative ad altri eventuali sistemi di calcolo (retributivo, misto): si tratta del servizio “Calcolo Quote di pensione“, per utilizzare il quale l’istituto di previdenza fornisce anche un apposito Manuale.

Il servizio Calcolo Quote di Pensione è accessibile dall’area riservata Servizi Online del sito INPS, che richiede autenticazione (ci vuole il PIN). Una volta effettuata la procedura di autenticazione, bisogna cliccare sul pulsante “Applicazioni” sotto la voce “Calcolo Quote pensione“. Bisogna inserire codice fiscale e data di decorrenza della pensione, quindi si sceglie “Attiva funzione“. A questo punto, si sceglie il regime pensionistico (contributivo, retributivo, misto, misto pro-rata), e compare un riepilogo della propria posizione.






sabato 2 giugno 2018

Srl semplificata, requisiti e costi





Considerate le interessanti opportunità di abbattimento delle barriere all'ingresso, con tutti i vantaggi che la normativa sulle S.r.l. semplificate prevede in termini di diminuzione dei costi e degli oneri notarili e camerali normalmente previsti per altre forme di società di capitali e/o di persone, appare estremamente allettante la possibilità di realizzare una società con questa peculiare forma giuridica.

La SRL semplificata è a tutti gli effetti è una soggetto giuridico al pari di una SRL che per la sua costituzione ci vorrà un capitale minimo da sottoscrivere simbolico e pari ad un euro e al rispetto di alcuni requisiti e comunque con capitale inferiore ai 9.999 euro che dovrà essere interamente sottoscritto e versato. Il capitale sociale dovrà essere formato solo di denaro non potendo prevedere anche conferimento in natura, d’opera o immobili o altro bene o servizio diverso.

La disciplina sulle Srl semplificata(società a responsabilità limitata a 1 euro) è stata perfezionata con il Decreto Lavoro 2013, che ha eliminato alcuni paletti di quella originaria del 2012 lasciando intatte tutte le agevolazioni in materia di minori costi di avvio e di statuto standard – integrabile ma inderogabile rispetto ai suoi tratti distintivi. Vediamo dunque come aprire una srl semplificata e quanto costa.

Requisiti per aprire una Srls
L’atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico e contenere i dati anagrafici e requisiti della società, indicati all’articolo 3 del Dl 1/2012convertito con la legge 27/2012, che ha introdotto l’articolo 2463-bis del Codice civile, modificato dal comma 13 dell’articolo 4 del decreto lavoro (Dl 76/2013):

La denominazione sociale contiene l’indicazione di società a responsabilità limitata.
Il capitale sociale è compreso fra uno e 9.999 euro, è sottoscritto e interamente versato alla data della costituzione. Il conferimento deve essere in denaro e versato all’organo amministrativo.  Vanno indicati gli amministratori (che, rispetto alla regola originaria, non devono più essere soci).

Adempimenti e costi
Non si paga. Per l’atto costitutivo, il notaio controlla i requisiti senza chiedere onorari ed entro 20 giorni deposita l’atto presso l’Ufficio del Registro Imprese tramite software ComUnica, senza spese per i diritti di segreteria e bollo.

Si paga. I costi dovuti sono il diritto annuale alla Camera di Commercio, l’imposta di registro, la denuncia inizio attività.

Un discorso a parte meritano i costi relativa alla tassa di concessione governativa per i libri sociali.

Per le Srls, infatti, c’è l’obbligo di contabilità ordinaria, nonché di deposito del bilancio di esercizio presso il registro imprese e di tenuta dei libri sociali.

E’ possibile modificare lo statuto per passare da Srl semplificata a ordinaria ma serve che l’atto costitutivo (o Statuto) risultante dalle modificazioni sia conforme alla disciplina del modello di destinazione e che siano rispettati i requisiti soggettivi dei soci. Per quanto riguarda in particolare il passaggio da Srl semplificata alla forma di Srl ordinaria, è necessario il contestuale aumento del capitale sociale ad almeno 10mila euro, con modalità analoghe a quanto avviene in caso di trasformazione di una srl (con capitale inferiore a euro 120.000) in SpA, senza che risulti necessario accertare il valore del patrimonio sociale mediante una relazione di stima. Quindi, non è necessaria la perizia di stima del patrimonio sociale che, invece, è per esempio richiesta nel caso di trasformazione di una società di persone in Srl. Questo perché in sostanza si rimane all’interno della disciplina della stessa tipologia societaria, la Srl.

Infine nel caso opposto, di passaggio da Srl ordinaria a Srls, è necessario ridurre il capitale sociale sotto i 10mila euro. Ne consegue che il passaggio può essere deliberato:

con efficacia immediata (salva l’iscrizione nel registro delle imprese) in caso di riduzione del capitale sociale per perdite, anche ai sensi dell’art. 2482-ter del codice civile;

con efficacia subordinata al decorso del termine di 90 giorni nel caso in cui la riduzione del capitale sociale avvenga in base all‘art 2482 del codice civile (rimborso ai soci).

Oltre alla stipula dell’atto costitutiva e all'apertura della partita Iva dovrete effettuare anche l’iscrizione nel Registro delle imprese che nei casi di una SRL ordinaria saranno soggetti al pagamento di imposte di bollo e diritti di segreterie mentre in questi casi saranno esenti e non so se l’ho scritto prima ma anche gli onorari del Notaio dovranno essere pari a zero se non limitatamente al versamento dell’imposta di registro.



venerdì 18 maggio 2018

Assegni familiari, nuovi importi e limiti di reddito



Dal primo luglio 2018 cambiano i livelli di reddito ai fini della corresponsione dell'assegno per il nucleo familiare e l'Inps ha pubblicato le nuove tabelle contenenti i nuovi livelli di reddito, nonché i corrispondenti importi mensili della prestazione, da applicare per il periodo intercorrente tra il 1° luglio 2018 ed il 30 giugno 2019.

Con la Circolare Inps n. 68/2018, l'ente di previdenza ha adeguato i redditi per il conseguimento degli ANF all'incremento dell’inflazione. Si tratta di un adeguamento che viene effettuato annualmente, come disposto per legge (la n. 153/88), la quale stabilisce che i livelli di reddito familiare ai fini della corresponsione dell’assegno per il nucleo familiare vengano rivalutati annualmente, con effetto dal 1° luglio di ciascun anno, in misura pari alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, calcolato dall’ISTAT, intervenuta tra l’anno di riferimento dei redditi per la corresponsione dell’assegno e l’anno immediatamente precedente.

Stabilite le nuove soglie di reddito per richiedere l'assegno familiare, il contributo economico destinato alle famiglie di alcune categorie di lavoratori aventi un reddito complessivo al di sotto dei limiti stabiliti annualmente dalla legge. "Dal 1° gennaio 2018 - spiega l'Inps in una nota - sono stati rivalutati sia i limiti di reddito familiare ai fini della cessazione o riduzione della corresponsione degli assegni familiari e delle quote di maggiorazione di pensione, sia i limiti di reddito mensili per l'accertamento del carico ai fini dei diritto agli assegni stessi".

Per quanto riguarda i limiti di reddito mensili, gli importi da considerare ai fini del riconoscimento del diritto agli assegni familiari risultano così fissati per tutto l'anno 2018: 714,62 euro per il coniuge, per un genitore, per ciascun figlio od equiparato; 1250,58 euro per due genitori ed equiparati. "I nuovi limiti di reddito - ricorda l'Istituto - valgono anche in caso di richiesta di assegni familiari per fratelli, sorelle e nipoti". Entrando nel concreto, nel 2018 il limite reddituale minimo nei nuclei familiari con entrambi i genitori e almeno un figlio minore in cui non siano presenti componenti inabili, sale a 14.541,59 euro, per 137,5 euro mensili in presenza di un figlio minore. L’importo come è noto aumenta al crescere della numerosità del nucleo familiare o in presenza di un soggetto inabile.

In merito ai limiti di reddito familiare, invece, l'Inps invita a consultare le nuove tabelle pubblicate sul sito e calcolate in base al tasso d'inflazione programmato per il 2017, pari allo 0,9%. Le nuove disposizioni vengono applicate ai soggetti esclusi dalla normativa sull'assegno per il nucleo familiare, ovvero: i coltivatori diretti, coloni, mezzadri e piccoli coltivatori diretti e i pensionati delle gestioni speciali per i lavoratori autonomi.

Ammonta a 141,30 euro nel 2017 l'importo dell'assegno al nucleo familiare (ANF) riconosciuto dall'Inps alle famiglie dei lavoratori dipendenti o dei pensionati da lavoro dipendente. Si tratta di un sostegno economico che viene corrisposto a nuclei familiari composti da più persone e con un reddito complessivo inferiore a quello determinato ogni anno dalla legge. Per le domande relative a quest'anno, il valore dell'indicatore della situazione economica equivalente è pari a 8.555,99 euro.

L'assegno al nucleo familiare spetta a: lavoratori dipendenti; lavoratori dipendenti agricoli; lavoratori domestici; lavoratori iscritti alla gestione separata; titolari di pensione a carico del Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti, dei fondi speciali ed ex ENPALS; titolari di prestazioni previdenziali; lavoratori in altre situazioni di pagamento diretto.

Gli ANF spettano per nucleo familiare che può essere composto da: il richiedente lavoratore o il titolare della pensione; il coniuge che non sia legalmente ed effettivamente separato, anche se non convivente, o che non abbia abbandonato la famiglia. Gli stranieri residenti in Italia, poligami nel loro paese, possono includere nel proprio nucleo familiare solo la prima moglie, se residente in Italia; i figli ed equiparati di età inferiore a 18 anni, conviventi o meno; i figli ed equiparati maggiorenni inabili, purché non coniugati, previa autorizzazione.

Il nucleo familiare può inoltre essere composto da: i figli ed equiparati, studenti o apprendisti, di età superiore ai 18 anni e inferiore ai 21 anni, purché facenti parte di 'nuclei numerosi', cioè nuclei familiari con almeno quattro figli tutti di età inferiore ai 26 anni, previa autorizzazione; i fratelli, le sorelle del richiedente e i nipoti (collaterali o in linea retta non a carico dell'ascendente), minori o maggiorenni inabili, solo se sono orfani di entrambi i genitori, non hanno conseguito il diritto alla pensione ai superstiti e non sono coniugati, previa autorizzazione; i nipoti in linea retta di età inferiore a 18 anni e viventi a carico dell'ascendente, previa autorizzazione.

Se il richiedente svolge attività lavorativa dipendente, la domanda va presentata al proprio datore di lavoro utilizzando il modello ANF/DIP (SR16). In tal caso, il datore di lavoro deve corrispondere l'assegno per il periodo di lavoro prestato alle proprie dipendenze, anche se la richiesta è stata inoltrata dopo la risoluzione del rapporto, nel termine di prescrizione di cinque anni.

Nei casi di inclusione di componenti nel nucleo familiare (es. genitori separati, componenti maggiorenni inabili, etc.) o ai fini dell'aumento dei limiti reddituali (es. componente minorenne inabile) è necessario allegare al Mod. ANF/DIP l’Autorizzazione ANF precedentemente richiesta all'INPS.

Se il richiedente è addetto ai servizi domestici, operaio agricolo dipendente a tempo determinato, lavoratore iscritto alla gestione separata o ha diritto agli assegni come beneficiario di altre prestazioni previdenziali, la domanda va presentata online all'INPS attraverso il servizio dedicato.

In alternativa, si può fare la domanda tramite: Contact center al numero 803 164 (gratuito da rete fissa) oppure 06 164 164 da rete mobile; enti di patronato e intermediari dell'Istituto, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.

La domanda va presentata per ogni anno a cui si ha diritto. Qualsiasi variazione intervenuta nel reddito e/o nella composizione del nucleo familiare, durante il periodo di richiesta dell'ANF, deve essere comunicata entro 30 giorni.

Il diritto decorre dal primo giorno del periodo di paga o di pagamento della prestazione previdenziale, nel corso del quale si verificano le condizioni prescritte per il riconoscimento del diritto (ad esempio celebrazione del matrimonio, nascita di figli). La cessazione avviene alla fine del periodo in corso o alla data in cui le condizioni stesse vengono a mancare; ad esempio, nel caso di separazione legale dal coniuge decade per l'ex coniuge, mentre, resta valido per i figli affidati; o nel caso di raggiungimento della maggiore età del figlio non inabile a proficuo lavoro.


mercoledì 21 febbraio 2018

APE aziendale: requisiti, accordo e la domanda



L’APE aziendale presenta vantaggi per imprese e lavoratori. Per i datori di lavoro può essere valutata come soluzione per favorire il ricambio generazionale del proprio organico. Per i lavoratori il vantaggio consiste nella possibilità di beneficiare di un incremento del montante contributivo, con conseguente aumento dell’importo della pensione. L’APE aziendale consente un accordo individuale fra impresa e lavoratore per l’anticipo pensionistico a carico dell’azienda. I requisiti del lavoratore sono gli stessi: 63 anni di età, 20 anni di contributi, un assegno pari a 1,4 volte il minimo, al massimo tre anni e sette mesi dalla pensione di vecchiaia.

L’APe aziendale si può applicare anche a un lavoratore in aspettativa oppure assente a motivo di un evento tutelato. Se un lavoratore ha diversi rapporti part-time, può stipulare un accordo di APe aziendale con una sola delle imprese per cui lavora. In questo caso, l’accredito contributivo viene calcolato in base alla retribuzione delle ultime 52 settimane utili per la misura.

L’APe aziendale è previsto dalla legge n. 232 del 2016, che ha introdotto le tre forme di anticipo pensionistico, secondo cui i datori di lavoro privati, gli enti bilaterali o i fondi di solidarietà possono: previo accordo individuale con il lavoratore, incrementare il montante contributivo individuale maturato da quest’ultimo, versando all’INPS in un’unica soluzione, alla scadenza prevista per il pagamento dei contributi del mese di erogazione della prima mensilità dell’APE, un contributo non inferiore, per ciascun anno o frazione di anno di anticipo rispetto alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia, all’importo determinato ai sensi dell’articolo 7 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184.

L’accordo prevede dunque che il lavoratore smetta di lavorare mentre l’impresa continua a versargli i contributi. In questo modo, il suo montante contributivo cresce anche dopo la fine del rapporto di lavoro, incrementando la pensione e assorbendo, almeno in parte, il peso delle rate.

I contributi versati dal datore di lavoro non possono essere inferiori a quelli dovuti in base alla retribuzione dell’ultimo anno (l’accordo può invece prevedere condizioni migliorative). Se sono presenti periodi non lavorati, ovvero accrediti figurativi, sarà necessario procedere a ritroso fino a ricostruire 52 settimane di lavoro retribuito. I periodi coperti da indennità sostitutiva di preavviso si intendono di lavoro effettivo.

L’importo viene versato dall’azienda in un’unica soluzione, alla scadenza del pagamento dei contributi relativi alla prima mensilità di APE.

Esempio: se la prima mensilità APE viene erogata a marzo 2018, l’adempimento del datore di lavoro o di altro soggetto obbligato dovrà avvenire entro il 16 aprile 2018.

La procedura
Il versamento viene effettuato con F24 ELIDE, utilizzando la causale dedicata APEV introdotta con Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 155/2017. Nella sezione “contribuente” si indicano il codice fiscale e i dati anagrafici del soggetto che effettua il versamento, nella sezione “erario ed altro” si inseriscono nel campo “tipo” la lettera “I” (INPS), nel campo “elementi identificativi” il codice fiscale del lavoratore a cui il versamento è riferito, nel campo “codice” la causale APEV, nel campo “anno di riferimento” l’anno dell’adempimento nel formato “AAAA“.

L’APE
La cifra che l’azienda versa a titolo di incremento del montante contributivo aumenta la pensione di vecchiaia che verrà maturata, non quella che si prende come riferimento per il calcolo dell’APE. In altri termini: per calcolare l’importo dell’anticipo pensionistico, si considera la pensione maturata dal lavoratore nel momento in cui effettua la domanda.

Il rimborso
Il trattamento che il lavoratore percepisce fino alla maturazione della pensione è del tutto analogo all’APe, quindi è un anticipo che poi va restituito con rate ventennali sulla pensione. Il montante contributivo, però aumenta, grazie al versamento dell’azienda, e quindi la pensione si alza. In questo modo, di fatto, il costo dell’APe ricade sull’azienda.

Datori di lavoro ammessi
L’APe aziendale è accessibile a tutti i datori di lavoro, a prescindere dalla natura giuridica e dalla gestione INPS alla quale vengono versati i contributi. Sono compresi anche i datori di lavori agricoli, e coloro che non sono costituiti in forma di impresa.

Non si applica alle pubbliche amministrazioni, mentre è riconosciuto agli enti pubblici economici elencati nella circolare INPS 178/2015, ovvero: enti pubblici economici, istituti autonomi case popolari trasformati in base alle diverse leggi regionali in enti pubblici economici, enti privatizzati che si sono trasformati in società di persone o società di capitali anche se a capitale interamente pubblico, ex IPAB trasformate in associazioni o fondazioni di diritto privato, aziende speciali costituite anche in consorzio, ai sensi degli articoli 31 e 114 del decreto legislativo 267/2000, consorzi di bonifica, consorzi industriali, enti morali, enti ecclesiastici.

Per l’accesso all’APE aziendale è sempre necessario l’accordo azienda-lavoratore. Nel caso in cui la prestazione venga pagata dai fondi di solidarietà, ci deve essere specifico adeguamento previsto dai relativi accordi o contratti collettivi e dei relativi decreti interministeriali che regolano la prestazione del fondo.

Gli unici enti bilaterali che presentano profili di compatibilità con l’APE aziendale sono quelli per la formazione e le Casse Edili, regolamentati ai sensi del decreto legislativo 276/2003. In ogni caso, il soggetto che paga la prestazione deve essere un solo. Non si può quindi prevedere che in parte il pagamento della cifra relativa al montante retributivo sia pagata in parte dal datore di lavoro e in parte da un ente bilaterale o da un fondo di solidarietà.

L’accordo
L’accordo individuale va inserito nella domanda di APE e contiene i seguenti elementi:

dati identificativi completi del lavoratore e del datore di lavoro (ovvero dell’ente bilaterale), comprensivi dei rispettivi codici fiscali;

importo dell’incremento del montante contributivo;

periodo assicurativo di riferimento per il calcolo del predetto montante (data inizio e data fine);
periodo previsto di fruizione dell’APE;

assunzione, da parte del datore di lavoro (ovvero dell’ente bilaterale), dell’obbligazione irrevocabile di versamento del predetto incremento del montante contributivo entro la scadenza di pagamento dei contributi relativi al periodo di paga del mese di erogazione della prima mensilità dell’APE.

Gli stessi elementi devono essere presenti nel provvedimento di concessione della prestazione se l’APe aziendale viene finanziato dal fondo di solidarietà.

In caso di inadempimento del datore di lavoro o dell’ente obbligato al pagamento della prestazione, si applica la disciplina sanzionatoria prevista per la contribuzione obbligatoria.

Quindi in sostanza l’Ape aziendale è accordo, di contratto stipulato e concordato della modalità per poter andare in pensione anticipata tra il lavoratore e l’azienda stessa. Tuttavia la prerogativa principale, che farà scattare questo ‘provvedimento’ da parte dell’azienda, è un piano di ristrutturazione aziendale. Ossia, se si deve rivedere il personale, le mansioni richieste e le eventuali figure necessarie: quelle più fondamentali e quelle più superflue. L’azienda, o usufruisce dei cosiddetti fondi bilaterali; oppure versa all’Inps dei contributi (garantiti dalla stipula di una fideiussione bancaria) proporzionati allo stipendio percepito dal dipendente. Di solito è pari al 33% dell’imponibile delle ultime 52 settimane di lavoro.



mercoledì 14 febbraio 2018

Pensioni: al via il simulatore INPS per l'Ape volontaria



Il nuovo portale dell'INPS, mette al centro l'utente consentendogli di trovare con maggiore velocità e semplicità le informazioni ricercate. I contenuti, inoltre, possono essere salvati nell'area personalizzata "MyInps" che offre ulteriori strumenti per arricchire l'esperienza degli utenti.

Più immediato anche l'accesso ai servizi Inps, possibile direttamente dalla scheda delle relative prestazioni, unitamente ai moduli necessari per presentare le necessarie domande.

Social, capace di adattarsi ad ogni dispositivo tecnologico e al passo con i tempi, a partire dalla veste grafica più moderna, il portale consente di visualizzare infatti direttamente in homepage gli strumenti di ricerca avanzata, sulla base dei principali temi e categorie che interessano gli utenti.

Ad annunciare ufficialmente la partenza dell’Anticipo pensionistico volontario, dopo un anno di gestazione faticosa, sarà il presidente dell’Istituto nazionale per la previdenza sociale Tito Boeri.

La misura è rivolta in particolare ai lavoratori che hanno già raggiunto i 63 anni di età e almeno 20 anni di anzianità contributiva maturati fin dal 1° maggio 2017, ed è un "prestito finanziario con garanzia pensionistica" che consentirà a chi avrà almeno 63 anni nel 2018 (o almeno 63 anni e 5 mesi nel 2019) di uscire in anticipo dal lavoro. Per verificare la propria posizione personale ogni lavoratore potrà collegarsi sul sito dell’Inps e accedere al simulatore online che sarà presentato nei dettagli da Boeri martedì prossimo. Bisogna sapere che più si anticipa l’uscita dal lavoro maggiori saranno le rate del prestito da restituire in 20 anni e da sottrarre dunque alla pensione di vecchiaia.

L'APe volontaria 2018 è una nuova misura sperimentale, in vigore in Italia dal 1° maggio 2017 al 31 dicembre 2018, inserita nella Legge di Bilancio al fine di garantire la pensione anticipata a diverse categorie di lavoratori.

In pratica, l'Ape volontaria si fonda sulla possibilità di andare in pensione in anticipo rispetto ai requisiti ordinari della pensione di vecchiaia, grazie ad un prestito garantito dalla futura pensione.

Ciò significa che chi è in possesso dei requisiti Ape volontaria, può lasciare il lavoro in anticipo solo se tramite l'INPS, richiede un prestito alla banca, a copertura di tutto il periodo che intercorre tra l'Ape e l'erogazione della pensione vera e propria.

L'Ape volontaria funziona così:

Il soggetto in possesso dei requisiti ape volontaria, fa domanda all'Inps;

L'Inps, richiede alla banca o all'impresa assicurativa, scelti tra quelli che aderiscono agli accordi stipulati tra Mef, Ministero del Lavoro, ABI e Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici e le altre imprese assicurative primarie, l'erogazione del prestito Ape volontaria.

Una volta erogate le somme, il prestito Ape va restituito in 260 rate in 20 anni attraverso una trattenuta operata dall'INPS sull'assegno pensionistico, inclusa la tredicesima.

La restituzione del prestito parte, invece, dal primo pagamento della pensione di vecchiaia e termina dopo 20 anni dal pensionamento.

Terminato il prestito, la pensione di vecchiaia è pagata per intero senza subire riduzioni e penalizzazioni APE.

Prevista anche la possibilità di estinzione anticipata del prestito Ape, secondo le modalità fissate dal successivo decreto.

Il prestito APe, è coperto da una polizza assicurativa obbligatoria per il rischio di morte che possa coprire il finanziamento in caso di decesso prematuro dell’interessato.

Il prestito ha una durata minima di 6 mesi.

L'importo minimo (150 euro al mese) e massimo del prestito APe volontaria, è deciso dal decreto ma le somme erogate, non concorrono alla formazione del reddito ai fini IRPEF ma si applicano:

tasso di interesse, e polizza assicurativa sul rischio di premorienza. Sia per gli interessi applicati al finanziamento che alla polizza assicurativa, è riconosciuto un credito di imposta fino al 50% dell’importo.

Il prestito si restituisce in 20 anni con una decurtazione della pensione: le rate sono mensili (nel complesso 240) ed è esclusa la tredicesima che quindi non ha la decurtazione. Per ottenere il prestito la rata di ammortamento mensile, sommata ad eventuali rate per prestiti ancora aperti, non deve superare il 30% del trattamento pensionistico (al netto di eventuali rate per debiti erariali e di eventuali assegni divorzili o di mantenimento dei figli).

La domanda all'INPS con Spid: si sceglie l'istituto finanziatore del prestito e l'assicurazione che farà un contratto contro il rischio di premorienza e si fa domanda di Ape contestualmente alla richiesta per la pensione di vecchiaia. Nella domanda il lavoratore indicherà la quota di Ape chiesta e se vorrà o meno accedere al finanziamento supplementare per avere l'Ape fino all'effettiva età di pensionamento qualora nella fase di erogazione del prestito intervenga l'adeguamento dei requisiti pensionistici. La domanda viene trasmessa all'ente finanziatore che può rigettarla.







domenica 14 gennaio 2018

Pensioni 2018 di integrazione al minimo



L'integrazione al trattamento minimo scatta quando il pensionato con i suoi contributi avrebbe diritto ad un importo pensionistico inferiore al minimo di sopravvivenza stabilito dalla legge.

Con la fine della stagnazione che ha caratterizzato gli ultimi anni l’indicizzazione torna a far salire le pensioni 2018, e fra le conseguenze, oltre agli assegni più alti per coloro che percepiscono l’assegno previdenziale c’è anche l’innalzamento della soglia sotto la quale scatta il diritto all’integrazione al minimo. Si tratta del trattamento riconosciuto ai pensionati che hanno un reddito inferiore alla pensione minima. Quest’anno la pensione minima, per effetto dell’adeguamento all’inflazione, sale a 507,46 euro, e di conseguenza diventa questa la cifra di riferimento per il diritto all’integrazione al minimo.

Il trattamento minimo è un’integrazione che lo Stato, tramite l’INPS, corrisponde al pensionato quando la pensione, derivante dal calcolo dei contributi versati, è di importo molto basso, al di sotto di quello che viene considerato il “minimo vitale”. In tal caso l’importo della pensione spettante viene aumentato (“integrato”) fino a raggiungere una cifra stabilita di anno in anno dalla legge. Il trattamento minimo per l'anno 2018 è fissato in 507,46 euro. Per cui le prestazioni a carattere previdenziale al di sotto di tale soglia possono essere oggetto di una integrazione al minimo. L’anno scorso avevano diritto all’integrazione al minimo i trattamenti inferiori a 501,89 euro, quest’anno invece il diritto scatta sotto quota 507,46 euro, pari a 6mila 596,46 euro all’anno. Questa è la soglia per ottenere l’integrazione piena (pari alla pensione minima), mentre l’importo scende a mano a mano che sale il reddito, fino ad esaurirsi a quota 13mila 192,92 euro (1014,84 euro al mese). Il riferimento è la legge 463/1983, che all’articolo 6 prevede i tetti sopra i quali non si ha più diritto all’integrazione al minimo. La norma differenzia fra pensionati coniugati e non coniugati.

I Requisiti. Per ottenere l'integrazione al minimo il soggetto deve soddisfare determinati requisiti di reddito in quanto non tutte le prestazioni al di sotto della soglia limite possono essere integrate. Vediamoli.

Pensionati non coniugati: prendono l’integrazione piena se hanno un reddito fino a 6mila 596,46 euro all’anno. Se invece hanno un reddito compreso fra 6mila 596,46 e 13mila 192,92 euro, devono fare la differenza fra il tetto massimo e il reddito. Esempio: pensione di 11mila euro. Il calcolo: 13mila 192,92 euro – 11mila = 2mila 192,2. Dividendo per 13 mensilità, si ottiene un’integrazione intorno ai 168 euro al mese.

Pensionati coniugati: i redditi propri (quindi del singolo pensionati che chiede l’integrazione) devono rispettare i paletti sopra descritti. E quelli della coppia non posso essere superiori a 26mila 385,84 euro. Bisogna fare lo stesso calcolo sopra descritto, e poi effettuare la stessa operazione con il reddito della coppia (da sottrarre al reddito massimo consentito per la coppia). L’integrazione sarà pari al più basso fra i due risultati. Esempio reddito del sinolo pari a 11mila euro, reddito della coppia pari a 20mila euro. Il calcolo per il singolo è lo stesso sopra descritto (integrazione spettante 2mila 192,2 euro). Il calcolo sul reddito della coppia è il seguente: 26mila 385,84 – 20mila = 6mila 385,84. L’integrazione è pari alla cifra più bassa, quindi a 2mila 192,2 euro.

Il paletto relativo al reddito coniugale si applica solo alle pensioni con decorrenza posteriore al 1994. Per quelle precedenti, il reddito del coniuge è irrilevante.  Dal calcolo dei redditi si escludono i trattamenti di fine rapporto, la casa di abitazione, le competenze arretrate sottoposte a tassazione separata, tutti i redditi non soggetti a IRPEF, e il reddito rappresentato dalla pensione da integrare.

L'integrazione al minimo è, pertanto, strettamente legata ai redditi del pensionato e della coppia. Ai fini della valutazione dei redditi bisogna considerare sia quelli personali che quelli del coniuge non legalmente ed effettivamente separato, con la sola eccezione: dei redditi esenti da Irpef (pensioni di guerra, rendite Inail, pensioni degli invalidi civili, i trattamenti di famiglia, Trattamento di fine rapporto, eccetera), della pensione da integrare al minimo, del reddito della casa di abitazione; gli arretrati soggetti a tassazione separata. Qualsiasi altro reddito entra nella valutazione.




venerdì 22 dicembre 2017

250 euro a chi non può lavorare: i requisiti per ottenerlo e come si presenta la domanda



L’assegno viene erogato mensilmente insieme alla rendita che viene rivalutata annualmente, con decreto del ministero del Lavoro, sulla base della variazione effettiva dei prezzi al consumo.

Per richiedere l’assegno di incollocabilità è necessario essere in possesso di una serie di requisiti. Il primo consiste nell’età, che non deve superare i 65 anni. Il grado di inabilità non può essere inferiore al 34%, riconosciuto dall’INAIL per infortuni sul lavoro verificatesi o malattie professionali denunciate fino al 31 dicembre 2006. Inoltre, il grado di menomazione dell’integrità psicofisica/danno biologico deve essere superiore al 20.

Per ciò che riguarda il risarcimento danni per infortuni senza vigilanza, la domanda va presentata alla sede INAIL di competenza, insieme alla descrizione dell’invalidità (lavorativa ed extralavorativa, se esistente), oltre che ai dati anagrafici e alla fotocopia del documento di identità. In caso di invalidità extralavorativa, dovrà essere presentata la relativa certificazione. La domanda può essere presentata al lo sportello della sede competente, via posta ordinaria, via Pec oppure avvalendosi dell’assistenza di un patronato.

Ammonta a 256,39 euro l’assegno per infortunio in itinere e incollocabilità previsto dall’INAIL in favore degli invalidi per infortunio o malattia professionale che si trovano nell’impossibilità di fruire dell’assunzione obbligatoria. L’importo mensile dell’assegno di incollocabilità è stato confermato dall’Istituto, a decorrere dal 1° luglio 2017, nella misura di euro 256,39, con la circolare n. 40/2017. Si tratta di un assegno erogato mensilmente insieme alla rendita che viene rivalutato annualmente, con apposito decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, sulla base della variazione effettiva dei prezzi al consumo.

L’assegno di incollocabilità è una prestazione assistenziale erogata dall’INAIL ai soggetti impossibilitati a collocarsi in qualsiasi settore lavorativo: esente da IRPEF, è concesso mensilmente agli invalidi del lavoro in seguito a certificazione del centro di medicina legale della sede competente.

Requisiti assegno incollocabilità

età non superiore a 65 anni;

impossibilità di collocamento in qualsiasi settore lavorativo (riconosciuta dagli organismi competenti);

inabilità per infortuni sul lavoro o malattie professionali non inferiore al 34% riconosciuta dall’INAIL secondo le tabelle allegate al DPR 1124/1965 per eventi fino al 31 dicembre 2006;

menomazione dell’integrità psicofisica-danno biologico superiore al 20% secondo le tabelle allegate al DLgs 38/2000 per eventi dal 1 gennaio 2007.

Domanda
Per ottenere l’assegno occorre presentare domanda alla sede INAIL di appartenenza, indicando dati anagrafici del richiedente e descrizione dell’invalidità lavorativa o extra-lavorativa, allegando fotocopia del documento identità ed eventuale certificazione di invalidità extra-lavorativa. Una volta che l’INAIL accerta la sussistenza dei requisiti, il centro medico legale della sede competente verifica con apposita visita medica i requisiti sanitari prescritti dalla legge. In caso di esito positivo, comunica all’interessato l’erogazione dell’assegno di incollocabilità. In caso negativo, gli specifica le motivazioni del rigetto.

Pagamento
L’assegno – importo pari ad euro 256,39 – iene erogato nel mese successivo alla presentazione della richiesta e dura fino ai 65 anni di età, a patto che nel frattempo non si siano verificate variazioni nella condizione di incollocabilità. Viene pagato con:

accredito su conto corrente bancario o postale, libretto di deposito nominativo bancario o postale;

carta prepagata dotata di IBAN;

istituti convenzionati con l’INPS per i soggetti titolari di rendita che riscuotono all’estero;

sportello postale o bancario, per importi inferiori alla soglia del contante.

Per richiedere l’assegno di incollocabilità è necessario essere in possesso dei seguenti requisiti:

età non superiore ai 65 anni;

grado di inabilità non inferiore al 34%, riconosciuto dall’INAIL secondo le tabelle allegate al Testo Unico (d.p.r. 1124/1965) per infortuni sul lavoro verificatesi o malattie professionali denunciate fino al 31 dicembre 2006;

grado di menomazione dell’integrità psicofisica/danno biologico superiore al 20%, riconosciuto secondo le tabelle di cui al d.m. 12 luglio 2000 per gli infortuni verificatisi e per le malattie professionali denunciate a decorrere dal 1° gennaio 2007.

La domanda va presentata alla sede INAIL di competenza completa della descrizione dell’invalidità (lavorativa ed extralavorativa, se esistente),  oltre che dei dati anagrafici e della fotocopia del documento di identità. In caso di invalidità extralavorativa, dovrà essere presentata la relativa certificazione. La domanda può essere presentata:

presso lo sportello della Sede competente

via posta ordinaria

via PEC;

avvalendosi dell’assistenza di un patronato.



venerdì 20 ottobre 2017

APe sociale e volontaria domande e requisiti



L'Ape Sociale è un’indennità garantita dallo Stato ed erogata dall’INPS ai lavoratori in stato di bisogno che chiedano di andare in pensione in anticipata. Ricordiamo innanzitutto le regole di base dell’anticipo pensionistico APE: lo possono utilizzare dipendenti pubblici e privati e lavoratori autonomi con 63 anni di età a cui mancano tre anni e sette mesi per il raggiungimento della pensione di vecchiaia, con almeno 20 anni di contributi.

L’APe volontaria è utilizzabile da tutte le categorie di lavoratori con 63 anni di età, 20 anni di contributi, al massimo 3 anni e sette mesi alla pensione di vecchiaia, e con un assegno pari ad almeno 1,4 volte il minimo, mentre l’APe sociale è riservato a quattro specifiche tipologie di lavoratori, ovvero:

disoccupati per licenziamento, dimissioni per giusta causa, o procedure di conciliazione ex legge 604/1996 (articolo 7), che abbiamo terminato il sussidio spettante da almeno tre mesi;

caregiver che assistono da almeno sei mesi coniuge, partner in unione civile, o parente di primo grado convivente con handicap grave;

lavoratore disabile almeno al 74%;

addetto a mansioni usuranti.

Come è noto, la fondamentale differenza fra i due trattamenti è che l’APe volontaria è un anticipo pensionistico, finanziato dal sistema bancario, che poi viene restituito con al pensione (pagando rate per 20anni), mentre l’APe sociale è un’indennità pagata interamente dallo Stato. Altro punto importante da sottolineare: l’APe volontario è compatibile con il proseguimento dell‘attività lavorativa, mentre per l’accesso all’Ape sociale bisogna interrompere l’attività lavorativa. E’ possibile sommare solo redditi da lavoro dipendente fino a 8mila euro annui, o da lavoro autonomo fino a 4mila 800 euro annui.

Per quanto riguarda l’APe sociale, sono 25mila 895 le domande rigettate (il 64,89%) e 13mila 601 quelle accolte.

Per quanto riguarda la pensione precoci le domande respinte sono state 18mila 411 domande, ossia ben il 70,13% delle 26mila 251 presentate.

Dunque, anche se venissero riammesse tutte le domande su cui è ripresa l’istruttoria, continuerebbero a essere ampiamente maggioritarie le richieste da parte di lavoratori ai quali in realtà non è stato certificato il requisito.

Questo significa due cose:

tutti coloro che hanno presentato domanda entro il 15 luglio e hanno avuto al certificazione dei requisiti accedono all’APe sociale nel 2017, non si pone il problema dell’esaurimento delle risorse disponibili che avrebbe provocato uno slittamento al 2018;

l’INPS prenderà in considerazione anche le domande presentate dopo il 15 luglio 2017, perché la norma prevede la possibilità di esaminare queste richieste nel caso in cui quelle arrivate nei tempi previsti non esauriscano le risorse. Attenzione: la scadenza non è lontanissima, è il 30 novembre.
Mentre il requisito dei tre anni e sette mesi dalla pensione di vecchiaia, necessario per avere diritto all’APe Volontaria, si riferisce al solo momento in cui viene presentata la domanda: gli eventuali adeguamenti alle aspettative di vita su scelta iniziale del lavoratore possono estendere la durata del prestito con ricalcolo del trattamento e relativa rata di ammortamento.

I requisiti fondamentali per ottenere l’APe volontaria sono 63 anni di età, 20 anni di contributi, una assegno maturato nel momento in cui si richiede l’anticipo pensionistico pari ad almeno 1,4 volte il minimo, e al massimo tre anni e sette mesi dalla pensione di vecchiaia. La legge ha chiarito che il requisito anagrafico che consente la maturazione del  diritto alla pensione di vecchiaia entro 3 anni e 7 mesi dalla data di domanda di APE tiene conto dell’adeguamento agli incrementi della speranza di vita dei requisiti di accesso al sistema pensionistico.

Significa che nel momento in cui si chiede l’accesso all’APe non possono mancare più di tre anni e sette mesi all’età per la pensione e si tiene conto degli adeguamenti alle aspettative di vita scattati fino al momento in cui si chiede l’APe, ma (par di capire) non di quelli che eventualmente sono previsti in periodi successivi. Esempio: richiesta di APe volontaria nel novembre 2017. I tre anni e sette mesi si calcolano in base al requisito per la pensione di vecchiaia relativo al 2017, quindi:

65 anni e sette mesi per le lavoratrici dipendenti;

66 anni e 1 mese per le lavoratrici autonome;

66 anni e sette mesi per i lavoratori dipendenti e autonomi.

In pratica, tutti coloro che hanno 63 anni soddisfano il requisito. Nei prossimi anni, però scatteranno innalzamenti dell’età pensionabile e adeguamenti alle aspettative di vita.

Il lavoratore che chiede l’APe volontaria può scegliere, nel momento in cui presenta la domanda, come comportarsi in relazione ai futuri scatti di adeguamento alle aspettative di vita. Se decide di rideterminare il beneficio, aggiungendo quindi i mesi in più che sono scattati, l’INPS farà i relativi calcoli, basandosi sugli accordi quadro con banche e assicurazioni che regolamentano la concessione del finanziamento e dell’assicurazione sul prestito. Si tratta degli accordi che vanno siglati entro 30 giorni dal decreto attuativo appena entrato in vigore: quello con le banche determina le regole di concessione del prestito, l’APe viene versato al lavoratore dall’INPS, ma è finanziato dalle banche.

Attenzione: il finanziamento supplementare è già incluso nelle valutazioni svolte dalla banca dopo la domanda di APe ai fini dell’accertamento delle cause di mancata accettazione della proposta di finanziamento e di conseguenza è previsto originariamente nel contratto di finanziamento, senza alcuna successiva verifica da parte dell’istituto finanziatore al momento dell’adeguamento.

Per quanto riguarda il lavoratore, la regola comporta che nel momento in cui scatta l’innalzamento delle aspettative di vita, si allunga il periodo di APe volontaria, e si ricalcola di conseguenza l’importo del beneficio, e quello delle rate ventennali di restituzione (che come è noto saranno applicate sulla pensione vera e propria).

Nell’ipotesi in cui invece il lavoratore, nel momento in cui chiede l’APE, dichiara di non voler il finanziamento supplementare in caso di innalzamento delle aspettative di vita, non è ancora chiaro cosa accadrà.

Ricordiamo che l’APe volontaria non è ancora operativa, perché mancano i provvedimenti di prassi e gli accordi quadro con banche e assicurazioni, previsti entro 30 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.


mercoledì 20 settembre 2017

Pensione anticipata lavori usuranti: come fare domanda



Si definiscono lavoratori impegnati in mansioni usuranti, i lavoratori che svolgono le seguenti attività:

"Lavori in galleria, cava o miniera”: mansioni svolte in sotterraneo con carattere di prevalenza e continuità;

“lavori nelle cave”, mansioni svolte dagli addetti alle cave di materiale di pietra e ornamentale;
“lavori nelle gallerie”, mansioni svolte dagli addetti al fronte di avanzamento con carattere di prevalenza e continuità;

“lavori in cassoni ad aria compressa”;

“lavori svolti dai palombari”;

“lavori ad alte temperature”: mansioni che espongono ad alte temperature, quando non sia possibile adottare misure di prevenzione, quali, a titolo esemplificativo, quelle degli addetti alle fonderie di seconda fusione, non comandata a distanza, dei refrattaristi, degli addetti ad operazioni di colata manuale;

“lavorazione del vetro cavo”: mansioni dei soffiatori nell’industria del vetro cavo eseguito a mano e a soffio;

“lavori espletati in spazi ristretti”, con carattere di prevalenza e continuità ed in particolare delle attività di costruzione, riparazione e manutenzione navale, le mansioni svolte continuamente all’interno di spazi ristetti, quali intercapedini, pozzetti, doppi fondi, di bordo o di grandi blocchi strutture;

“lavori di asportazione dell’amianto”: mansioni svolte con carattere di prevalenza e continuità.
lavoratori notturni che possano far valere una determinata permanenza nel lavoro notturno, con le seguenti modalità:

lavoratori a turni, che prestano la loro attività di notte per almeno 6 ore, comprendenti l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino, per un numero minimo di giorni lavorativi annui non inferiore a 78 per coloro che perfezionano i requisiti per l’accesso anticipato nel periodo compreso tra il 1° luglio 2008 ed il 30 giugno 2009, e non inferiore a 64, per coloro che maturano i requisiti per l’accesso anticipato dal 1° luglio 2009;

lavoratori che prestano la loro attività per almeno 3 ore nell'intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino, per periodi di lavoro di durata pari all'intero anno lavorativo.

Ad essi vengono associati ai fini del trattamento pensionistico, anche:

lavoratori addetti alla c.d. “linea catena”, ovvero i lavoratori alle dipendenze di imprese per le quali operano le voci di tariffa per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro gestita dall’Inail, impegnati all'interno di un processo produttivo in serie, con ritmo determinato da misurazione di tempi, con esclusione degli addetti a lavorazioni collaterali a linee di produzione, alla manutenzione, al rifornimento materiali, ad attività di regolazione o controllo computerizzato delle linee;

conducenti di veicoli pesanti, di capienza complessiva non inferiore ai nove posti compreso il conducente, adibiti a servizi pubblici di trasporto.

I lavoratori impegnati in mansioni usuranti sono stati esclusi dalla possibilità di accedere all’anticipo pensionistico a carico dello Stato, l’APe Social, ma per loro la legge prevede comunque delle possibilità di accesso alla pensione con requisiti agevolati. Si tratta di lavoratori pubblici o privati che svolgono attività lavorative particolarmente faticose e pesanti, definite usuranti e indicate nel decreto legislativo 67/2011.

Tra i requisiti viene richiesta la cessazione del rapporto di lavoro dipendente e l’aver svolto l’attività usurante per almeno sette anni negli ultimi dieci anni di lavoro o per almeno metà della vita lavorativa complessiva.

Dal 2016 al 2026, i requisiti agevolati per accedere al trattamento pensionistico anticipato sono di avere almeno 35 anni di contributi e rientrare in una certa quota, pari alla somma tra età anagrafica e anzianità contributiva, differente a seconda della tipologia di lavoro usurante svolto:

per i lavoratori impegnati in mansioni particolarmente usuranti e notturni a turni occupati per un numero di giorni lavorativi pari o superiore a 78 all’anno o per lavoratori notturni che prestano attività per periodi di durata pari all’intero anno lavorativo:

dipendenti: quota 97,6con età minima di 61 anni e 7 mesi;

autonomi: quota 98,6 con età minima di 62 anni e 7 mesi;

per i lavoratori notturni a turni occupati per un numero di giorni lavorativi da 72 a 77 all’anno:
dipendenti: quota 98,6 con età minima di 62 anni e 7 mesi;

autonomi: quota 99,6 con età minima di 63 anni e 7 mesi;

per i lavoratori notturni a turni occupati per un numero di giorni lavorativi da 64 a 71 all’anno:

dipendenti: quota 99,6 con età minima di 63 anni e 7 mesi;

autonomi: quota 100,6 con età minima di 64 anni e 7 mesi.

Si tratta di requisiti validi fino al 2015, poiché ad essi non si applicano gli adeguamenti alla speranza di vita previsti per gli anni 2019, 2021, 2023 e 2025. In più per l’accesso alla pensione anticipata riservata ai lavori usuranti, dal 1° gennaio 2017, non si applicano le cosiddette “finestre mobili”, ovvero il differimento della decorrenza del trattamento pensionistico di 12 mesi, per i lavoratori dipendenti, o di 18 mesi, per i lavoratori autonomi, dal perfezionamento dei requisiti.

Domanda INPS

Per accedere al beneficio è necessario presentare apposita domanda – online sul portale INPS oppure presso la sede territorialmente competente, allegando la relativa documentazione – entro il 1º maggio dell’anno precedente a quello di maturazione dei requisiti agevolati qualora tali requisiti siano maturati a decorrere dal 1º gennaio 2018.

Per ottenere la pensione anticipata con i requisiti agevolati, è necessario che venga riconosciuto il beneficio per lavoratori addetti ad attività lavorative particolarmente faticose e pesanti.

Ricordiamo poi che la Legge di Stabilità 2017 ha previsto per i lavoratori che hanno svolto lavori usuranti e che rientrano tra i cosiddetti “precoci”, ovvero con almeno un anno di contributi entro il 19esimo anno di età, la possibilità di accedere alla pensione anticipata con la quota 41, ovvero con dopo aver raggiunto i 41 anni di contributi versati, purché abbiano svolto le mansioni usuranti per almeno sette anni negli ultimi dieci anni, oppure per la metà della vita lavorativa.

Tale misura è stata prevista in via permanente (e non sperimentale per gli anni 2017-2018 come l’APe Social) e la domanda di accesso alla pensione anticipata precoci con quota 41 va presentata entro il 1° marzo per via telematica, direttamente o rivolgendosi a un patronato.



mercoledì 26 luglio 2017

DIS COLL 2017 le istruzioni INPS



Nella circolare 115 del 2017 l'INPS fornisce le istruzioni sulla stabilizzazione ed estensione dell’indennità di disoccupazione DIS COLL per i collaboratori coordinati e per eventi dal 1 luglio del 2017.

Il documento si occupa in particolare : dei destinatari e soggetti esclusi , dei requisiti e dei periodi di contribuzione figurativa per la tutela della maternità - Base di calcolo e misura - Durata della prestazione - Presentazione della domanda e decorrenza della prestazione   Condizionalità in caso di nuova attività lavorativa - Decadenza . Inoltre chiarisce le risorse finanziare e il monitoraggio della funzionalità dell'istituto. Infine si sofferma sul Regime fiscale sulle modalità di ricorso e sulle istruzioni procedurali.

Queste istruzioni riguardano in particolare i lavoratori che perdono la collaborazione a partire dal 1 luglio 2017.

Si ricorda che, in generale, hanno diritto alla Dis Coll i soggetti che soddisfano i 2 requisiti fondamentali:

essere al momento della domanda di prestazione, in stato di disoccupazione ai sensi dell’art. 19, comma 1 del decreto legislativo 14 settembre 2015 n. 150 (stato di disoccupazione);

possano fare valere almeno tre mesi di contribuzione come collaboratori coordinati nel periodo che va dal 1° gennaio dell’anno civile precedente l’evento di cessazione dal lavoro al predetto evento (accredito contributivo di tre mensilità).

Sullo stato di disoccupazione, si considerano disoccupati i soggetti privi di impiego che dichiarano, in forma telematica al sistema informativo unitario delle politiche del lavoro, la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa ed alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego ed è stato previsto per legge, tra l’altro, che la domanda di indennità DIS-COLL presentata dall’interessato all’INPS equivale a dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro.

La platea dei destinatari viene estesa anche ad assegnisti e dottorandi di ricerca in gestione separata rimasti senza occupazione (oltre a collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, del pubblico e del privato). Comunque i destinatari non devono avere partita IVA nel momento in cui chiedono il sussidio (se l’hanno aperta ma non produce reddito, devono chiuderla prima di chiedere il sussidio). Il requisito dell’iscrizione in via esclusiva alla gestione separata è soddisfatto se non c’è sovrapposizione tra il rapporto da collaborazione coordinata e continuativa e altra attività lavorativa, come ad esempio un rapporto di lavoro subordinato.

Esempio: dal 1° gennaio 2016 al 30 settembre 2017 l’assicurato ha un contratto di collaborazione /assegno di ricerca / dottorato di ricerca con borsa di studio e per il solo periodo dal 1° gennaio al 30 aprile 2016 ha contemporaneamente in essere un contratto di lavoro subordinato. Il requisito può ritenersi soddisfatto per il solo periodo dal 1° maggio 2016 al 30 settembre 2017, in quanto non sussiste sovrapposizione. Per determinare durata e misura della prestazione sarà utile questo unico periodo.

L’indennità è pari al 75% del reddito medio mensile nel caso in cui tale reddito sia pari o inferiore, per l’anno 2017, all’importo di 1.195 euro. Se il reddito medio mensile è superiore al predetto importo, la misura della Dis-Coll è pari al 75% di 1.195 euro, incrementato di una somma pari al 25% della differenza tra il reddito medio mensile e 1.195 euro. In ogni caso, non può superare i 1.300 euro. L’indennità viene versata per un numero di mesi pari alla metà di quelli lavorati a partire dal primo gennaio dell’anno precedente a quello della disoccupazione, fino a un massimo di sei mesi.

Esempio 1: si ipotizzi un rapporto di collaborazione/assegno di ricerca/dottorato di ricerca con borsa di studio della durata di 10 mesi con la corresponsione di un compenso complessivo di 8.000 euro [copertura contributiva di sei mesi (8.000:1.295,66=6,17 mesi)]. In questa ipotesi, la prestazione spettante avrà una durata di 5 mesi. Ai fini della determinazione della misura della prestazione, dividendo il compenso legato al rapporto di collaborazione/assegno di ricerca/dottorato di ricerca con borsa di studio per il numero dei mesi o frazione di essi, di durata del medesimo, si ottiene un compenso mensile pari ad € 800. La prestazione mensile sarà, pertanto, pari ad € 600 (800X75:100) per i primi tre mesi; € 582 ( € 600 meno il 3 %) per il quarto mese ed € 564,54 (€ 582 meno il 3% ) per il quinto mese, per un importo totale pari a € 2.946,54.

Esempio 2: si ipotizzi un rapporto di collaborazione/assegno di ricerca/dottorato di ricerca con borsa di studio della durata di 6 mesi con la corresponsione di un compenso complessivo di 16.000 euro [(copertura contributiva di 12 mesi (16.000:1.295,66=12,35 mesi)]. In questo caso, la prestazione spettante avrà una durata di 3 mesi. Ai fini della determinazione della misura della prestazione, dividendo il compenso legato al rapporto di collaborazione/assegno di ricerca/dottorato di ricerca con borsa di studio per il numero dei mesi o frazione di essi, di durata del medesimo, si ottiene un compenso mensile pari ad € 2.666,66. La prestazione mensile sarà, pertanto, pari a € 1.264,16 (€ 1.195X75:100 + il 25% della differenza tra € 2.666,66 e € 1.195), per un importo totale pari ad € 3.792,50.

Si precisa che in caso di fruizione parziale della prestazione, ipotizzando ad esempio nel primo caso la fruizione di soli 2 dei 5 mesi spettanti, ai fini del non computo – in occasione di una nuova domanda di DIS-COLL - dei periodi di lavoro che hanno già dato luogo ad erogazione di precedente prestazione DIS-COLL, non saranno computati 4 mesi di lavoro. Analogamente ipotizzando nel secondo caso la fruizione di 1 solo dei 3 mesi spettanti, ai fini del non computo – in occasione di una nuova domanda di DIS-COLL - dei periodi di lavoro che hanno già dato luogo ad erogazione di precedente prestazione DIS-COLL, non saranno computati 2 mesi di lavoro. Per i periodi di fruizione della prestazione non sono riconosciuti i contributi figurativi.

La domanda si presenta all’INPS, in via telematica, entro 68 giorni dalla data di cessazione del contratto di collaborazione / assegno di ricerca / dottorato di ricerca con borsa di studio. Esclusivamente per le cessazioni dal lavoro avvenute nel luglio 2017, i 68 giorni si calcolano dalla pubblicazione della circolare INPS, quindi dal 19 luglio (anche se il rapporto di lavoro si è interrotto in data precedente). In caso di nuova occupazione, la Dis-Coll viene sospesa in caso di un contratto di lavoro fino a cinque giorni mentre si decade dal diritto se il nuovo lavoro dura più di cinque giorni.

Il beneficiario decade dall’indennità, con effetto dal verificarsi dell’evento interruttivo, nei casi di seguito elencati:

a) perdita dello stato di disoccupazione ai sensi dell’art. 19, comma 1 del d.lgs. n. 150 del 2015;

b) non regolare partecipazione alle misure di politica attiva proposte dai centri per l’impiego;

c) nuova occupazione con contratto di lavoro subordinato di durata superiore a cinque giorni;

d) inizio di una attività lavorativa autonoma, di impresa individuale o di un’attività parasubordinata senza che il lavoratore comunichi all’INPS entro trenta giorni, dall’inizio dell’attività o, se questa era preesistente, dalla data di presentazione della domanda di DIS COLL, il reddito che presume di trarre dalla predetta attività;

e) titolarità di trattamenti pensionistici diretti;

f) acquisizione del diritto all’assegno ordinario di invalidità, sempre che il lavoratore non opti per l’indennità DIS COLL. A tale proposito si richiama la circolare n. 138 del 2011.

martedì 25 luglio 2017

Srl semplificata, requisiti, costituzione e costi




Mettersi in gioco iniziando un’attività sotto la veste di imprenditori sembra essere una scelta meno difficile ed onerosa da attuare rispetto che in passato. Considerate le interessanti opportunità di abbattimento delle barriere all'ingresso, con tutti i vantaggi che la normativa sulle S.r.l. semplificate prevede in termini di diminuzione dei costi e degli oneri notarili e camerali normalmente previsti per altre forme di società di capitali e/o di persone, appare estremamente allettante la possibilità di realizzare una società con questa peculiare forma giuridica.

La disciplina sulle Srl a 1 euro, per chi vuole aprire una società a responsabilità limitata semplificata, è stata conclusa con il Decreto Lavoro 2013, che ha eliminato alcuni paletti lasciando intatte tutte le agevolazioni in materia di minori costi di avvio ma anche di statuto standard – integrabile ma inderogabile rispetto ai suoi tratti distintivi.

Vediamo dunque come aprire una S.r.l. semplificata e quanto costa.

Requisiti per aprire una Srls
L’atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico e contenere i dati anagrafici e requisiti della società:

La denominazione sociale contiene l’indicazione di società a responsabilità limitata.

Il capitale sociale è compreso fra uno e 9.999 euro, è sottoscritto e interamente versato alla data della costituzione. Il conferimento deve essere in denaro e versato all’organo amministrativo.

Vanno indicati gli amministratori (che, rispetto alla regola originaria, non devono più essere soci).

Costi di costituzione

Versamento capitale – da Euro 1 a euro 9.999. N.B. – la disciplina vigente impone l’obbligo di sottoscrivere e versare interamente il capitale sociale scelto nei limiti di legge dai soci al momento della costituzione della società.

Bolli e diritti – circa 150 euro (da verificare, vi sono poi eventuali bolli per copie conformi e tasse archivio notarile);

Imposta di registro – 200 euro;

Tassa Concessione GG. Vidimazione libri sociali – 309,87 euro da versare con bollettino postale
Vidimazione libri sociali – marca da bollo di 16 euro ogni 100 facciate (in genere 200 fogli, quindi 32 euro); il costo per la vidimazione varia, in Camera di Commercio si versa un diritto fisso di 25 euro;

P.E.C. per iscrizione alla CCIAA – a partire da 5 Euro con ARUBA;

Inizio attività – se non contestuale il costo varia in base al professionista che istruisce la pratica; i diritti di segreteria sono di 30 euro;

Non si paga. Per l’atto costitutivo, il notaio controlla i requisiti senza chiedere onorari ed entro 20 giorni deposita l’atto presso l’Ufficio del Registro Imprese tramite software ComUnica, senza spese per i diritti di segreteria e bollo.

Si paga. I costi dovuti sono il diritto annuale alla Camera di Commercio, l’imposta di registro, la denuncia inizio attività.

Un discorso a parte meritano i costi relativa alla tassa di concessione governativa per i libri sociali. Per le Srls, infatti, c’è l’obbligo di contabilità ordinaria, nonché di deposito del bilancio di esercizio presso il registro imprese e di tenuta dei libri sociali.

In totale quindi io costi si aggirano in media intorno ai 650 euro per la costituzione (a fronte dei circa 1400 euro minimi stimati per la costituzione di una SRL), che posso ulteriormente ridursi nel caso di startup innovativa.

Srl a un euro: tutte le regole in dettaglio
Le società a 1 euro sono oggi identificate con le Srls, che hanno inglobato, unificandole, le ex-Srl a capitale ridotto, subendo nel tempo una serie di modifiche in ottica di una maggiore flessibilità per quanto riguarda:

Statuto;

età dei soci;

aumenti di capitale;

trasformazione societaria.

L’atto costitutivo può contenere le seguenti voci aggiuntive, purché non incidano sulla legittimità dell’atto costitutivo né sulla validità delle clausole stesse:

eventuali clausole su durata della società, scelta del modello di amministrazione (collegiale, unipersonale, pluripersonale congiunta o disgiunta), previsione della possibilità di decisioni non assembleari;

dichiarazioni, menzioni e attestazioni di carattere formale, con particolare riguardo a quelle richieste dalla legge notarile in ordine all’intervento delle parti, alla loro capacità e ad altri aspetti della formazione dell’atto pubblico;

dichiarazioni che le parti rivolgono al notaio al fine della redazione della domanda di iscrizione della società nel registro delle imprese, quali ad esempio l’indicazione dell’indirizzo della sede sociale, o la data di scadenza degli esercizi sociali;

clausole meramente riproduttive di norme di legge, anche redatte in documento separato, eventualmente contenente anche gli elementi non contingenti e transitori dell’atto costitutivo.

Età dei soci
Il vecchio requisito della soglia massima dei 35 anni di età, inizialmente necessario per diventare socio di una società a responsabilità limitata semplificata, è stato abolito

Aumenti di capitale
Le Srl semplificate hanno l’obbligo di versare completamente, in denaro, il capitale (da uno a 10mila euro, superati i quali bisogna cambiare forma societaria). Ma l’obbligo di attribuzione in denaro non vale per gli aumenti di capitale, che si può aumentare fino ai 10mila euro senza obbligo integrale di versamento in denaro. Le operazioni di aumento di capitale sono disciplinate dalle norme dettate per la Srl ordinaria Questo vale anche in caso di perdite:  in materia di ricostituzione del capitale in presenza di perdite che superano un terzo (articoli 2482-bis e 2482-ter del codice civile), con riferimento ai valori di capitale richiesto per srls (da 1 a 10mila euro).

Trasformazione in Srl ordinaria
E’ possibile modificare lo statuto per passare da Srl semplificata a ordinaria ma serve che l’atto costitutivo (o Statuto) risultante dalle modificazioni sia conforme alla disciplina del modello di destinazione e che siano rispettati i requisiti soggettivi dei soci. Per quanto riguarda in particolare il passaggio da Srl semplificata alla forma di Srl ordinaria, è necessario il contestuale aumento del capitale sociale ad almeno 10mila euro, con modalità analoghe a quanto avviene in caso di trasformazione di una S.r.l. (con capitale inferiore a euro 120.000) in SpA, senza che risulti necessario accertare il valore del patrimonio sociale mediante una relazione di stima. Quindi, non è necessaria la perizia di stima del patrimonio sociale che, invece, è per esempio richiesta nel caso di trasformazione di una società di persone in Srl. Questo perché in sostanza si rimane all’interno della disciplina della stessa tipologia societaria, la Srl.

Passaggio da Srl ordinaria
Infine nel caso opposto, di passaggio da Srl ordinaria a Srls, è necessario ridurre il capitale sociale sotto i 10mila euro. Ne consegue che il passaggio può essere deliberato:

con efficacia immediata (salva l’iscrizione nel registro delle imprese) in caso di riduzione del capitale sociale per perdite, anche ai sensi dell’art. 2482-ter del codice civile;

con efficacia subordinata al decorso del termine di 90 giorni nel caso in cui la riduzione del capitale sociale avvenga in base all‘art 2482 del codice civile (rimborso ai soci).



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