domenica 3 aprile 2016

Pensioni: serve contributo da importi elevati per i giovani


Sono quasi 475mila le pensioni liquidate prima del 1980, e quindi elargite da più di 36 anni. Lo dice l'Inps. Il dato è estrapolato dalle tabelle sugli anni di decorrenza delle pensioni riguardo assegni di vecchiaia (comprese le anzianità) e superstiti del settore privato. Per le pensioni di vecchiaia l'età media alla decorrenza era di 54,9 anni, per quella ai superstiti di 41,3. I dati non riguardano i baby pensionati del pubblico impiego, usciti dal lavoro prima del 1992 con almeno 14 anni di contributi.

«Poichè sono state fatte concessioni eccessive in passato - ha spiegato il presidente dell'Inps Tito Boeri ai microfoni di SkyTg24 - e queste concessioni pesano oggi sulle spalle dei contribuenti, credo sarebbe opportuno andare per importi elevati e chiedere un contributo di solidarietà dalle pensioni più alte, per i giovani e anche rendere più facile a livello europeo questa uscita flessibile».

Il presidente dell'Inps Tito Boeri sottolinea l'importanza di intervenire «in tempi ragionevolmente stretti» con una riforma per avere maggior flessibilità nelle pensioni. Interpellato in particolare sulla richiesta giunta ieri al Governo dai sindacati di intervenire già prima del Def spiega: «È importante che si intervenga - ha detto -, non è qualcosa che si può rimandare a lungo. Soprattutto gli aspetti più importanti sul mercato del lavoro sono qualcosa su cui bisogna intervenire adesso, perché il blocco morde e in qualche modo ostruisce l'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro adesso, non fra tre anni. Penso che sia opportuno intervenire in tempi ragionevolmente stretti».

Dopo le polemiche sull'alto numero di pensionati sotto i 750 euro al mese, quasi 6 su 10, il presidente Boeri invita a «guardare al dato medio per pensionato, e non alla pensione media», perché spiega «la situazione è meno grave di quel che si possa pensare». D a Vicenza spiega: «C’ stata una informazione errata, bisogna guardare al dato medio per pensionato, non alla pensione media - ha spiegato -. In Italia sono molti i pensionati che percepiscono più di un trattamento, questo non vuol dire che le pensioni non siano basse in Italia, ma la situazione è meno grave di quel che si possa pensare prendendo il dato per pensione singola». Boeri ha poi aggiunto che «i dati medi per pensionati per il 2014 cominceranno ad essere disponibili a partire da luglio» e il quadro sarà più chiaro con quei dati.

A Boeri era stato chiesto nel dettaglio se la presenza di una così vasta platea di pensionati di lunga data, non sia il caso anche di andare a rivedere i diritti acquisiti, anche per rendere più sostenibile il sistema pensionistico. «Abbiamo formulato delle proposte molto articolate, che guardano all’età, alla decorrenza della prima pensione — ha risposto Boeri —. Perché quando si guarda anche agli importi pensionistici bisognerebbe sempre guardare da quanto tempo vengono percepiti questi importi.

Possono essere anche importi limitati ma se uno li ha percepiti da quando aveva meno di 40 anni, chiaramente cumulandosi nel tempo vengono a stabilire un trasferimento di ricchezza pensionistica considerevole».

Quanto alla richiesta di intervenire sulle pensioni già prima del Def rivolta sabato al governo dai sindacati, il presidente dell’Inps ha spiegato che è importante intervenire «in tempi ragionevolmente stretti» con una riforma del sistema previdenziale per avere maggior flessibilità nelle pensioni. «È importante che si intervenga — ha detto —, non è qualcosa che si può rimandare a lungo. Soprattutto gli aspetti più importanti sul mercato del lavoro sono qualcosa su cui bisogna intervenire adesso, perché il blocco morde e in qualche modo ostruisce l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro adesso, non fra tre anni». «Dopo di che ci sono delle compatibilità a livello europeo — ha precisato —, ci sono delle priorità che non spetta a me stabilire nell’azione di governo, se si vuole intervenire è opportuno farlo adesso».

Per Boeri è «importante» introdurre la flessibilità in uscita perché «migliorerebbe le condizioni del mercato del lavoro, soprattutto per l’ingresso dei giovani»: «Abbiamo messo in luce come questa brusca impennata nei requisiti anagrafici e contributivi che è stata posta in essere con la riforma del 2011 abbia penalizzato i giovani — ha spiegato —: le imprese in cui c’erano più lavoratori bloccati da quelle riforme sono quelle che hanno assunto meno giovani».

Ma c’è anche un secondo motivo: «È un fatto di libertà. Ci sono delle persone che hanno dei piani individuali, per cui pensano a un certo punto di uscire dal mercato del lavoro verso il pensionamento. Se questa uscita è possibile concepirla in modo che sia sostenibile e non gravi sul futuro dei giovani, e non faccia aumentare il debito pensionistico, il che vuol dire fare delle riduzioni dell’importo delle pensioni per impedire che queste persone si avvantaggino rispetto a quanti lavorano più a lungo, se è possibile fare un intervento di questo tipo, è bene farlo. Però bisogna farlo con queste caratteristiche».

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